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Autore: StClaire    14/02/2016    6 recensioni
Maisie è la classica ragazza di diciassette anni. La sua vita si divide tra scuola e amiche, compiti e feste, famiglia e compagni e il ragazzo dei suoi sogni. La sua vita scorre tranquilla come al solito fino a che non le viene imposto di lasciare la sua camera per ospitare la prima figlia del compagno della madre, che ha le fattezze di un bellissimo ragazzo. Maisie, dopo una bugia di troppo, si ritroverà a chiedere ad Alexis "Alex" di tenerle il gioco e farle da fidanzato.
Da quel momento, tra disguidi, baci e ambigue relazioni, inizia per Maisie un'avventura che le scombussolerà più di quanto lei avrebbe mai potuto sospettare.
Dal testo:
«Devo chiederti scusa!», urlò Maisie improvvisamente.
Lei si girò «Scusa per cosa?», chiese Alexis curiosa, fermandosi sul vialetto di casa.
«Anch’io quando ci siamo scontrate all’aeroporto ti ho scambiato per un ragazzo!» disse Maisie tutto in un fiato.
«L’avevo capito», sorrise, e le fossette spuntarono insieme al sorriso, «Beh, almeno ti piacevo?»
La domanda spiazzò Maisie, ma la risposta usci da sola.
«Si!», forse lo disse con troppo entusiasmo, perché lei rise.
«Questo è l’importante», disse avviandosi verso casa.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 21
-Tickets-

*

 
 
«Sei molto bella».
Maisie alzò gli occhi, incrociando quelli azzurri di Paddy.
«Grazie», mormorò imbarazzata. Eppure quell’uomo l’aveva cresciuta. Era stato suo padre, ma nel giro di pochi giorni era diventato l’uomo che forse odiava.
«Dobbiamo andare», Paddy l’invitò ad alzarsi e Maisie ubbidì, sistemandosi delle immaginarie pieghe sulla gonna del suo vestito cipria.
Quanto tempo aveva atteso questo matrimonio? Quante volte si era stesa accanto a sua madre sognando di quel giorno? Eppure, la realtà era l’esatto contrario della sua immaginazione. Quel giorno segnava il continuo del suo incubo, della sua incredulità. Da quando ne aveva parlato con Alexis, sapeva che non lo sarebbe potuto godere, ma pensava che avendola accanto si sarebbe fatta forza.
Alexis.
Erano giorni che il suo cellulare era staccato. Non aveva mai provato a chiamarla? Non aveva mai pensato che avrebbe potuto chiamarla? Non le importava? Era davvero finita?
“Non piangere”, si ordinò mentalmente, mordendosi l’interno della guancia per resistere. O il trucco si sarebbe sciolto. Avrebbe dovuto piangere quando sua madre avrebbe scambiato la promessa d’amore eterno, per la sua felicità, non per la sua tristezza.
Sospirò, le scarpe che le dolevano. I ferretti che le tenevano su il raccolto disordinato le premevano contro il cranio, infastidendola. Avrebbe volentieri girato sui tacchi e sarebbe tornata a letto, a piangere le ultime lacrime che le erano rimaste in corpo. Si sentiva tra estranei. Non avevano più parlato dall’ultima volta. Tutti quanti, sua madre, Paddy, Alice, le si rivolgevano con gentilezza, come se niente fosse mai successo. Come se Alexis non fosse mai esistita. Come se Maisie non ne fosse perdutamente innamorata. Sospirò ancora, salendo in macchina, attenta a non urtare con quella stupida coroncina di fiori il telaio dell’auto.
Sospirò mettendosi a sedere, ubbidiente e paziente. Paziente per quella giornata che le sembrava durare già da un’eternità.
 
*
 
«Ehi».
Jody e Mia le si avvicinarono, occupando le sedia che lei aveva tenuto libere per loro.
«Non dovresti essere in prima fila?», domandò sottovoce Mia. Ovviamente Maisie aveva spiegato tutto alle sue amiche, pregandole di non mancare alla cerimonia.
Maisie scosse il capo, «Non ho la forza di sopportare ancora tutto questo…», sussurrò.
«Maisie», Jody appoggiò la sua mano su quella di Maisie, a trasmetterle la sua forza, «Capisco, ma è un giorno importate per tua madre e…».
«Non mi guarda neanche negli occhi», disse sottovoce Maisie, «Nessuno dei due. Si comportano come se nulla fosse successo, sono gentili, si preoccupano per me, ma fingono. E lo fanno male. Preferirei che mi parlassero schiettamente, invece di trattarmi come una stupida», terminò scuotendo il capo. Aveva voglia di urlare, di strapparsi quella stupida coroncina di fiori dall’acconciatura e andarsene. Dove, non lo sapeva, ma sentiva il bisogno di allontanarsi da quella cappa di perbenismo e buone maniere. Voleva ritornare alla realtà, è la realtà era che Alexis le mancava terribilmente.
«Hai provato a parlarne con loro?»
Maisie rise, una risata nervosa, «Certo», annuì, «Ma la risposta è sempre la stessa», Maisie guardò verso Paddy che parlava con l’ufficiale del comune, «”eravamo sorpresi, è solo…”».
«Solo?», domandò Mia.
Maisie alzò le spalle, «Non lo so», mormorò, «Lasciano sempre inconclusa la frase».
Mia e Jody si scambiarono uno sguardo, «Alexis? L’hai sentita?»
Maisie scosse il capo, «No. Ha il cellulare staccato. Paddy l’ha cercata, dice che si è pentito di averle urlato contro», Maisie guardò ancora l’uomo, «So che l’ha incontrata. L’ho capito quando è tornato a casa, ma ovviamente non mi ha detto niente…»
«Signori!»
Una voce le fece voltare entrambe, l’ufficiale si stava schiarendo la voce, «Possiamo dare inizio alla cerimonia».
Maisie inspirò profondamente e cercò di mantenere lo sguardo alto per tutta la funzione civile. Cercando di tenere i ricordi lontani dalla sua mente.
 
*
 
Alla fine aveva pianto, veramente. Per un attimo era stato davvero come se nulla fosse accaduto, come se fossero ancora la famiglia che erano sempre stati. Maisie si era emozionata a guardare gli occhi lucidi di sua madre, colmi d’amore per l’uomo che le era di fronte. Sembrava una ragazzina innamorata mentre l’ufficiale del comune procedeva con la formula. Si era anche ingarbugliata con le parole, mentre le recitava con emozione. Aveva riso, Maisie, come se per un attimo si fosse dimenticata di tutto, ma poi, quando aveva incrociato gli occhi di sua madre, qualcosa, la consapevolezza forse, l’aveva colpita forte, mozzandole il respiro.
«Sei pallida».
Catelyn si era avvicinata, sedendosi vicino a sua figlia, «Avresti potuto unirti al nostro tavolo».
«Non mi andava di lasciare Jody e Mia da sole…»
«Davvero? È la verità? O non vuoi stare vicino a me e Paddy?», le domandò sua madre in tono serio.
Maisie alzò lo sguardo, incontrando quello di Catelyn, «Vuoi farmene forse una colpa?», domandò in un sibilo.
Catelyn chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Io voglio che le cose tornino come prima, Maisie. Abbiamo sempre parlato di questo giorno, abbiamo sempre detto che saremmo state vicine», mormorò Catelyn, «Eppure oggi mi sembri più distante che mai».
«Non sono io che l’ho voluto mamma», mormorò Maisie con la voce tremante, «Per me non è cambiato niente. Ti voglio bene come sempre», sussurrò, le lacrime calde che le rigavano il viso «Ma non credo che per te sia lo stesso, come per Paddy».
«Oh, Maisie!», Catelyn le si avvicinò, prendendole le mani e asciugandole gli occhi, «Non è vero! Non è cambiato niente! Neanche per me! Neanche per Paddy!»
«Devo andare alla toilette», sussurrò Maisie interrompendo il discorso, alzandosi e tirando su con il naso, «Scusami».
Non avrebbe retto un secondo di più.
Si allontanò dalla sala del ricevimento a grandi passi, mantenendo lo sguardo basso e ignorando la voce di sua madre. Voleva rimanere da sola. Attraversò la sala e si diresse verso i bagni, sperando di trovarlo vuoti, almeno il tempo di rinchiudersi da qualche parte. Aprì lentamente la porta, poggiando completamente il palmo sulla superficie e spiando quel che poteva per trovarlo vuoto.
«Che stai combinando?»
La voce di Alice la fece sussultare.
«Alice!», sussurrò voltandosi verso sua sorella.
«Che c’è?», domandò Alice, parlando sottovoce anche lei.
«Shh!», le intimò Maisie, facendole segno di seguirla.
Entrarono nel locale e poi Maisie scelse uno dei cubicoli e ci si fiondò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
«Che ci facciamo nel bagno?», le domandò Alice, appoggiandosi con la schiena alla porta.
Maisie sospirò, sedendosi sul sanitario, «Evito mamma e Paddy».
«Maisie!», la richiamò Alice, «È il giorno del loro matrimonio! Non puoi rinchiuderti qua per sempre!»
«In realtà era proprio quella la mia idea», commentò sarcasticamente Maisie, «Senti, ho solo bisogno di calmarmi un attimo…»
Maisie si zittì, sentendo la porta principale del bagno aprirsi. Fece segno ad Alice di non fiatare e rimase in ascolto, cercando di capire chi fosse appena entrato.
«Maisie?», la voce di Jody la fece ritornare a respirare, «Maisie se qui?»
Alice guardò Maisie e poi aprì la porta.
«Qui», disse semplicemente.
«Ehi», Mia si affacciò al loro cubicolo, «C’è posto anche per noi?»
Maisie fece cenno di sì col capo e così Mia e Jody riuscirono ad entrare nel bagno.
«Non potevi scegliere una gonna meno vaporosa, Alice?», mormorò Jody, mentre le si sistemava al fianco.
«Che succede?», domandò Mia.
«Momento di crisi esistenziale», rispose Alice, guardando le amiche di sua sorella.
«Sapevamo sarebbe successo, per questo siamo qui», rispose Jody, «Hai parlato con tua madre?»
Maisie annuì appena, «Ho provato».
«E…?»
«E niente», sospirò Maisie, «Continua a dirmi che andrà tutto bene…»
«Perché è vero Maisie!», esclamò Alice, «È quello che vuole dirti!»
«Lo so!», sbottò Maisie, «Lo so!», ripeté iniziando di nuovo a piangere, «È solo che…», Maisie inspirò profondamente, «Mi manca Alexis. Terribilmente. Non riesco a pensare ad altro!»
«Maisie…», Alice s’inginocchiò di fronte a lei, «È normale, ma non concluderai niente rimanendo qui a piangere sul gabinetto del ristorante».
«Lo so…»
«Alexis è allo studio», disse tutto in un fiato Alice, «E lunedì parte per Washington».
Maisie sgranò gli occhi, stupefatta, «C-cosa?»
Alice annuì, «È così».
«Come lo sai?»
«Ho sentito, anzi origliato», ammise Alice, «Mamma e Paddy che ne parlavano. Credo che il tentativo di Paddy di far pace con Alex non sia andato a buon fine…»
Maisie rimase, per quella che le sembrava un’infinità di tempo, con la bocca aperta dallo stupore.
«Beh, scusa, allora vai», esclamò improvvisamente Mia.
Maisie alzò gli occhi di scatto, guardando prima le sue amiche e poi sua sorella. Quel cubicolo era troppo piccolo per tutte e quattro.
«C-cosa?», balbettò.
«Alexis è allo studio, no?», domandò retoricamente Jody guardando le altre, «Prendi un taxi e vai!»
«Cosa?», esclamò Maisie, «Come faccio ad andarmene da qui?»
«Ti copriamo noi, no?», continuò Alice guardando verso Mia e Jody.
Maisie ripassò lo sguardò su ognuna di loro.
«Dite che posso?»
«Devi!», urlarono loro all’unisono.
 
*
 
«È permesso?»
Alexis si voltò verso la porta, «Ehi, Emma, certo, entra», rispose stropicciandosi gli occhi.
«Sei a buon punto?», le domandò la ragazza.
Alexis si guardò intorno, passando lo sguardo da uno scatolone all’altro, «Abbastanza».
«L’indirizzo?»
«Sì…», Alexis si voltò verso la scrivania ormai sgombra, occupata solo da un libro e da un foglio di carta, «Ecco», disse porgendo il foglio a Emma, «Questo è l’indirizzo. Mi dispiace disturbarti così…», mormorò Alexis grattandosi la nuca.
«Oh! Figurati, per così poco…»
«Se avessi avuto più tempo, avrei pensato io alla spedizione ma…», Alexis lasciò cadere la frase, sedendosi su uno degli scatoloni già imballati.
«Ehi», Emma si sedette di fronte a lei, «Che è successo? Perché parti con così poco preavviso?»
Alexis le sorrise. Aveva trattato da schifo quella ragazza, eppure lei era ancora lì, a chiederle come stava, ad aiutarla.
«Problemi a casa».
«A Washington?»
«No, qui», rispose Alexis, e poi, vedendo l’espressione confusa di Emma, aggiunse, «Mio padre aspetta un figlio da Catelyn».
«Oh…», mormorò sorpresa Emma.
«E come se non bastasse hanno scoperto di me e Maisie. Mentre ci lanciavamo addosso di tutto», Alexis sospirò. Al solo ricordo una fitta le attraversava il cervello, «È stato tutto più grande di noi», mormorò, più a sé stessa che a Emma.
«Mi dispiace…», mormorò la ragazza.
«Davvero?», domandò ironicamente Alexis.
«Sì, brutta miscredente», rispose a tono Emma, «Come minimo», continuò, «Devi sistemare la situazione».
«Veramente?», domandò sarcasticamente Alexis accendendosi una sigaretta.
«Sì, veramente», Emma sospirò, «Senti Alex, io mi sono comportata male, sia con te che con Maisie».
Alexis iniziò a tossire, strozzandosi con il fumo della sigaretta che aveva appena aspirato, non si aspettava una cosa del genere, «Senti…»
«No! Senti tu!», la interruppe Emma, «Dicevo… mi sono comportata uno schifo. Mi sono messa in mezzo, vi ho portato a litigare. Provavo qualcosa per te», confessò Emma, lo sguardo tenuto in basso per l’imbarazzo, «È la cosa mi faceva arrabbiare».
«Emma…»
«No», Emma scosse il capo, «Non mi arrabbiavo per i miei sentimenti, mi arrabbiavo perché sapevo, l’avevo capito dal primo istante in cui vi avevo visto insieme, che non avevo speranze. Contro Maisie non avrei mai potuto vincere», mormorò alzandosi, «Capisci cosa voglio dire?»
Alexis la guardò, ignorando completamente la sigaretta che bruciava abbandonata tra le sue dita, «Sì, credo di sì», mormorò sottovoce.
«Bene. Io ora vado, ti farò sapere per quando è prevista la consegna», disse Emma avviandosi alla porta.
«Emma», la chiamò Alexis ancora seduta.
«Sì?», domandò Emma voltandosi.
«Grazie».
«Figurati. Mi mancherai, Alex».
«Anche tu».
 
*
 
Maisie arrivò sotto il portone del palazzo con l’ansia a mille. Era sicura che il tassista l’avesse presa per folle. Non aveva fatto altro che piangere per tutto il tragitto. Era sicura di averlo sentito borbottare qualcosa quando era scesa dall’auto e aveva pagato.
Rimase imbambolata di fronte al citofono per diversi minuti. Che cosa avrebbe fatto se Alexis non le avesse aperto il portone? Se avesse rifiutato di vederla?
Sospirò, quando improvvisamente il portone si aprì, lasciando uscire un signore con un bel cane a seguito.
«Oh!», esclamò l’uomo, «Prego!», disse mantenendole la porta per permetterle di entrare.
«G-grazie», rispose timidamente Maisie. Orami era dentro.
Inspirò profondamente, iniziando a salire le scale, lentamente. I tacchi le facevano male e lei aveva un pessimo equilibrio, così si mantenne al manico che continuava verso tutte le scale.
Arrivò al piano tremando, l’ansia le corrodeva l’anima. Inspirò profondamente e poi si fece forza, premendo appena il campanello. Attese silenziosa che qualcuno, qualsiasi persona le venisse ad aprire. Sentì dei passi veloci per la stanza e il suo cuore perse un battito.
 
*
 
«Ciao», mormorò, le mani giunte avanti.
Alexis sembrava sorpresa ma Maisie non riusciva a comprendere se in senso positivo o negativo. La guardò dall’alto in basso, soffermandosi sul suo capo.
«Che cos’hai in testa?», le domandò, la porta ancora socchiusa.
«Cos-», Maisie si portò una mano in testa, toccando la coroncina di fiori, «Ah, niente», rispose con un filo di voce, «Non mi fai entrare?», le domandò.
Alexis sospirò, chiudendo gli occhi, «Potrei pentirmene», mormorò aprendo la porta e dandole le spalle. Solo allora Maisie capì che era senza maglia. Indossava un jeans e un top, di quelli sportivi. Maisie si ritrovò di nuovo di fronte a quello strano tatuaggio. Alexis continuò a camminare, recandosi nella sua stanza, era piena di scatoloni.
«Perché sei andata via?», le domandò con voce tremante e spezzando il silenzio che si era creato.
«Sai benissimo perché…», mormorò Alexis, sedendosi sul divano-letto della sua stanza.
Maisie la guardò, avrebbe preferito non piangere, ma lo sguardo stanco e lontano di Alexis le pizzicava gli occhi.
«È colpa mia?», domandò ancora, la voce le tremava.
«No, Maisie, certo che no», rispose Alexis guardandola.
«Allora è colpa di mia madre!»
«Maisie, no», Alexis si alzò dal divano e si avvicinò a lei.
«E allora perché te ne vai?», singhiozzò Maisie.
«Maisie, sarebbe successo comunque, devo sistemare delle cose a Washington…»
«Quindi sapevi che saresti andata via!», l’accusò Maisie.
«Era ovvio Maisie, credevo che lo capissi…»
«E invece no! Perché non me l’hai detto prima?», urlò allontanandosi da Alexis.
«Perché con te deve essere sempre tutto più difficile, Maisie? Perché?»
«Quindi adesso la colpa sarebbe mia?»
«Certo che no!», urlò Alexis, girandosi verso la scrivania e iniziando a scavare tra i cassetti, li apriva e li chiudeva, innervosendosi sempre di più e blaterando imprecazione che a Maisie sfuggivano, poi, l’attenzione di Alexis fu attirata dall’unico e grosso libro che c’era sulla scrivania, lo aprì esattamente alla meta e ne cacciò una busta da lettere.
«Tieni», disse, «Con te è impossibile fare progetti», continuò sventolando la busta in direzione di Maisie.
«Che cos’è?», domandò Maisie, quasi impaurita, afferrando la busta.
«Aprila».
Maisie la guardò e Alexis incrociò le braccia, appoggiandosi con il bacino al piano della scrivania. Notò che la busta non era sigillata, quindi non doveva essere qualche segreto o qualche raccomandazione giunta da Washington per Alex. Inspirò e l’aprì lentamente, cacciando due ticket. Dovette guardarli più volte per assimilare bene cosa ci fosse scritto.
«…da London Gatwick a Washington Dulles International», lesse a mezza voce, «Che cos’è?», domandò alzando gli occhi dalle carte.
«Sei seria?», domandò Alexis guardandola di sbieco, «Sono i tuoi biglietti per Washington, genio. Parti il 22 luglio, mi raggiungi, e per i primi di settembre sei di nuovo qui, pronta per la scuola».
«N-non capisco», balbettò Maisie, «Che significa?».
Alexis sospirò, «Significa che non ti avevo detto del mio ritorno a Washington perché volevo regalarti questo fottuto viaggio!», sbottò.
«Ma allora perché te ne sei andata di casa?», mormorò ancora sconvolta Maisie.
«Per quello che è successo! Perché non sopporto l’idea di essere io il motivo di disagio tra te e tua madre!», Alexis la guardò, in quel momento era veramente seria, «Tu avevi detto che non volevi scegliere, e io non volevo costringerti a farlo. Non sarà il modo più ortodosso di agire, ma al momento è il migliore. Non saremo legate alle nostre famiglie per sempre Maisie, e non voglio che questo ci condizioni».
Maisie la guardò, abbassando le mani ma stringendo ancora i biglietti.
«Mi dispiace», mormorò, «Mi dispiace!», ripeté dando sfogo alle lacrime, «Mi sono comportata da stupida! Avrei dovuto chiedere a te direttamente!», Maisie guardò Alexis, «È che ho avuto paura. Avevo paura di perderti…», sussurrò tra le lacrime. Alexis le si avvicinò, catturando tra le sue dita le lacrime di Maisie.
«Shhh… Non sopporto vederti soffrire», le sussurrò all’orecchio, abbracciandola, «Non sopporto di essere io la causa del tuo dolore», continuò, inspirando a pieno il profumo di Maisie, «Hai lasciato il matrimonio per venire qui?».
Maisie sgranò gli occhi. Il matrimonio! Se ne era completamente dimenticata.
«Sì», ammise.
«Sei troppo emotiva Maisie», la rimbeccò, «Cosa penserà tua madre?»
«Non lo so», sussurrò Maisie, la sua bocca a pochi millimetri da quella di Alexis, «Non mi importa».
«Non è vero, certo che t’importa».
«Forse, ma non adesso», Maisie alzò il viso, incontrando quello di Alexis. Si guardarono per un attimo, ognuna specchiata negli occhi dell’altra. Poi Alexis avvicinò lentamente la sua bocca a quella di Maisie, baciandola dolcemente, come se volesse assaporarne ogni centimetro. Maisie si lasciò andare. Quanto le erano mancate le labbra di Alex. Il suo calore.
«Mi sei mancata», mormorò accaldata Alexis.
«Anche tu», rispose Maisie, sorridendole.
«Non capisco il perché tu abbia dei fiori in testa, ma sei bellissima. Sei sempre stata bellissima ai miei occhi».
Maisie sorrise, imbarazzata, «Neanche io lo so», rise, «È stata un’idea di Alice».
«Mmh», apprezzò Alexis ridendo, «Ha un futuro».
«Se volevi che venissi a Washington, perché parti prima?», le domandò Maisie, incapace di godersi il momento. Doveva sapere.
«Il tentativo di ricucire un rapporto con mio padre è miseramente fallito», mormorò Alexis, «A certe cose non c’è rimedio».
«Mi dispiace, anche se sembrava triste per quello che era successo».
«Davvero?»
«Sì».
«A casa come va?», domandò Alexis.
Maisie scrollò le spalle, «Va. Come se niente fosse successo. Aleggia una strana aura di cortesia. Come se nulla fosse successo», ripeté.
Alexis abbozzò un sorriso, «Il classico», le spostò una ciocca di capelli dal viso, «Vuoi che ti accompagni di nuovo al matrimonio?».
«Rimarrai con me?»
Alexis scosse il capo, guardandola dolcemente, «Vorrei evitare tentati omicidi in un giorno di festa».
«Allora no. Voglio rimanere con te. Posso?», domandò, passando le braccia dietro la schiena di Alexis.
«Assolutamente sì», rispose sorridendo, «Mi sei mancata terribilmente», le disse per poi appoggiare la sua bocca su quella di Maisie, cominciando a baciarla, lentamente, con dolcezza. Per la prima volta non avevano l’ansia di essere scoperte, ormai, nel bene o nel male, loro erano una coppia. Alexis assaporò ogni aspetto di quel momento, inebriata dal profumo di vaniglia di Maisie.
Era così piccola rispetto a lei. L’afferrò con leggerezza e la prese in braccio, venendo avvolta dall’abbraccio di Maisie. Rimasero così, abbracciate per qualche minuto.
«Mi mancherai», mormorò Maisie guardandola negli occhi.
«È meno di un mese. Poi saremo di nuovo insieme», rispose Alexis, poggiandole un dolce bacio sulla guancia. Avanzò di qualche passo, e la portò a stendersi delicatamente sul letto sfatto, intrecciando le mani alle sue. Maisie rise allo strano stridio che le giunture del letto emisero sotto il loro peso. Alexis le stava sopra, baciandola delicatamente e accarezzandole con dolcezza i capelli, e Maisie sentiva il bisogno di abbracciarla forte, stringersi a lei, sentire i loro cuori che battevano all’unisono, la sentiva vicina e avrebbe voluto non staccarsi più. A ogni bacio ne seguiva un altro, poi un altro e poi altri cento ancora, le mani di Alexis si stringevano attorno ai suoi fianchi con determinazione e il suo corpo si premeva contro quello di Maisie con passione.
«Facciamo l’amore…», le sussurrò Alexis guardandola negli occhi, con il sorriso sulle labbra. Maisie sentiva le sue gote in fiamme, e le piaceva. Annuì appena, sorridendo e baciandola. Non si era mai sentita così sicura in tutta la sua vita.
 
*
 
Quando Maisie aprì gli occhi, coccolata ancora dal calore del corpo di Alexis, la prima cosa che notò è che fuori il cielo era ancora luminoso. Si voltò verso Alexis che dormiva ancora beata, l’espressione rilassata come non la vedeva da qualche tempo. Tentò di muoversi facendo meno rumore possibile, cercando di liberarsi dalle braccia tatuate di Alex senza svegliarla. Si guardò intorno alla ricerca dei suoi indumenti. Un’ondata d’imbarazzo l’investì in pieno. Era completamente nuda e dei suoi vestiti non c’era traccia. Si tirò la coperta al petto, provocando un incosciente moto di protesta da parte di Alexis, che si voltò dall’altra parte. Maisie si bloccò, ma quando si rese conto che il respiro di Alexis continuava regolare e assonnato, si fece forza e appoggiò le punte dei piedi a terra, toccando quello che una volta era stato il vestito per il matrimonio di sua madre.
Fece per piegarsi quando la voce assonnata di Alexis la fece sobbalzare, «Ma che diavolo stai cercando di fare?»
«M-mi vesto…», balbettò imbarazzata Maisie.
«Vuoi vestirti con il lenzuolo? Tipo toga romana?», sbiascicò Alexis stropicciandosi gli occhi.
«No, è che… beh…», Maisie si sentì arrossire fino alle punte.
«È che sei nuda?», terminò per lei Alexis.
Maisie annuì in preda all’imbarazzo totale, tirando a sé più stoffa possibile.
«Tanto ho visto tutto», ghignò Alexis, improvvisamente sveglia e con gli occhi pieni di malizia.
«T-tutto?», borbottò Maisie.
«Tutto. Maisie, la mia faccia ha passato bellissimi momenti tra le tue gambe a due millimetri dalla tua…»
«ALEXIS!», urlò ormai all’apice dell’imbarazzo Maisie lanciandole un cuscino e colpendola con forza e zittendola.
Alexis per tutta risposta scoppiò a ridere, abbracciandosi all’improvvisata arma di Maisie, «Mi devo voltare?», domandò sarcasticamente.
Maisie annuì appena, con gli occhi bassi, «Sì per favore», mormorò stringendosi le braccia al petto.
«Oook», acconsentì Alexis, voltandosi dall’altra lato, «Che peccato però…», borbottò in tono dispiaciuto.
«Goditi i bellissimi ricordi degli altrettanto bellissimi momenti passati…».
«Si ma dal vivo è tutto meglio!», ribatté Alexis, «Io domani devo partire, devo pur avere qualcosa sui cui fantasticare in sei ore di viaggio!»
«Alexis!», la richiamò nuovamente Maisie.
«È vero!»
«Ma fai come tutte le altre persone! Leggi, ascolta la musica! Oppure cerca di dormire…», borbottò Maisie raccogliendo le sue cose.
«Nah, e poi se chiudo gli occhi mi sembra di risentire i tuoi sospiri…»
«Alex!»
«Oddio, sei rossa. Ti senti bene?», la prese in giro Alexis.
«M’imbarazzi!», sussurrò Maisie.
Alexis le sorrise, ancora nel letto, «Posso avere almeno un bacio?».
Maisie la guardò, «Non so se te lo meriti…»
«Per favore», piagnucolò Alexis.
Maisie sospirò arrendendosi e avanzò verso il letto a piccoli passi, cercando di non inciampare nel lenzuolo che si era avvolta intorno al corpo. Appena fu abbastanza vicina Alexis l’afferrò e l’attirò a sé, facendo perderle l’equilibrio. Alexis l’abbracciò e la baciò con passione, catturando i capelli di Maisie tra le dita.
«Questi giorni non passeranno mai», le mormorò all’orecchio, la voce roca.
«Mi manchi già», sussurrò Maisie guardandola negli occhi.
«Anche tu», rispose Alexis delineando il contorno delle labbra di Maisie con la punta delle dita, «Sei bellissima».
Maisie sorrise ma prima che potesse dire o fare qualcosa Alexis la baciò ancora.
«Soprattutto nuda!», aggiunse ridendo.
«Alex!», ripeté ancora Maisie, di nuovo rossa dall’imbarazzo, «Vado a prepararmi».
«Va bene…», rispose Alexis continuando a ridere e lasciandosi cadere di nuovo a letto.
Maisie si alzò e ritornò verso la porta, diretta verso il bagno.
«Maisie», la richiamò Alexis.
«Si?», domandò con tono ironico Maisie.
«Credo che queste dovresti indossarle…», sussurrò in tono malizioso Alexis mostrandole le sue mutandine.
Maisie avvampò e si avvicinò ad Alexis strappandole l’indumento da mano, «Grazie», borbottò.
«Prego!»

 
Ho fatto di nuovo tardi, lo so! I'm so sorry!
Spero che questo capitolo mi faccia perdonare!
Ammetto che il ritardo era dovuto a grande insicurezza. Ero indecisa, soprattutto per la parte finale... Non so! Fatemi capire voi! E poi ho deciso di dividere il capitolo diversamente. Credo proprio che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e spero che vi piacerà e che sia all'altezza delle vostre aspettative che amo! Davvero, non avrei mai pensato di arrivare fin qui!
*sospira*
Sono triste!!!
Vi prego, siate clementi, che ho paura!
Un ringraziamento, come sempre, a tutti quell* che leggono, recensiscono, seguono, preferiscono e ricordano! Grazie mille, di cuore! E buon San Valentino!
Con affetto,
StClaire

«Mi ricordo tutto, tutto, dei nostri momenti insieme. Le nostre mani che si sfioravano, i tuo sguardi curiosi, le tue risate che mi scatenavano emozioni contrastanti. La tua dichiarazione senza senso, quella sera, in accademia. Dio, com’ero felice».

  
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