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Autore: Mary P_Stark    20/02/2016    5 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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5.
 
 
 
 
  
Attendere paziente il ritorno della moglie non fu impresa da poco, per lui.
 
La pazienza non era mai stata la sua più grande virtù, e la guerra non lo aveva reso migliore.
 
Per tutto il giorno, non aveva fatto altro che controllare ciò che Kathleen aveva sapientemente portato avanti nell'ultimo anno e mezzo.
 
Non aveva faticato molto a comprendere quanto fosse stata scrupolosa e attenta.
 
Non solo aveva plaudito tra sé la sua capacità di saper far di conto bene quanto un uomo, ma aveva avuto la riprova schiacciante di quanto ci sapesse fare dal punto di vista amministrativo.
 
Non aveva trovato nulla da ridire sul suo modo di gestire della tenuta, ma quel che lo aveva stupito davvero non era stato scoprire la sua bravura come amministratrice.
 
Era stata la totale mancanza di appunti del padre, di sue firme o approvazioni scritte sui vari documenti che aveva consultato fin lì, a sorprenderlo.
 
Possibile che si fosse abbassato a farsi aiutare dalla nuora, lui che disdegnava apertamente il sapere femminile, e si faceva beffe delle donne acculturate?
 
Cosa diavolo era successo, in quella casa, nei due anni in cui era mancato?
 
Aveva provato a chiedere lumi al fratello – credendo che domandare alla madre sarebbe stato indelicato – ma Wendell era stato parco di informazioni.
 
Si era limitato a lodare la cognata con occhi sognanti aggiungendo, ogni parola o due, quanto ‘Kathleen fosse brava’.
 
Chiedendo alla servitù non era riuscito a ottenere molto di più. Neppure chiedendo a Bridget, giovane cameriera e figlia di una delle lavandaie di palazzo.
 
La conosceva da quando era nata, visto che il parto era avvenuto proprio a palazzo, in una notte di tempesta, e il mastro sellaio si era dovuto improvvisare levatrice, non avendo potuto chiamare in tempo il dottore.
 
Era stata forse una delle poche volte in cui il padre non si era irritato con la servitù, impegnata con una domestica e non per loro conto.
 
Bridget era nata senza problemi e, su decisione di Harford stesso, era stata allevata a Green Manor perché, un giorno, facesse parte ella stessa della servitù.
 
Christofer si era presto abituato a vederla scorrazzare per i corridoi utilizzati dai domestici e, non visto, aveva spesso giocato con lei ad acchiapparella.
 
Solo quando era diventato chiaro quanto, le loro differenti classi sociali, avrebbero potuto metterla in pericolo agli occhi del conte, Christofer aveva suo malgrado smesso di vederla come un’amica.
 
L’affetto, però, era rimasto e, negli anni della sua adolescenza scapestrata, Bridget era stata una delle poche a proteggerlo – ove possibile – dagli strali del padre.
 
Eppure, persino lei era stata avara di spiegazioni su ciò che era avvenuto a palazzo durante la sua assenza e, soprattutto, sul comportamento di suo padre.
 
Non volendo insistere proprio con lei, aveva ben presto rinunciato, sperando che il tempo e la mancanza del vecchio Harford portasse a palazzo una maggiore serenità.
 
Forse, per allora, avrebbe potuto domandare nuovamente spiegazioni.
 
Quando infine il pomeriggio giunse, Christofer finalmente vide comparire la carrozza di famiglia in lontananza.
 
Poco dietro, poté scorgere il carrettiere che li aveva accompagnati, infagottato in una pesante cerata scura.
 
Scostatosi dalle finestre dello studio per raggiungere le scale, il conte armeggiò con bastone e mancorrente per non ruzzolare dai gradini.
 
Era quasi senza fiato, quando alfine raggiunse l'ampio salone d'ingresso della villa.
 
Lì, attese paziente che la moglie oltrepassasse la porta principale, cercando nel contempo di darsi un’aria compassata e tranquilla.
 
Era preferibile non farle sapere quanto, la visita ai coniugi Campbell e a Myriam, l’avesse angustiato.
 
Quando udì finalmente i cardini scivolare perfettamente oliati sui loro perni, si stampò in faccia un quieto sorriso di circostanza.
 
William fu il primo a comparire nello specchio della porta, alto e protettivo nei confronti della sua signora.
 
Quest’ultima, nello scrollare il mantello dall’umidore della pioggia, mormorò al suo attendente poche parole prima di rendersi conto della presenza del marito.
 
Sobbalzando leggermente, Kathleen si bloccò a metà di un passo, lo fissò con aperta sorpresa e infine mise mano agli alamari argentati del mantello per lasciarlo a William.
 
Questi si affrettò a riporlo sul suo braccio, attendendo poi istruzioni dalla sua signora.
 
Con un gesto elegante della mano, la fanciulla congedò l'attendente che, con un formale inchino, si allontanò a passi lunghi e potenti.
 
Alcuni attimi dopo, scomparve oltre una delle porte che conducevano ai piani bassi della villa.
 
Rimasti finalmente soli, i due si studiarono in silenzio mentre, all'esterno, la fitta pioggia tamburellava ipnotica e apparentemente infinita.
 
Alla fine fu Kathleen a prendere la parola e, nell'avvicinarsi al marito, mormorò: “Mio signore, come mai qui? Temevate non tornassi?”
 
“Mi chiedevo se avreste passato la notte dai vostri genitori. E' pomeriggio inoltrato, e cominciavo a preoccuparmi” dichiarò pacato Christofer, scrutandola dall'alto al basso per sincerarsi che tutto fosse in ordine.
 
Gli occhi apparivano leggermente arrossati, ma quello non preoccupò particolarmente l'uomo.
 
Non faticava a immaginare che la moglie si fosse lasciata andare al pianto, una volta raccolta in preghiera con la sua famiglia.
 
“Myriam mi ha in effetti chiesto di rimanere, ma ammetto di non essermela sentita. C'è troppo... livore, in quella casa” sospirò Kathleen, reclinando mesta il capo.
 
“Come sta nostra cognata?” le domandò amabilmente, spostando il peso del proprio corpo da un piede all'altro.
 
Rimanere in piedi era oltremodo disagevole, per lui, ma non sapeva in che modo convincere gentilmente la moglie ad allontanarsi dall'atrio senza toccarla.
 
Quella era l'ultima cosa che voleva fare, almeno non prima di essersi scusato con lei per i suoi modi da bifolco della notte precedente.
 
Kathleen però si avvide del suo movimento rigido e, levato uno sguardo comprensivo su di lui, mormorò: “Parleremo più agevolmente nel salottino azzurro. Non vi fa bene rimanere in piedi per lunghi periodi di tempo.”
 
Già pronto a brontolare di fronte alla sua preoccupazione, Christofer si azzittì per non peggiorare la situazione.
 
Istintivamente, però, le offrì il braccio libero per scortarla al salotto.
 
La moglie lo fissò dubbiosa, forse non aspettandosi quella cortesia, forse temendola ma, alla fine, sfiorò la manica della sua giacca con la punta delle dita.
 
Lieto per quella piccola concessione, il conte si avviò con passo claudicante verso il salottino, affiancato dalla figura slanciata ed elegante della moglie.
 
Moglie che fu lesta ad aprire la porta per entrambi e, dopo essere entrata, suonò un campanellino per avvertire la servitù della loro presenza.
 
In pochi attimi, si presentò una delle cameriere, Bethany che, con un inchino e un dolce sorriso, domandò: “In cosa posso esservi utile, milady?”
 
“Bethany, potreste portarci del tè e qualche pasticcino al limone?” le domandò cortesemente Kathleen, sorridendole.
 
La domestica si profuse in un sorriso deliziato e, con una riverenza, sgattaiolò fuori senza alcun rumore.
 
“Pare che siate la pupilla della servitù. Vi siete fatta amare, in questi due anni” constatò Christofer, accomodandosi su un divano prima di allungare la gamba destra, dolente e stanca.
 
“Sono tutti molto cari, con me” mormorò in risposta la moglie, sedendosi sul divanetto di fronte a quello del marito.
 
“Myriam e Randolf reggono il colpo?” si informò l’uomo, massaggiando distrattamente la gamba dolorante.
 
Ricordava Myriam fin da quando era una ragazzina che scappava con il pony dalle scuderie, pur di galoppare assieme a loro.
 
O di quando si nascondeva nei boschi per giocare ad acchiapparella, il tutto sotto la supervisione dei suoi fratelli maggiori.
 
Kathleen, al contrario, non aveva mai partecipato ai loro giochi sfrenati. Lord Barnes gliel’aveva sempre vietato, dacché potesse ricordare lui.
 
Erano stati bei tempi, e gli era quasi parso sensato che, alla fine, lei e Andrew si fossero sposati, eppure…
 
Con un sospiro afflitto, Kathleen lo strappò ai suoi ricordi e asserì: “Randolf è troppo piccolo per comprendere ciò che è successo, e la cosa triste è che crescerà senza sapere chi era suo padre. Myriam, invece, è semplicemente distrutta. Temo stia sopravvivendo solo per il bambino... e questa non è vita.”
 
“La posso capire” ammise l'uomo, giocherellando distrattamente con il suo bastone.
 
Kathleen appariva così composta nel suo dolore, così controllata.
 
La ragazzina spaurita che gli era stata data in moglie, era del tutto scomparsa.
 
Se di quella giovane aveva conosciuto ben poco, di questa ninfa dalla bellezza misteriosa non sapeva davvero niente.
 
Era difficile capire come esprimersi, cosa dire, quando non si era in grado di comprendere chi si aveva di fronte.
 
Una cosa, però, poteva farla.
 
Allungandosi verso di lei, Christofer la vide divenire immediatamente guardinga, come una volpe di fronte a un cacciatore.
 
Un mezzo sorriso gli comparve sul viso mentre, con voce tranquillizzante, mormorò: “Non desidero farvi nulla di male, Kathleen.”
 
Lei annuì, ma la rigida postura del suo corpo la smentì in pieno.
 
Era in allerta, forse pronta a scappare al primo accenno di pericolo. Perché?
 
Allungato il braccio oltre il tavolino che li separava, le sfiorò la mano destra, che lui aveva stretto con violenza la sera prima.
 
Delicatamente, la sollevò con movimenti lenti e tranquillizzanti.
 
Con dita esperte, poi, aprì i bottoni del mezzo guanto di pizzo per metterne in mostra il dorso e il polso.
 
Aggrottando la fronte nel notare i segni violacei in corrispondenza dell'attaccatura dell’osso, Christofer mormorò contrito: “Avrei davvero dovuto prestare attenzione, la notte scorsa, e possiamo dare la colpa di questa mia mancanza di delicatezza all’eccessiva compagnia maschile con cui ho convissuto negli ultimi due anni. Non volevo farvi male, solo sorreggermi… e allontanarvi.”
 
“Oh” mormorò sorpresa Kathleen, facendo tanto d’occhi.
 
“Due anni senza una donna sono tanti, ma non avrei mai preso mia moglie in quelle condizioni. Non una seconda volta. Il mio intento era mandarvi via dalla stanza, non il contrario” le spiegò con più precisione Christofer, sorridendole dolente. “Non ho potuto frenare il desiderio, ma le azioni, quelle sì. Anche se ho esagerato nell’esprimermi, spaventandovi senza volerlo.”
 
“Non… non avevo compreso” assentì infine lei, arrossendo lievemente.
 
Massaggiando quella tenera carne con il pollice, si sorprese nel sentire il battito furioso del cuore di Kathleen sotto le dita.
 
Nello scrutarla in viso, si avvide con sorpresa del suo autentico terrore.
 
Subito, l'uomo le lasciò la mano, che lei racchiuse assieme all'altra tra le falde dell'abito nero e, confuso, le domandò: “Vi ho spaventata anche ora, Kathleen?”
 
“Sto bene... davvero” si affrettò a dire lei, con un tono per nulla convincente.
 
Un quieto bussare interruppe le sue domande e, nel veder comparire Bethany con il vassoio, ne studiò attentamente le mosse senza però dare a vedere il proprio interesse.
 
La giovane sistemò il vassoio sul basso tavolino di cristallo e, dopo aver lanciato uno sguardo ansioso in direzione di Kathleen, ne rivolse un altro al conte, ben poco lusinghiero.
 
Quasi oltraggiato.
 
Non fosse stato che quell'occhiata lo lasciò di stucco, Christofer avrebbe sicuramente rabberciato Bethany per quell’avventata presa di posizione.
 
Prima ancora di poterle dire qualcosa, però, la giovane si inchinò e uscì dalla stanza in un fruscio di gonne e un pallido profumo di limone.
 
Kathleen servì silenziosa il tè per entrambi, e aggiunse al liquido profumato qualche goccia di latte, apparentemente ignara del comportamento della cameriera.
 
Per Christofer fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.
 
Ne aveva abbastanza di quegli sguardi incomprensibili, delle frasi smozzicate, delle occhiate dubbiose della servitù.
 
Voleva la verità.
 
“E' possibile conoscere i motivi per cui la mia stessa servitù mi tratta come se fossi un estraneo in casa mia e, peggio ancora, come se io dovessi sostenere un qualche tipo di esame, di cui però non conosco la materia?” brontolò Christofer, afferrando la sua tazzina e facendo quasi debordare il tè.
 
“Mi spiace che vediate la cosa in questo modo. Forse, si stanno semplicemente riabituando a voi. Dopo due anni, è difficile per tutti, in special modo con i cambiamenti avvenuti ultimamente” asserì la giovane, sorseggiando con grazia la sua bevanda calda.
 
Ora perfettamente composta e apparentemente calma, Kathleen sembrava aver superato l'iniziale panico.
 
Il marito, più cortesemente, replicò: “Può essere vero, mia signora, ma trovo che Bethany sia stata dichiaratamente maleducata, pochi attimi fa.”
 
Subito, la moglie levò uno sguardo d'acciaio su di lui, come se avesse desiderato avventarsi al suo collo per difendere l'onore della cameriera.
 
Nuovamente, Christofer vide la volpe volitiva della notte precedente.
 
No, non era indifesa. Ma qualcosa, evidentemente, la turbava, come turbava la servitù intera, e aveva a che fare con lui.
 
Ma cosa?
 
“Spero non avrete intenzione di farle una ramanzina, perché mi vedrei costretta a intervenire” dichiarò Kathleen, con il gelo nella voce.
 
“E' evidente che Bethany ha visto qualcosa sul vostro volto che ha reputato essere stato causato da me, e la giovane vi è così affezionata da aver addirittura osato sfidarmi” le confidò con una certa ironia l’uomo, vedendola irrigidirsi nuovamente.
 
Allora era vero! Qualcosa c'era!
 
“Non vedo cosa possiate avermi fatto” replicò la giovane, con noncuranza.
 
Sorridendo mellifluo, lui ribatté: “Non fingete di essere ingenua, Kathleen, perché non mi sembrate proprio il tipo. Conosco molti dei miei domestici da quando sono nato e, con Bethany, siamo praticamente cresciuti assieme. Per aver avuto una reazione simile, deve aver avuto il sospetto che fosse capitato qualcosa tra di noi. Perciò, vi domando; avete parlato con qualcuno di ciò che è successo la notte scorsa, dipingendomi come un mostro?”
 
Avvampando d'ira in viso, Kathleen si levò dal divano come una dea furente e vendicativa e, con tono misurato quanto a stento controllato, dichiarò: “Non mi permetterei mai di parlare con alcunché di ciò che avviene nel privato delle nostre stanze, men che meno di vostre eventuali mancanze che, a quanto pare, ho solo immaginato, e a torto. Forse non vi ricordate chi sono, signore, ma speravo rammentaste almeno che non sono una traditrice.”
 
Detto ciò, si scusò in fretta e uscì dal salottino a passo di carica, le pesanti gonne e sottogonne a spazzare il pavimento lucido e color panna.
 
Già sul punto di rincorrerla per scusarsi nuovamente con lei, Christofer quasi inciampò nel proprio bastone.
 
Imprecando contro la sfortuna e il destino, si ritrovò a fissare con insofferenza il divanetto vuoto e i pasticcini, che nessuno dei due aveva toccato.
 
“Dannazione!” sbottò l'uomo, scaraventando a terra uno dei cuscini del divanetto.
 
La madre si affacciò ombrosa proprio in quel mentre e, nel chiudersi la porta alle spalle, lo fissò accigliata e lo rimbrottò senza tanti giri di parole.
 
“Lascia questo linguaggio fuori da questa casa, figliolo, e cerca di comportarti da gentiluomo, una volta per tutte!”
 
“Ma cosa avete, tutti quanti, per guardarmi – e comportarvi – come se dovessi commettere un omicidio da un momento all'altro?!” ringhiò Christofer intrecciando le braccia sul torace, lo sguardo truce rivolto verso la figura minuta della madre.
 
Whilelmina non badò allo sbotto riottoso del figlio, gli occhi puntati sul mezzo guanto che Kathleen aveva abbandonato sul divanetto.
 
Accigliandosi ulteriormente, la donna mormorò fredda: “Cosa le hai fatto?!”
 
“Niente! Assolutamente niente!” esclamò a gran voce lui, ora davvero infuriato.
 
La donna, però, indicò accigliata il mezzo guanto e il figlio, con un brontolio irritato, mugugnò: “Volevo solo sincerarmi che... che io...”
 
La rabbia ormai del tutto scomparsa, l'imbarazzo prese ora il sopravvento su di lui che, grattandosi nervosamente una guancia, mormorò più calmo: “La notte scorsa sono caduto nel tentativo di ravvivare il fuoco, e Kathleen è accorsa in mio soccorso.”
 
“E ...” tentennò Whilelmina, stringendo febbrilmente le mani, l'ansia dipinta sul viso pallido.
 
“...e ho badato un po’ troppo a quanto fosse bella. Desideravo solo allontanarla dalla mia stanza perché non dovesse subire le mie attenzioni, ma le ho stretto la mano con troppa forza, nel farlo” sopirò Christofer, sentendosi né più né meno che un bambino sotto esame.
 
Sbuffando contrariato, Christofer aggiunse con un borbottio: “Non è stato fatto con l’intento di ferirla, tutt’altro! Ma è evidente che ho esagerato con la forza, visto che le ho lasciato un livido … del tutto non voluto.”
 
“Oh, figlio mio, ma come hai potuto essere così sgarbato?” esalò la madre, scuotendo il capo con esasperazione.
 
“Passate anche voi due anni su una nave da guerra, a pulir sangue e altri parti anatomiche da un ponte, o a trattare i vostri panni con lisciva perché tornino più o meno puliti, e poi vediamo dove va a finire il bon ton che ci inculcano a scuola!” brontolò Christofer, piccato. “Non l'ho violentata, dopotutto!”
 
Ma chi credevano che fosse? Un maniaco?
 
“Abbiamo battibeccato un po', e io ho fatto troppa pressione sul polso. Volevo sincerarmi di non averle fatto troppo male ma, con mio sommo dispiacere, ho notato di averle fatto venire un livido. Ecco, cos’è successo” aggiunse con tono meno rabbioso, studiando il volto affranto della madre.
 
Non ricevendo alcuna risposta in merito, proseguì nel suo dire.
 
“Mi sono scusato!” si premurò di dire il conte, cominciando a sentirsi vagamente idiota, di fronte a quell’apparentemente inutile difesa. “Non l'ho certo fatto di proposito, ma tutti in casa vi aspettate che io faccia qualcosa, e sempre contro di lei. Mi guardate come se fossi un lupo in un gregge di pecore... anzi, di una sola pecora. Beh, di sicuro Kathleen non è una pecorella smarrita, visto quanto risponde a tono!”
 
“Non mi ha detto nulla” sospirò la madre, accomodandosi quasi senza forze sul divano. “Avrei preferito saperlo.”
 
“Per fare cosa? Per sculacciarmi? Sono un tantino troppo grande per queste cose” la irrise il figlio, irritato da quell'eccessivo protezionismo nei confronti di Kathleen.
 
Whilelmina lo fissò esasperata e replicò: “Non ti sculaccerei di sicuro, ma ti ricorderei che sei stato educato al rispetto dell'altrui persona. E, quando ho visto uscire Kathleen così furiosa, non mi è sembrato che tu ti stessi attenendo a questa regola.”
 
“Si è infuriata perché l'ho accusata di aver sparlato di me alla servitù, cosa che evidentemente non è avvenuta, se non ne ha parlato neppure con voi” mormorò contrito Christofer.
 
Dio! Neppure quando era stato fanciullo, si era mai sentito così fuori posto e maldestro!
 
“Kathleen non farebbe mai una cosa simile” dichiarò convinta la donna, scuotendo recisamente il capo.
 
“Voi la conoscete sicuramente meglio di me” convenne il figlio. “Ma la faccenda rimane. Sono un estraneo in casa mia, mia moglie è terrorizzata se anche solo cerco di toccarla, oppure si infuria come una valchiria in battaglia. Quando chiedo spiegazioni, tutti vi fate reticenti… persino Bridget non ha voluto rispondere alle mie domande! Concedetemi un po' di credito, madre. Tutto ciò è molto lontano dall'essere normale.”
 
La donna fu costretta suo malgrado ad annuire e, rigirandosi nervosamente le mani, ammise: “Sì, è ben lungi dall'essere normale, lo so. Ma Kathleen, o la servitù, non ne hanno colpa.”
 
“Non penso di licenziarli tutti, madre, né di cacciare mia moglie per poche parole astiose, dettate sicuramente dal malumore e dal dolore che porta nell’animo, ma vorrei capire” asserì più gentilmente l'uomo. “Cosa vi turba così tanto? Perché pensate che il mio ritorno sia un danno, per lei?”
 
“Nessuno lo pensa!” esalò sconvolta Whilelmina, fissandolo a occhi sgranati.
 
“Non sembrerebbe” replicò serafico Christofer.
 
“E' molto difficile da spiegare, figliolo, e non ne vado particolarmente fiera” sospirò la madre, reclinando contrita il capo.
 
Che mai aveva potuto commettere la madre, di così atroce, da renderla così insicura? Era la persona più educata e gentile che conosceva!
 
“Madre, non sono qui per giudicare nessuno. Desidero solo capire e, eventualmente, esimermi dal fare ciò che vi rende così nervosi. Ma senza comprendere, non posso evitare di commettere errori” la incoraggiò lui, parlando con tono pacato, suadente.
 
“Non è qualcosa di cui parlo volentieri, caro, perché fa riaffiorare ben miserevoli ricordi” mormorò la donna, con un tono di voce così esile che quasi il figlio stentò a comprenderla.
 
“Ho ricordi nella mia mente che farebbero impallidire più di una persona, perciò penso di poter reggere il colpo” asserì piuttosto convinto il figlio, sorridendole comprensivo.
 
Lei lo sbirciò da sotto le lunghe ciglia scure prima di ammettere: “Tuo padre non fu mai esattamente un campione di virtù, in questi anni. Credo tu già lo sapessi.”
 
Il figlio annuì. Non gli diceva nulla di nuovo.
 
Il conte Spencer non aveva mai fatto mistero di avere almeno un paio di amanti, a Londra, e la madre si era semplicemente rassegnata all'evidenza dei fatti.
 
Che fosse comparso un fantomatico figlio bastardo a rovinare la loro serenità? Non vedeva, comunque, come questo potesse impensierire Kathleen, o la servitù.
 
“Dopo l'aborto di Kathleen, lui era alquanto irritato” mormorò la donna, lappandosi nervosamente le labbra.
 
Christofer aggrottò la fronte, chiedendosi cosa c'entrasse questo con le discutibili abitudini del padre.
 
Un sospiro tremulo scaturì dalle labbra sottili della madre che, infine, dichiarò affranta: “Fu molto crudele con lei. La incolpò di aver perso di proposito il figlio, di non aver tenuto alto il buon nome della famiglia.”
 
“Che idiota” ringhiò il conte, disgustato dal comportamento del padre.
 
“Non si fermò lì, purtroppo. Dopo le febbri che presero Kathleen, rischiando di portarcela via, una notte... una notte...”
 
Un singhiozzo strozzato le mozzò la voce e Christofer, cominciando a subodorare qualcosa di veramente tremendo, esalò: “Madre, lui non... non può...”
 
“Entrò nelle stanze di Kathleen, completamente ubriaco, e la trasse via dalle coltri, gettandola a terra. Lei gridò, si difese come meglio poté, si liberò dalla sua stretta ma, nel farlo, la camicia da notte si lacerò. E questo diede il via alla follia” asserì la donna, distrutta dal dolore.
 
Christofer ringhiò un'imprecazione, mentre la madre terminava il suo racconto.
 
“William entrò di corsa, richiamato dalle urla di Kathleen, trovando… Bartholomew con le brache calate e Kathleen sotto di lui, con la camicia a brandelli e le mani di tuo padre a bloccarle i polsi.”
 
“Dio” esalò senza voce l'uomo, passandosi le mani sul viso, pallido non meno di quello della madre. “Lui la...”
 
“No” gracchiò a fatica Whilelmina. “William lo fermò in tempo. Lo allontanò a forza da Kathleen mentre io mi prendevo cura di lei, che stava piangendo a dirotto e tremava come una foglia. Occorse anche l'intervento di Julian e di Abraham, per impedire a Bartholomew di fare pazzie. Wendell, fortunatamente, era in collegio, in quel periodo. Non sa praticamente nulla di questa faccenda, anche se ha capito che qualcosa non va, e ha a che fare con Kathleen e vostro padre.”
 
Christofer si piegò in avanti, i gomiti puntati sulle cosce tremanti e, senza forze, sussurrò: “Non fa specie che sia terrorizzata dal mio tocco, e che tutti mi guardino con sospetto.”
 
“So che non saresti mai capace di una simile follia, ma... sono due anni che manchi da casa, e noi...” tentennò la madre, incerta su cosa dire.
 
Lui scosse il capo e, con una risata sgangherata, dichiarò: “Non mi sorprende che William la segua come un'ombra. E' merito suo, se lei si è salvata dalle attenzioni davvero poco dignitose di mio padre.”
 
“Mastro William si prese personalmente cura di tuo padre quando, a seguito della colluttazione, ebbe un piccolo attacco di cuore. Questo lo bloccò a letto, infermo, per più di un anno, finché non sopraggiunse la morte, più di un mese fa” gli spiegò Whilelmina, asciugandosi una lacrima ribelle.
 
“Oh... ecco il perché dei registri” assentì a quel punto Christofer, comprendendo il perché della totale mancanza di annotazioni da parte del padre.
 
Non era stato fisicamente in grado di prendersi cura della tenuta, e sua moglie si era presa carico di ogni cosa!
 
“Kathleen si è presa cura della tenuta in maniera egregia” la difese immediatamente la donna, subito bloccata da un gesto della mano del figlio.
 
“Lo so, non stavo dicendo che ha fatto confusione. Madre, vi prego! Non la sto giudicando!” brontolò lui, accigliandosi.
 
“Sì, scusa” assentì lesta la donna.
 
“C'è altro che dovrei sapere, oltre al fatto che mio padre ha disonorato se stesso, mia moglie e l'intera famiglia?” dichiarò Christofer, non sapendo bene come sentirsi, se irritato o semplicemente disgustato da tutto.
 
“Beh, ecco...” tentennò la madre, ora imbarazzata.
 
Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, lui le domandò: “Cos’altro non so?”
 
“Vedi, figliolo... noi abbiamo pensato in primo luogo alla sicurezza di Kathleen, per cui...” tergiversò Whilelmina, torcendo nervosa la stoffa dell'abito.
 
“Madre” la richiamò lui, chiedendosi cos’altro vi fosse di così tremendo, dopo quello che gli aveva appena detto.
 
“William le ha insegnato a sparare” disse in un soffio la donna, serrando gli occhi per non guardare in viso il figlio.
 
“Come?” esalò l’uomo, sgranando gli occhi per la sorpresa.
 
“Abbiamo pensato tutti che fosse la cosa migliore. Era così disperata, così affranta... nessuno poteva avvicinarla, neppure Gwen, la sua cameriera personale. Tremava al minimo rumore. Volevamo darle sicurezza” gli spiegò in tutta fretta lei, in tono difensivo.
 
“E William andava bene, invece, per starle accanto come insegnante” borbottò Christofer, avvertendo dentro di sé uno strano prurito. Gelosia, forse?
 
“L'aveva salvata, dopotutto. Di lui si poteva fidare” gli fece notare la donna, conciliante.
 
“Fidare. E' solo la fiducia che li lega?” si lasciò sfuggire, non potendolo evitare.
 
“Christofer! Non oserai pensare davvero che tua moglie e ...e William possano avere una tresca?!” esplose la madre, con veemenza inaudita.
 
“Calmatevi!” la rabbonì subito lui. “Sto facendo un po' fatica a digerire tutto, madre, perciò datemi una tregua dai vostri sbalzi di umore. Quindi, Kathleen sa sparare. Con la pistola, immagino.”
 
“Ehm... sì. Sì” assentì fin troppo velocemente la donna.
 
“Oddio” esalò costernato l'uomo, levandosi in piedi a fatica, tenendosi sul bastone.
 
Claudicante, raggiunse la finestra per scrutare il paesaggio brullo del giardino sfiorito.
 
A sorpresa, vi scorse Kathleen, impegnata in una discussione con il capo giardiniere, che le stava mostrando alcuni cespugli di rose coperti da sacchi di juta.
 
“Non la sgriderai, vero?” domandò turbata Whilelmina, raggiungendolo alla finestra.
 
“Mia moglie sa tirare col moschetto. Perché immagino sia questa la verità, giusto?” ritorse Christofer.
 
Sua madre ebbe la compiacenza di arrossire e rimanere in silenzio.
 
“Bene” continuò l'uomo, ormai pronto a tutto. “Spero solo che non decida di spararmi. Ora vado da lei... da solo.”
 
Whilelmina annuì contrita e l'uomo, trascinandosi fuori alla maggior velocità possibile, si fece consegnare un mantello da un domestico.
 
Con calma, poi, percorse le scalette che conducevano al giardino, imprecando contro l'architetto che aveva costruito la villa.
 
Perché ci dovevano essere così tanti scalini?!
 
Quando infine raggiunse il gazebo coperto dove si era rifugiata Kathleen, era ormai sfinito.
 
Complice la cocciutaggine che l'aveva sempre contraddistinto, non si diede però per vinto.
 
Zoppicando vistosamente, si diresse con determinazione verso la coppia che stava parlando all’ombra del gazebo.
 
Subito, il capo giardiniere si inchinò formalmente e Kathleen, avvedendosi delle difficoltà del marito, si affrettò a rivolgere un sorriso a Mr Petts, dicendogli: “Parleremo delle nuove piante un'altra volta. Per ora, direi che non possiamo fare altro, per salvare le rose.”
 
“Molto bene, contessa. Vostra Grazia” mormorò l'uomo, allontanandosi subito dalla coppia.
 
Distrutto da quel breve tragitto, che aveva messo penosamente in evidenza il suo attuale stato di salute, Christofer si lasciò cadere su una vicina panchina di granito.
 
“Comincio a detestare casa mia. E' troppo grande!”
 
“Sarebbe bastato mandare a chiamarmi, se avevate bisogno di me” gli fece notare lei, rimanendo testardamente in piedi dinanzi al marito.
 
“Più che sì, ma volevo soffrire un po', sapete com'è. Gli stolti non hanno molto sale in zucca” ironizzò lui, battendo una mano sul ripiano freddo della panchina. “Non vi morderò, né vi toccherò, promesso. E se volete, vi darò il mio bastone per difendervi.”
 
Kathleen non disse nulla, limitandosi ad accomodarsi il più lontano possibile da lui.
 
Chris, con un colpetto di tosse, mormorò: “Mia madre mi ha detto di voi... e di mio padre.”
 
La giovane ansò sorpresa, impallidendo leggermente e, con tono duro, asserì: “Non avrebbe dovuto. Non ve n'era ragione.”
 
“Invece sì, Kathleen. Come potevo sapere che mio padre si era macchiato di un simile reato? Non avevo idea che potesse giungere a tanto, e ringrazio Dio che fosse presente Mastro William a difendervi, in quel momento, visto che io non potevo essere al vostro fianco” replicò lui, mettendo sincerità nella sua voce.
 
Perché era vero. L'avrebbe difesa a spada tratta dalle attenzioni del padre.
 
Non l'amava, certo, ma questo non significava che non si sarebbe battuto per lei e il suo onore.
 
Dopo ciò che le aveva fatto passare la prima notte di nozze, questo era il minimo che le doveva.
 
Sospirando pesantemente, Kathleen mormorò sconsolata: “Vi devo anch'io delle scuse, perché non avrei dovuto essere così sgarbata con voi, e proprio nel giorno del vostro ritorno. Ma è ...difficile... non è facile essere toccata da qualcuno, e io...”
 
“Kathleen, non azzardatevi mai più a chiedermi perdono. Sono stato sgarbato e basta. Punto. Quanto al vostro... problema con me? Lo capisco. Diamine! Vorrei proprio vedere, dopo quello che avete passato!” sbottò Christofer, battendo nervosamente il bastone a terra.
 
Una folata di vento gelido preannunciò la neve e Kathleen, nel rattrappirsi nel morbido mantello, attese con pazienza che il marito proseguisse a parlare.
 
La rattristava il fatto che Whilelmina fosse stata costretta a rammentare ciò che aveva sconvolto tutto Green Manor, ma comprendeva quanto Christofer avesse ragione.
 
Senza conoscere la verità, come poteva capire quanto stava succedendo a tutti… a lei?
 
“Volete rientrare? La sera sta scendendo velocemente, e l’aria è ben più che frizzante” le domandò cortesemente il marito.
 
“Non ho paura del freddo. E mi piace stare fuori casa” replicò lei, scrollando appena le spalle.
 
Il marito annuì quieto e, con tono tranquillo, asserì: “Avete vissuto un inferno non certo migliore del mio, a quanto vedo. Il mio, era fatto di colpi di cannone, malattie e guerra. Il vostro, di figli perduti, un marito inetto e parenti senza alcun amore per voi.”
 
Silenziosa, Kathleen annuì e Christofer, rincuorato dalla sua espressione più tranquilla, proseguì.
 
“La morte di Andrew mi ha quasi fatto impazzire… ho urlato così tante volte il suo nome da rimanere afono per giorni.”
 
“La vostra voce…” assentì la moglie, guardandolo dubbiosa in viso. “… mi sembrava fosse diversa.”
 
“Ho martoriato ben bene le corde vocali” ammise, abbozzando un mesto sorriso.
 
Lei annuì, stringendo le mani sotto le falde del mantello di velluto scuro.
 
“La notte sogno Andrew, ma non riesco a figurarmi bene il suo viso.  So che è lui, ma appare sfocato, quasi senza forma. Vorrei tanto abbracciarlo, ma non lo raggiungo mai” gli confidò Kathleen, reclinando il capo mestamente.
 
“Sogni migliori dei miei, allora” asserì Christofer. “Quel che vidi su quella maledetta nave non lo scorderò mai e, fin da quando ripresi i sensi la prima volta, quelle immagini mi perseguitano notte e giorno.”
 
“Lo avete sempre amato molto” convenne Kathleen, regalandogli il primo, vero, timido sorriso da quanto era tornato.
 
Il conte assentì con vigore.
 
“L’ho sempre considerato come un fratello. E lo era diventato, grazie a voi! Ma io ho rovinato ogni cosa, disonorando me stesso e la persona che pensavo di essere… e proprio con voi, che avrei dovuto trattare con ogni riguardo” sospirò lui, lanciandole un’occhiata contrita.
 
Kathleen annuì debolmente.
 
Poggiatosi sul pomo del bastone, Christofer fissò lo sguardo in lontananza, scontrandosi contro l’alta siepe di pini dal taglio squadrato.
 
Sembravano chiusi in un bozzolo, pur trovandosi all’esterno della villa e, per qualche motivo, questo lo confortò.
 
Lì erano lontani da tutto, dalla guerra, dalle trame politiche, dalla Londra corrotta e i servilismi a essa legati.
 
La campagna era decisamente più umana, vivibile.
 
E, a conti fatti, era il luogo ideale per riprendersi da ciò che lui aveva visto, ciò che aveva vissuto.
 
“Non mentirò, Kathleen. Mi sento stringere il petto al solo pensare ad Andrew, e parlarne è ancora peggio, ma capisco quanto possa essere egualmente difficile per voi che, negli ultimi due anni, non avete potuto vederlo… e io ve lo riporto indietro morto, in una cassa di pino” mormorò spiacente il marito, fissandola con sincera contrizione.
 
“Non è colpa vostra, questo lo so. E sapervi vivo, è un sollievo molto più grande di quanto io riesca a mostrare in questo momento. Vorrei piangere in ogni istante della giornata, ma so quanto sarebbe inutile.”
 
Sospirò e, passandosi una mano sulla fronte, aggiunse: “Non ho voluto rimanere a casa dei miei genitori, perché le accuse che vi rivolge mio padre sono così assurde da avermi quasi fatto venire l’emicrania. E Myriam non è dissimile da lui. Sono così arrabbiati, così ciechi di fronte alla realtà che…”
 
“Voi cos’avreste desiderato?” si sentì dire Christofer, incapace di trattenere quella domanda.
 
“Non avrei mai voluto la vostra morte per avere indietro mio fratello, se è questo che volete sapere” replicò con sincerità lei, asciugandosi lesta una lacrima ribelle.
 
“Kathleen, scusatemi… non avrei dovuto…”
 
Lei lo azzittì con uno sguardo d’acciaio e, con la voce resa roca dal profondo dolore che stava provando, dichiarò: “Non mentitemi mai… mai. Non vi chiedo altro. Non pretendo che mi amiate, o che mi restiate fedele a vita. Ma pretendo la verità. Sempre. La mancanza di verità tra di noi ci ha…ci ha divisi, quella notte, e ora ne paghiamo lo scotto. Inoltre, ho vissuto per troppo tempo con un uomo falso e meschino, perciò non voglio che voi lo siate con me.”
 
“Nel bene e nel male, siamo marito e moglie, Kathleen e, a meno che voi non vi riveliate un’autentica arpia – cosa che io dubito – …” e nel dirlo ammiccò, provocando in lei un piccolo sorriso. “… non vedo il motivo di cercarmi un’amante.”
 
“Ma io non sono in grado di…” iniziò col dire lei, avvampando in viso e lasciando a metà la frase.
 
Azzittendola con un dito leggero poggiato sulle sue morbide labbra, lui replicò gentilmente: “Non vi voglio nel mio letto ora, né domani, né tra un mese. Ma desidero che torniate ad apprezzare la presenza delle persone accanto a voi e, chissà, anche la mia. Non è giusto che mio padre vi abbia rubato così tanto e, nel mio piccolo, cercherò di darvi una mano a recuperare la sicurezza perduta. Inoltre, non crediate che non ricordi. Neppure io sono esente da difetti. So bene di non aver reso le prime settimane del nostro matrimonio un idillio e, oltretutto, avete dovuto sopportare il dolore atroce della perdita di nostro figlio senza che io fossi presente.”
 
“Mio signore…” mormorò sgomenta Kathleen, fissandolo a occhi sgranati.
 
“Mi farebbe piacere mi chiamaste per nome. Un tempo, lo facevate” le propose lui, abbozzando un timido sorriso.
 
La fanciulla allora assentì e, mordendosi un labbro, allungò una mano per sfiorare la guancia destra di Christofer, dove era ancora evidente il segno lasciato da una scheggia di legno.
 
“Trafalgar?” domandò Kathleen, sfiorando la pelle fredda del marito.
 
Lui annuì, rimanendo perfettamente immobile sotto il suo tocco.
 
Era bella.
 
Il viso si era assottigliato, gli zigomi erano più evidenti e le conferivano un’aria regale.
 
Gli occhi, con quel loro strano color verde e punteggiato di pagliuzze dorate, erano contornati di lunghe e arcuate ciglia biondissime, così come le sopracciglia sottili.
 
La bocca, morbida al tatto, aveva un naturale color ciliegia che tanto lo solleticava ma che, almeno per il momento, non avrebbe più toccato.
 
La gravidanza, – anche se breve – ne aveva addolcito le forme che, diversamente da due anni prima, apparivano morbide, pur se su un corpo esile.
 
Sì, era bella.
 
Ma era davvero troppo presto per dire altro.
 
Ora era tornato e, memore della promessa fatta ad Andrew, si sarebbe impegnato per conoscerla.
 
Certo, suo padre e la sua follia avevano reso tutto molto più difficile, ma lui era testardo per natura, e non si sarebbe dato per vinto.
 
“Vorreste… vorreste vedere dove è stato tumulato nostro…”
 
La voce le mancò e, ritirata la mano dal viso di Christofer, Kathleen sospirò e aggiunse: “… nostro figlio? Era… era poco più che… ma non me la sono sentita di…”
 
Balbettò quasi senza fiato e il marito, stringendo i denti per trattenere il suo istinto primario – che gli diceva di abbracciarla per chetarne le ansie – si limitò ad annuire.
 
Maman mi ha detto che lo avete chiamato Benjamin. Avete scelto un nome bellissimo” mormorò poi, la voce carezzevole e gentile.
 
“Grazie” sussurrò lei, annuendo debolmente. “So che è sciocco… non aveva che due mesi, poco più di un frugoletto informe, quasi irriconoscibile, ma io gli volevo già bene e…”
 
“Kathleen” la chiamò dolcemente lui, obbligandola a sollevare il viso.
 
Quando finalmente incrociò il suo sguardo, il marito ammise: “Non so quanto possa valere, ma io ed Andrew abbiamo scolpito dei giocattoli in legno per lui, pur sapendo che era morto. Pensavamo che, almeno in cielo, avrebbe potuto giocarci così, quando li abbiamo finiti, li abbiamo lasciati nella prima chiesa che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Se non ricordo male, si trovano in un villaggio del Brasile.”
 
La moglie trovò la forza per sorridere in qualche modo e, annuendo, mormorò: “Sono sicura che ci starà giocando. Il medico mi disse che era ancora troppo presto per conoscerne il sesso, ma ho voluto lo stesso che venisse battezzato con quel nome, e fosse annoverato come vostro primogenito. Spero di non aver fatto male.”
 
Assentendo, Christofer dichiarò: “Non appena il tempo migliorerà, andremo alla cappella di famiglia e mi presenterete a nostro figlio.”
 
“Va bene.”
 
“Torniamo dentro, ora? Ho paura che la mia gamba non gradisca queste temperature rigide” le propose alla fine lui, sorridendole a mezzo.
 
Kathleen a quel punto sgranò gli occhi, come ricordandosi solo in quel momento delle condizioni del marito e, levatasi in piedi di fretta, esalò: “Avreste dovuto rammentarmelo! Sono così sbadata, in questi giorni!”
 
Lui ridacchiò suo malgrado e, appoggiandosi sul bastone, si rizzò in piedi a fatica, trattenendo a stento una smorfia per non impensierirla.
 
“Non si direbbe, visto il lavoro egregio che avete svolto al posto di mio padre” replicò lui, sogghignando malizioso.
 
“Oh… avete controllato?” esalò lei, avvampando in viso. “Credo di non aver commesso troppi errori, ma mi scuso fin d’ora se doveste…”
 
“Ssst, Kathleen” la chetò subito il marito, sorridendole. “Va tutto benissimo. Siete stata molto brava, e avete preso decisioni che io stesso avrei voluto prendere tanti anni addietro. Perciò, calmate il vostro cuore e siate generosa. La gamba mi fa un male dell’inferno, e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a salire le scale. Ben poco decoroso, ma reale.”
 
“Siete ferito, quindi non si tratta affatto di decoro, ma di necessità” ribatté lei con un sorrisino. “Chiamo immediatamente Alfred perché vi aiuti. Temo di non avere abbastanza forze per sostenere egregiamente entrambi. L’altra notte non mi sembravate così mal ridotto, ma ora mi parete sofferente.”
 
“Non sia mai che io vi faccia cadere. Inoltre, non ricordatemi la mia stupidità, vi prego” convenne lui, fermandosi in prossimità delle scale, un sogghigno divertito stampato in viso. “Attenderò paziente qui.”
 
“Bene” assentì la giovane, raccogliendo un poco le gonne per correre verso casa.
 
Un attimo dopo, però, si bloccò per volgersi a mezzo e mormorare: “Sono lieta che siate tornato, Christofer. E non siete stato stupido, solo… umano. Nessuno crede di aver bisogno degli altri… anche quando è vero il contrario.”
 
Ciò detto, corse via in uno sfarfallare di gonne e sottogonne e lui, nonostante tutto, sorrise.
 
 
 
 
 
 
 

 
Note: E così, Christofer ha finalmente scoperto il terrificante segreto che nasconde Green Manor. Suo padre non ha solo disonorato se stesso e il suo nome, ma ha spezzato le fragili certezze di Kathleen, trasformandola.
Venire a sapere di questa verità ha portato Christofer a rivedere molte cose, prima tra tutte il suo approccio con sua moglie. Ora, non solo è ben deciso a riconquistare la sua fiducia, ma anche a ridarle quella speranza nel futuro - e nelle persone - che suo padre le ha strappato con così tanta violenza.
Sapere per bocca stessa di Kathleen che, nonostante tutto, lei non lo volesse morto in guerra, è per lui fonte di speranza. Forse, dopotutto, ha la possibilità di rimediare ai suoi torti.
Ammesso e non concesso che il cuore di Kathleen non sia già impegnato da qualcun altro, cosa che Christofer teme sempre di più, ormai.
  
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