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Autore: Silvianap    10/01/2016    8 recensioni
[Dal Capitolo 1] "Sulla parte destra della sua schiena vedo dei segni che prima mi erano sfuggiti. Conosco bene quei segni e so anche cosa potrebbe averli provocati. Il cuoio di una cintura usata come una frusta sulla pelle umana può lasciare dei segni così netti, così marcati, che anche a distanza di molti anni, riguardandoli, potrai sentire il dolore perpetrarsi su ogni centimetro del corpo. Ora riesco davvero ad immaginare che razza di figlio di puttana fosse suo marito. Lo stesso genere di figlio di puttana che era mio padre"
(IL CAPITOLO 6 PROBABILMENTE NON VEDRA' MAI LA LUCE, PERDONATEMI.)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl Grimes, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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---> PICCOLA PREMESSA: Questa è la mia prima storia ed è la prima volta che mi cimento nella scrittura, quindi spero davvero che vi piaccia quello che ho creato, anzi, che sto creando. Grazie in anticipo! P.S.: grazie a Carol e Stefania che mi hanno ispirata ed aiutata!
-Silvia- 
 

SCARS – Capitolo 1
 

L’ho sognato.

Ho sognato di nuovo quel momento. La mia mano sulla sua schiena. È successo mesi fa ma è come se fosse marchiato a fuoco dentro di me.

Nel sogno salgo le scale dell’enorme casa in cui viviamo, non so nemmeno io bene il perché. Probabilmente sono alla ricerca del bagno. Questa casa è davvero troppo grande per i miei gusti. Appena arrivo nel corridoio del piano superiore noto subito che tutte le porte delle camere da letto sono chiuse tranne una che, essendo socchiusa, fa filtrare un leggero raggio di sole sul parquet del corridoio.
Parquet... pavimento da ricchi.
Ovviamente.
Queste case sono state costruite per i ricconi di Washington a cui piaceva fare la bella vita nella seconda, o terza, o quarta casa in campagna. Questo è quello che penso mentre mi avvicino alla porta socchiusa, attirato da quel raggio di sole. Perché le porte sono tutte chiuse tranne questa? Spingo appena la porta, rivelando una stanza vuota. Non lo so, mi sento come se fossi attirato da qualcosa, come se quel raggio di sole fosse un segnale, ma evidentemente mi sbaglio.
Poi però, proprio in quel momento, dalla porta della camera dietro di me proviene un leggero rumore e subito dopo un’imprecazione.
Riconoscerei quella voce tra mille.
Una scintilla nella mia testa si accende appena sento la sua voce e mentre mi giro per aprire la porta mi accorgo che anche questa è socchiusa e che riesco a vedere all’interno senza doverla aprire completamente. Perché diavolo non mi sono accorto che anche questa porta era aperta? Probabilmente perché pochi secondi fa non lo era.
Mi avvicino un po’ e guardo all’interno della stanza. La posizione in cui mi trovo chiaramente non mi permette di avere una panoramica completa, ma non ne ho bisogno perché anche così la vedo.
Vedo Carol. È in piedi davanti ad uno specchio, di spalle alla porta… e non indossa la maglietta. Questo mi provoca immediatamente una brusca vampata di calore e un formicolio in tutto il corpo.
Sposto lo sguardo altrove, anche se trovo la cosa estremamente difficile da fare. Respiro profondamente e ritorno a guardarla. Osservo il suo riflesso nello specchio e mi accorgo che si sta medicando una ferita sulla spalla sinistra, un taglio non troppo profondo, ma dalla sua espressione capisco che deve farle male comunque.
Abbasso lo sguardo, imponendomi di restare fermo e di lasciarla fare senza intromettermi. Riprendo il controllo di me stesso e, la terza volta che la guardo, però, mi si gela il sangue nelle vene. Sulla parte destra della sua schiena vedo dei segni che prima mi erano sfuggiti. Conosco bene quei segni e so anche cosa potrebbe averli provocati. Il cuoio di una cintura usata come una frusta sulla pelle umana può lasciare dei segni così netti, così marcati, che anche a distanza di molti anni, riguardandoli, potrai sentire il dolore perpetrarsi su ogni centimetro del corpo. Ora riesco davvero ad immaginare che razza di figlio di puttana fosse suo marito. Lo stesso genere di figlio di puttana che era mio padre.
Sono così scioccato da non accorgermi di essermi appoggiato allo stipite della porta e di essere quasi totalmente entrato nella stanza. Continuo a guardare le sue cicatrici, così stonate sulla sua pelle chiara. Ho i brividi al pensiero del dolore che quelle frustate le possano aver provocato.
Non so quanto tempo sia passato quando mi rendo effettivamente conto che sono rimasto fermo immobile a fissarla, come un cazzo di maniaco. Ma lei sa. Sa che stavo guardando le sue cicatrici perché quando il mio sguardo incrocia il suo, riflesso nello specchio, sembra essere quasi mortificata. Comincio a muovermi verso di lei, piano, spinto da non so quale impulso. Nonostante indossi il reggiseno, si copre con entrambe le braccia e tiene le mani ancorate ai suoi bicipiti.
Mentre mi avvicino il suo sguardo si abbassa e quando sono ad un passo dalla sua schiena, la mia mano destra corre dritta verso la cicatrice più bassa, tra il fianco e le costole, e la percorre per tutta la sua lunghezza. Carol alza la testa di scatto e la inclina verso di me tenendo alto il mento e chiude gli occhi. Mi accorgo di avere la mano sinistra congelata, probabilmente lo sarà anche la destra e il mio freddo sulla sua pelle così sensibile le provoca i brividi. La mia mano percorre la lunghezza di tutte le altre cicatrici sul fianco e sulla schiena e poi torna su quella più bassa. A quel punto appoggio interamente la mano sul suo fianco e la stringo un po’. Lei, che nel frattempo aveva riaperto gli occhi, riprende a guardarmi attraverso lo specchio.
Non dice niente, e nemmeno io. Non servono parole.

Nella realtà, stavo davvero cercando il bagno e mi imbattei nella porta socchiusa della sua camera perché ci passai davanti, la vidi, e tutto accadde esattamente come nel sogno. Non avevo mai vissuto qualcosa di così intenso con una donna in vita mia fino a quel momento.
Da quel momento in poi, invece, l’intensità non è mai mancata. Il modo in cui lei mi guarda, mi tocca, mi bacia… mai provato nulla del genere prima.
Mi sono risvegliato nel suo letto stamattina, dopo aver passato la notte con lei. Mi piace stare lì con lei, dormire con lei, mi piace guardarla addormentarsi e mi piace osservare il suo viso e le sue leggere espressioni involontarie quando è evidente che sta sognando.
In queste calde notti estive solitamente mi sistemo fuori, sulla veranda. È un po’ umido, ma posso resistere una o due ore, il tempo necessario perché tutti nella casa si addormentino e io possa rientrare e salire al piano superiore senza essere visto né sentito. E lei è sempre lì, sveglia nel suo letto così grande anche per due persone, in attesa che io arrivi per la notte per poi andarmene poco prima del suo risveglio. Lei è lì, ed è una delle poche certezze che mi restano in questa merda di mondo.
Ma stamattina mi sono risvegliato nel suo letto e lei non c’era. Cazzo! Significa che in casa sono tutti svegli. Mi rivesto, esco dalla stanza e scendo le scale diretto verso la porta. Non ho intenzione di rispondere alle domande di nessuno né di essere il soggetto di sguardi curiosi o di commenti di alcun genere. Ho il pomello della porta in mano e sto per aprirla, quando dal divano arriva una voce.
“Buongiorno Daryl”.
Un senso di panico mi assale e mi volto lentamente verso il divano. Vi è seduto Rick, che mi fissa mentre tiene in braccio la Piccola Spaccaculi, quasi addormentata sul suo petto. Lui sembra quasi avere un’espressione divertita.
“Ehi..” rispondo sollevato appena lo vedo. Non mi preoccupo di Rick, penso che sia sempre stato a conoscenza di quello che c’è tra me e Carol, sin da quando sono corso da lei dopo averla rivista fuori dall’inferno di Terminus, dopo che ci aveva salvati tutti.
Mi osserva per qualche secondo e poi dice “Sai, non devi sgattaiolare dentro e fuori casa come se fossi uno sconosciuto. Che cos’hai da nascondere? Sono anni che abitiamo qui e a volte ancora ti comporti come se questa non fosse anche casa tua”. Fa una breve pausa per studiare la mia espressione, che al momento non ho idea di quale sia, e poi riprende a parlare. “Quella è camera tua, camera vostra. Nessuno farà commenti o ti chiederà nulla, se è di questo che ti preoccupi. Sta’ tranquillo”.
Dopo aver sentito tutto ciò non so cosa dire ma sono sicuro che lui non si aspetta nessun genere di risposta da parte mia, quindi faccio un breve cenno di assenso con la testa. Rick risponde allo stesso modo e poi rivolge di nuovo l’attenzione verso sua figlia. Cresce in fretta, credo che abbia quasi tre anni ormai.
Mi chiudo la porta alle spalle e mi ritrovo a pensare a quello che Rick mi ha appena detto: potrei davvero cominciare a dormire in casa normalmente come tutti gli altri? Non lo so. L’unica cosa che so è che, mentre riprendo la balestra e mi avvio verso il garage, mi rimbombano nel cervello due determinate parole: CAMERA VOSTRA.

 
                                                                                                   *****
 

Sto controllando le scorte nella dispensa con Olivia da ore e mi rendo conto che servono altri viveri. Urge andare in ricognizione entro questa settimana e insisterò per essere presente, non mi va di stare con le mani in mano. Mentre sistemo alcuni barattoli, mi sento osservata. Non è una bella sensazione. Giro appena la testa verso destra e mi accorgo che Olivia si è avvicinata a me e mi fissa stranita.
“Hai dei segni rossi sul collo, Carol. Sembrano dei graffi. Stai bene?”.
Mi porto d’istinto una mano al collo mentre un flash della notte scorsa mi appare nella testa.
“Oh, si! Non preoccuparti!”, le rispondo sorridendo. “Zanzare. Con questo caldo sono insopportabili, soprattutto di notte”.
Lei ci casca in pieno. “Non me ne parlare. Sto seriamente pensando di scappare in Alaska” dice, e ritorna a contare altri barattoli dall’altra parte della dispensa.
Zanzare. Come diavolo mi è venuto in mente di tirare in ballo le zanzare? Sorrido tra a me e me pensando che l’unica zanzara con cui io abbia avuto a che fare stanotte in realtà era umana, appassionata e bella come il sole.
Come ogni notte sono rimasta sveglia mentre aspettavo che Daryl salisse in camera. Quello è l’unico momento della giornata in cui riesco a vederlo senza balestra. Tutti sappiamo che la balestra è parte di lui, e non mi avrebbe affatto sorpresa se avesse voluto portarla con sé anche per dormire, ma a quanto pare non lo fa. Non lo fa mai, la lascia fuori sulla veranda dove si siede la sera prima di venire da me, certo del fatto che la ritroverà lì la mattina dopo. Conoscendolo però, penso che sia anche una specie di diversivo. Nessuno qui ad Alexandria immaginerebbe mai Daryl senza balestra e, viceversa, nessuno immaginerebbe mai la balestra senza Daryl quindi, secondo il ragionamento comune, se la balestra è sulla veranda significa che lui è lì nei paraggi. E nessuno potrebbe mai sospettare che in realtà non è lì, ma sta dormendo affianco a me.  Lo so, è un pensiero assurdo e parecchio contorto, ma sono praticamente certa che sia così. Non ha intenzione di sentire alcun genere di commento riguardo a quello che c’è tra noi due e così cerca di tenere la cosa nascosta come può.
A differenza sua, a me non interessa nulla di quello che potrebbero pensare o dire le persone. Esistono cose più importanti al mondo rispetto ai commenti della gente. Purtroppo Daryl è parecchio suscettibile, odia queste cose, evita proprio che si manifestino e questa cosa mi dispiace, ma la rispetto. È una sua scelta, e il bello di noi è proprio il senso del rispetto verso le situazioni e le scelte dell’altro. Noi stiamo bene insieme. Il senso di sicurezza e protezione che mi dà, il suo coraggio e il suo senso del dovere, la sua fierezza, le sue attenzioni e poi il modo in cui mi guarda, anche e soprattutto quando crede che io non me ne accorga.
Io amo Daryl. Punto. Chiunque può pensare quello che vuole.

Io e Olivia usciamo dalla dispensa poco prima del tramonto e ognuna di noi va per la sua strada. So che lei sta tornando a casa ed è quello che dovrei fare anche io, ma invece mi dirigo verso il garage, dove so che Daryl ha passato tutto il giorno a sistemare alcuni pezzi della moto.
Qualche passo a piedi e poco più avanti trovo l’entrata del garage, dall’interno arrivano rumori di attrezzi all’opera. Mi affaccio e la prima persona che vedo sulla destra è Aaron, vicino ad un tavolo, intento ad oliare alcune parti di un motore. Attirato forse dal mio movimento, alza subito lo sguardo verso di me e fa per salutarmi, ma lo anticipo portandomi un dito alla bocca per chiedergli di fare silenzio e poi rivolgo la mia attenzione a Daryl, accucciato vicino alla sua moto dall’altra parte della stanza, sulla sinistra. Dalla sua prospettiva lui non riesce a vedermi, ma io riesco a vedere lui e voglio prendermi del tempo per osservarlo senza che lui se ne accorga. Aaron segue il mio sguardo e guarda Daryl, poi ritorna a guardare me, sorride apertamente e continua il suo lavoro. Mi piace Aaron, è una persona davvero in gamba e con i piedi per terra. Sembrano passati solo pochi giorni dal nostro primo incontro non tanto amichevole con lui in quel fienile e invece sono passati quasi due anni..
A quanto pare la sua parte di lavoro è finita perché si allontana dal tavolo, prende un vecchio, sudicio straccio da una sedia lì vicino e mentre si pulisce le mani, si rivolge a Daryl.
“Ehi, ho finito per oggi. Vado a cercare Rick, stamattina ci siamo incontrati e ha detto che voleva parlarmi. Ci vediamo domani” dice, poi torna a guardare verso di me per sondare la mia reazione. Ho capito benissimo che se ne sta andando apposta perché vuole lasciarci soli e la cosa mi fa ridacchiare.
Daryl risponde con un classico: “D’accordo” e Aaron si incammina fuori dal garage, dalla parte opposta a dove mi trovo io e prima di allontanarsi si gira brevemente e mi saluta con una mano. Io rispondo sorridendo e quando penso che ormai sia ora di entrare, aspetto qualche secondo prima di fare il mio ingresso nel garage. In tutto ciò continuo a guardare Daryl e l’impegno che ci mette nel sistemare cavi e pezzi vari. Pare proprio che abbia smontato la sua moto da cima a fondo e che ora la stia costruendo d’accapo.
Mi dirigo verso quella sedia dove c’è il vecchio straccio e la giro in modo da sedermici a cavallo, così da poter poggiare le braccia sullo schienale. Lui non alza mai lo sguardo, ma parla.
“Avevi intenzione di continuare a fissarmi ancora a lungo, lì fuori?”.
Oh cavolo, allora mi ha vista! È proprio un ottimo segugio, a volte lo dimentico.
“No, infatti ho appena cambiato prospettiva ed ora ti sto fissando da qui dietro” gli rispondo divertita. E devo dire che il ‘qui dietro’ mi regala davvero una bella visuale di lui di spalle, accucciato mentre i muscoli delle sue braccia risaltano mentre lavorano, il sudore che gli scende dal collo lungo la schiena ha creato linee bagnate lungo la sua camicia e la posizione in cui si trova fa in modo che i suoi pantaloni siano un po’ calati e lascino intravedere l’inizio delle curve dei suoi glutei.. Mio Dio, devo guardare altrove! Mi sforzo di chiudere gli occhi e fare un respiro profondo, rivolgendo la faccia verso la strada.
Forse il respiro è troppo profondo perché Daryl si gira a guardarmi.
“Stai bene?” mi chiede. Torno a guardarlo e annuisco.
Lui posa a terra una matassa di strani fili, si rialza, viene verso di me e prende lo straccio poggiato sullo schienale della ‘mia’ sedia e la sua mano arriva a pochi centimetri dalle mie braccia. Si allontana di tre passi, camminando all’indietro e continuando a guardarmi.
“Perché non mi hai svegliato stamattina quando sei uscita?” mi chiede.
Gli rispondo nel modo più banale esistente al mondo, tenendo gli occhi fissi sulle sue mani che si puliscono nello straccio.
“Stavi dormendo così bene.. Avevi un’aria così serena che non ho voluto disturbarti”.
Lui mugugna una risposta che non capisco e di colpo blocca le mani. Alzo lo sguardo verso i suoi occhi per capire il motivo del suo improvviso stop e mi accorgo che mi sta fissando in modo strano. Si avvicina di nuovo e la sua mano prende il mio mento in modo da spostarmi piano la testa verso sinistra cosicché la parte destra del mio collo sia ben esposta alla sua vista. La parte dove ci sono i graffi, i suoi graffi.
“Che ti è successo?” mi chiede preoccupato.
Non rispondo, non finché lui non mi lascia andare il mento, e anche dopo averlo fatto rimango per qualche secondo in silenzio a fissarlo, credendo che magari gli serva solo un attimo per ricollegare i miei graffi a stanotte. Ma quando vedo la preoccupazione aumentare nei suoi occhi, alimentata anche dal mio silenzio, gli prendo la mano sinistra e lui la stringe sulla mia, probabilmente si sta preparando a confortarmi per un mio eventuale sfogo. Ricambio brevemente la stretta e poi, sempre continuando a guardarlo, abbasso la presa sul suo polso, portandomi sul collo la sua mano aperta e facendola scivolare lentamente lungo i graffi.
Sento le sue dita lasciarsi dietro un velo di unto a causa dell’olio del motore. Vedo la sua espressione passare dalla preoccupazione al panico in un secondo non appena si rende di conto di cosa voglio fargli capire. Tira via il polso dalla mia presa e si allontana, continuando a guardarmi il collo.
“Sono stato io?” mi chiede quasi scioccato mentre continua ad indietreggiare e arriva a sbattere la schiena contro il muro dietro di sé.
Mi alzo velocemente dalla sedia, vado da lui e per tranquillizzarlo gli prendo le mani tra le mie.
“Ehi, Daryl! Daryl guardami..” gli dico quasi supplicando. Daryl ha lo sguardo fisso a terra, si rifiuta di guardarmi. Allora gli prendo il viso tra le mani e glielo ripeto più dolcemente.
“Guardami”.
E quando lui finalmente mi guarda, capisco che è pronto per una sfuriata rabbiosa che gli addossi tutta la colpa per avermi lasciato i graffi sul collo. Lo guardo negli occhi e… e il resto del mondo scompare, il mio cuore accelera i battiti e appoggio il mio corpo al suo mentre mi faccio più vicina.
Poi lo bacio, chiudo gli occhi e lo bacio piano. Lui è rigido, fermo, immobile ma le mie labbra sono ancora sulle sue quando lo sento rilassarsi un po’ ed inizia a ricambiare il bacio. Sento le sue mani appoggiarsi sulla mia schiena e stringermi ancora un po’ di più addosso a lui ed io faccio scivolare le mie dietro al suo collo, per poi intrecciare le braccia e stringerlo, in modo da fargli capire che lui non ha nessuna colpa e che non ce l’ho con lui, cosa che evidentemente ancora pensa, posso capirlo dal modo in cui mi sta baciando.
Ogni bacio che Daryl mi dà riesce a trasmettermi emozioni, ovviamente, ma riesce anche a trasmettermi quello che lui prova, e in questo momento le uniche cose che sento sono senso di colpa e tristezza.
Mi stacco di pochi centimetri da lui per guardarlo negli occhi, ma i suoi occhi sono chiusi e la sua espressione è turbata. Appoggia la sua fronte alla mia e allora anche io chiudo di nuovo gli occhi, riporto le mani sul suo viso e vivo profondamente questo momento nel silenzio che c’è attorno a noi, o forse siamo così tanto in sintonia che ho isolato qualsiasi altro rumore che non sia il suo respiro o il battito del suo cuore. Ma non mi sento del tutto tranquilla finché non preciso una cosa. E appena gli sussurro “Non mi hai fatto male”, lui aumenta la stretta delle sue braccia attorno a me. E allora continuo a sussurrare, so di avere la sua attenzione.
“Ehi.. Non mi hai fatto male.. Io non me ne sono nemmeno accorta.. Daryl, non fa niente..”.
Sento scivolare via la sua fronte dalla mia e al suo posto arrivano le sue labbra, che mi danno un lieve bacio. Appoggio le mani sul suo petto poco prima di sentire di nuovo la sua voce.
“Mi dispiace tanto”. Un brivido mi percorre la schiena ma l’istinto mi spinge ad essere audace. “A me no” dico sinceramente dopo qualche istante, “mi piacciono questi graffi”.
Daryl si irrigidisce di nuovo e mentre si scosta un po’ da me per guardarmi bene in faccia, probabilmente per confermare a se stesso il fatto che io sia improvvisamente impazzita, spalanca gli occhi e assume un’espressione sbigottita. Io lo guardo e poi sorrido.
“Mentre eravamo insieme stanotte è stato come se il resto del mondo si fosse completamente annullato e fossimo rimasti solo io e te. Ed eravamo così coinvolti l’uno dall’altra che abbiamo perso la cognizione dello spazio e del tempo… figurarsi il controllo dei movimenti! Non guardarmi come se fossi diventata pazza, Daryl” dico subito dopo aver visto il transito di almeno venti diverse emozioni nei suoi occhi.
“Ho detto che mi piacciono questi graffi perché è vero. Sai... per essere arrivato al punto di graffiarmi senza nemmeno accorgertene significa che eri totalmente preso da quello che stavamo facendo… e per come la penso io al cinquanta per cento è anche merito mio, quindi ne vado fiera”.
Sono convinta di quello che dico e penso che lui l’abbia capito, ma non posso non scoppiare in una risatina allegra per il senso di goduria e soddisfazione che sto provando dopo aver detto quell’ultima frase. Daryl sta sicuramente pensando a quello che ho appena detto perché abbassa lo sguardo, ma dopo pochi secondi fa una cosa quasi inaspettata. Lo vedo sorridere e unirsi a me nella risata, scrollando via finalmente tutti i sensi di colpa e gli strani pensieri che erano affiorati e si erano aggrappati nella sua mente. Continuiamo a ridacchiare per qualche secondo, come due ragazzini.
Fuori il sole sta tramontando e la luce arancione del sole illumina Alexandria. E anche noi due, dentro e fuori.
 

                                                                                               *****
 

Rick vuole solo pochi di noi per la spedizione di oggi destinata alla ricerca di scorte di cibo, medicine o qualsiasi altra cosa che possa esserci utile, quindi ora siamo qui per decidere come organizzarci. È da poco sorto il sole e siamo già riuniti intorno al tavolo della cucina a casa di Aaron, alcuni in piedi, alcuni seduti. Oltre me, Rick e Aaron ci sono Carol, Michonne e Carl. Sul tavolo è aperta la grande mappa che usiamo da ormai molto tempo per organizzare le spedizioni. Ogni posto già controllato è segnato da una grande X rossa mentre invece le parti ancora da controllare sono cerchiate a matita. E di matita ne vedo ben poca. Questo significa che d’ora in poi saremo costretti a spingerci sempre più lontano.
“È qui che dobbiamo andare oggi” dice Rick, indicando col dito uno dei cerchi. Uno dei punti più vicini ai bordi del foglio. Sembra un quartiere residenziale, molto ad ovest rispetto ad Alexandria.  
“È lontano” dico semplicemente, e quasi tutti gli altri annuiscono in silenzio.
Rick alza un po’ lo sguardo e riprende a parlare. “Si Daryl, è lontano. Ma abbiamo forse altra scelta? Riusciremo ad organizzarci e a partire il prima possibile per riuscire a tornare a casa a notte non troppo inoltrata”. Posa lo sguardo su tutti noi adesso, probabilmente per vedere come stiamo reagendo alle parole ‘notte non troppo inoltrata’. Quando riprende a parlare, torna anche a guardare la mappa.
“Una volta arrivati qui, ci divideremo in due gruppi per coprire un’area più vasta. Carl e Aaron, voi verrete con me. Michonne e Carol con Daryl. Avete tempo mezz’ora per prepararvi, poi partiamo”.

Usciamo tutti insieme da casa di Aaron. Lui sta andando con Carl in uno dei garage a controllare che l’auto sia a posto prima della partenza, Carol e Michonne si allontanano in direzione di casa nostra e io seguo Rick verso l’armeria.
L’avevo già notato prima in casa, ma adesso è evidente che qualcosa non va. Rick è strano, cammina spedito senza parlare, i suoi passi sono pesanti. Non gli chiedo nulla, probabilmente non si accorgerebbe neanche che gli sto chiedendo qualcosa e soprattutto non sono nemmeno sicuro che si sia accorto che sto camminando proprio dietro di lui perché arrivati all’ingresso dell’armeria, apre la porta e appena entra se la richiude subito alle spalle.
Resto qualche secondo fuori, fermo immobile davanti alla porta chiusa. Mi assale un’improvvisa voglia di accendermi una sigaretta ma non è il momento adatto, prima devo capire cos’ha Rick che non va, che problemi ci sono. Stringo i pugni, poi apro la porta ed entro, chiudendomela poi alle spalle.
L’armeria è alla mia destra e all’interno non vi è altri che Rick. È di spalle e sta riempiendo una sacca con ogni genere di pistola che trova davanti a sé, ne prende una dopo l’altra e le infila automaticamente dentro, senza nemmeno controllare se siano cariche o no.
“Rick” lo chiamo, ma lui non risponde. Sta continuando a riempire la sacca con le scatole dei proiettili.
Riprovo. “Rick” lo chiamo provando ad alzare un po’ la voce ma niente, lui continua a fare quello che sta facendo, come una sorta di robot.
Ne ho abbastanza.
“RICK!” urlo quasi, e Rick sembra come uscire improvvisamente da uno stato di trance, facendo cadere a terra la scatola di proiettili che teneva in mano. Si gira a guardarmi imbambolato e meravigliato allo stesso tempo, probabilmente sta cercando di capire se la voce che l’ha chiamato fosse davvero la mia. Questo conferma che non si era proprio reso conto del fatto che stessi venendo con lui qui dentro.
Abbassa lo sguardo e si accorge del casino che ha creato facendo cadere la scatola dei proiettili e si china per raccoglierli uno ad uno. Mi avvicino e lo aiuto, nel silenzio più totale. Quando abbiamo sistemato tutto e ci rialziamo nello stesso momento, Rick sembra come spaesato.
“Che c’è che non va? È successo qualcosa?” gli chiedo, appoggiandomi a braccia conserte allo stipite della porta. Lui mi rivolge di nuovo le spalle e si mette a controllare tutte le pistole che ha messo nella sacca.
“In tutto questo tempo non siamo mai andati così lontano da Alexandria per una spedizione” dice improvvisamente a bassa voce, “e… ho una strana sensazione, come se dovesse accadere qualcosa di brutto mentre noi siamo lontani da casa e…”.
Lo interrompo subito. “Cosa dovrebbe accadere, Rick? Tutti noi sappiamo benissimo i rischi che corriamo andando lì fuori e non c’è assolutamente nessuna differenza tra un posto vicino o lontano da casa perché vaganti e pericoli sono ovunque”.
Rick chiude la sacca, si volta verso di me e mi fissa. “Sto portando con me in questa spedizione solo voi quattro perché siete le persone più adatte e più esperte, anche Carl ormai lo è” dice, caricandosi su una spalla il peso della sacca piena, “e ho dovuto chiedere anche ad Aaron di partecipare perché è l’unico tra di noi a conoscere quelle zone”.
Mentre lui mi passa affianco e fa per uscire dall’armeria, io mi stacco dallo stipite per prendere un paio di fucili e ripenso a quello che ha appena detto.
“Aaron conosce quelle zone quindi non stiamo andando in una spedizione alla cieca ed è già qualcosa”.
Usciamo dalla porta, saliamo gli scalini per tornare in strada e ci dirigiamo verso il garage dove si trova l’auto.
“Sei preoccupato per chi resterà ad Alexandria? Non penso che ce ne sia bisogno. Heath e gli altri terranno sott’occhio la situazione mentre noi non ci saremo” dico con calma, forse troppa.
“Si” risponde Rick “si, hai ragione. Faremo in fretta e ci toglieremo il pensiero”.
Nessuno dei due dice più niente.
Mi accendo la sigaretta che non ho acceso prima e aspiro il fumo avidamente.
Non mi piace la piega che sta prendendo questa giornata.
 

                                                                                                *****
 

Vengo svegliata da una leggera pressione al ginocchio destro. Riesco a capire che l’auto è ancora in movimento dal lieve senso di nausea che provo appena apro gli occhi. Aaron sta guidando e affianco a lui, sul sedile del passeggero, c’è Rick. Stanno parlando tra loro.
Oddio, non posso credere di essermi addormentata!
Mi accorgo di avere la testa poggiata sulla spalla sinistra di Daryl, che è seduto affianco a me sul sedile posteriore e di sicuro è stato lui a svegliarmi toccandomi il ginocchio. Dall’altro lato è seduta Michonne e sul piccolo sedile reclinabile dietro di noi c’è Carl. Povero ragazzo, si trova praticamente nel porta bagagli insieme agli zaini e alle armi, ma ricordo che poco prima di partire, lui e Michonne stavano giocando a ‘Carta-Forbice-Sasso’ per decidere chi di loro due avrebbe fatto il viaggio di andata sul sedile posteriore e chi invece sul sedile nel porta bagagli. Si divertono sempre con questa sorta di piccole sfide e scommesse e invidio molto la loro capacità di vivere con leggerezza anche situazioni tese e nervose come una spedizione.
“Aaron ha appena detto che mancano pochi minuti all’arrivo” mi dice Daryl a bassa voce. Annuisco mentre mi strofino la faccia per cercare di svegliarmi meglio.
“Quanto ho dormito?” gli chiedo.
“Mmm un paio d’ore” mugugna.
Un paio d’ore? Credo di essere stata sveglia per tre ore di viaggio prima di assopirmi e poi addormentarmi… questo significa che il viaggio sta durando più di cinque ore, più del previsto. È quasi pomeriggio, dunque.
Spero davvero che questa spedizione non duri molto, mi sento davvero stanca, ma non potevo dire di no a Rick visto che due giorni fa sono stata proprio io ad informarlo sull’urgenza di uscire a cercare provviste. Probabilmente dovrei soltanto provare a dormire un po’ di più durante la notte ma la verità è che non posso e non voglio, perchè una delle cause principali della mia stanchezza è seduta proprio affianco a me. Ed osservandolo bene anche lui sembra stanco, ma ovviamente non lo dà a vedere.

Impieghiamo altri venti minuti per arrivare a destinazione ed il paesaggio che ci troviamo davanti non è dei migliori. Il quartiere residenziale non è molto grande e alcune case sono andate addirittura a fuoco, ma dobbiamo tentare comunque.
Aaron parcheggia la nostra auto vicino ad altre vetture ormai fuori uso per cercare di confonderla tra loro e devo dire che il risultato è abbastanza convincente visto che è quasi più sporca e ammaccata la nostra di tutte le altre tre messe insieme.
Ci carichiamo in spalla zaini e armi e tutti e sei insieme ci avviamo verso quella che sembra una piccola piazzetta al centro di tutto, dove convergono tutte le strade del quartiere. Rick è davanti a noi mentre camminiamo e appena si ferma al centro della piazza, noialtri ci disponiamo intorno a lui.
“D’accordo, allora” dice, rivolgendosi a tutti, “come abbiamo detto stamattina, ci divideremo in due gruppi”. Fa una breve pausa per guardarsi un po’ intorno, poi riprende a parlare. “Io, Carl e Aaron andremo da questa parte” dice indicando le case alla sua sinistra, “Michonne, Daryl e Carol voi andrete a destra e ci ritroveremo qui appena tramonta il sole, ok?”.
Annuiamo tutti.
“Se vi trovate in difficoltà, non esitate a sparare un colpo di pistola per avvertirci.. anche se questo potrebbe attirare altri pericoli, voi fatelo, arriveremo di corsa” dice Rick deciso.
“Fate lo stesso anche voi” gli dice Daryl.
Rick annuisce e subito dopo cerchiamo di lasciare la piazza e dividerci in gruppi, se non fosse per una piccola mandria di vaganti che sta per arrivarci addosso da dietro una delle case. Come una sola persona, tutti e sei contemporaneamente ci armiamo di coltelli, balestra, machete e spada e ci prepariamo al loro arrivo.
Qualcosa dentro di me mi spinge a partire per prima e ad abbattere uno dei primi vaganti della mandria, conficcandogli la lama del coltello dritta nella tempia con forza. Il suo corpo cade ai miei piedi, lo scavalco e vado avanti abbattendone un altro, mentre anche tutti gli altri adesso sono intorno a me per abbattere il resto della mandria. E lo fanno, senza nemmeno sforzarsi troppo.
Restiamo per un attimo immobili tra i cadaveri, fermi dove siamo e ci guardiamo, protagonisti di un silenzioso discorso di incoraggiamenti reciproci e convincimenti a farci forza per cominciare la spedizione per la quale abbiamo fatto tutta questa strada.
Ci voltiamo per ritornare verso gli zaini che abbiamo letteralmente buttato via poco prima di cominciare a difenderci e ce li carichiamo di nuovo in spalla. Mi sistemo meglio lo zaino sulle spalle e poi alzo lo sguardo verso gli altri, specialmente verso Daryl.
Daryl, che ha uno sguardo preoccupato mentre mi punta la balestra contro.
Mi si gela il sangue e mi blocco all’improvviso mentre tutti gli altri non si sono accorti di nulla. Fa un passo verso di me e prende meglio la mira, io faccio un passo indietro ed ho soltanto la forza di alzare le mani davanti a me e sussurrare terrorizzata “Daryl” poco prima di sentire, a pochi centimetri dall’orecchio, il fischio della sua freccia appena scoccata seguito da un tonfo.
Mi volto di scatto e ricomincio a respirare mentre vedo il corpo del vagante appena abbattuto poco dietro di me. Comincio un po’ a tremare, sicuramente a causa della tensione accumulata in…quanto? Dieci secondi?
Sento la stretta salda di Daryl sulla mia spalla e mi rilasso subito.
“Cosa diavolo credevi? Che stessi per ucciderti? Davvero?” mi chiede a bassa voce, cosicché solo io possa sentirlo. Probabilmente mi sente tremare perche appoggia anche l’altra mano su di me, sul mio braccio sinistro e io appoggio quasi totalmente il mio peso contro di lui, respirando ad occhi chiusi.
Cosa diavolo credevo? Che stesse per uccidermi? Assolutamente no. Ma vedersi puntare addosso una balestra improvvisamente non è per niente una bella cosa, anche se effettivamente non era puntata proprio addosso a me.
In tutto ciò, però, la cosa che mi sconcerta di più è il non aver assolutamente sentito quel vagante arrivarmi così vicino.
Devo decisamente svegliarmi un po’.
Non mi piace la piega che sta prendendo questa giornata.
   
 
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