Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: martaparrilla    21/06/2016    15 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La risposta che temevo di ricevere è arrivata. Non volevo sentirle pronunciare quelle parole: sentirsi in dovere di aiutarmi. Non volevo essere il dovere di nessuno.

Voglio essere quella voglia che non ha mai avuto verso un altro essere umano a parte suo figlio. Voglio essere quella forza che le permetta di dirmi “mi hai ridato quella vita che nemmeno credevo di avere”. Un dovere non può far pensare questo, un dovere è un peso, macigno, dolore, lacrime. Qualcosa di cui liberarsi.

Così, nello stesso istante in cui le gettavo addosso, con tutta la rabbia che avevo in corpo, il mio disappunto, avevo deciso di toglierle quel peso. La amavo troppo per lasciarle questo onere da sopportare dopo che, con fatica, ero riuscita a sollevarle di dosso quel macigno che portava il nome di suo figlio, infelice e muto.

Nei suoi occhi c'era il riflesso del suo fallimento come donna, come medico, e soprattutto come amica. Quel suo desiderio di controllo che la caratterizzava, erano esplose con me, nel suo tentativo di espiare una colpa che si era auto imposta. Così, a malincuore, avevo dovuto allontanarla per darmi il tempo di capire se l'idea che mi ero fatta di lei era sbagliata e se avevo di fronte solo un'altra Elisabeth, sotto le spoglie di un'altra donna.

E così, come non era stato facile per lei vedere il suo fallimento, allo stesso modo non era stato facile per me: le avevo lasciato libertà di scelta in qualunque dettaglio della sua vita, anche quando avrei meritato una spiegazione, o per lo meno una chiacchierata sull'accaduto di qualche mese prima. Non volevo forzarla in nessun modo, ma non volevo nemmeno che accantonasse un sentimento che era chiaro provare e che semplicemente non sapeva gestire. Perché la verità era questa: quei sentimenti nuovi, verso una donna, verso di me, la spaventavano, e la capivo, ma solo parlandone con me avrebbe potuto dare un senso a tutto.

Decido di prendermi il mio tempo, continuando a svolgere tutti i miei compiti quotidiani, come la fisioterapia, e continuare i miei esercizi per rafforzare la gamba. Il mio fisioterapista, in questi mesi, è diventato oggetto di sfogo e conforto allo stesso tempo: è a lui che avevo chiesto di sottolineare a Regina che non mi impegnavo abbastanza negli esercizi, a fronte di una sorpresa che volevo farle prima di Natale, giusto in tempo per il suo compleanno. Perchè riuscivo a stare in piedi da sola da molto prima che mia madre e poi Regina venissero a farmi la ramanzina.

Ma continuare ad aspettare che Regina faccia un passo verso di me o che capisca il mio punto di vista è assurdo, l'ansia mi sta mangiando viva, ed aumenta sempre più il desiderio di rivederla e di riprendere i miei pomeriggi insieme a Henry, anche se mia madre mi aveva egregiamente sostituita in questo senso. Quindi, anche se mi considera una ragazzina immatura, decido di andare ad affrontarla, togliermi finalmente questo peso dal cuore, mettendo in conto che probabilmente avrei ricevuto da lei l'ennesimo doloroso rifiuto. Almeno sarebbe stato l'ultimo.

Sono passati dieci giorni dall'ultima volta che l'ho vista e oggi è la vigilia di Natale.

Ed è anche il compleanno di Regina.

Ho bisogno di vederla, di stringerla, di ammirare il suo viso e dare finalmente aria ai miei polmoni.

Sistemata la casa, con lentezza e fatica, mi butto letteralmente dentro la vasca del mio bagno.

La pesantezza dell'ultima settimana ha reso difficoltoso il mio sonno, per i continui battibecchi con mia madre che continuava a pretendere che tornassi a casa da lei, per il litigio con Regina e per la scarsa se non inesistente fiducia che entrambe hanno in me.

Volevo solo far loro una sorpresa, arrivando alla cena di Natale sulle mie gambe e rendere anche loro partecipi di questo, ma gli ultimi avvenimenti mi hanno quasi fatto passare totalmente la voglia di vederle e sorprenderle.

Non è vero. Vorrei vederla sorridere per me, per Henry. Per aver trovato una famiglia che la ama davvero.

E questo indipendentemente da quello che succederà tra me e lei.

Mia madre la stima come donna e come medico, Neal adora Henry e Henry adora Neal.

Spero ardentemente che mia madre sia riuscita a eseguire i miei ordini come concordato, almeno questo me lo deve. E spero che Regina abbia accettato l'invito di mia madre per la cena.

Rimango in ammollo per almeno un'ora in un'acqua profumata alla mela.

Mi ricorda Regina e non so neanche perché. Ho sistemato qualche candela con lo stesso profumo per tutto il bagno e la luce fioca emanata da esse è l'unica fonte di illuminazione della stanza. Sento i muscoli tesi farsi rilassati e, come per ogni bagno o doccia, sfioro le cicatrici che segnano il mio addome e ripercorro a mente i fotogrammi di quel giorno. Gli occhi pieni di rabbia di Marian, quello terrorizzati di Regina. Il bruciore all'addome e il sapore metallico in bocca dopo il primo sparo. Non avevo avuto paura dopo lo sparo, questo lo ricordo alla perfezione. La vista, anche se annebbiata, di Regina, mi aveva dato il coraggio di non lasciarmi andare alla disperazione. Le lacrime che sentivo cadere dagli angoli esterni degli occhi le ho sempre associate al dolore che stavo provando, non alla paura che quel dolore mi stava provocando e alle conseguenze che avrebbe potuto avere.

Sterno, ombelico, pube. Accarezzo con delicatezza quella ferita di guerra e sorrido quando quel movimento mi provoca solletico. Cinque mesi dopo è ancora molto sensibile. Poco più su invece, sulla destra, i due piccoli e profondi fori di proiettile. Quelli sono decisamente antiestetici, somigliano ai buchi che Neal mi obbliga a fare ogni anno sulla spiaggia, nella sabbia. Poi lui si butta dentro e io e mio padre dobbiamo ricoprirlo di sabbia e farlo sgusciare fuori (così diceva lui), come una piccola lumachina di mare. Così rimane sempre un buco a metà, irregolare e pericoloso. Come quelle due cicatrici.

Un brivido arriva prepotente tanto da farmi scuotere, così decido di uscire dalla vasca, avvolgermi nell'accappatoio e accovacciarmi accanto alla stufetta nella mia camera, dove tutti i giorni pensavo ai mali del mondo. O, più in piccolo, ai miei.

Le 5 pm sono ormai passate, mi rendo conto che sono ore che non guardo il telefono e lo afferro dal comodino. Un sms di mia madre mi rassicura sulla presenza di Regina e Henry questa sera a cena, assicurandomi che Henry era già da loro, così sarei stata libera di avere qualche ora con Regina, a casa sua, e definire finalmente la sua posizione.

O darle semplicemente gli auguri.

I boccoli biondi cadono morbidi da un lato della spalla e il vestito nero usato per la festa del mio rientro mi piace sempre di più. Voglio che questo vestito mi accompagni nei momenti importanti della mia vita, e niente è importante quanto Regina in questo momento.

Campanello.

Qualcuno ha suonato il campanello e io... non voglio che qualcuno mi veda camminare, non ancora. Mi avvicino lentamente alla porta prima di domandare.

«Chi è?»

«Emma sono io, Regina. Lo so che sei arrabbiata ma puoi aprire questa porta? Per favore? Ho bisogno di parlarti... e non ti farò ramanzine.»

Trattengo il respiro, come se dare aria ai polmoni mi possa fare perdere mezza sillaba delle sue parole, pronunciate in modo così calmo e sincero da farmi male.

In un lampo mi fiondo sulla sedia a rotelle, prima di avvicinarmi all'uscio e togliere ogni tipo di sicura che avessi messo. Compresa quella del mio cuore.

Indietreggio con la sedia mentre la sua immagine compare di fronte ai miei occhi. Il suo viso è un concentrato di imbarazzo e preoccupazione. Porta con fatica i suoi 34 anni, quasi non le siano bastati per sopportare le ingiustizie della vita.

Vorrei sorriderle e rassicurarla ma devo continuare a recitare la mia parte visto che lei mi ha, di nuovo, sconvolto i piani.

«Ciao Emma.»

Annuisce un poco, sbirciando l'interno della casa.

«Ciao Regina» rispondo poco convinta.

«Posso entrare?» chiede timidamente.

«Se non ti infastidisce stare accanto a una disabile, prego.»

Sì, lo so, ho esagerato. Ma me l'ha servita su un piatto d'argento e voglio che capisca che non ho dimenticato le parole dell'ultimo nostro incontro.

«Colpita e affondata, grazie» risponde sarcasticamente.

Avanza verso di me prima di chiudere la porta alle sue spalle.

La stanza è già pregna del suo profumo e la mia concentrazione vacilla. Chiudo gli occhi e mi volto, portando con me la sedia mobile.

«Prego, accomodati. Puoi poggiare il cappotto sul divano se hai caldo.»

Rivolto di nuovo lo sguardo verso di lei, è pietrificata di fronte a me, con gli occhi lucidi e il respiro pesante.

«È successo qualcosa, Regina?» trattengo a stento il braccio che vuole allungarsi verso di lei, per afferrare la sua mano e stringerla.

Fa cenno di no con la testa, prima di prendere un grosso sospiro, fare un passo verso di me e iniziare a parlare.

«Sai Emma, in questi mesi ho cercato in tutti i modi di dirti quanto insieme a te, nonostante me, io mi senta vera.»

La salivazione si azzera. E il cuore... il cuore è, posso paragonarlo a una di quelle palline di gomma che rimbalzano come impazzite per ore.

Tesa e preoccupata, accenna un lieve sorriso, accanto alla sua cicatrice. Io stringo forte i pugni.

«Mi dispiace per quello che è successo la volta scorsa. Mi dispiace averti trattata come una bambina, so bene che non lo sei, insomma guardati» allunga la mano verso di me, facendo un passo avanti e sfiorandomi il viso.

«Sei ciò che ogni madre possa desiderare, ciò che ogni uomo o donna possa volere. Sei forte, sei consapevole delle tue scelte, delle tue capacità, delle tue azioni. Hai racchiuso in te la forza di mille uragani ed è così che mi hai travolta.»

Silenzio.

Continua ad aprire e chiudere le labbra, in cerca di parole che sembrano sfuggirle a ogni presa d'aria.

E dato che a me l'aria inizia a mancare, decido di aiutarla, in qualche modo.

«Regina. Io mi sono imposta di starti lontana, ma anche se non l'avessi fatto, tu mi avresti comunque allontanata. Dagli uragani non si può scappare... quindi al massimo sono stata... una folata di vento» dico convinta.

Con sguardo basso, annaspa alla ricerca di parole che possano contrastare le mie.

La amo.

Eppure non riesco a dimostrarglielo. Amo i suoi difetti tremendamente invisibili agli occhi altrui. Il suo modo di parlare e di fare e quello sguardo che racchiude qualcosa di buono, quel buono che non ha mai incontrato. Siamo vive e siamo qui, dovremmo solo rinascere insieme.

«Cosa hai fatto in questi giorni?»

«Ti ho aspettato, Regina. Non riesco a fare altro che aspettarti ultimamente. E tu?»

Completamente stordita dalla mia risposta, riprende a sorridere.

«Nulla. Ho desiderato tornare qui.»

«Per me?» chiedo timidamente.

«Sì, per te. Tutto quello che faccio è legato a te. Piango per te, rido per te. Ho paura per te. Divento rompipalle per te. Mi trasformo nella peggiore delle mamme apprensive per te, e so che non posso e non voglio nemmeno avere quel ruolo. Mi sono spogliata davvero per te quando ho capito che quelle paure che avevo, con te, facevano meno paura. Ho messo in discussione me stessa per te!» la voce, dapprima sottile e flebile, prende tono.

Le sue mani si stringono come in una preghiera, accanto alle sue labbra. È così bella quando è tormentata.

«Regina...»

«No, tu non capisci. Io ero terrorizzata. Ma concretamente la mia paura l'ho lanciata a te la settimana scorsa quando ti ho quasi obbligata ad attraversare più velocemente un percorso che solo tu potevi costruire, non conosco altro modo di amare le persone, il senso di colpa sta al primo posto, e le persone mi sono accanto perchè vogliono qualcosa da me, sempre. Mia madre voleva i soldi, Robin il mio corpo, invece tu, tu non vuoi niente e io non so gestire rapporti in cui l'altra persona non vuole niente da me se non il mio bene o il mio sorriso o tutte quelle cose belle che si dovrebbero pensare e volere!» si volta di scatto dandomi le spalle, iniziando a piangere.

Stringo le labbra in un ghigno doloroso, dove ricaccio indietro le lacrime che vorrei versare insieme a lei. Sentirla ammettere di non saper gestire questi sentimenti mi fa respirare, mi fa capire quanto il suo interesse morboso per la mia salute sia l'unico modo che conosce per dimostrarmi interesse perchè continua ad aver paura che io voglia qualcos'altro da lei.

In un certo senso è così. Vorrei che mi guardasse negli occhi senza aver paura dell'ennesimo tradimento, vorrei che comprendesse che l'unica cosa che voglio sono i suoi sorrisi. E avremmo tante occasioni per lanciarci addosso paure e sensi di colpa, ma ora, ora, dobbiamo solo stringerci le mani ed trovare la felice consapevolezza di esserci scelte.

Regina, ho incrociato milioni di occhi ma nessuno di questi mi fa sentire a casa come fanno i tuoi.

La osservo dalla mia postazione speciale, postazione che mi ha fatto comprendere quanto nulla sia dovuto o scontato, postazione che credevo di non poter più abbandonare e che a volte mi faceva sentire inutile e assolutamente poco degna di attenzioni. Sono stati mesi difficili e ce ne saranno ancora, ma il viso nascosto dietro le spalle di quella donna di fronte a me era diventato il primo motivo per respirare. Il primo motivo per diventare di più, per dimostrare che potevo essere quello che volevo.

Sposto lentamente le gambe dai poggiapiedi della sedia, che sollevo delicatamente, attenta a non far troppo rumore. Con l'aiuto delle braccia mi metto in piedi e sposto mezzo passo in avanti prima di pronunciare di nuovo il suo nome.

«Regina...»

«Che c'è, Emma!»

Le parole muoiono tra le sue labbra appena si volta e accolgo il suo stupore con un enorme sorriso.

Il suo sguardo vaga irrequieto tra il mio viso e le gambe che inizio a muovere verso di lei.

«No, ferma. Tu cammini, da quando cammini? Perché cammini?» inizia a chiedere senza controllo.

«Shhh» dico io prendendo il cellulare e facendo partire la canzone che lei stessa aveva usato per riportarmi in vita.

Le parole di quella canzone risuonano nella stanza, e lei capisce.

Quando ci divide solo un respiro e i suoi occhi sono ormai un lago di lacrime, riprendo a parlare.

«Buon compleanno, Regina» dico «volevo dirtelo guardandoti negli occhi, volevo rendere speciale questo Natale, il tuo compleanno, la tua vita, per una volta.»

Abbassa le palpebre e due lacrime si lanciano sulle sue guance. Lo sguardo non parla, ma dice tante cose. Il suo sguardo mi ha resa forte e indifesa allo stesso tempo e ho dovuto abbassarlo all'inizio. Ho dovuto imparare a sostenere quello sguardo pieno di dolore e di vita persa dietro a persone che non l'hanno mai meritata. Dietro quel seno e quelle labbra da baciare al sapore di mela si chiudeva sempre a chiave e, una piccola e dispettosa bambina di cinque anni, prendeva forma. Bambina che ha sempre detto no... e che con me ha imparato a dire sì. In realtà aspettava solo un gesto d'affetto, puro, sincero, come una madre che le rimbocca le coperte.

È magia incompresa, e con me, avrebbe capito come usarla questa magia.

«Se vorrai, se saprai vivermi, ti lascerò così tanto di me da sentirmi e sentirti sottopelle anche quando non saremo fisicamente insieme. Se solo ti vedessi come ti vedo io...»

Mi butta le braccia al collo, in un abbraccio liberatorio.

«Ti amo, Emma» dice d'un fiato, mentre il mio cuore si ferma. Solo le sue braccia mi tengono in piedi.

«Come scusa?» chiedo io, incredula allontanandomi da lei quel tanto che basta a guardarla negli occhi.

«Ti amo, Emma. Sono mesi che ti amo ma non avevo il coraggio di dirtelo perché... perché la mia vita ha sempre fatto schifo e non volevo immischiarti nei miei casini. Ma ti sei messa in mezzo a quei proiettili e il tuo coma ha svegliato finalmente il mio cuore... ma dalla canzone che stiamo ascoltando, credo che tu sappia già tutto questo, non è vero?»

Mi ha sedotta. Sono caduta ai suoi piedi come una quindicenne in preda agli ormoni impazziti. L'avevo vista piangere, bere il caffè, disperarsi per Henry, disperarsi per me per poi tornare a fare la donna irraggiungibile. Sono stata, per quasi un anno, un burattino inconsapevole dei suoi sguardi, delle sue mani calde, del suo cuore spezzato. Ora quel cuore l'ha dato a me e avrei fatto di tutto per rimetterlo in piedi e farlo battere nel modo migliore.

«Sì, lo sapevo. Ma volevo che me lo dicessi mentre ero capace di intendere e di volere.»

Stavolta sono io che protrudo le labbra verso le sue per baciarla, concedendomi quel passo che non avevo mai avuto il coraggio di compiere per prima, troppo inibita dal potere che aveva verso di me: quello di rifiutarmi in qualunque momento della nostra conoscenza.

Mi concentro dapprima sul suo labbro superiore, poi su quello inferiore, godendo della liberatoria consapevolezza che d'ora in poi, avrei potuto far mie le sue labbra e tutta lei, quando ne avrei avuto voglia.

Il bacio parte lento e profondo, e così rimane per tutto il tempo, anche quando la spingo, inevitabilmente, nella mia camera. Ogni singolo bottone di quel cappotto che aveva addosso, salta, e lo stesso scivola poco dopo verso il basso, lasciandomi dinanzi una delle visioni più celestiali che mi sia stato concesso di osservare. Le sue labbra, passate sul mio collo, accompagnano il movimento delle sue mani che trovano l'unico piccolo e insignificante bottoncino che tiene insieme il mio vestito, sulla nuca. Così, afferrandolo dalla vita, lo sfila, adagiandolo in un punto a caso della stanza.

Il suo vestito rosso fuoco fa la stessa fine poco dopo. Decido di lasciare esattamente dove sono quelle autoreggenti nere che la rendono ancora più eccitante.

Gambe incatenate, dita intrecciate, occhi incollati.

Le sue dita indugiano in me dapprima inesperte e poi sicure e decise, come se create esattamente per quella parte del mio corpo. Mi concedo a lei, saziandomi per tutto il tempo degli occhi lussuriosi che catturano il suo riflesso nei miei. Vorrei restituire lo stesso piacere ma i miei polsi sono bloccati nella stretta morsa della sua mano sinistra, costringendomi a rimanere inerme sotto il tocco preciso di lei.

L'unica cosa che posso ancora muovere sono le gambe, così ne adagio una tra le sue, avvertendo immediatamente quella inevitabile e piacevole sensazione calda e umida, anche se nascosta ancora dallo slip.

Tortura ancora e ancora i miei seni, talvolta adagiando dei piccoli morsi, talora stimolando i capezzoli con la lingua. Non esiste tortura più piacevole di quella.

Quando sento quel calore familiare montare dentro di me, scatto e inverto le posizioni, eliminando quello slip e sistemando, come la prima volta, le sue gambe dietro la mia schiena.

Così mi prendo, come se fosse la prima volta, la sua parte più preziosa.

Nessuna azione basta a tramutare in concreto quello che provo in quel momento. Ma quando, reso difficoltoso dalla posizione, riprende a sfiorarmi, in quel momento i nostri corpi si irrigidiscono e mi butto sulla sua bocca, soffocando e controllando quei gemiti e sussulti di piacere che ha colto entrambe.

Mi accascio sul suo corpo nudo.

Poi sento una lieve risatina provenire da lei.

Aggrotto la fronte prima di guardarla negli occhi, sostenendomi con entrambe le braccia posizionate ai lati del suo viso. I miei capelli le solleticano il collo.

«Se ti dico una cosa non ci crederai mai» mi dice divertita.

«Non so se avere o meno paura di questa confessione, sai?»

«Bè, allora ti faccio rilassare subito: questo è il terzo orgasmo della mia vita. Il secondo è stato con te, la prima volta... il primo e unico con Robin, quando abbiamo concepito Henry. Poi solo una lunga serie di atti insoddisfacenti.»

Mi racconta questa cosa assolutamente inverosimile col sorriso sulle labbra: è davvero divertita.

Io sono indignata. Come fanno le donne a compiacere in questo modo i loro uomini senza pretendere lo stesso piacere che loro danno?

«Come avrai fatto a sopportare tutto quello che ti ha fatto» aggiungo posando le mie labbra sulla fronte.

«C'era Henry...»

Due parole, un nome.

«Merda, che ore sono???» esclamo improvvisamente, saltando giù dal letto e spaventando letteralmente la creatura che ancora giaceva su di esso. Mi guardo intorno alla ricerca del mio telefono.

«Sono le 7 pm!» sgrano gli occhi e Regina mi imita subito dopo.

«Tua madre inizierà a odiarmi da oggi, immagino!» aggiunge, mentre un po' barcollante tentava di rinfilarsi il suo vestito. Io intanto faccio la stessa cosa, con la differenza che devo poggiare ben saldamente il sedere su una superficie piatta se voglio vestirmi senza rischiare una frattura.

«Ora posso chiederti come stai? Per la gamba, intendo...» chiede titubante.

«Sto bene... ogni tanto cede, ma ogni giorno è sempre più forte. Resisto sempre di più in piedi e mi fa male solo la notte se ho esagerato troppo durante il giorno, tornerò come nuova!»

Di rimando, annuisce sorridendo, prima di allungare la sua mano su cui mi aggrappo per mettermi in piedi.

La bacio. Poi rimango lì a osservarla quel po' che basta per perdere totalmente la ragione.

La amo col cuore, l'anima e le ossa. Senza esitazioni o perplessità, senza paure adolescenziali. La guardo negli occhi e mi accorgo che ho un intero mondo da scoprire e spero mi concederà tutta la sua vita per farlo. Scoprire ogni anfratto angusto e trovare in ognuno quell'angolino di pace creato a posta per me da lei stessa, dove potrò sedermi a contemplarla.

Di fronte allo specchio del bagno si sistema il trucco, mentre io parto da zero.

Quel piccolo frangente di quotidianità mi fa sussultare il cuore. E credo che per lei sia lo stesso, notando il rossore delle sue gote.

Al contrario di quanto io stessa avrei mai immaginato, percorriamo la strada da casa mia a casa dei miei in totale silenzio, scrutandoci di tanto in tanto e rubando lievi carezze alle nostre mani.

Arrivate di fronte alla porta, mi accorgo del suo nervosismo. Il respiro accelerato è una maschera non ben ancorata al suo viso. Così, colta di nuovo dalla consapevolezza della situazione, afferro la sua mano e intreccio le dita con le sue.

Abbassa lo sguardo verso le nostre mani prima di ricambiare la mia stretta.

Con l'unica mano libera afferro il suo mento e la avvicino a me, creando l'ennesimo contatto con le nostre labbra.

«Ti amo anche io, Regina» pronuncio quelle parole quando i nostri occhi si scontrano ancora una volta.

Sorride e il suo respiro si placa, mentre il mio subisce una brusca accelerazione.

Il tempo si ferma per entrambe.

Poi le lancette riprendono a correre.

Le nostre vite stanno iniziando, di nuovo. Con la differenza che ora, per la prima volta, non saremo più schiave del tempo andato.

Mia madre apre la porta e il suo sorriso nel vedermi in piedi sulle mie gambe diventa la ciliegina sulla torta.

Ora il mio Natale è finalmente perfetto.

 

 

Sui nostri rifugi distrutti

Sui nostri fari crollati

Sui muri del nostro tormento,

scriveremo i nostri nomi.

(Paul Éluard)

 

 

 

Note dell'autrice: sono passati cinque mesi dalla pubblicazione del primo capitolo di questa storia e ora siamo giunti al termine. Come per la fine di ogni avventura, la malinconia fa da padrone tra i miei sentimenti, ma sapere che per tutto questo tempo, persone che non hanno la minima idea di chi io sia, mi abbiano aspettato, letto e ammirato, mi conforta molto.

D'obbligo sono i ringraziamenti: Susan, pazientissima e meravigliosa (come dice lei U_ U ) compagna di vita, senza la quale probabilmente non sarebbe iniziata nemmeno la stesura di questa storia. È corretto informarvi che le frasi più difficili, belle e romantiche, nascono pensando a lei, ai suoi occhi e a tutto quello che ogni giorno mi regala.

Al secondo posto, non meno importante, Nadia, maestrina dalla penna rossa, beta di fiducia, che mi ha insegnato quando e dove mettere le virgole e che, a ogni capitolo, lasciava degli spassosissimi mini commenti in rosso che mi facevano sbellicare dalle risate! Dovrei lasciare anche la versione con i suoi commenti le prossime volte! :D

AnnaRita, figlia acquisita, meravigliosa neolaureata a cui “regalo un sorriso a ogni capitolo”, parole sue. Sai che c'è? Sei tu che lo regali a me quando ti emozioni come vorrei che succedesse! <3

Grazie ai puntuali e biblici commenti di Francesca, che prima o poi dovrà iniziare a scrivere, so che ne avrebbe le potenzialità, ma le piace troppo leggere e commentare per schiodarsi da questo ruolo!

Ci sono una serie di recensori abituali che vorrei ringraziare uno ad uno, ma sono certa che leggendo, capirete di chi parlo. Ogni vostra parola mi spinge a fare di più e meglio, quindi grazie per aver speso del tempo con me in questi cinque mesi.

Spero di potervi allietare presto con una nuova long ma, in attesa di questo, mi piacerebbe che il coraggio di queste due donne venisse trasmesso anche a voi, perché a me di coraggio ne danno tanto.

Grazie a tutti, a presto!

  
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: martaparrilla