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Autore: Silvianap    14/02/2016    6 recensioni
[Dal Capitolo 1] "Sulla parte destra della sua schiena vedo dei segni che prima mi erano sfuggiti. Conosco bene quei segni e so anche cosa potrebbe averli provocati. Il cuoio di una cintura usata come una frusta sulla pelle umana può lasciare dei segni così netti, così marcati, che anche a distanza di molti anni, riguardandoli, potrai sentire il dolore perpetrarsi su ogni centimetro del corpo. Ora riesco davvero ad immaginare che razza di figlio di puttana fosse suo marito. Lo stesso genere di figlio di puttana che era mio padre"
(IL CAPITOLO 6 PROBABILMENTE NON VEDRA' MAI LA LUCE, PERDONATEMI.)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl Grimes, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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----> PICCOLA PREMESSA: Scusate per l'attesa, è stato un capitolo particolarmente lungo e difficile da scrivere! Per il quarto capitolo...beh, già sapete che bisogna aspettare!
Vi ringrazio molto per l'affetto che state dimostrando nei confronti di questa storia! Ed un ringraziamento particolare a Stefania! Spero di non deludervi!
- Silvia -




SCARS – Capitolo 3

 

Rick se lo sentiva.
Prima di partire per la spedizione sentiva che sarebbe successo qualcosa, me l’ha detto nell’armeria.
E io cosa gli ho risposto?

Ripercorro la strada fino a dove gli altri sono stati attaccati e mi fermo a guardare le macchie di sangue. A terra c’è una maglietta appallottolata e zuppa di sangue. Mi abbasso e la prendo tra le mani. Questo è il suo sangue.
Cerco di farmi tornare in mente le parole esatte che gli ho detto prima di uscire dall’armeria. Gli ho detto… gli ho detto che non sarebbe accaduto nulla e che non c’era differenza tra un posto e un altro perché vaganti e pericoli sono ovunque…
Sento la rabbia assalirmi e, alzandomi di scatto, scaravento la maglietta lontano.
Un brivido mi percorre il corpo con violenza al pensiero di quello che potrebbe accadere a Rick, di quello che potrebbe accadere a Carl…
Se non riuscirò a trovare Carl, Rick non me lo perdonerà mai…
Io non me lo perdonerei mai…
Non posso perdere altro tempo, devo cominciare a cercarlo.
Con la coda dell’occhio vedo delle piccole macchioline scure dirigersi verso il grande prato che segna la fine della strada del centro residenziale.
Aaron ha detto a Carol che le persone che li hanno attaccati erano due e che sono scappati oltre la fine della strada. Vado esattamente in quella direzione seguendo la scia di macchie di sangue che si protrae per molti metri sull’asfalto, anche se faccio davvero fatica a vederla. La luce della luna è chiara, ma stavolta non è abbastanza. Cazzo, la luce del sole mi aiuterebbe di sicuro.
Cerco nello zaino la mia torcia per illuminare la scia di sangue che continua anche sull’erba del prato. Senza torcia sarebbe impossibile vederla perché l’erba è così alta da arrivarmi quasi alle ginocchia.
È probabile che questi maledetti abbiano aspettato la notte di proposito, per attaccare e poi andarsene via indisturbati, senza lasciare traccia. Hanno rubato tutti gli zaini e le provviste che gli altri avevano con loro… ma perché rapire Carl?
Arrivo alla fine del prato, di fronte a me un altro prato, ma c’è un sentiero abbastanza grande che li divide e lì la scia si interrompe.
“Figli di puttana” sussurro.
Sono sicuramente scappati in auto, ci sono i segni delle ruote sul terreno. Ma da che parte? Destra o sinistra? Mi metto le mani nei capelli, non so che fare.
A destra il sentiero continua parallelo ai prati. Cammino per qualche metro in quella direzione, ma dopo un po’ l’unica cosa che vedo è erba, erba e ancora erba, e all’orizzonte non vedo niente di preciso, il sentiero si perde nel buio.
A sinistra, invece, il sentiero si inoltra in un bosco. E forse si sono inoltrati proprio nel bosco, che può aver dato loro protezione e magari un nascondiglio. Spero che questo sentiero mi conduca dove sono loro esattamente.
Quindi sinistra. Ho deciso.
Mi affido alla luce della torcia, ai miei sensi e a tanta fortuna.
Lo troverò.

 
                                                                                             *****
 

Sono stanca.
Così stanca che le palpebre mi si chiudono da sole.
Vorrei tanto dormire, ma non posso assolutamente.
Sono seduta fuori casa, in veranda, dove di solito è seduto lui…
Osservo le mie mani rosse di sangue mentre ripenso a quello che è successo finora.
La mandria, le perlustrazioni, l’ultima casa, io che per poco non uccido Michonne…
Gli spari, l’attacco… Rick e Aaron feriti, Carl scomparso…
Ho lasciato Daryl da solo a non so quanti chilometri di distanza per cercarlo, di notte…
Potrebbe succedergli qualsiasi cosa, potrebbero attaccare anche lui, ed è lì da solo! Oh mio Dio…

Il viaggio di ritorno è stato frenetico, non credo di aver mai guidato così velocemente in tutta la mia vita, ma era necessario. La fortuna ha voluto che Aaron, nonostante la grave ferita alla testa e l’evidente confusione, si ricordasse bene la strada per tornare a casa in modo da aiutarmi nel viaggio. Michonne si è presa cura di Rick per tutto il tempo, tenendolo stretto a sé, curandolo come meglio poteva, cercando di fermare il sangue, pregando e piangendo per lui e sicuramente anche per Carl. Mentre guidavo la osservavo dallo specchietto retrovisore e immaginavo la sofferenza che stava provando per non essere potuta rimanere lì a cercare Carl e allo stesso tempo la sofferenza che stava provando nel vedere Rick ridotto così.
E il silenzio in quell’auto era profondo, disturbante, insopportabile. Ogni tanto incitavo Aaron a spiegarmi meglio la strada per riuscire a farlo rimanere sveglio, ma soprattutto per riuscire a far rimanere sveglia me.
Abbiamo impiegato poco meno di cinque ore per tornare, era ormai notte fonda. Sasha era di guardia su una delle torrette, ha aperto lei il cancello. Invece di andare a parcheggiare l’auto, ho guidato dritta fino all’ingresso dell’ infermeria, e questo l’ha subito allarmata. Mentre scendevo dall’auto l’ho vista correre nella nostra direzione, confusa.
“Cos’è successo?” mi ha chiesto.
“Aiutami!” è l’unica cosa che sono riuscita a dirle.
Ho aperto lo sportello del passeggero per far scendere Aaron, che ancora si reggeva sulla testa il bendaggio di fortuna creato con quella vecchia maglietta. L’ho aiutato a salire le scale mentre dietro di me sentivo che uno degli sportelli posteriori dell’auto veniva aperto e appena mi sono voltata per tornare indietro ho visto lo shock che repentinamente prendeva possesso di Sasha. È rimasta immobile mentre io e Michonne provavamo a trasportare Rick giù dal sedile.
“Sasha! Aiutami!” l’ho chiamata, svegliandola da chissà quali pensieri.
Ha reagito subito, fortunatamente, e in tre siamo riuscite a trasportare Rick in infermeria, facendo non poco rumore. Le persone nelle case attorno hanno cominciato a svegliarsi e da lì in poi, sinceramente, non ho capito più molto. Mi ricordo di aver visto Heath correre da Aaron per accertarsi che stesse bene. Maggie e Rosita che sono corse da noi poco dopo. Poi il nulla.
Ho parlato con persone e risposto a domande che non ricordo, ero lì, ma era come se non ci fossi. In quel momento, quando ho finalmente fatto in modo che Rick e Aaron fossero sotto le cure di qualcun altro più capace di me, i miei pensieri si sono rivolti solo e soltanto a Daryl e Carl.
Daryl e Carl. L’eco dei loro nomi rimbombava prepotente in infermeria, e ogni volta che rimbombava, il mio cuore sentiva una fitta dolorosa.
Non riuscivo più a respirare lì dentro, così sono venuta a rifugiarmi qui, dove di solito si rifugia Daryl, ma non è cambiato poi molto.
Non sopporto l’idea di saperlo lì fuori, da solo. Così mi sono seduta a terra, esattamente come fa lui, per fare il punto della situazione e capire cosa fare e come farlo. Maggie mi ha raggiunta poco dopo, offrendosi di prepararmi una tazza di caffè e portarmi dell’acqua per ripulirmi e sistemarmi. Ho accettato volentieri, soprattutto per il caffè.

Ed eccola che torna da me, con una grande tazza di caffè fumante in una mano e una ciotola con acqua una spugna nell’altra. Mi porge la tazza, poi poggia la ciotola e la spugna a terra vicino ai miei piedi e si mette seduta accanto a me.
Inalo l’odore del caffè e già mi sento più sveglia, o almeno è quello che voglio far credere a me stessa, quindi mi affretto a berlo. Non posso perdere altro tempo.
“Rick è stabile. Dicono che ci vorrà un po’ prima che si svegli, per via di tutto il sangue che ha perso” mi dice pensierosa “ore… giorni… non lo sanno, ma si riprenderà”.
Menomale. Dopo queste parole sento un piccolo peso sparire dal cuore.
“Cos’hai intenzione di fare, Carol?” mi chiede dopo qualche minuto di silenzio.
“Io… devo tornare là” le dico semplicemente.
“Non andrai da sola, vero?”. La preoccupazione nella sua voce aumenta.
“Non voglio coinvolgere nessun’altro” le rispondo dopo aver finito anche l’ultimo sorso di caffè. Sento la caffeina che comincia a farmi effetto. Comincio a ripulirmi le mani con la spugna e poi mi sciacquo la faccia. L’acqua è fresca, piacevole, e a poco a poco si tinge di rosso.
“Posso venire io con te” si offre “e anche Michonne poco fa mi ha detto che vuole assolutamente tornare per cercare Carl”.
“Non essere sciocca! Tu devi rimanere con tuo figlio! Michonne è troppo scossa, deve rimanere a prendersi cura di Rick e io mi muoverò meglio se non avrò altro a cui pensare” le dico in tutta fretta mentre mi alzo da terra. “Lì troverò Daryl, non sarò da sola”.

Maggie si rialza con me e insiste. “E come farai a tornare? Ti ricordi la strada?”.
No, in realtà non ricordo la strada. All’andata ho dormito per più di metà viaggio e al ritorno la mia mente era troppo occupata per ricordarsi dove dovevo svoltare e dove invece dovevo andare dritta. Ma poi mi fermo a guardarla per un po’ e mi viene un’idea.
“Vuoi davvero aiutarmi?” le chiedo, e lei fa subito segno di si con la testa.
“Trova una mappa, poi vai da Aaron e inventati una scusa per farti dare le indicazioni stradali per tornare lì. Una volta che le avrai ottenute, portamela. Probabilmente mi troverai nel garage, devo cercare un’auto con cui tornare indietro”.
Ha lo sguardo un po’ sconfitto, ma annuisce lo stesso. Si volta e comincia a camminare, ma mi viene in mente un’altra cosa molto importante.
“Maggie!” la chiamo.
Lei si gira a guardarmi, sicuramente sta sperando che io abbia cambiato improvvisamente idea sull’andarmene da sola, ma devo deluderla.
“Ti prego procurami anche un termos pieno di caffè”.    
                                                                         
 
                                                                                           *****
 

Ho la nausea. La testa mi fa male e mi gira.  
Sono ferito? Provo a portarmi una mano sulla fronte dove sento una fitta atroce, ma non ci riesco. Mi rendo conto di essere sdraiato a terra su un pavimento di marmo, con le mani legate dietro la schiena. Cos’è successo? E soprattutto dove sono? Dove sono tutti gli altri?!
Ricordo che qualcuno ci ha attaccati subito dopo che avevamo finito di setacciare l’ultima casa del centro residenziale. Hanno colpito mio padre alla testa, non so nemmeno con cosa. Ho provato a reagire, a sparare, ma mi hanno bloccato e poi hanno colpito anche me.

“Papà..?” provo a chiamare. La mia voce è roca. Da quanto tempo sono qui?
“Papà!” riprovo più forte. Nessuna risposta.
Provo a tirarmi su e a sedermi e appoggio la schiena al muro dietro di me per evitare di ricadere sdraiato a terra.
Mi trovo in una stanza un po’ buia, non troppo grande. È una biblioteca. Un’imponente libreria inizia dal muro alla mia sinistra, passando per quello di fronte, dove circonda una piccola finestra quadrata, e termina proprio accanto a me, sul muro alla mia destra. È piena zeppa di libri ed è di un legno così scuro che quasi mi da fastidio guardarla… ma forse è solo l’effetto della botta in testa. Al centro della stanza ci sono una scrivania e una sedia fatte dello stesso legno. A giudicare da tutto quello che c’è intorno a me, questa casa apparteneva a persone facoltose.
Più mi abituo al buio che c’è qui dentro e più il buio sembra scomparire. Dalla finestra comincia ad entrare la luce del sole che sta sorgendo. Oh no, è già mattina? Significa che sono passate almeno nove o dieci ore da quando siamo stati attaccati.
A pochi passi alla mia sinistra c’è una porta, col buio che c’era poco fa non l’avevo notata.
Devo assolutamente uscire da qui e capire che cosa diavolo sta succedendo!
Provo ad allentare un po’ la corda che mi stringe i polsi ma niente, è troppo stretta. Dovrò camminare con le mani legate. Punto saldamente i piedi a terra davanti a me e mi spingo contro il muro con tutta la forza che ho, mentre pian piano provo ad alzarmi, rimanendovi attaccato. Per fare tutto questo impiego quasi dieci minuti, credo.
Sono finalmente in piedi, ma aspetto qualche secondo prima che la testa smetta di girarmi così vorticosamente. È una cosa fastidiosissima.
Rimanendo sempre con la schiena contro il muro, mi avvicino alla porta e, una volta arrivato lì, prendo il pomello tra le mani e provo a girarlo, sperando che la porta si apra. Giro a destra, poi a sinistra, ma purtroppo non si apre, sono chiuso dentro.
Mi lascio ricadere a terra, rassegnato, ma non del tutto, e resto appoggiato alla porta. Solo adesso che ho smesso di muovermi faccio caso al rumore di sottofondo che proviene da fuori.
Sono voci. Sono persone. Due.
Sono lontane, ma si capisce ugualmente cosa dicono.
“Cazzo, Devian! Fai piano! Fa malissimo!” esclama la prima voce.
“Sta’ fermo, coglione! Non riesco a vedere il proiettile!” ribatte la seconda.
Si sentono rumori di attrezzi vari, poi delle urla, e sembra che ad urlare sia la prima voce che ho sentito. Poi più niente, finché proprio dietro di me, pochi minuti dopo, comincio a sentire rumore di passi. Si fanno sempre più vicini alla porta a cui sono appoggiato. Più veloce che posso mi sdraio e rotolo lontano, ritornando all’angolo da dove sono partito, vicino alla libreria.
Sento una chiave che viene infilata nella serratura e la porta subito dopo si apre verso l’interno. Fa il suo ingresso nella stanza un uomo alto, magro, con indosso vestiti strappati e sporchi di terra e sangue. I suoi capelli sono neri come il legno presente nella stanza e, appena entra e guarda nella mia direzione, mi accorgo che ha degli occhi chiarissimi… che non mi ispirano nulla di buono ovviamente, altrimenti non credo che sarei legato qui dentro, da solo.
“Ah! Ti sei svegliato” mi dice, mentre si richiude la porta alle spalle. Va a prendere la sedia che si trova dietro la scrivania, la posa ad un paio di metri da me e ci si siede, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Mi osserva senza dire niente, aspetta che parli io.
“Dov’è mio padre?” gli chiedo di getto. È l’unica cosa di cui mi importa davvero, al momento.
“Mmm vediamo… tuo padre, dici? Quale sarebbe? Quello che abbiamo ammazzato per primo o quello che abbiamo ammazzato per secondo?”. Sorride.
Il cervello mi sta esplodendo. Mio padre non può essere morto. Comincio ad agitarmi, devo e voglio uccidere quest’uomo.
Dalla cintura lui sfodera velocemente una pistola e me la punta contro. “Ah ah! Sta calmo ragazzo, non muoverti altrimenti farai una brutta fine” mi minaccia. “Abbiamo preso solo te, gli altri non ci servivano, così li abbiamo messi fuori dai giochi! Da qualcuno dovevamo pur cominciare” continua.
“Vi servo per cosa?” chiedo con rabbia.
“Per torturarti” dice, con una calma e un’ovvietà che mi mettono i brividi.
Trattengo il respiro appena lo sento dire quelle parole. “C-cosa?” riesco a dire soltanto.
“Cosa c’è? Ti ho spaventato?” mi chiede sorridendo, per poi scoppiare a ridere. “Vogliamo sapere molte cose da te! Per esempio dove si trova il vostro accampamento”.
Rimette la pistola a posto e si rimette comodo sulla sedia. E ricomincia a parlare.
“So che non me lo dirai, non sei stupido. È per questo che avremo bisogno di torturarti… i ragazzi sono i più deboli in un gruppo, cedono più facilmente e ci rivelano tutto quello che di solito vogliamo sapere”.
Mi guarda, studia le mie reazioni. Poi si alza e viene verso di me. Per difendermi provo ad alzare le gambe, ma con le braccia bloccate è difficile e soprattutto inutile. Lui si difende un po’ ma poi mi blocca le gambe a terra con le sue e mi spinge sulla faccia un panno umido.
Mi gira la testa, di nuovo. Poi la stanza si fa buia, di nuovo.
 

                                                                                            *****
 

Non vorrei stare fermo qui, eppure devo starci. Non riuscirei a fare ancora un altro passo, devo recuperare un po’ le forze. Il sole è ormai sorto e ancora non ho trovato Carl.
Pensavo che quel bosco nascondesse un qualsiasi tipo di nascondiglio, qualche indizio... invece nascondeva solo vaganti. Se avessi avuto anche un minimo dubbio sarei tornato indietro, invece qualcosa mi diceva di andare avanti, di proseguire fino alla fine.
Ho seguito i segni delle ruote sul terreno per ore, attraversando tutto il bosco, fermandomi ogni tanto a guardarmi intorno e riprendere fiato, provando a tenere spenta la torcia per un po’, cercando di andare avanti senza luce, per risparmiare la carica.
Ho abbattuto tanti vaganti, troppi. Sembrava come se la notte avesse trovato il modo di farli moltiplicare. Più ne abbattevo e più ne arrivavano altri. Quando non era necessario abbatterli, mi sono semplicemente spostato dal loro cammino, evitando di fare rumore, fino a che un gruppo di loro, troppo numeroso, stava per bloccarmi tra gli alberi. Me la sono davvero vista brutta. Ho usato tutte le frecce della faretra che abbiamo trovato ieri sera, per salvarmi il culo. Sfortunatamente sono riuscito a recuperarne solo tre ma non ho nessuna intenzione di tornare indietro a riprendere le altre, potrei avere altri spiacevoli incontri e non sono abbastanza armato. Non voglio usare il fucile o la pistola, non voglio attirare l’attenzione. E comunque non ho abbastanza tempo per tornare indietro nel dannato bosco, devo ricominciare la ricerca.
Sono riuscito ad uscire dal bosco non molto tempo fa e mi sono imbattuto in questa vecchia quercia, enorme, che in qualche modo delimita il confine tra il bosco e la strada. A sua volta, la strada divide a metà il bosco.
Mi sono seduto qui sotto, all’ombra, tra il tronco e la strada, provando a riprendere fiato, e perché no, magari anche ad aspettare Carol, visto che questa è la stessa strada che abbiamo percorso per arrivare qui ieri mattina. Se tornerà, dovrà per forza passare da qui.
Carol… certo che tornerà. E qualcosa mi dice che ritornerà da sola, ne sono praticamente certo, nonostante io l’abbia avvertita di non farlo, prima che portasse in salvo Rick e Aaron. Non vorrà coinvolgere nessuno e se qualcuno si offrirà spontaneamente di aiutarla, lei devierà il discorso oppure scapperà via senza farsi notare. Sicuramente andrà così. Oppure è già andata così, perchè forse è già in viaggio. Spero che almeno si sia riposata, prima di partire.
Meglio tornare verso il centro residenziale, così quando tornerà, riusciremo ad incontrarci facilmente. Ho un sacco di strada da fare. Mi ricarico in spalla lo zaino e il fucile, riprendo in mano la balestra e riparto, camminando sul ciglio della strada.

Solo dopo diversi chilometri il bosco comincia a diradarsi e si vedono chiaramente le prime case del centro residenziale.
Fa caldo, ho finito tutta l’acqua che avevo e la stanchezza di certo non collabora a farmi stare meglio. Credo di essere sveglio da quasi trenta ore…
E a quanto pare adesso ho anche le allucinazioni.
Nel parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto ieri, oltre la nostra, c’erano altre tre auto. Sto camminando proprio verso quel parcheggio e di auto ne vedo quattro. Ci sono le tre di ieri più una che da qui non riesco a vedere bene, devo avvicinarmi di più.
C’è qualcosa che non va. Più mi avvicino al parcheggio e più non capisco.
Ma poi la vedo.
Una delle nostre auto.
Vuota, chiusa. Carol è già tornata?
Tocco il cofano anteriore per capire se il motore è ancora caldo. È caldo ma non troppo, significa che non è arrivata da molto. Mi guardo intorno in cerca di movimento, in cerca di lei. Ma non c’è nessuno qui. Probabilmente sarà tornata dove è avvenuta l’aggressione, quindi mi incammino verso quella direzione.
A passi veloci ripercorro tutta la strada, osservo tutti i corpi dei vaganti che ho abbattuto ieri sera prima di correre a vedere cos’era successo a Rick e agli altri. Arrivo sul luogo dell’aggressione, ma non c’è nessuno. Mi starà cercando? Sarà andata anche lei oltre la fine della strada?
Seguo di nuovo la scia di sangue che porta al prato, lo supero e mi ritrovo di nuovo sul sentiero da dove ho cominciato a cercare Carl. A terra ci sono ancora i segni delle ruote, le mie impronte che vanno sia a destra che a sinistra e una nuova fila di impronte, più piccole, dirette a destra.
Le sue. Ormai le conosco meglio delle mie.
Come immaginavo, è venuta da sola. Ed è andata a destra. Cazzo. Devo trovarla subito, non posso permettere che si cacci in qualche guaio.
Sento i battiti del mio cuore accelerare prepotentemente.
“Dannazione, Carol!” è l’unica cosa che riesco a dire.
E a pensare.
 

                                                                                             *****
 

Le impronte di Daryl sul sentiero andavano sia verso sinistra che verso destra. O almeno credo che fossero le sue. Ma appena sono ritornata al centro residenziale non l’ho trovato da nessuna parte, quindi sono abbastanza convinta che quelle impronte fossero sue. Così le ho seguite, svoltando a destra. Penso però che alla fine si sia inoltrato nel bosco, visto che le sue impronte verso destra terminavano dopo diversi metri e tornavano indietro.
Stavo per fare esattamente la stessa cosa, ero determinata a trovarlo, ma poi, in lontananza, aldilà degli immensi prati che avevo davanti agli occhi, qualcosa ha attirato la mia attenzione. È stato quasi un flash, per un attimo, ma l’ho visto. Qualcosa ha riflesso la luce del sole per un istante e il riflesso è arrivato fino ai miei occhi.
Ma il riflesso di cosa? Di un’auto? Di una finestra?
Non ho fatto in tempo a pensare che volevo proprio scoprirlo, che ho sentito i miei piedi muoversi da soli verso quella direzione.
Ed ora eccomi qui, sto attraversando i campi d’erba e proverò ad arrivare nel punto in cui ho visto il riflesso. Non so perché, ma qualcosa mi dice che lì potrebbe esserci Carl.
E lo spero davvero.
Non molto lontano vedo un raggruppamento di alberi. Non è proprio un bosco, non è abbastanza grande, ma è ampio abbastanza da nascondere… un rifugio? Una casa?
Mi avvicino più velocemente che posso, attraversando i molti metri di prato che mi separano dai primi alberi. Comincia a fare davvero caldo. Mi fermo un attimo per prendere la mia borraccia dallo zaino e bere.
E proprio da dove mi trovo ora vedo chiaramente che l’intero albereto è attraversato da un sentiero molto simile a quello dove ho visto le impronte di Daryl. Chissà se questo sentiero si ricollega proprio a quello… beh, ovviamente attraversare i prati mi ha fatto guadagnare tempo. Se avessi seguito il sentiero probabilmente sarei ancora molto lontana da qui.
Non faccio in tempo a rimettermi lo zaino in spalla e ad avvicinarmi ai primi alberi che all’improvviso sento il rumore di un veicolo proveniente proprio dall’interno dell’albereto. Devo nascondermi! Provo a sdraiarmi a terra ma l’erba non è abbastanza alta da nascondermi completamente, così provo a strisciare verso gli alberi e rimango immobile, sdraiata nell’erba, tra gli alberi. Il rumore si avvicina e, poco dopo, scopro quale veicolo sta letteralmente sfrecciando sul sentiero. È un pick-up, verde scuro, ma da dove mi trovo io purtroppo non riesco a vedere né chi lo guida, né se all’interno siano presenti altre persone oltre al guidatore. Riesco però a vedere che sul retro non trasporta nulla. 
Aspetto pazientemente che il rumore del motore si allontani, e anche quando si è allontanato, aspetto ancora. Non so quanto tempo sia passato esattamente, ma quando decido finalmente di alzarmi non sembra esserci anima viva intorno a me. Anime morte invece ce ne sono eccome, dannazione. Cerco di armarmi velocemente di coltello e abbatto tre vaganti che si stavano avvicinando a me, probabilmente attirati dal rumore di prima.
Poi decido di inoltrarmi tra gli alberi, rimanendo però alla larga dal sentiero, non si sa mai. Cammino all’ombra degli alberi, il che, con questo sole e questo caldo, è davvero piacevole.

A quanto pare le mie supposizioni si sono rivelate vere. Dopo alcuni metri, proprio davanti a me, gli alberi cominciano ad aprirsi in un’enorme radura dove sono presenti tre case, due più piccole, ad un piano solo e la terza più lontana, più grande, enorme direi, a due piani. Tutte e tre sono di legno bianco e tutti e tre i tetti sono verde chiaro. Devo provare ad avvicinarmi di più senza farmi notare da un eventuale persona, o più di una, a guardia della casa.
Rimango distante dalla radura ma, allo stesso tempo, faccio il giro verso sinistra, attraverso svelta il lato opposto del sentiero e mi ritrovo a guardare il retro della casa più grande. Ci sono molte finestre, alcune grandi, altre più piccole, da cui potrei controllare cosa accade all’interno, sperando di non farmi beccare, e c’è anche una porta. Potrei entrare senza farmi vedere, ma non ho idea di cosa, né di chi, ci sia all’interno.
Non passa molto tempo prima che un movimento attiri la mia attenzione. In basso a destra rispetto alla porta, c’è una piccola finestra rettangolare che si trova poco sopra il terreno. Sicuramente sarà l’unica fonte di aria e luce per un piano sotterraneo. Beh, quella finestra è stata appena aperta. E dall’interno provengono rumori e grida che mi accapponano la pelle.
Poi una voce che sovrasta le grida.
“Parla!” urla un uomo.
“No! NO! Ti prego! Ti ho già detto tutto! Non so altro!” urla una voce femminile. La stessa voce che subito dopo manda un grido agghiacciante, che si ripercuote fin dentro alle mie ossa.
Guardo attentamente ovunque per assicurarmi che non ci sia nessun vagante che possa essere stato attirato dalle grida e per assicurarmi che non ci sia nessuno di guarda, poi comincio ad avvicinarmi al retro della casa. Devo assolutamente guardare attraverso quella finestra e scoprire cosa succede. Potrebbe esserci anche Carl lì dentro.
Mi avvicino di lato, così chi è dentro non si accorgerà di me. Mi accuccio vicino alla finestra, la faccia contro il muro. Dall’interno non provengono più urla ma solo voci, che non riesco a capire bene cosa dicono, e dei rumori metallici. Poi il silenzio. Mi abbasso ancora un po’ finché non mi ritrovo quasi sdraiata a pancia in giù tra la porta e la finestra, e finalmente mi avvicino per guardare all’interno.
La prima cosa che mi colpisce è il forte odore di stantio. E sangue.
Forse hanno aperto la finestra proprio per far andare via quell’odore. La stanza è lunga, i muri sono formati da grandi pietre color grigio scuro. E, attaccate all’unica parete che riesco a vedere bene dalla mia posizione, vedo catene, dalla lunghezza regolabile, che terminano con una sorta di manetta. Ce ne sono quattro, due in alto per le braccia e due in basso per le gambe, suppongo.
Sto osservando una vera e propria prigione. E non ho ancora visto tutta la stanza.
Provo a spostarmi un po’ sulla destra per migliorare la mia visuale e comincio a vedere delle persone, o almeno le loro gambe. Sei gambe, quindi tre persone.
Ma quella è l’ultima cosa che vedo perché improvvisamente mi sento tirata indietro, in piedi, e un forte colpo mi arriva sulla fronte. Il dolore è atroce e mi sento mancare.

Da lì in poi, il buio.
 

                                                                                                  *****
 

Riesco ad aprire l’occhio, anche se a fatica, e sento la mia testa che gira.
Ancora.
Non lo sopporto.

Mi ritrovo con la schiena appoggiata contro delle pietre, scomode, e davanti a me ci sono altre pietre. Tutte le pareti della stanza sono fatte di pietra. Sulla parete di fronte a me, però, ci sono quattro catene che penzolano minacciose. Non mi piace questa cosa. Non mi piace niente di tutto quello che sta succedendo, in realtà.
Provo a muovermi ma mi accorgo di essere ancora legato, ma stavolta completamente, con altre catene che mi bloccano braccia e busto.
“Ehi, calmo” mi dice una voce non molto distante da me, “già ti manca un occhio, vuoi anche segarti a metà?”. La voce proviene dalla mia destra, quindi devo girare la testa per poter vedere con l’occhio sinistro.
Legati al muro come me ci sono due ragazzi.
La ragazza che mi ha parlato è la più lontana. Potrebbe avere la mia età. Ha lunghi capelli castani, profonde occhiaie, molti lividi tra gambe, braccia e viso. E mi sta guardando.
Il ragazzo seduto tra di noi è più grande, si vede subito. Non mi guarda, ha la testa abbassata, ma nonostante questo, riesco a vedere perfettamente che la metà inferiore del suo viso è completamente ricoperta di sangue, così come i suoi vestiti. Si vede che non è fresco, ma il suo colore scuro mi mette a disagio ugualmente.
“È inutile che provi a liberarti. Queste catene sono a prova di fuga” mi dice lei.
Mi parla con una tale tranquillità che mi mette ancora più a disagio.
“E cosa dovrei fare?” le chiedo io, “arrendermi e rimanere prigioniero?”.
“Se dovessi soltanto essere prigioniero, non avresti nulla di cui preoccuparti…” mi dice, abbassando il tono di voce, e poi guarda altrove.
Provo di nuovo a forzare le catene. Niente.
“Dove siamo? Perché siamo incatenati qui?” chiedo. Non riesco a stare fermo.
“Siamo in un qualche posto sperduto nelle campagne e sei incatenato qui perché loro vogliono qualcosa da te” mi dice lei, guardando dritto davanti a sé. “Probabilmente vogliono farti parlare” dice più a se stessa che a me.
“Cosa? E cosa dovrei dire?” chiedo, in totale confusione.
“Basta domande! Non ho idea di cosa ci fai qui! Non sono la tua consulente psicologica!” mi urla contro, poi si volta di nuovo. Il ragazzo, intanto, si anima un po’.
Lei ha ragione, ma la situazione è pazzesca e non sto capendo nulla. Loro sono ridotti molto peggio di me.
“Scusami” dico soltanto. Proverò a cercare informazioni in modo diverso. “Come ti chiami?”.
Lei aspetta un po’, fa un respiro profondo e poi torna a guardarmi. “Tu come ti chiami?”
“Io sono Carl” dico soltanto.
“Tracy. E lui è mio fratello, Cody” mi dice. “Non aspettarti grandi discorsi da lui, perchè non parlerà”. Dice quest’ultima frase con così tanto dolore da mettermi i brividi.
Prima che possa chiederle il perché, Cody alza la testa e guarda verso di lei, ma ovviamente non riesco a vedere la sua espressione. Poco dopo lo vedo annuire e poi si gira verso di me, rivolgendomi un debole sorriso.
Nello stesso momento, Tracy comincia a spiegarmi la situazione. “Gli hanno tagliato la lingua. Secondo loro ‘non aveva più niente di interessante da dire’, aveva detto abbastanza”.
Detto questo comincia a piangere, ma continua comunque a parlare.
“Quando vogliono un’informazione da te, sono disposti a farti di tutto… e una volta che hanno ottenuto quello che vogliono, non ti lasciano andare… potresti sempre ritornargli utile…”. Fa una pausa e poi ricomincia. “Ti faranno dire tutto sul tuo accampamento e la tua gente. Hanno sfruttato a pieno il fatto che siamo fratelli, per torturarci…”.
“Oddio…”, non so cos’altro dire. Mi chiedo se mi faranno le stesse cose che hanno fatto a loro due. “Ma chi sono queste persone?” chiedo poi, ho bisogno di saperlo.
“Dei grandi figli di puttana!” dice Tracy, ovviamente con rancore.
Cody si gira di scatto verso di lei, come per rimproverarla per il linguaggio scurrile e lei, dopo qualche secondo, sussurra un timido “scusa”, poi torna a parlare con me.
“Sono quattro” dice. “Il capo si chiama Devian, è quello che ti ha portato qui stamattina, e poi ci sono i suoi tre scagnozzi. Devian è la mente, non si sporca le mani con noi, lui fa solo domande. Lui vuole sapere”.
Di sicuro Devian è quello che è venuto a minacciarmi in biblioteca e che poi mi ha fatto svenire. Per ora ho visto solo lui.
“Non riesco nemmeno più a contare quante volte mi hanno costretta ad assistere mentre minacciavano e torturavano Cody con i coltelli che sono lì, su quel tavolo” e con la testa indica l’altissimo e grandissimo tavolo situato alla sua destra. “Lo riempivano di pugni, di calci…” mi racconta, mentre altre lacrime cominciano a rigarle le guance.
“E a te cos’hanno fatto..?” le chiedo d’istinto.
Cody chiude gli occhi e china di nuovo la testa, Tracy continua a piangere e mi guarda, ma non sta realmente guardando me. Il suo sguardo è vuoto, perso.
“Non vuoi saperlo davvero…” sussurra.
Rimango a guardarla per un po’.
Posso immaginare cosa le hanno fatto.

All’improvviso la porta si apre ed entrano due uomini, due degli scagnozzi di Devian, di sicuro.
Sobbalziamo tutti e tre al rumore della porta.
I due vanno dritti addosso a Tracy, sganciano le catene che la bloccano, la prendono e la spingono addosso al muro di fronte a noi. Io non so davvero che fare, riesco solo a stare immobile.
Cody si dimena affianco a me, ma anche per lui vale lo stesso discorso che valeva per me: le catene che ci bloccano sono a prova di fuga.
I due riescono a tenere ferma Tracy facilmente. Lei è magrissima, loro sono imponenti, dei veri bruti. La legano alle catene che penzolano sulla parete e poi le tirano, affinché lei risulti bloccata e completamente inerme.
Solo a quel punto Devian fa il suo ingresso nella stanza. “Che odoraccio che c’è qui” dice.
Ha un’aria così fiera e saccente, così insopportabile. Semmai riuscirò ad uscire da qui, mi assicurerò di averlo ucciso, prima.
“Esci, Kurt. Per ora mi serve solo Holsey” dice Devian, rivolto ad uno dei suoi due scagnozzi.
Kurt esce e si chiude la porta alle spalle.
Mentre Devian si posiziona esattamente di fronte a Tracy, il tizio che si chiama Holsey va verso il grande tavolo, si arma di un solo coltello, uno di quelli piccoli, appuntiti ed affilati, e quando ritorna indietro, indirizza direttamente la punta contro il braccio sinistro di Tracy, che comincia a sanguinare. E lei comincia ad urlare. E a dimenarsi.
Più la lama va in profondità, più le urla diventano acute e più le catene sbattono contro il muro violentemente. Non riesco a guardare la scena, sto male io per lei.
Credo che Cody, qui affianco a me, stia piangendo.
“Forza, Tracy. Facciamola breve. Dimmi quello che voglio sapere” dice Devian, mentre si avvicina all’unica piccola finestra sulla parete di destra, e la apre.
Holsey continua a torturare Tracy, che a sua volta continua a gridare.
Improvvisamente Devian perde la pazienza, torna indietro e dà uno spintone al suo scagnozzo, gli leva il coltello di mano e in un impeto di rabbia si butta addosso a Tracy e glielo punta dritto verso la gola.
“Parla!” urla lui.
“No! NO! Ti prego! Ti ho già detto tutto! Non so altro!” urla lei, tra le lacrime.
Devian spinge il coltello sulla sua gola e lei urla più forte che può, l’unica cosa che può fare, come se questo potesse in qualche modo salvarla. Il suo grido rimbomba nella mia testa, figurarsi nella testa di Devian, che si allontana da lei e fa cadere a terra il coltello.
“Cazzo!” esclama, dopodiché fa un cenno ad Holsey, che si attiva subito per andare da lei, sganciarla dalle catene, bloccarla e riportarla dov’era prima, incatenata affianco a suo fratello, che la guarda sconvolto e preoccupato. Lei non ha più forze per reagire, si lascia manovrare e incatenare come un burattino.
“Parlerai… prima o poi” dice Devian, guardandola a braccia conserte. Il suo sguardo si sposta su Cody e poi su di me, e a quel punto sorride. Poi apre la porta ed esce dalla stanza, seguito dall’altro uomo.
“Tracy? Tracy, stai bene?” le chiedo subito dopo che la porta si è chiusa.
“Si, Carl. Non preoccuparti, sono stata peggio” mi dice, “ma mi fa decisamente male la gola, se vuoi saperlo”.
Non so perché, ma questa cosa mi fa sorridere, anche se la situazione è decisamente troppo sbagliata per poter sorridere.

Poco dopo, da fuori, proviene la voce di qualcuno.
“Ehi Devian! Holsey! Venite a darmi una mano!”. Di sicuro è l’altro scagnozzo, Kurt.
Tutti e tre tendiamo l’orecchio verso la finestra, provando a capire che succede. Dovranno abbattere dei vaganti?
“Ma che cazzo..?” dice un’altra voce. Holsey?
“E questa da dove diavolo è saltata fuori?” chiede poi Devian.
“Non lo so” dice Kurt, “l’ho trovata che stava spiando il sotterraneo dalla finestra e l’ho messa k.o.”.
“Bene”. Di nuovo Devian. “Portiamocela, visto che era tanto curiosa! Holsey prendi il suo zaino”.
E poi, più niente. Né da fuori, né da qui dentro. Nessuna voce, nessun rumore. Tutti e tre aspettiamo in silenzio che la porta del sotterraneo si apra.

E quando si apre, sento il panico scorrermi violentemente nelle vene.
Carol.
Devian e Kurt la trasportano, svenuta, e la poggiano seduta affianco a me, la legano come siamo legati noi tre e poi se ne vanno.

Adesso le cose cominciano a mettersi peggio di quanto mi aspettassi.
   
 
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