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Autore: Pervinca95    25/09/2016    9 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo 1 

















Un vento caldo sferzava l'aria pesante, il sole riluceva come una palla di fuoco, il cemento corroso dalle intemperie bruciava al tatto. 
Gea lo sentì quando i suoi palmi ci si schiantarono in seguito ad un'improvvisa caduta. Le gambe non l'avevano sorretta quando le dita di Deimos le avevano lasciato il gomito con un rapido scatto. 
I capelli le erano ricaduti sul viso, appiccicandosi lungo la linea del collo sudato. Teneva le labbra dischiuse per respirare affannosamente, gli occhi ben aperti per la paura, la pupilla dilatata. 
Sentiva la testa vorticare come un ciclone, le tempie pulsare dolorosamente, lo stomaco contrarsi per gli spasmi. Avrebbe voluto vomitare, ma non ci riusciva. Ogni più sottile muscolo si era congelato alla nomina dei due elementi che si stavano avvicinando. 
Di minuto in minuto percepiva la paura solidificarsi ed appesantirle le spalle. 
Una mano forte e larga le agguantò un braccio e la costrinse a staccarsi da terra con uno strattone. Quando si rialzò in piedi, i suoi occhi ambrati offuscati di terrore vennero racchiusi entro due laghi di zaffiro ardente. 
La marmorea mascella del ragazzo era contratta come una morsa, la sua espressione talmente rigida da assomigliare a quella di una statua: fredda, insensibile, impassibile. 
Eppure una nota stonava in quel quadro di brutale glacialità. Una nota che più precisamente vibrava in quelle iridi blu scintillanti. I suoi occhi si muovevano lungo il viso della ragazza come una carezza non data a mano, come per imprimersi nella mente il fatto che lei fosse ancora lì. 
Alzò lo sguardo oltre la sua testa con la celerità di un puma, incagliandolo su una macchina poco distante. 
Strinse l'avambraccio di Gea e la trascinò con sé mentre si recava al suo obiettivo, il passo sostenuto di una marcia militare. Teletrasportò entrambi dentro l'abitacolo, lanciò il lenzuolo che conteneva alcuni viveri nei sedili posteriori ed allungò le mani sotto al volante per armeggiare coi cavi. 
Secondo dopo secondo, la paura della giovane si diffondeva come un manto di nebbia all'interno dell'auto. Deimos ne percepì il sapore acre, quasi di bruciato, sulla punta della lingua. 
Il motore si avviò con un ruggito ascendente, incombendo sul pressante silenzio. 
Il ragazzo impugnò il volante, immise la retromarcia e successivamente schiacciò sull'acceleratore. 
Gea osservò con nostalgia l'insegna sudicia e pericolante del pub dove aveva seguito Deimos una sera. Le sembrava che fosse trascorsa un'infinità di tempo da quel giorno. 
Ogni ricordo di quel momento le ripassò nella mente come una diapositiva, facendole pizzicare il naso ed inumidire le grandi gemme ambrate. 
Dischiuse le labbra per emettere un leggero sospiro spezzato, mentre le case, le strade, gli alberi e le persone sfrecciavano oltre il finestrino. Ed in quel momento le parve che ogni cosa che perdeva di vista le stesse anche sfuggendo di mano. 
Il cuore le si strinse dal dolore.
Mai come in quella circostanza si rese conto che in quel posto non avrebbe messo più piede, che la sua vita, proprio come quella macchina, stava sfrecciando ancora una volta oltre per non tornare più indietro. 





                                                                      *  *  *





Le distese di roccia confinanti con l'autostrada si stendevano per miglia. Il sole le baciava con i tiepidi raggi serali sullo sfondo di un cielo arancione screziato di sfumature vermiglie. 
L'arida terra rifletteva quei colori caldi sul proprio suolo, mentre la brezza mite faceva agitare gli arbusti rinsecchiti che coesistevano con l'ambiente brullo. 
Gli occhi di Gea seguivano distrattamente quello scenario dal finestrino. La sua mente era un groviglio di pensieri, timori, supposizioni e dubbi che s'intersecavano tra loro generando labirinti bui. 
Ogni riflessione la faceva svoltare in un nuovo cunicolo cieco, colmo di punti interrogativi per i quali non possedeva risposte certe, se non speranzose congetture.
Aveva talmente tanta paura da non riuscire a muovere un solo muscolo. 
Da quando erano partiti, due ore prima, non si era ancora mossa dalla prima posizione assunta. Le gambe le dolevano per quella rigidità forzata, così come le braccia, il collo, la schiena. Il suo respiro era leggero e calcolato, come se temesse che facendo troppo rumore uno degli elementi avrebbe potuto avvistarla. 
Un pensiero, fulmineo come una lepre, le corse ai genitori. Avrebbe desiderato sentirsi sussurrare nell'orecchio che andava tutto bene, che loro erano al suo fianco e che non l'avrebbero mai abbandonata. E così si immaginò stretta nell'abbraccio di sua madre e suo padre, un abbraccio tanto caloroso quanto protettivo che non aveva mai ricevuto, ma che aveva sempre agognato. 
Ricordò quelle poche volte che sua mamma le aveva accarezzato i capelli con il cuore stretto in una trappola malinconica. 
Erano ricordi che custodiva come scrigni preziosi all'interno della sua memoria, che la confortavano nei momenti più tetri e solitari. 
Ma, malgrado tutto, sapeva di non essere sola. 
Voltò lentamente la testa e risalì con lo sguardo fino al profilo severo di Deimos, i cui spietati occhi erano incastonati sulla strada.  
Il braccio con cui stringeva il volante era teso ed immobile, i muscoli allungati e sodi come le forme scolpite in una statua di marmo. 
I capelli neri erano smossi dal filo d'aria che penetrava dal finestrino leggermente abbassato. Le ciglia scure quanto il petrolio incorniciavano due zaffiri impenetrabili. 
Il cuore della ragazza incrementò la rapidità dei battiti. 
Si schiarì piano la voce e raschiò la gola con un leggero colpo di tosse. Persino le corde vocali le si erano pietrificate. << Perché non ci teletrasportiamo subito? >> chiese con una profonda nota d'ansia. 
Deimos tacque per dei secondi, poi diede un colpo secco al cambio e superò una macchina. << Devi far sparire la tua traccia progressivamente. Quando saremo abbastanza lontani ci teletrasporteremo altrove. A quel punto saranno disorientati e ricominceranno a darti la caccia. >> 
Quelle ultime parole fecero scendere dei brividi sia sulla fronte che sulla schiena della ragazza. << Che cosa ci ricavo io? >> 
<< Tempo >> rispose secco Deimos. 
Gea osservò la linea marcata e ferrea della sua mascella, dopodiché corrugò la fronte ed assottigliò lo sguardo. << Non hai risposto alla prima domanda >> constatò con sospetto.
<< L'ho fatto >> replicò lui, mantenendo la sua espressione granitica. 
La ragazza rimase in silenzio, gli occhi incastonati sul giovane. 
C'era qualcosa che le aveva omesso volontariamente, in qualche strano e confuso modo lei lo percepiva. 
Qualcosa che aveva a che fare coi due elementi. 
Eppure, se le aveva confessato di non averli mai visti cosa poteva conoscere sul loro conto che già non le avesse riferito? 
Sgranò impercettibilmente gli occhi mentre un presentimento si faceva largo nella sua mente. << Loro non sanno di te >> mormorò. 
Lo sguardo di Deimos rimase immutato. << Sanno che esisto. Ogni elemento è a conoscenza della mia esistenza, anche se il mio potere non è percepibile. >> 
<< E come fanno a sapere della tua esistenza? >> domandò la ragazza, corrugando la fronte. 
Il giovane spostò gli occhi dal cemento scuro e li puntò su di lei, le sopracciglia sollevate. << Tu come fai a sapere che nell'aria è presente ossigeno se non puoi vederlo? >> Cambiò la mano con cui impugnava il volante in contemporanea al movimento dei suoi zaffiri sulla strada. << Ogni elemento viene a conoscenza di me istintivamente. Di solito succede dopo che la trasformazione si è stabilizzata >> spiegò con tono autoritario. 
Gea allungò le gambe, avvertendo un istantaneo sollievo alle articolazioni. Immise le mani tra le cosce ed abbassò la testa per osservarle, assorta nei pensieri. << Se il tuo potere non è percepibile, loro non sanno che sei con me >> constatò riflessiva. << E a rigor di logica non sanno neanche che il tuo secondo potere è il teletrasporto, giusto? >> Alzò il capo e rivolse lo sguardo su Deimos. 
Sentiva di essere estremamente vicina al reale motivo, quello che vigeva sotto tutto il resto, per il quale lui non voleva che scomparissero da quel posto immediatamente. 
Il ragazzo rimase taciturno per una decina di secondi. << Non lo sanno >> ammise infine, sollevando il mento. 
Un piccolo sorriso si fece spazio sulle labbra di Gea. << Quindi se noi scomparissimo all'improvviso loro sospetterebbero che ho un potere in più rispetto a quello derivante dal mio elemento. E con molte probabilità mi darebbero subito la caccia, mettendo a soqquadro ogni stato per rintracciarmi >> ipotizzò, un sopracciglio sollevato in una muta sfida. 
La mascella del ragazzo si contrasse, le sue dita si strinsero con più vigore attorno alla pelle nera del volante. 
<< Invece se il mio potere svanisse progressivamente fino a scomparire del tutto, loro non sospetterebbero nulla. In questo modo, dopo esserci teletrasportati, avrei più tempo per allenarmi. >> Il sorriso di Gea si estese. << È questo il reale motivo per cui non vuoi che ci dileguiamo subito. Temi che potrei diventare un bocconcino ancora più appetibile per quei due. >> 
<< M'importa solo del tuo elemento >> ribatté spiccio lui, il tono brusco e distaccato. 
La giovane continuò ad osservarlo senza perdere il sorriso. Sapeva che stava mentendo, lo aveva intuito dalla sfumatura rabbiosa presente nella sua voce. Ormai aveva imparato a riconoscere la tonalità che assumeva quando si sentiva messo con le spalle al muro dalla verità. 
Con un leggero sospiro, deviò lo sguardo sulla lunga distesa di terra rocciosa fuori dal finestrino. Il sole sembrava renderla infuocata, una sorta di brace ardente priva di fiamme. Le ombre delle montagne si allungavano come arti protettivi sul suolo arido, abbracciando sassi e cespugli spinosi. 
<< Dove siamo diretti? >> chiese a bassa voce. 
Da quando si erano messi in marcia, non aveva prestato molta attenzione ai cartelli lungo la strada. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero. 
<< Dubois, Wyoming. >> Il tono basso e profondo del giovane la fece voltare. 
Ne sapeva quanto prima. Non aveva mai sentito pronunciare quella città prima di allora. 
<< Dov'è di preciso? E quanto ci metteremo a raggiungerlo? >> 
<< È al confine con l'Idaho. Ci vorranno quasi quattro ore per arrivarci. >> 
Gea lasciò andare la nuca contro il sedile e sospirò stancamente. Sebbene la notizia di passare altre quattro ore seduta non la entusiasmasse, preferiva di gran lunga sopportare quella piccola pena che trovarsi ancora vicina ad acqua e fuoco. 
La paura che le spuntassero alle spalle da un momento all'altro le faceva bloccare il respiro in gola. Più miglia avesse messo tra lei e quei due, più si sarebbe sentita tranquilla, ma non al sicuro. Quello era un privilegio di cui non godeva più. 





                                                                      *  *  * 





Oltre il finestrino imperava il buio. Il paesaggio naturale dormiva dentro la coltre di oscurità umida e pesante, nascosto agli occhi stanchi di Gea. 
Da quando il sole era scomparso all'orizzonte, la ragazza aveva tenuto la mente impegnata a contare i minuti in attesa che l'orologio digitale dell'auto registrasse il trascorrere del tempo. 
Ogni tanto si era soffermata a scrutare la posa di Deimos, ed ogni volta aveva provato il desiderio di passargli una mano tra i capelli. Eppure non lo aveva fatto neanche una volta. Si era sempre trattenuta, costringendo il suo braccio a non muoversi. 
In quel modo si erano susseguiti i minuti e le ore. 
Gea decretò che mancassero ancora trenta minuti prima del loro arrivo a destinazione non appena l'orologio segnò le 9 e 25 di sera. 
A quel punto appoggiò le sue spossate gemme ambrate sul ragazzo, il cui sguardo era vigile sulla strada illuminata dai fanali. 
<< Percepisci ancora distintamente i loro poteri? >> gli chiese mentre un brivido freddo le scuoteva le spalle. 
Deimos alzò il mento come per sgranchirsi il collo. << Con meno intensità. >> 
Gea si sporse in avanti, le mani giunte in apprensione. << Che significa? Che sono distanti o che mi stanno inseguendo? >> 
<< Entrambi >> tagliò corto lui, lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore. 
Il cuore della ragazza riprese a battere ad un ritmo incalzante. 
Si sfregò le mani ed inumidì le labbra tutt'a un tratto secche. I muscoli delle gambe le si erano contratti ed irrigiditi come se nelle vene le stesse scorrendo ghiaccio. << Potrei... potrei fermare il tempo, darci un vantaggio e seminarli prima che... >> 
<< No >> la interruppe perentorio Deimos. << Consumeresti energia ed avresti bisogno del tuo punto alfa prima ancora di esserti allontanata dal raggio di percezione di acqua e fuoco. >> 
Gea emise un lungo sospiro dal naso e riattaccò la schiena al sedile. Deimos aveva ragione. Se non potevano teletrasportarsi, lei sarebbe morta per la scarsità di energie. Avrebbe dovuto utilizzare il meno possibile i suoi poteri, soprattutto quelli che non concernevano col suo elemento. Aveva infatti notato che elettricità, la facoltà curativa e quella di fermare il tempo, le risucchiavano le forze con maggiore rapidità. 
In poche parole non poteva far altro che scappare. Quella era l'unica scelta che aveva fin quando non si fossero teletrasportati altrove. 
Inclinò il capo ed osservò il ragazzo per del tempo. 
Se in tutta quella situazione doveva trovare qualcosa che le facesse sfiorare un minimo di rassicurazione, era proprio la sua presenza, il fatto di sapere che lui le fosse al fianco. In un certo senso le trasmetteva una sensazione di protezione. 
Ancora una volta, mentre ricalcava con gli occhi ogni tratto del suo volto, mentre ascoltava il suo respiro regolare e mentre si chiedeva che pensieri stessero sciamando all'interno della sua mente, provò l'impulso di alzare una mano ed accarezzargli i capelli. 
Il cuore iniziò a tamburellarle al ritmo della marcia turca, le guance le presero colore, il suo braccio si sollevò dalle gambe e dirottò verso il ragazzo.  
Quando i suoi polpastrelli incontrarono alcune soffici ciocche nere, il cuore rischiò di scapparle dal petto per l'audacia di quel gesto. 
Gli occhi di Deimos si dilatarono impercettibilmente per la sorpresa, poi la sua espressione tornò ad essere tanto imperscrutabile da mascherare la frequenza con cui il suo cuore aveva preso a picchiare. Una parte dentro di lui era tentata di scostare il capo e scacciarle la mano, un'altra, invece, desiderava godersi quella strana carezza che gli scatenava emozioni tutt'altro che familiari. 
Strinse il volante, in lotta con se stesso. 
Gea deglutì, emozionata per il semplice fatto che lui non l'avesse ancora allontanata. Le sembrava quasi impossibile che le stesse permettendo d'invadere la sua spessa corazza. Così, animata dal coraggio e dall'adrenalina, sostituì la timorosa delicatezza con cui lo stava sfiorando con un tocco più deciso, passando le unghie tra alcuni ciuffi al fine di disciplinarli. 
Deimos, ancora una volta, non si scostò. 
<< Sei stanco? >> gli chiese in un timido sussurro, lo stomaco in subbuglio. 
Il giovane non sviò lo sguardo dalla strada. << No. >> 
Gea lo fissò in silenzio. 
Sapeva che stava mentendo. Era stanco tanto quanto lei, forse di più. Dopotutto erano in auto da oltre cinque ore, le brevi soste agli autogrill non avevano fatto altro che dilatare il tempo di marcia. 
Lasciò ricadere la mano e se la portò in grembo, dopodiché allungò lo sguardo oltre il finestrino nella speranza di vedere qualche luce in lontananza. 
Per il restante tragitto, nell'auto non volò una mosca. Solo il persistente rombo del motore tenne compagnia ai pensieri di Gea, che fluttuavano come pulviscoli nell'aria da una questione all'altra. 
Quando si accorse che Deimos aveva imboccato l'uscita dell'autostrada, si rizzò sul sedile e si sporse in avanti per scrutare l'oscurità con attenzione. 
Circa una decina di minuti più tardi, i suoi occhi scorsero dei lampioni ai limiti di una strada su cui affacciavano varie abitazioni. Ogni lampione, simile ad un fantasma ricurvo, gettava un fascio di luce giallognolo sul marciapiede semideserto. Le case erano per lo più costruite in legno scuro, i tetti spioventi e le verande segnate dal clima. Ad ogni metro spiccava una qualche insegna dai colori sgargianti e dalle forme più varie che invitava i clienti ad entrare. 
Prima che potesse chiedere al ragazzo se fosse quello il posto giusto, le sue gemme ambrate misero a fuoco un cartello su cui era scritto il nome del paese: Dubois. 
Proseguirono lungo la via per altri metri, rallentando man mano che si allontanavano dal centro cittadino. 
<< Cosa stiamo cercando di preciso? >> Gea si voltò a guardare il ragazzo interrogativa. 
Gli zaffiri di Deimos, nel contempo, stavano scavando dentro l'oscurità fievolmente illuminata. << Una strada dove sostare che sia nascosta >> rispose conciso. 
<< Forse dovremmo superare questo paesino per trovarne una >> ipotizzò lei, stringendosi nelle spalle. 
<< Non ho chiesto il tuo parere. >> 
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto. << Ed io non ho bisogno del tuo permesso per parlare. >>
Le labbra di Deimos si stirarono in un lieve sorrisetto sfrontato. << Sarebbe meglio se tu lo avessi. Eviteresti di dire cose scontate. >> 
<< Mai quanto le tue >> ribatté lei, alzando le mani come per metterle avanti. Immediatamente dopo gli scoccò un'occhiataccia. << Cinque ore di macchina ti hanno reso più odioso del solito, la prossima volta prendiamo il treno, magari ti addolcisce. >> Incrociò le braccia sul petto ed accavallò le gambe nude, per poi inchiodare lo sguardo sulla strada. I nervi le ribollivano sottopelle. 
Deimos lanciò un'occhiata alle sue gambe, un sorrisetto compiaciuto gli increspava gli angoli della bocca. 
Cinque minuti più tardi, dopo essersi distanziati da Dubois, il ragazzo imboccò una strada sterrata contornata da distese di terra brulla. La percorse per svariati metri, fin quando non adocchiò uno slargo in cui sostare. 
Spense la macchina ed aprì lo sportello per far entrare aria fresca, dopodiché smontò per sgranchirsi le gambe. 
Gea accompagnò con la coda dell'occhio i suoi movimenti, alla fine si decise a seguire il suo esempio e a scendere dal mezzo. 
La brezza fresca le raffreddò la pelle, trasmettendole una piacevole sensazione. 
Alzò il capo al cielo, ammirando il suo blu profondo arricchito da punti luce sparsi secondo le costellazioni. Inspirò a pieni polmoni ed immise le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini di jeans. 
Il pensiero che anche acqua e fuoco si trovassero sotto quella sublime vastità le fece accapponare la pelle. Così abbassò lo sguardo e scalciò alcuni ciottoli sulla strada. 
Esattamente come stava facendo con quei sassolini, avrebbe voluto fare con i due elementi che le davano la caccia. Lanciarli lontano e non provare più terrore per la loro presenza. 
Si abbracciò in un gesto protettivo, sospirò piano e risalì in macchina. 
Con delle lente ed impacciate manovre, fece slittare all'indietro il sedile e lo reclinò in modo da potersi distendere. Appoggiò i piedi sul tessuto consunto ed estese il suo raggio visivo oltre il tergicristallo, precisamente sul ragazzo seduto sul cofano. 
Esaminò la linea della sua schiena muscolosa, risalì sulle spalle, poi sui capelli corvini che seguivano il volere della fresca brezza notturna. 
Incuriosita come ogni altra volta, si chiese che cosa stesse pensando e se, magari, in quelle riflessioni tanto nascoste lei possedesse un piccolo ruolo. 
Distolse bruscamente lo sguardo non appena lui si mosse dal posto e procedette verso lo sportello. Finse di studiarsi le gambe con interesse mentre le sue orecchie captavano il rumore del sedile accanto che scivolava verso quelli posteriori e si reclinava. E poi, quando con la coda dell'occhio vide che il giovane si era disteso, provò un'ondata d'imbarazzo, la tensione emozionale che le ingarbugliava lo stomaco. 
Sebbene avessero già dormito assieme, quell'occasione le pareva più intima. Probabilmente perché si trovavano chiusi nello stretto spazio di una macchina, o forse perché sopra le loro teste le stelle sembravano fare da silenziose spettatrici. Qualunque fosse il motivo, le faceva battere furiosamente il cuore. 
Si schiarì la voce e distese le gambe. << Buonanotte >> mormorò. 
Gli occhi di Deimos le furono immediatamente addosso. << Non eri arrabbiata? >> domandò con tono derisorio. 
Gea strinse i denti mentre il suo sguardo si affilava. << Grazie per avermelo ricordato. Buonanotte. >> Si raggomitolò su un fianco in modo da dargli le spalle e racchiuse le mani sotto ad una guancia. 
Per una quantità di tempo inesorabile non si mosse, gli occhi sempre ben aperti malgrado la stanchezza. 
Aveva sonno, eppure il suo cervello non pareva intenzionato a mollare la presa sui pensieri spiacevoli. Le sue preoccupazioni rimbalzavano senza sosta tra i due elementi, i suoi genitori e le amiche che aveva abbandonato senza uno straccio di spiegazione. Poteva sentire la loro delusione fin da lì. 
E poi il pensiero di acqua e fuoco si faceva risentire con marcata prepotenza, accendendo la miccia della paura in lei. 
Chiuse gli occhi provando a calmare il turbinio interno che la assillava. Quando li riaprì, emise un flebile sospiro carico di spossatezza. 
<< Deimos ho paura >> confessò piano. 
Il ragazzo rimase in silenzio, gli zaffiri fissi sul tettuccio sgualcito. << Lo so >> asserì con un tono basso e profondo. Esattamente come era successo per quasi tutto il giorno, percepiva il suo terrore estendersi nell'aria similmente ad una nube di fumo. 
Inclinò il capo per guardarla in contemporanea ai movimenti di lei per girarsi dalla sua parte. 
I loro occhi s'incastrarono come maglie di una catena. La fioca luce della luna proiettava il suo pallido bagliore su un lato dei loro volti, celando il resto nel buio.
Gli zaffiri di Deimos si mossero sul viso della giovane. Ne colsero i segni della stanchezza e della paura, come anche la lucidità afflitta delle iridi castano chiaro. 
Gea calò timidamente lo sguardo sullo spazio che divideva i sedili. Lo fissò in silenzio, mentre nella mente le sciabordavano miliardi di pensieri come onde di un mare tempestoso. << Non sarò mai pronta per uno scontro con loro, neanche se mi dovessi allenare giorno e notte per un altro mese. Saranno sempre dieci gradini al di sopra di me. >> Si morse un labbro per arginare le lacrime che le stavano salendo agli occhi. 
Si sentiva rinchiusa in una trappola mortale. Una trappola dalla quale alla fine sarebbe uscita per trovarsi faccia a faccia con la morte. Era scontato che lei, con le sue sole forze, non avrebbe mai potuto annientare acqua e fuoco. Neanche con l'aiuto di Ninlil. 
Ed intanto scappava, trottando da uno stato all'altro per allungare i suoi giorni. 
<< So di... >> La voce le vibrò pericolosamente. << Di avere i giorni contati. >> 
Quelle parole colpirono il ragazzo nello stomaco, diffondendo un caotico e pungente rimescolio all'interno del suo corpo. Una miccia di nervosismo gli fece serrare la mascella e chiudere le mani in due pugni. Subito dopo le rivolse un'occhiata lapidaria fomentata dalla rabbia. << Piangiti ancora addosso, umana >> sputò sprezzante. << Non ti ho mai vista fare altro >> aggiunse prima di aprire lo sportello con impeto ed uscire fuori. 
Gli occhi di Gea si spalancarono come fanali per quella reazione. Ma ben presto la sorpresa venne schiacciata e spazzata via dalla furia e dal risentimento. 
Non si meritava quel trattamento. Al contrario, avrebbe desiderato una parola di conforto, un barlume di speranza in un mare di concrete negatività. 
Ed invece che cosa otteneva? Cattiverie, solo cattiverie ingiustificate. 
Smontò di macchina e conficcò lo sguardo sulla schiena del giovane. << Non sei tu quello che ha due assassini alle calcagna >> tuonò adirata. << Credi che non sappia di essere la più debole fra i quattro elementi? Credi che pensare alla mia morte mi renda felice? >> Ad ogni parola il suo tono si alzava per la disperazione. << Come fai ad essere così insensibile? >> lo accusò scuotendo il capo, le gemme ambrate assottigliate per lo sforzo di capire. 
Deimos le lanciò un'occhiata indifferente da sopra la spalla. << Hai finito? Sei patetica >> concluse con spietata durezza. 
La ragazza strinse i denti per la rabbia, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. 
I ciottoli sul terreno presero a rimbalzare come palline di gomma, i cespugli nascosti nell'oscurità si dimenarono come anguille. 
Non aveva nessuno che la comprendesse. Era psicologicamente sola, le uniche parole di conforto le otteneva da se stessa. 
Girò i tacchi e rimontò in macchina, sbattendo lo sportello con foga. Si distese su un fianco e si urlò nella mente tutto ciò che avrebbe voluto gridare al cielo, a Deimos, alla sua famiglia e a se medesima. 
Deimos alzò il naso alla volta celeste per il rumore di un tuono in lontananza. Al di sopra delle nubi scure si articolavano serpenti blu di elettricità. Schizzavano da una parte all'altra come dardi, per poi disperdersi nel vuoto e rigenerarsi. 
Non si interrogò su chi fosse l'artefice inconscia di quello spettacolo. I suoi occhi raggiunsero la figura esile della giovane. La esaminarono per dei secondi, come se si fosse trattato di un intricato labirinto dal quale non riusciva a sfuggire, infine si decise a rientrare nell'auto. 
Si sedette ed adagiò gli avambracci sulle gambe, lo sguardo tagliente proiettato oltre il tergicristallo. << Smettila, umana >> sibilò, infastidito dall'atteggiamento scontroso della ragazza. 
Gea scattò a sedere e girò il capo per infilzarlo con gli occhi. << Siamo tornati all'umana? Ho un nome, accidenti! >> sbottò alzando le mani al cielo. 
Il rombo di un tuono fece tremare il cofano della macchina. 
Deimos la fissò impassibile. << E quindi? >> L'intensità con cui la stava guardando si fece micidiale. << Sei soltanto un'umana che muore dalla paura, debole sotto tutti i punti di vista. >> 
<< È questo quello che pensi? >> lo fronteggiò lei a testa alta. 
Lui alzò un sopracciglio. << Non è forse quello che hai detto tu poco fa? >> 
A quel punto gli occhi della ragazza si dilatarono. Non capiva dove lui volesse arrivare, eludeva le domande più importanti per riportarle su di lei. 
Sviò dal suo sguardo e scagliò il proprio verso l'oscurità. << È una colpa avere paura? >> chiese, il nervoso ancora pregnante nel tono. 
Deimos si distese e trasportò le braccia dietro la nuca. << È una debolezza da dominare >> dichiarò freddo. << Ma tu, evidentemente, non ne sei capace >> aggiunse con una leggera sfumatura di scherno. 
Le stava dando dell'incapace, ancora. Dopo tutto quello che avevano condiviso e vissuto insieme giorno per giorno, lui marcava ancora su quella parola così dolorosa per le sue orecchie. 
Le gemme ambrate le si riempirono di lacrime, ma non permise loro di solcare il confine. Ed intanto le nuvole si addensavano, si agitavano come intrappolate mentre fiordi di scariche elettriche le ammantavano. 
<< Che fai? Piangi? >> Il tono derisorio, pregno d'insensibilità, del ragazzo fu la goccia che fece traboccare il vaso. 
Avvenne tutto in poche frazioni di secondo. 
Tre fulmini squarciarono il panorama deserto, mentre lei si voltava per colpire il giovane con un pugno. Ma lui la bloccò. I loro occhi s'incatenarono. Le afferrò con decisione l'avambraccio e la teletrasportò a sedere sopra di sé. Il colore caldo della terra presente nelle iridi di Gea si mescolò a quello freddo delle profondità dell'oceano negli zaffiri di lui. 
Il silenzio si riempì dei loro respiri: quello affrettato della giovane e quello calmo di Deimos. 
Poi lui allungò un braccio verso il viso di lei e le strinse il mento tra le dita per avvicinarla a sé. << Non hai tempo per essere debole >> sibilò, il tono affilato come una lama. << È tempo di avere coraggio. >> Lo sguardo gli divenne duro quanto una pietra, ma in compenso allentò la stretta attorno al suo avambraccio. << Quello che hai avuto finora. >> 
Bastarono quelle ultime parole, quella piccola confessione concessale per farle dimenare il cuore. Era come venire a scoprire un pensiero che si era fatto su di lei. 
Adesso sapeva che col tempo lui aveva iniziato a reputarla coraggiosa, mentre lei si era sempre considerata una vigliacca. Erroneamente. 
Come aveva sbagliato a ritenersi dieci gradini inferiore ad acqua e fuoco. Ricadeva sempre nell'errore di non stimarsi all'altezza di nulla, forse per abitudine, forse per mancanza di fiducia in se stessa, quando invece avrebbe dovuto credere nelle sue potenzialità e non compararsi agli altri. 
E probabilmente quel ragazzo dagli zaffiri più misteriosi che avesse mai visto, aveva pugnalato e condannato ogni sua debolezza per farle rinnegare ciascuna di quelle, come se non le appartenessero. 
Mantenne ancora lo sguardo incollato al suo, poi allontanò il mento dalla sua mano e, con lentezza, si distese sul suo corpo. 
<< Che fai? Togliti >> le ordinò Deimos, mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla. 
<< No, adesso rimango qui >> ribatté la giovane, un piccolo sorriso si fece largo sulla sua bocca. 
Le nubi arrestarono il loro frenetico dimenarsi, l'elettricità che le avvolgeva si dissolse nell'aria con una spirale di fumo bluastro. 
Il ragazzo si soffermò a scrutare l'espressione più rilassata che addolciva i tratti del volto di Gea. E mentre lei adagiava una mano sul suo petto e chiudeva gli occhi, lui, spinto da un impeto di desiderio, risalì con le dita lungo il suo fianco, lentamente, mantenendo il palmo bene aperto per toccarle la schiena. Alla fine depose mollemente la mano sul suo fianco, le dita sospese nel vuoto. 
Espirò tra i suoi capelli e rimase ad osservarla fin quando non sentì il suo respiro farsi più lento, non vide le sue labbra dischiudersi e la sua espressione mutare in quella di una bambina indifesa. 
Poi spostò lo sguardo sul tettuccio dell'auto, chiuse gli occhi, il calore del corpo di Gea che lo avvolgeva come una coperta. 
Il sonno arrivò a passo felpato, s'intrufolò tra due cuori che battevano all'unisono, mescolò i loro respiri, decretò la pace. 
 
  
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