5
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
Lily
brancolava alla ricerca di se stessa, di quella parte in grazia della
quale era
riuscita ad abbandonare quell’area di servizio anni prima,
anche se aveva
appena ucciso un uomo. Quella sera, in un altro mondo, ne aveva ucciso
un
altro. L’aveva arso vivo. Le urla di Percival le rintronavano
ancora nel
cervello. La sua faccia avvolta dal fuoco che si trasformava nella
faccia di
Murphy...
Malefica
afferrò la spada che il cavaliere voleva usare per uccidere
Regina. Saggiò
l’elsa, sfiorò la lunga lama con la punta delle
dita. – Quest’arma è incantata.
-
Incantata? – Regina la prese a sua volta. Le orecchie le
fischiavano
orribilmente.
“...un
angelo della morte. Lei si
muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato, in
sella al
suo cavallo...”
-
Se Percival ti avesse ferita non saremmo riusciti a guarirti. Era
incantata
apposta per ucciderti.
“E
in mezzo a quella carneficina,
sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.
Emma
lanciò una rapida occhiata alla spada. Poi di nuovo a Lily.
Si avvicinò con
estrema cautela. Sentì che la solita, trita domanda, come va?, le saliva alle labbra e la
ricacciò subito in gola.
Deglutì. – Ehi.
-
Ehi...
In
realtà Emma non sapeva bene da dove cominciare. Una parte di
lei provava una
sorta di senso di colpa perché non aveva potuto usare la
magia. Se l’avesse
fatto, Lily non avrebbe dovuto usare la sua... o meglio, non avrebbe
perso il
controllo. D’altra parte, se l’avesse fatto, si
sarebbe rivelata e la sua
situazione sarebbe potuta peggiorare di molto.
-
Non avevo mai fatto niente di simile. Non so come sia successo
– disse Lily,
aprendo le mani e rivolgendo i palmi verso l’alto.
-
È dentro di te, Lily – le disse Malefica.
-
Non credevo di esserne capace.
Malefica
prese entrambe le sue mani, stringendole nelle sue. – Non hai
fatto niente che
non andasse fatto. Quel... Percival voleva uccidere Regina e forse
avrebbe
ucciso l’uomo delle foreste.
L’uomo
delle foreste non commentò il fatto che Malefica
l’avesse appena chiamato così,
ma comunque annuì. – Sì. Percival era
forte e quella spada era incantata... mi
avrebbe ucciso. E se anche non ci fosse riuscito, non sarebbe stato
possibile
curarmi.
Emma
si disse che lei avrebbe potuto curarlo. Avrebbe potuto curare lui e
anche
Regina. Ma adesso era troppo concentrata su ciò che era
accaduto. Ripensava al
fuoco che sprizzava dalle mani di Lily. Pensava a Percival che
ardeva...
Il
potere di Lily.
Era
dall’altra parte della sala, eppure l’aveva
avvertito, giusto un attimo prima
che esplodesse. La pelle aveva cominciato ad accapponarsi, in un modo
tale da
darle l’impressione di muoversi,
quasi stesse formando delle onde lungo le sue braccia. Non era la prima
volta
che accadeva. La prima volta era stato quando... quando
l’aveva raggiunta dopo
l’inseguimento in auto. Avevano lottato. “Prova
solo a toccarli e finirai male!”
“Sì?
E come farai senza la tua
magia, Salvatrice?”
Lily
era furiosa e lo era anche lei. Emma l’aveva spintonata, Lily
l’aveva colpita
in faccia.
I
fari del maggiolino erano esplosi con un botto fragoroso e nuvole nere
si erano
assiepate sopra le loro teste.
“I
tuoi genitori sono dei mostri.
Hanno bandito me in questo mondo e messo te in una teca. Ed eccoti qua,
pronta
a morire per loro! Perché sei perfetta! Sei la Salvatrice!
Meritano di essere
puniti. C’è solo un modo per fermarmi e tu lo
sai!”
Erano
lontane da Storybrooke, ma aveva avvertito chiaramente il...
-
Potere, mia cara – esclamò Tremotino. O meglio...
la cosa che aveva assunto le
sembianze di Tremotino. Se ne stava comodamente seduto su una seggiola,
con le
gambe accavallate e il solito ghigno divertito stampato sul viso
coccodrillesco. – Quanto ti sarebbe piaciuto usarlo questa
sera, non è vero?
Peccato che il giovane drago ti abbia rubato la scena.
-
Che cosa vuoi? – domandò, fissandolo con rabbia.
-
Swan, con chi parli? – chiese Uncino, perplesso.
-
Con nessuno – rispose lei, avvicinandosi alla sedia.
– Non preoccupatevi. Va
tutto bene.
-
Se l’Anti-Salvatrice non fosse intervenuta maldestramente, ti
saresti ritrovata
in una situazione molto... scomoda. Che avrebbe richiesto un prezzo.
–
Tremotino intrecciò le dita delle mani. –
Perché tu sai... che la
magia ha sempre un prezzo.
-
Non l’ho usata. E anche se l’avessi fatto, avrei
pagato quel prezzo, se fosse
servito per salvare una vita.
-
Non è così semplice, mia cara.
Da
quando era arrivata nella Foresta Incantata quella voce non aveva fatto
altro
che tormentarla. Aveva l’aspetto del precedente Oscuro, ma
non era Tremotino.
Lui era a Storybrooke, in coma. E solo grazie alla rosa sotto la
campana di
vetro sapevano che era vivo. Quella cosa aveva preso le sembianze
dell’unico
Oscuro che avesse mai conosciuto. Ed era stanca. Stanca di sembrare una
folle.
-
Emma – intervenne Regina. Guardava nello stesso punto di
Emma, eppure
continuava a vedere una sedia vuota e un muro di pietra. –
Con chi stai
parlando? Che succede?
-
E in ogni caso... l’Anti-Salvatrice potrebbe essere molto
più utile di quanto
pensassimo. È una vera fortuna che sia qui –
continuò Tremotino.
-
Smettila di chiamarla in questo modo. Si chiama Lily. E stasera ha
eliminato un
uomo che voleva uccidere Regina. – Si chinò in
avanti, puntando i suoi occhi in
quella spiritati della cosa.
Lily
stava osservando con la fronte aggrottata. I suoi occhi guizzavano da
Emma alla
sedia vuota e poi di nuovo su Emma.
-
Lilith, ma certo. Meglio non parlare di Anti Salvatrici quando la
Salvatrice
stessa ormai è oscura. Lilith. Proprio per questo ritengo
che sia una fortuna
averla tra noi. E non solo! – Sollevò il dito
indice. Il suo ghigno si allargò
ancora di più. – Ma col tempo lo capirai. Sua
madre ritiene che non sia
preoccupante un po’ di oscurità...
chissà se sa davvero di che cosa parla. Malefica
conosce l’oscurità, ma non questa. Tu
la
conosci. Perché sei tu la legittima proprietaria. Era tua.
-
Sì, lo era. Credi che non lo sappia?
-
Ti è piaciuto. – Tremotino emise la sua risatina
stridula. – Gustosa
l’oscurità, vero? Quando l’hai
sentita... anche se non era il tuo potere, ti è
piaciuto. Avresti voluto farlo tu, personalmente.
-
Avrei fatto ciò che andava fatto.
-
Se solo fosse vero...
-
Emma – la chiamò di nuovo Regina.
Tremotino
scomparve. Emma si voltò, trovandosi davanti a molte facce
stranite. Azzurro e
Neve erano seriamente preoccupati. Regina sembrava ansiosa. Uncino fece
un
passo verso di lei.
-
Swan... – disse il pirata. – Cos’hai?
Emma
si lisciò pieghe inesistenti sul vestito bianco. Si
girò verso la sedia, che
ora era vuota anche per lei. – Niente. Sto bene.
-
Forse tutto questo è troppo per te – disse suo
padre.
-
Mi sento solo un po’ debole. – disse Emma.
– Penso che andrò a stendermi per un
po’.
“Mi
sento solo un po’ debole. Penso
che andrò a stendermi per un po’”
Regina
capiva molto bene che non era quello il motivo per cui Emma aveva
lasciato la
stanza in fretta. Era turbata. Turbata da una lotta che avrebbe potuto
essere
la sua se la Salvatrice non avesse deciso di sacrificarsi. Vederla
parlare col
nulla... beh, non col nulla, certamente con uno dei suoi demoni
interiori, era
stato inquietante. Si chiedeva che forma avesse la cosa con cui Emma
aveva
discusso, si chiese se la vedeva sempre oppure solo quando era sotto
pressione.
Si chiese se ne fosse costantemente tormentata o se fosse
un’apparizione che la
coglieva alla sprovvista ogni qualvolta il suo potere si manifestava...
A
manifestarsi, in quel caso, era stato il potere di Lily. La figlia di
Malefica
se ne stava appoggiata al tavolo, meditabonda. Si rigirava tra le dita
il
ciondolo che portava al collo.
-
Forse dovrei andare a vedere come sta – disse Uncino,
grattandosi la barba.
-
No – intervenne Azzurro. – Lasciamola sola per un
po’. Credo che ne abbia
bisogno.
Ci
fu silenzio.
La
porta si aprì di nuovo e il sovrano entrò,
guardandosi intorno e scrutando le
facce dei suoi ospiti.
-
Sire... - disse Azzurro.
-
Spero che stiate tutti bene – disse Artù,
sorridendo cautamente. – Quello che è
accaduto questa sera... è inaccettabile. Ciò che
ha fatto Percival... non ha
scuse.
-
Ma aveva ragione – intervenne Regina. Non aveva intenzione di
nascondersi
ancora. Ormai tutti dovevano aver intuito la verità. Forse
spacciarsi per la
Salvatrice quando il suo passato era così pesante non era
stata la migliore
delle idee. Robin allungò una mano per stringere la sua.
– Io sono la Regina
Cattiva.
“...un
angelo della morte. Lei si
muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva
provocato...”
“E
in mezzo a quella carneficina,
sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.
Artù
non sembrò arrabbiato e nemmeno sorpreso. – Beh,
Camelot è il posto delle
seconde possibilità. Chi eravate non conta. Conta chi siete
adesso.
Regina
si sentì più sollevata.
Artù
spostò lo sguardo su Lily. Lei incrociò gli occhi
del re per qualche momento.
-
E voi... – disse Artù. – Avete salvato
la situazione. Prima avete portato qui
tutte queste persone usando la bacchetta di Merlino e poi avete...
-
Ucciso il vostro cavaliere – concluse Lily.
-
Come ho detto, Percival non avrebbe dovuto farlo. Non conoscevo i suoi
trascorsi e mi sento in parte responsabile per le azioni che ha
commesso
stasera. – Artù appoggiò la mano
sull’elsa di Excalibur. Il pollice sfiorò la
gemma rossa incastonata nel pomolo. – Se voi non foste
intervenuta, avrei
dovuto punirlo io.
Nessuno
commentò.
A
Lily parve che l’occhiata di Artù fosse molto
intensa, come se stesse provando
a leggerle dentro, a carpire i suoi segreti.
-
Lo credo bene. Forse dovreste scegliere meglio i vostri uomini
– disse
Malefica, dopo qualche istante. Duramente. – E magari
chiedervi chi ha
incantato la spada di quel Percival.
Di
nuovo, Artù non si scompose. Abbassò lo sguardo e
parve riflettere. – Sì. Mi
sto già dando da fare. E vi ho preparato le stanze. Immagino
che per oggi
abbiate avuto la vostra dose di emozioni.
Regina
lasciò la mano di Robin. Non era sicura di poter dormire
dopo tutto ciò che era
accaduto. La storia di Percival, le fiamme, Emma e la sua battaglia
contro
qualcosa che nessuno poteva vedere. A volte Regina pensava che sfuggire
al
passato, lasciarlo indietro, fosse impossibile. Tornava sempre. In un
modo o
nell’altro, quando meno se l’aspettava, la mano del
passato si allungava verso
di lei per batterle sulle spalla. Quella sera il suo passato aveva
avuto un
nome: Percival. Un bambino spaventato dalla sua furia e cresciuto nella
sete di
vendetta.
-
Siete molto gentile, grazie – rispose Neve, accettando
l’offerta di Artù.
Lily
lasciò la stanza prima che qualcuno potesse aggiungere
qualcosa.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Dove siamo? – domandò Lily, quando la nuvola
magica che le aveva avvolte
disparve.
Il
porto era sparito. Ora, al posto del mare e delle barche,
c’era una strada, il maggiolino
di Emma parcheggiato accanto al marciapiede, un bel prato verde e una
casa
dipinta con delicati colori pastello, azzurro e viola per lo
più. Una casa
grande ed elegante. Alcuni scalini conducevano al portico e alla porta
d’ingresso, sulla quale capeggiava il numero 710.
-
A casa mia. Ti piace? – domandò Emma, salendo le
scale e dirigendosi verso
l’ingresso.
-
Da quando l’Oscuro ha bisogno di una casa?
-
Ne avevo bisogno anche prima, a dire il vero. –
Aprì la porta d’ingresso e la
lasciò aperta, perché anche lei potesse entrare.
Lily
si guardò in giro, con la fronte aggrottata. Si sentiva
confusa. Se possibile,
ancora più confusa della sera prima, quando Emma era apparsa
nelle sue nuove
vesti di Oscuro.
“Gli
altri hanno fallito, Lily. Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete
fallito”.
Seguì
Emma in casa.
Il
posto in sé era assolutamente normale. Persino accogliente.
Non c’era nulla di
elaborato e che non potesse piacere ad una persona che desiderava
vivere una
vita tranquilla.
Emma
si diresse in cucina e si tolse la giacca, gettandola sul tavolo. Sotto
portava
un semplice abito lungo e nero, senza maniche, che sottolineava le
curve del
suo corpo tonico.
-
Che cosa vuoi da bere? – domandò, aprendo il
frigorifero.
-
Da bere? – Lily notò una porta vicino alle scale
che conduceva al piano
superiore. La notò perché rispetto al resto aveva
qualcosa di diverso. Era più
vecchia. Stonava con i colori della casa ed era chiusa con un pesante
chiavistello. – Mi stai davvero offrendo da bere?
-
E perché no?
Lily
osservò la porta. - Mi hai portata qui per un drink?
Perché non mi parli dei
miei ricordi, piuttosto?
Emma
le offrì un bicchiere. – Prendi.
-
Cos’è?
-
Scotch. Una delle marche migliori.
Lily
annusò il contenuto, incerta.
-
Non essere così sospettosa. È solo
scotch.
Non è nel mio stile avvelenare una persona con un drink.
Probabilmente
la porta conduceva in un ripostiglio o in una cantina. Non capiva
nemmeno lei
perché la stessa guardando.
-
Conosci davvero le marche migliori di scotch? –
domandò Lily, non trovando
niente di meglio da dire.
-
Regina le conosce. Mi è capitato di dare
un’occhiata alla sua... collezione
personale. – Emma sembrava divertita.
Lily
sorseggiò lo scotch. Il primo sorso le bruciò la
gola e lo stomaco. Era molto
forte, ma forse aveva proprio bisogno di qualcosa di forte per capire
cosa
diavolo stesse succedendo. Frugò nella tasca della giacca.
-
Me l’hai dato tu, questo? – chiese, mostrandole il
giglio appassito.
Lei
sorrise. – Sì. L’hai conservato, vedo.
-
Non so neanche perché.
Emma
lo sfiorò con la punta delle dita e il fiore
recuperò il suo delicato aspetto
originario, bianco con delle sfumature gialle. - Così va
meglio. Aspettami qui.
Prima
che Lily potesse chiederle dove stesse andando, lei svanì e
ricomparve due
minuti dopo. Aveva una scatola in mano. La appoggiò su una
poltrona e l’aprì.
Rovistò in mezzo ad un mare di oggetti, fino a quando non
trovò ciò che
cercava.
-
Ricordi questa? – chiese, mostrandole una telecamera.
-
Certo.
Le
pile erano scariche, ma Emma non aveva bisogno delle pile per farla
funzionare.
Agitò una mano e la telecamera si accese. Lily sapeva
già che cos’avrebbe
visto.
Due
ragazzine che si divertivano a riprendersi e ridevano, spensierate. Due
ragazzine che erano appena diventate amiche, ma si sentivano legate
come se si
fossero già incontrate in qualche altra vita.
-
L’ho trovata tempo fa. Non ricordavo di averla tenuta.
– Per un momento, Emma
fu di nuovo semplicemente Emma. Non l’Oscuro.
Lily
prese la telecamera e guardò le due quindicenni che si
mettevano in posa e si
impegnavano nel fare linguacce e facce buffe. Sorrise, ripensando a
quel
giorno. Poi ricordò il motivo per cui si trovava
lì e scosse il capo.
-
Stai cercando di distrarmi?
-
Sto solo cercando di fare conversazione. Non abbiamo mai parlato
davvero da
quando ci siamo riviste. – Emma parlava come se non ci fosse
stato nulla di
strano.
-
Non ci provare! Non siamo qui per fare conversazione. Non questo tipo di conversazione.
– l’aggredì Lily. - Che cosa
significa quello che hai detto a Regina, prima? Perché le
hai detto che non è
una Salvatrice?
-
Perché è vero.
-
Sì? –
Posò la telecamera e puntò un dito
contro di lei. – Perché lei sembrava convinta del
contrario.
-
Certo, perché non ricorda niente. - Emma si versò
da bere a sua volta e sollevò
il bicchiere come se volesse fare un brindisi. – A Camelot le
ho affidato il
pugnale. Pensavo sarebbe stata in grado di salvarmi... o di
distruggermi, se
fosse stato necessario.
-
Quella parte me la ricordo.
-
Si è definita la Salvatrice – continuò,
senza badare all’interruzione. La sua
espressione si era fatta di nuovo dura. – Si è
definita la Salvatrice per
aiutarmi. Gli uomini di Artù non dovevano scoprire chi ero.
Lily
sbatté le palpebre. Cercò di figurarsi Regina che
si autoproclamava Salvatrice
e l’unica cosa che riuscì a mettere a fuoco fu una
donna che implorava Emma di
non cedere all’oscurità. Di non uccidere quella
che una volta era la sua unica
amica con un singolo colpo di pistola, perché avrebbe
rovinato non solo la sua
vita, ma quella di tutte le persone che amava.
-
Ma sai una cosa? Non è servito a niente – concluse
Emma, bevendo lo scotch
tutto d’un fiato. Fece sparire il bicchiere con un gesto
della mano.
-
Che cos’è successo a Camelot?
Emma
non rispose.
-
Emma?
Lei
rimase silenziosa per un lungo momento. Poi parve prendere una
decisione. - Non
posso. Non ancora.
-
Non puoi? – Lily sbatté il bicchiere su un
tavolino, rovesciando parte del suo
contenuto. – Non prenderti gioco di me, Emma.
-
Non mi sto affatto prendendo gioco di te.
-
Ah, no? Ci cancelli la memoria, ci riporti tutti a Storybrooke e fai la
tua
entrata in scena in pieno stile Oscuro Signore. Dici di essere furiosa
con
tutti per qualcosa che abbiamo fatto a Camelot... mi porti qui dopo
avermi detto
che io non c’entro niente con questa... punizione che vuoi
infliggere ai tuoi
adorati genitori, a Regina e a quelli che hanno partecipato alla tua
trasformazione... e ora mi dici che non puoi raccontarmi
cos’è successo a
Camelot?
-
Sì. – La voce di Emma suonò
terribilmente blanda e del tutto ermetica. Eppure
Lily credette di vedere qualcosa di vivido, nel suo sguardo, qualcosa
che non
era per niente piacevole. Ebbe la netta impressione che quelli fossero
gli occhi
di Emma ma anche fossero gli occhi di qualcun altro. Ed erano occhi
spiritati,
pieni di tenebra. Appartenevano ad un essere molto più
antico. - Sto dicendo
questo.
Lily
tentò di colpirla con un cazzotto, ma naturalmente Emma la
fermò. Il suo pugno
si schiantò sul palmo dell’Oscura, che poi glielo
strinse, intrappolandola.
-
Non essere così precipitosa, Lily – disse. La
lasciò andare e nell’altra mano
comparve il pugnale.
Lily
indietreggiò di un passo, scrutandola, furiosa. Il nome Emma
Swan impresso
sulla lama ondulata di quell’oggetto le faceva ancora un
certo effetto,
nonostante l’avesse visto altre volte.
-
Non sei ancora pronta per la verità. Nessuno lo
è. Te lo assicuro. – riprese
l’Oscura. - Ci sono delle cose che devo fare, prima. Ma
voglio che tu guardi
questo...
-
Cosa ci dovrei vedere di diverso?
-
Ce l’ho io. E nessun altro lo toccherà. Nessuno
merita di farlo. Avrei dovuto
prenderlo fin dal principio. – C’era rabbia,
adesso. Rabbia, delusione,
tristezza. La sua espressione era dura, severa, ma gli occhi verdi no.
Quelli ora
erano trasparenti. – Volevo che tu sapessi che non hai niente
da temere da me.
-
Perché?! – gridò Lily.
-
Perché tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa
giusta.
-
Hai visto Lily? – domandò Malefica, entrando nello
studio di Regina.
Lei
sollevò lo sguardo qualche istante, massaggiandosi la
tempia. La testa le stava
scoppiando. Re Artù aveva fatto la sua poco gradita comparsa
ed era
sufficientemente adirato, poiché aveva scoperto che i suoi
ospiti gli avevano
mentito. In più Robin aveva trovato i suoi cavalieri nella
foresta. Tutti
trasportati qui dalla maledizione, tutti senza ricordi, sperduti in un
mondo
che non conoscevano. Si era assicurata che sua sorella fosse
costantemente
controllata e aveva dato una strigliata sia all’infermiera
che le portava il
pranzo, sia alla guardia che zoppicava ancora a causa del proiettile
che Zelena
gli aveva piantato nella coscia. Si era rifiutata di usare la magia per
curarlo.
E
non riusciva a togliersi dalla mente quello che le aveva detto Emma.
Henry,
così fiducioso: “Ce la
puoi fare, mamma.
Puoi essere la Salvatrice”.
La
voce dura, persino rattristata di Emma:“Non
succederà”.
“Tu
non credi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
-
No, non l’ho vista. Perché sarebbe dovuta venire
qui? – rispose Regina,
seccata. Si alzò, andando alla finestra.
“Posso
proteggere questa città”.
“Stai
raccontando frottole a te
stessa. Perché questa maledizione è qualcosa che
solo una Salvatrice può
risolvere. Peccato che non ne abbiamo una”.
-
Non lo so. L’ho cercata dappertutto e alla fine ho provato
anche qui. – stava
dicendo Malefica.
-
Beh, qui non è venuta.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”
-
È adulta. Saprà cavarsela. Come se
l’è cavata fino a questo momento anche senza
di te. – Regina si pentì immediatamente di
ciò che aveva detto, ma ormai era
troppo tardi per mordersi la lingua.
Malefica
le regalò un’occhiata furente, poi si
girò per andarsene.
-
Malefica, aspetta! – esclamò Regina, serrando le
palpebre. Si appoggiò alla
scrivania. – Mi dispiace. È stata... una pessima
giornata.
Dopo
un attimo di esitazione, Malefica richiuse la porta dello studio.
-
Davvero. Questa ennesima maledizione mi rende furiosa e mi rende
furiosa anche
aver perso tutti i miei ricordi.
-
E il tuo incontro di questa mattina non ha migliorato le cose.
– concluse
Malefica, avvicinandosi alla scrivania. Portava un completo di lino
grigio che
gli fasciava la vita e i fianchi e una camicia di un grigio
più chiaro con una
cravatta di seta viola. I suoi capelli erano un ordinato ammasso di
onde color
grano.
Regina
aggrottò un sopracciglio. – Come sai
dell’incontro di questa mattina?
-
Ne parlavano quei due. Intendo gli Azzurri.
Levò
gli occhi al cielo. - Per quale motivo ho posto questa domanda!
-
Vedo con dispiacere che l’Oscura è riuscita ad
instillare qualche dubbio –
continuò Malefica, sfiorando il legno della scrivania con la
punta delle dita.
-
Si chiama Emma – precisò Regina, istantaneamente.
-
Emma, certo. – Malefica le rivolse un sorriso divertito.
-
Pensi che sia divertente?
-
No, affatto. Penso sia sorprendente.
–
C’era una luce strana, negli suoi celesti. Qualcosa di
indefinibile, quasi la
stesse sondando. – Ci tieni molto a lei.
-
Io tengo a tutta questa città. Sto facendo il possibile
per...
-
Ma tieni a lei in modo particolare. Diverso.
“Ci
tieni molto a lei”.
“Tieni
a lei in modo particolare.
Diverso”.
Beh,
è vero, si
disse Regina, con una punta di meraviglia.
-
Ha sacrificato il suo lieto fine per salvare il mio. Cosa dovrei fare?
Stare a
guardare mentre l’oscurità la inghiotte?
– La sua voce era roca e alterata.
-
Sempre che non l’abbia già inghiottita.
Regina
scosse il capo. – No, sono sicura di no. Emma è
ancora lì, da qualche parte.
L’ho... l’ho percepita.
-
Bene – disse Malefica. – Immagino che tu ne sappia
qualcosa.
In
realtà Regina sperava
che fosse così.
Non voleva soffermarsi sulla possibilità che per Emma non ci
fosse alcuna via
d’uscita.
-
E anch’io sono sicura che Regina sia ancora lì da
qualche parte – continuò
Malefica. Le si accostò, appoggiandole due dita sotto il
mento perché alzasse
la testa. – Stai pensando a cose che non devono essere
pensate, Regina. Peggio
ancora, stai prendendole in considerazione.
-
Stavo solo pensando ad un modo per venire fuori da questa situazione.
-
No. Stai pensando a quello che ti ha detto Emma. Stai pensando di non
poter
essere fondamentale per questa città. L’Oscuro fa
questo, Regina. Ti manipola.
Ti inganna. Dovresti saperlo.
Regina
la guardò negli occhi celesti. Aveva l’impressone
che la situazione si fosse
ribaltata. Una volta era toccato a lei riaccendere la scintilla e
alimentare il
fuoco di Malefica. Ora sembrava che Malefica stesse facendo lo stesso
con lei. –
Emma è furiosa. Per qualcosa che abbiamo fatto. Non sta solo
cercando di
manipolarmi. Lei vuole farmi capire che... non riuscirò a
proteggere nessuno.
Malefica
rimase in silenzio.
-
Robin sostiene che possa farlo. Che tutti... pensino che io possa
farlo. Ma non
ne sono così sicura. La gente mi ha perdonata... ma
perdonare non significa
credere che possa farcela.
Malefica
l’afferrò per il collo. La sua presa era molto
salda. – Io credo che tu
possa farcela.
-
Lo dici per rassicurarmi?
-
Non ti sto rassicurando. Lo dico perché è vero.
Qualsiasi cosa sia successa a
Camelot, non cambia il fatto che tu sia l’unica a poter
tenere le redini di
questa città. – La fissava ancora. E il suo
sguardo era fermo. – So che anche
dentro di te si nasconde un drago.
Regina
le sorrise.
Qualsiasi
cosa sia successa a
Camelot.
Fece
un profondo respiro, lo trattenne per qualche istante e lo
lasciò andare
lentamente. - Vuoi che ti aiuti a trovare Lily?
-
No – rispose Malefica, allontanandosi un poco. – Me
ne occupo io.
-
Ti preoccupa che Emma possa farle qualcosa?
-
Beh, considerando che vuole punirci... e poi sono convinta che questa
storia di
Emma tocchi Lily molto più di quanto lei dia a vedere.
Regina
non poté fare a meno di notare che nominare Lily
invariabilmente causava un
cambiamento nella voce e sul viso di Malefica. Era qualcosa che
addolciva i
suoi lineamenti, conferendo loro qualità che prima non
avevano.
Le
sovvenne il momento in cui Emma le aveva parlato per la prima volta
della sua
amica. Erano nella cripta. Lei era fuori di sé
perché Emma aveva riportato
indietro Marian, sfasando la linea temporale e causandole una marea di
problemi.
Marian
che non era Marian. Era Zelena.
“Sono
un’idiota”.
“Finalmente
una cosa su cui siamo
d’accordo!”
“Vedi,
io sono già stata in questa
situazione”.
“Quella
in cui mi disturbi? Sì, è
già successo”.
“Mi
è successo da piccola. Ho
conosciuto una persona... e pensavo che saremmo diventate... migliori
amiche.
Ma quella ragazza mi ha mentito...”
Regina
non aveva capito per quale motivo glielo stesse raccontando. La sua
presenza la
seccava, la infastidiva oltre misura. Desiderava afferrarla e prenderla
pugni.
Sbatterla fuori a calci... desiderava che la lasciasse in pace. Che non
le
imponesse la sua presenza. Tutto quello che Emma aveva fatto
l’aveva colpita in
un modo tale che avrebbe voluto trovare un posto in cui la Salvatrice
non
potesse raggiungerla. Ma la Salvatrice la raggiungeva ovunque andasse,
naturalmente.
“E
per colpa di una bugia io l’ho
allontanata. Mi ha chiesto di perdonarla, ma non l’ho fatto.
Con il tempo ho
capito che era stato uno sbaglio, me ne sono pentita. Ma a quel
punto... era
troppo tardi. Il danno era fatto”.
Regina
si era messa ad ascoltarla seriamente, interessata suo malgrado a
quella
storia.
“Ora
non voglio fare lo stesso
errore con te. Adesso vivo qui, con mio figlio e i miei genitori... e a
loro
voglio bene. Però non sempre riescono a capirmi. Non sanno
che cosa vuol dire
sentirsi incompresi e respinti. Non come lo so io. Non come lo sai
tu!”
Oh,
certo che lo sapeva. Lo sapeva ed era sicura che anche questo
l’avesse
avvicinata ad Emma. L’essere simili. L’essersi
sentite incomprese. A lungo.
“E
questo ci rende... non lo so...
uniche! Persino speciali”.
Ed
era così in contrasto con ciò che Emma le aveva
detto.
“Adesso
sei sola”.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
La
colpì un gelido senso di inquietudine e Regina si
ritrovò ad abbracciare se
stessa. Scacciò quella voce, rifiutandosi di ascoltarla.
La
porta del suo studio si aprì e Lily fece la sua comparsa.
Aveva un’aria
corrucciata e pensosa, ma era tutta intera.
-
Lily, si può sapere dov’eri finita? Ti ho cercata
ovunque! – esclamò Malefica.
-
Mi dispiace. Ero... sono stata al porto. – disse Lily.
-
Al porto?
Lily
annuì.
-
E immagino che tu abbia visto me ed Emma – aggiunse Regina.
-
È stato inevitabile, direi – ribatté la
ragazza, come se fosse stata una cosa
pressoché ovvia.
Regina
provò un forte senso di fastidio. Non avrebbe saputo dire da
dove venisse...
forse dall’idea che nessun altro avrebbe dovuto assistere a
quell’incontro. Era
stato il suo incontro con Emma. Il
suo e di Henry.
“Emma,
che c’è?”
“Si
trova a Lowell, in
Massachusetts, che è a meno di... cinquanta chilometri da
Boston, dove abitavo
cinque anni fa”. Emma
non riusciva a riaversi dalla
sorpresa. “Siamo cresciute in
Minnesota,
ci siamo separate da ragazzine e siamo finite a vivere da adulte a
mezz’ora
l’una dall’altra”.
“Come
ho detto, è destino. E il
vostro vi spinge a stare insieme”.
Già
allora Regina l’aveva capito. Erano connesse. Nel bene o nel
male lo sarebbero
sempre state. Anche adesso che Emma era oscura. C’era
qualcosa, in quel
legame... che la preoccupava e la faceva sentire... strana. Era
destino, sì. Ma
si domandava cosa significasse ora per Lily essere legata alla nuova
Signora
Oscura.
-
Hai parlato con Emma, vero? – disse Regina.
“Perché
tu hai cercato di aiutarmi.
Tu hai fatto la cosa giusta”.
“Non
hai niente da temere da me”.
-
Sì – disse Lily. – Solo per pochi minuti.
Regina
e sua madre attesero il resto.
-
Non mi ha detto niente che non abbia detto anche a voi. –
continuò lei, senza
esitazioni.
“Tu
hai cercato di aiutarmi. Tu hai
fatto la cosa giusta”.
A
Lily sembrò che il drago dentro di lei avesse appena
socchiuso gli occhi.
-
Ha cercato di farti qualcosa? – chiese Malefica.
-
No. Anzi, sembrava... gentile.
Regina
roteò gli occhi. – Gentile? Allora che
cos’abbiamo visto ieri sera?
Nessuno
rispose.
Lily
scrollò le spalle. - Forse fa tutto parte del suo piano.
È l’Oscuro. L’Oscuro
passa il suo tempo a inventarsi nuovi modi per ottenere quello che
vuole,
giusto?
-
Il precedente Oscuro lo faceva. – disse Malefica.
-
Eppure continua a sfuggirmi qualcosa – continuò
Regina. – Ed è qualcosa che sta
spingendo anche Emma. Non si tratta solo di ciò che abbiamo
fatto noi... è
qualcosa che ha fatto lei. Qualcosa che non ha potuto fermare.
***
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
Dopo
essersi occupato delle sistemazioni dei suoi ospiti, Artù
non si era recato
nelle sue stanze. Si era aggirato per il suo castello e infine era
giunto nella
grande sala che ospitava la Tavola Rotonda. Pensava a tutto quello che
era
successo quella sera. A quello che aveva visto.
Prese
lo scudo appartenuto a Percival; era bianco e nero, decorato da una
saetta. Ne
saggiò la consistenza. Lo rivide mentre estraeva la sua arma
incantata e
affrontava uno dei suoi demoni. Regina. La Salvatrice che non era
affatto la
Salvatrice. La Regina Cattiva.
Non
aveva mai conosciuto gli incubi di Percival. A lui interessavano
unicamente le
sue doti; era intelligente, coraggioso, abile con la spada e la lancia.
Era un
buon osservatore. Era fedele al suo re.
Ma
quella sera...
Quella
sera si era lasciato vincere dall’odio.
Posò
lo scudo sul tavolo e poi sedette pesantemente. Prese il posto che era
stato
del suo defunto cavaliere. Avvertiva un’indicibile
stanchezza.
Ginevra
venne da lui. Aveva un’aria assorta e preoccupata.
– Questi stranieri mi
spaventano, Artù.
-
Tu conosci la profezia di Merlino quanto me. – rispose,
deciso. – È giusto che
siano qui.
-
Merlino ci dice che cosa succede... ma non come.
– Si approssimò alla Tavola Rotonda e
osservò tristemente lo scudo di
Percival.
Artù
strinse di più l’elsa di Excalibur.
La
sua spada spezzata.
Si
ricordò del giorno in cui l’aveva estratta dalla
roccia, come aveva predetto
Merlino. Si ricordò del momento in cui aveva sentito il
potere ed era stato sicuro
di essere quel re, il re che Camelot aspettava. Stringere
l’elsa di Excalibur
gli aveva trasmesso forza e determinazione.
Ma
quando aveva estratto la spada e aveva scoperto che ne mancava una
parte... era
stato come vedere le sue speranze crollare. Le profezie di Merlino non
erano
che mezze verità. E la successiva ricerca era stata
inutile...
Che
tu sia maledetto, Merlino, pensò.
-
Percival è morto, Artù. Quella ragazza...
l’ha bruciato vivo. - Era sicura che
non sarebbe riuscita a dormire quella notte, tormentata
dall’immagine di
Percival che urlava, avvolto dalle fiamme.
Artù
alzò gli occhi su di lei.
-
Come possiamo sapere che cos’altro succederà,
adesso che queste persone sono
qui a Camelot?
-
Loro sono qui per distruggere l’Oscuro. E non sarà
facile. – Lo sguardo di Artù
era cupo. Era quasi uno sguardo di pietra. – Il loro aiuto
è l’unica chance che
mi resta per mettere le mani sul pugnale di quel mostro.
Estrasse
Excalibur e appoggiò la spada sullo scudo di Percival.
– Ginevra... se non
rimetto insieme Excalibur, ogni nostro sforzo sarà stato
vano.
La
regina mise una mano sopra la sua e Artù gliela strinse.
Continuò a fissare
Excalibur ancora per un po’. Intorno a loro nessun rumore. Il
castello era
oscuro e silenzioso. La notte era tranquilla. Da una delle grandi
finestre
vedeva il cielo punteggiato di stelle.
-
C’è qualcos’altro che ti preoccupa,
vero? – disse Ginevra.
Artù
rifletté qualche istante. Poi aprì la giubba
dorata e infilò una mano in una
tasca nascosta. Tirò fuori una pagina ingiallita e
arrotolata. La dispiegò
davanti alla moglie.
-
Che cos’è? – domandò Ginevra.
-
L’ho trovata nella Torre di Merlino, tempo fa. Non ci avevo
più pensato. Ero...
troppo preso dalla mia ricerca.
-
Sembra una profezia.
-
Un incantesimo, non una profezia. L’ha trascritto lui in uno
dei suoi libri. E
qualcun altro ha aggiunto... una specie di stralcio dal futuro. Le
calligrafie
sono diverse. Merlino ha trascritto l’incantesimo, ma non le
ultime righe più
sotto.
-
E chi è stato dunque?
-
Forse il suo Apprendista. L’ha nominato, qualche volta.
Quando ero bambino e mi
parlava...
La
calligrafia del mago era elegante e sicura. Ogni parola era molto
chiara,
sebbene fosse passato parecchio tempo dal giorno in cui Merlino
l’aveva
riportata su quel foglio.
Che
l’oscurità trovi la sua via
Dal
grembo materno a un altro
dell’inferno
Se
vedrà la luce della vita
In
una terra lontana dall’ombra
infinita
Che
la magia non le dia forma
E
di tale buio non lasci orma
Su
questo infante sia posta la
norma
-
Ma è... è magia nera –
commentò Ginevra, con gli occhi sbarrati e
rabbrividendo.
-
No... sembra più un incantesimo di protezione contro una
forza oscura. Non so
spiegartelo. – rispose Artù. Continuava a
stringere la mano della moglie, con
forza, persino con rabbia. – Leggi il resto.
Quel
che è fatto è fatto.
I
loro destini sono intrecciati
Com’è
sempre stato e come sempre
sarà
Così
ha detto il mio Maestro.
Vedo
l’ombra infinita approssimarsi
a Camulodunum
L’infante
figlio del drago porta
con sé una stella
E
il suo destino s’intreccia con
l’altra metà di Caledfwlch
-
Cosa c’entra questo con noi? –
domandò Ginevra, perplessa.
-
Oh, c’entra – rispose Artù. Con
l’indice indicò il nome Camulodunum. –
Questa è Camelot. Una volta, molto tempo
prima che nascessi io, il posto si chiamava così.
Camulodunum. E Caledfwlch è
l’altro nome di Excalibur. Ho trovato
un’illustrazione. L’Apprendista di
Merlino ha disegnato la spada. La mia spada.
Excalibur
sembrò risplendere in
modo sinistro, ancora posata sullo scudo, proprio sopra la saetta
simbolo di
Percival.
-
E il resto? – domandò Ginevra,
con la voce tremante.
-
L’infante è la figlia di
Malefica. Quella donna sa trasformarsi in un drago. Di conseguenza
Lilith è il
figlio del drago. – Poi Artù indicò il
proprio polso. – Ha una stella impressa
sulla pelle. Qui. L’ho vista. Sono sicuro che l’ha
vista anche Percival, mentre
ballavano. La terra lontana... suppongo sia il mondo da cui provengono.
Ginevra
deglutì. – Siamo in
pericolo?
-
Forse. Ho fatto sistemare Lilith
in un’altra ala del palazzo e c’è una
guardia davanti alla sua porta.
-
E credi che questo possa
bastare? Artù, è un drago... se riesce a
trasformarsi la tua guardia non potrà
fare niente contro di lei.
-
Non lo farà. Anche loro hanno
bisogno di noi e la madre aiuterà Lilith a controllarsi. Gli
Azzurri mi hanno
detto che non è molto che quelle due si sono ritrovate.
Lilith non controlla
bene il suo potere, ma Malefica intende insegnarglielo... la
terrà a bada. Se
la rinchiudessi in prigione, non servirebbe a niente in ogni caso,
desterei dei
sospetti e non riuscirei ad ottenere ciò che voglio.
-
Artù, Merlino dice anche che il
suo destino è legato alla parte mancante di Excalibur. E poi
che cosa vuol dire
che l’ombra infinita si sta avvicinando a Camelot?
Avrebbe
tanto voluto rispondere a
quelle domande. Però non poteva. Non poteva
perché aveva imparato che Merlino
non era mai chiaro. Lo sembrava, ma le sue profezie, le sue parole
nascondevano
sempre dell’altro.
“Quel
che è fatto è fatto”.
“I
loro destini sono intrecciati”.
Avrebbe
capito. Avrebbe decifrato
quell’enigma e, se l’avesse ritenuto necessario, si
sarebbe occupato della
figlia del drago.
Lui
era il re. Quello era il suo
regno. Nessuno gliel’avrebbe portato via.
___________________
Angolo
autrice:
Salve,
lettori!
Qualche
piccola precisazione:
Non
si sa se Camulodunum sia
il primo nome
di Camelot. Si tratta di una supposizione. È il nome di una
fortezza legionaria
della provincia romana della Britannia. Dovrebbe corrispondere alla
moderna
Colchester. Il nome deriva dal celtico e significa “La Rocca
di Camulos”.
Secondo alcuni, Camelot è una deformazione di Camulodunum.
Caledfwlch,
invece, è il nome di
Excalibur nella tradizione celtica.