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Autore: Mrs Montgomery    13/01/2017    6 recensioni
Piemonte, 1778.
Il duca Andrea Pietrarossa fa ritorno in patria. In seguito alla morte del padre deve occuparsi degli affari in sospeso e questo lo conduce dal marchese Guerra, il quale è in procinto di risposarsi con un’amica d’infanzia del duca. Alla tenuta del marchese incontrerà Giulia, sua figlia, appena tornata da un lungo soggiorno a Verona.
Giovane, ostinata e dall’anima ribelle, Giulia si scontrerà con l’altezzoso duca, sebbene egli si dimostrerà l’unica persona in grado di aiutarla nella ricerca della libertà.
Malate passioni, verità nascoste, feste mondane e perfidi intrighi uniranno lo sfrontato duca Andrea Pietrarossa e l’indomita Giulia Guerra fino a far sbocciare quel potente sentimento che abbatte ogni ostacolo.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Il fiore sabaudo



Capitolo 1
L'ombra del passato

 

Il piccolo borgo piemontese pullulava di persone comuni. Ognuno era indaffarato nel proprio compito. Alcune donne stavano prendendo l’acqua dal pozzo, tre bambini giocavano a schizzarsi addosso l’acqua della fontana e i servitori entravano e uscivano dalle botteghe rifornendosi di ciò che necessitavano.
L’arrivo della primavera aveva reso allegri anche loro, sebbene vivessero in condizioni modeste e il denaro non pareva bastare mai. Tuttavia un evento insolito attirò gli sguardi dei paesani che si presero una pausa dai loro compiti. Questo evento entrò nel borgo a suon di zoccoli e dello scricchiolio di una gran carrozza in movimento. Era certamente insolito osservare un mezzo così lussuoso, che solamente i nobili dei dintorni possedevano. Il quesito di molti fu il seguente: Chi poteva mai scendere tra la povera gente?
Domanda lecita.
D’altronde i nobili che frequentavano l’osteria giungevano a cavallo. Coloro che desideravano far visita ai marchesi Guerra non si sarebbero mai presi la briga di far attraversare la propria carrozza in mezzo agli straccioni, piuttosto prendevano la strada più lunga. Eppure qualcuno era lì.
Il serio cocchiere arrestò la carrozza vicino alla piazzetta, in un piccolo spiazzo, dove le grida felici dei bambini infestavano l’atmosfera del borgo. Il paggio si sistemò velocemente la livrea e scese dal mezzo per andare ad aprire la portiera e ad abbassare il gradino mobile, cosicché la sua padrona non scivolasse durante la propria scesa. Le porse le mano aiutandola e così tutti videro chi era quella nobile che desiderò passare per il borgo.
Inutile aggiungere che le pettegole del paese cominciarono a bisbigliare, mentre i loro sguardi attenti erano fissi sulla sua minuta figura. La nobile sospirò non appena i suoi piedi toccarono il suolo. Trascorse i primi brevi istanti a bearsi di quell’aria fresca, che le carezzava la pelle chiara come per darle il bentornato nella sua terra. Credeva a stento di essere veramente tornata a casa.
«Mia signora, desiderate essere accompagnata?»
«No, aspettatemi qui».
La giovane iniziò ad incamminarsi all’interno del borgo, osservandone ogni angolo e sorridendo a coloro che le mostravano una riverenza in segno di rispetto. Sebbene non molti riconobbero la sua vera identità, bastava vedere come fosse agghindata per capire a che rango appartenesse. La ragazza non si stava muovendo alla cieca, c’era un luogo ben preciso in cui desiderava recarsi e un fatto a lei gradito fu di non notare alcun cambiamento dall’ultima volta in cui v’era stata.
L’unica tappa imprevista fu al carretto di un panettiere, dove comprò qualche panino ancora caldo e poi riprese la sua passeggiata.
Non si curava minimamente del fatto che il suo abito stesse strascicando sul suolo non poi così lindo. Molti suoi pari avrebbero avuto da ridire.
La nobile fanciulla si fermò di fronte alla bottega del fabbro. Un ampio sorriso si formò sulle sue labbra, nel momento esatto in cui i suoi occhi si posarono su un giovane che stava battendo il ferro caldo. Nonostante gli anni trascorsi separati, vide che non era cambiato di una virgola. Giacomo Crespi, il suo più caro e umile amico d’infanzia, era molto concentrato nel suo lavoro.
«La tua dedizione è da ammirare».
Giacomo corrugò la fronte, udendo quella voce forte e familiare. Credette di sbagliarsi e che la stanchezza causata dal duro lavoro iniziasse a giocargli brutti scherzi. Si passò una mano sulla fronte sudata e prese un lungo respiro prima di continuare a battere il ferro caldo.
La nobile, dal canto suo, pensò di non essersi fatta udire abbastanza e quindi ideò un altro modo per attirare l’attenzione del giovanotto. Si avvicinò a passo felpato, posizionandosi alle sue spalle, e poi gli circondò la vita con le sue braccia.
Giacomo sobbalzò, per via di quella mossa improvvisa, e fece cadere gli attrezzi da lavoro. Si voltò rapidamente, pronto a dirne quattro a chiunque gli avesse fatto quello scherzo idiota, ma si bloccò all’istante quando vide di chi si trattava. Spalancò la bocca dalla meravigliosa sorpresa e boccheggiò indicandola.
“Si tratta forse di un miraggio?” si domandò prima di allungare una mano e sfiorare quel ricciolo castano che ricadeva elegantemente sulla spalla della ragazza. No, non si trattava affatto di un miraggio. La marchesa Giulia Guerra era proprio di fronte a lui.
«Se non chiudi la bocca ti entreranno le mosche» disse lei, lasciandosi andare ad una risata divertita.
Giacomo sembrò ricomporsi e mostrò un largo sorriso. «Sei veramente tornata? Ehm… scusate, sono un po’ emozionato. Intendevo dire… siete veramente tornata?»
«Che tu mi dia del “voi” o del “tu” non cambia la realtà. Sì, sono tornata» rispose Giulia, mostrandogli uno dei suoi sorrisi più dolci e commossi. Non era l’unico ad aver sofferto la lontananza. «Posso averlo un abbraccio?»
Giacomo fece per allungare le braccia, ma poi si fermò di colpo e le ritrasse.
«Io… ho le mani sporche e non profumo di lavanda. Sapete, il lavoro…»
L’imbarazzo del giovane fabbro sembrò intristire Giulia, che mai aveva mostrato sdegno per le sue umili condizioni. Sebbene la nobile amasse il lusso in cui era nata, evitava di esibire la sua superiorità sociale. Era stata sua madre ad insegnarle che bisognava sempre trattar con gentilezza le persone meno abbienti, dimostrando loro rispetto, nonostante non avessero le loro stesse mani levigate. La defunta marchesa Guerra era stata molto amata dalla servitù, proprio perché credeva che la nobiltà d’animo potesse provenire anche da un garzone o da un contadino.
«Ho trascorso gli ultimi tre anni lontana da qui, eppure ti posso giurare che nulla è mutato. All’epoca ero sempre vestita con abiti sfarzosi e tu non sempre profumavi di rose, ma ciò non impediva a nessuno dei due di mostrare il giusto affetto che provavamo l’uno per l’altra» sussurrò, credendo fermamente in ciò che stava dicendo.
Lo sguardo di Giacomo gliene diede conferma e questo la fece sorridere.
«Bene! Ora che abbiamo messo in chiaro la faccenda, che cosa stai aspettando? Vuoi abbracciarmi o devo ordinartelo?»
Giacomo scoppiò a ridere e si lanciò su di lei, stringendola tra le sue braccia. Entrambi cedettero all’impulsività e alla troppa gioia, fortunatamente erano abbastanza riparati da sguardi indiscreti. Tali carinerie erano assolutamente da evitare in pubblico, specialmente per la diversa posizione sociale che li contraddistingueva. Quell’abbraccio avrebbe potuto alzare un polverone, minando la vita sia di Giacomo che di Giulia. La loro amicizia era più che sconveniente.
«Guarda un po’ cosa ti ho portato!»
Giacomo osservò il sacchetto, che lei gli mise sotto al naso, e sbirciò al suo interno. Rimase un po’ perplesso. «Mi avete portato del pane?»
«Pane appena sfornato» lo corresse Giulia. «Ho immaginato che a quest’ora saresti stato in pieno lavoro e forse ti sarebbe venuta fame. Conoscendoti non avresti messo niente sotto i denti, fino all’ora di cena».
«Mi conoscete bene!» esclamò il ragazzo addentando bruscamente il panino e sentendosi in imbarazzo solo pochi istanti dopo, quando si accorse che le sue maniere non erano state molto raffinate. «Scusate, io…»
La fanciulla alzò una mano, segno che non doveva porsi alcun problema, e gli sorrise intenerita. «Ti ringrazio per il rispetto che mi porti, ma ti prego di darmi del “tu” quando siamo da soli».
«Ma…»
«Lo esigo!» esclamò Giulia alzando l’indice e facendosi scappare una risata divertita.
Giacomo venne contagiato dalla sua allegria e annuì. Sarebbe stato inutile insistere, non conosceva persona più testarda di quella ragazza.
«D’accordo. Ehm… quando sei tornata?»
«Proprio in questo momento! C’è la carrozza ad attendermi in piazzetta».
«Che cosa?! Siete… cioè, sei passata qui invece di andare direttamente al castello? Oh, Giulia… tuo padre sarà certamente in collera».
«Che si arrabbi pure! Sai quanto potrebbe importarmene».
«Credevo che fossi tornata perché le cose si erano sistemate».
Giulia corrucciò la fronte e scosse il capo. «Niente affatto! Il signor marchese, mio padre, mi ha fatta tornare perché ha deciso di sposarsi con quella borghese da quattro soldi e a quanto pare insiste per avermi presente!»
«Credo sia normale, sei sua figlia. E se me lo consenti, quella donna non è proprio “da quattro soldi”. Il padre della signorina Elena è un banchiere molto importante della capitale e l’unione con il marchese arricchirà il nobile casato dei Guerra».
«E quella slavata donnicciola diventerà marchesa, che gioia!» esclamò sarcastica Giulia, lasciandosi cadere su una sedia.
Poggiò il gomito sul ginocchio e il capo sul palmo della mano, pensando a ciò che l’avrebbe aspettata nel suo soggiorno in Piemonte. Ritrovare Giacomo era l’unica cosa che le dava un minimo d’allegria. Qualsiasi altra persona sarebbe stata più che raggiante nel tornare nella propria terra, invece Giulia era il ritratto della tristezza e della solitudine.
Accorgendosene, Giacomo attirò a sé una sedia con la punta della scarpa e poi ci si sedette sopra a cavalcioni.
«So che sei preoccupata, ma forse la situazione è cambiata e non avrai alcun problema. Magari scoprirai di trovarti bene e vorrai restare… in tal caso, sappi che io ne sarei più che felice».
«Lo sarei anche io» confessò Giulia, abbozzando un mesto sorriso. «Ho pensato spesso a questa terra mentre risiedevo a Verona. Questa è casa mia e mentirei se ti dicessi che non mi è mancata. E più ci pensavo, più mi arrabbiavo per ciò che mi è stato fatto. Non potrò mai dimenticarlo, Giacomo, mai!»
Chiuse le mani a pugno, stringendo la stoffa dell’abito con gran forza. Il suo sguardo, dapprima scoraggiato, era mutato improvvisamente. Man mano che i ricordi, i più dolorosi del suo passato, si facevano vividi nella sua mente, un’incandescente rabbia cresceva dentro di lei, non lasciando spazio a nessun’altra emozione.
Per Giacomo fu una tortura vederla in quella condizione, specialmente perché aveva tutt’altri ricordi di Giulia. Una volta sul suo viso non c’era altro che dolcezza e i suoi occhi smeraldini brillavano, mentre in quel momento non riusciva a captare nulla di tutto ciò. Se ne accorse dall’abbraccio che si scambiarono. Quel gesto non aveva posseduto nemmeno un quarto del vero calore che Giulia era solita emanare. Per Giacomo fu impossibile non compatirla, soprattutto perché conosceva ciò che stravolse il suo mondo.
«Puoi ancora contare su di me, per qualsiasi cosa» si sentì di dirle, posando una mano sulle sue. Lo sguardo del giovane s’incupì, la sua mente era dominata dalla rabbia. «Giulia, ascoltami… io ti giuro, su ciò che ho di più caro, che non gli permetterò di farti del male di nuovo. Se si azzarderà anche solo a sfiorarti, lo ucciderò. Sono un fabbro, ho a mia disposizione tante spade e un’infinità di coltelli, direi che i mezzi li ho per difenderti!»
«Giacomo, basta» lo supplicò, carezzandogli il viso corrugato dall’odio. «Vederti sulla forca non fa parte dei miei desideri. E non stare in pensiero per me, in un modo o nell’altro riuscirò a uscire indenne da queste settimane. Sono tornata solo per il matrimonio di mio padre, farò conto di tornare a Verona al più presto possibile».
«Non sai che rabbia mi sale a sentirti parlar così! Il tuo posto non è a Verona!»
Si alzò impetuoso e fece cadere violentemente la sedia. Ricordava bene il giorno in cui Giulia partì, lasciando la tenuta, lasciando il Piemonte e lasciando anche lui. Giacomo aveva pregato ogni giorno per il suo ritorno, in tre anni non perse mai la speranza di poterla rivedere e ora che era tornata non avrebbe sopportato di vederla andar via nuovamente.
Lui poteva proteggerla e l’avrebbe fatto al massimo delle sue possibilità. Si passò una mano sulle mani, in fondo tutta quella tensione che iniziava a farsi sentire era causata da un individuo. Un individuo che era la sorgente di tutto il male causato alla sua amica d’infanzia. Un male che un giorno sarebbe stato estirpato da quella terra e, se non se ne sarebbe occupata la giustizia, avrebbe rimediato lui stesso. Lo giurò il giorno in cui osservò, con gli occhi colmi di lacrime, Giulia salire sulla carrozza e andar via dalla tenuta.
«Io non posso restare qui».
Giacomo si voltò e scrutò quel viso affranto. «Il tuo posto è qui… con me».
«Non posso stare sotto lo stesso tetto di chi mi vuole male».
«E se andassi a stare da tua nonna Adelaide? Lei abita a Torino o sbaglio? Saresti lontano da chi ti vuole male e vicino a chi ti vuole bene… ovvero io!» esclamò Giacomo indicandosi con i pollici.
«Non è così semplice. Per quanto io ami questa terra e chi ci vive, non mi stabilirei mai nella tana del lupo. A Verona sono riuscita a ritrovare quel minimo di serenità che spinge una persona a non lasciarsi andare alla disfatta». Giulia faticava ad esprimere tali parole. Le ricordavano i giorni più bui che avesse mai vissuto. Una lacrima solitaria le rigò la guancia, ma la cancellò con una veloce passata di mano. «Il mio futuro è a Verona. Lì c’è chi si prenderà cura di me e mi proteggerà».
La sicurezza di Giulia fece ben sperare il giovane fabbro, il quale desiderava solamente il suo bene. Era naturale che volesse il suo completo stabilimento in Piemonte, la voleva al suo fianco più di ogni altra cosa, ma i suoi desideri non potevano sovrastare ciò che era giusto e meglio per lei. Ed era meglio averla lontana e al sicuro, piuttosto che vicina ma nelle mani di quel malevolo.
A Giacomo saliva una rabbia incandescente, quando pensava o vedeva nei dintorni quel brutto ceffo. Per quanto potesse sentirsi al settimo Cielo del ritorno di Giulia, al contempo non poteva far altro che preoccuparsi per lei. Stava veramente tornando nella tana del lupo, un lupo molto feroce.
«Ora sarà meglio che io vada» disse Giulia alzandosi e mettendosi apposto velocemente le pieghe dell’abito. «Scusa se ti ho fatto perdere tempo. Immagino che il lavoro sia tanto».
«Non molto in realtà. E comunque non preoccuparti, torna quando vuoi… anzi, torna il prima possibile! Almeno avrò la certezza che stai bene» la seguì Giacomo sempre con quel suo genuino sorriso sulle labbra sottili, sebbene una velo di preoccupazione lo circondava. «Mi raccomando, per qualunque cosa, avvertimi e sarò da te».
«Sei così caro» disse Giulia posando sul suo viso un’ultima carezza.
Giacomo le prese la mano, per porvi sopra il baciamano. «Mia signora!»
La ragazza gli rivolse un sorriso e poi uscì dalla bottega, tornando a passo svelto alla sua carrozza. In attesa del suo ritorno, il cocchiere e il paggio si erano seduti comodamente su una panca, vicino alla fontana. Si ricomposero immediatamente nel vederla ricomparire. Giulia consegnò loro gli altri due panini che aveva comprato poco prima, immaginando che il viaggio non era stato stancante solo per lei. I due servitori ringraziarono dignitosamente, senza però stupirsi di quel gesto cortese.
Ripresero il viaggio pochi attimi più tardi, la stessa Giulia disse di non aver fretta. Temporeggiò come possibile, ma alla fine avrebbe dovuto affrontare le sue paure.
Il tragitto dal borgo al castello non era lungo, in poco tempo oltrepassarono il cancello aperto e giunsero di fronte all’ingresso della tenuta. Giulia si portò le mani al petto e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino, dal quale vide che all’entrata si erano presentati alcuni membri della servitù. Mettendo a fuoco i loro visi, notò che erano tutte facce conosciute. Era un sollievo saperli ancora al servizio della sua famiglia.
Il cocchiere fermò la carrozza di fronte all’ingresso padronale, il paggio si adoperò subito per far scendere la sua padrona mentre i servitori avrebbero scaricato tutti i bagagli. Giulia lanciò uno sguardo al castello, ricordandosi perfettamente della sua imponenza circondata dalla meravigliosa natura. L’ampio giardino e la boscaglia che circondava la tenuta, erano fra le poche cose che le mancarono durante la sua permanenza a Verona. Il ritmo della vita della città era nettamente diverso da quello di campagna, ecco perché non avrebbe rimpianto il traffico urbano.
«Marchesina Giulia! Non sapete che gioia!»
Gertrude, la prima balia dei Guerra, non riuscì proprio a contenere le sue emozioni. Approfittò dell’assenza del suo padrone per riabbracciare la fanciulla che aveva visto crescere, così come aveva visto crescere sua madre. Fu la defunta marchesa Guerra a portarla con sé al castello, in seguito al matrimonio con Pietro, e non era l’unico membro della servitù della signora.
«Abbiamo atteso il vostro ritorno con trepidazione. Era ora che l’erede dei Guerra facesse ritorno alla tenuta».
Giulia le sorrise dolce, lasciandosi carezzare il viso. «Gertrude cara, la tua bontà è rimasta integra. Ho sentito molto la tua… la vostra mancanza» disse posando lo sguardo su chi stava lì attorno.
Gli altri servitori lì presenti, si avvicinarono uno ad uno, per mostrare la loro contentezza nel vederla. La giovane marchesa li accolse dimostrando la medesima gentilezza che utilizzò con Gertrude. Tutti constatarono la somiglianza che legava Giulia a Francesca, sua madre, per quei modi garbati che non riservava solo ai suoi pari. La loro padroncina, però, non era il riflesso della defunta signora. In Giulia spiccavano altri tratti caratteriali, ereditati per lo più da un altro membro della sua famiglia.
«Figlia!»
La fanciulla si voltò verso l’ingresso, dal quale vide uscire suo padre a braccetto della sua futura sposa. Il sorriso di Giulia si spense immediatamente e i suoi occhi grandi si assottigliarono lievemente. Gli umili servitori si ricomposero e salutarono i loro padroni, chinando il capo.
Il marchese Pietro si prese un attimo per osservare la figura della figlia. I lineamenti erano mutati, indurendosi e portando via i tratti innocenti, che fin dalla nascita sembravano esser stati dipinti sul viso ovale di Giulia. L’acconciatura alta con le uniche due ciocche arricciate, che le ricadevano sulla spalle, le davano un tocco da vera nobildonna. Era evidente, anche dall’abito che indossava, che i suoi nonni materni si erano degnamente occupati di lei. Non che il marchese Pietro si aspettasse diversamente. La bassa statura era l’unico dettaglio del suo corpo a non essere variato e dubitava potesse variare in futuro, anche la madre non spiccava per l’altezza.
«Bentornata a casa».
A Giulia ribolliva il sangue doversi chinare di fronte a Elena. Quella donna non significava niente per lei, non le avrebbe mai mostrato rispetto e né tantomeno affetto. Era stata Elena a convincere il padre ad allontanarla e questo non l’avrebbe mai dimenticato. Detestava l’ipocrisia più di ogni altra cosa e non avrebbe mai finto che quei tre anni avessero cambiato la sua ostilità nei confronti della matrigna. Nonostante fosse difficile per via della sua scarsa diplomazia, avrebbe cercato di evitare di attaccare verbalmente la borghese. Tutto in nome del buon quieto vivere.
«Spero che abbiate fatto buon viaggio».
La borghese aveva parlato, mostrando quel suo dolce sorriso che Giulia poco sopportava.
«Vi ringrazio per la vostra premura» disse rivolgendosi a lei con freddezza, degnandola di una veloce occhiata.
Era impaziente di ritirarsi in camera sua o in qualsiasi stanza avessero deciso che avrebbe soggiornato. Da una parte, desiderava che il giorno delle nozze giungesse in fretta, siccome con esso sarebbe giunto anche il suo ritorno a Verona. Giulia era certa che suo padre l’avrebbe mandata via di nuovo, quando si sarebbe accorto che il suo rancore verso Elena era ancora vivo.
«In effetti è stato un viaggio faticoso e necessito di coricarmi».
«Naturalmente! La vostra camera da letto è rimasta immutata. Come se il tempo si fosse fermato. Non un singolo mobile è stato spostato, vero caro?»
Il marchese Pietro annuì. «Non vedrei motivo contrario».
Giulia rimase leggermente sorpresa, ma cercò di non far trasparire quell’emozione. Chinò il capo in segno di gratitudine e li seguì all’interno del castello.
Camminando tra i corridoi della tenuta, non le sfuggì che la disposizione della mobilia era cambiata. Evitò di far domande, ma ciò non frenò Elena dal prodigarsi nel raccontare di come le sue idee avessero migliorato l’arredamento e l’andamento del castello.
In quello sproloquio alquanto noioso, Giulia non mise becco e tirò un sospiro di sollievo quando finalmente giunsero alla sua stanza, almeno non l’avrebbe più sentita blaterare.
Quando entrò nella sua vecchia camera da letto, osservò che veramente non era stata fatta alcuna modifica e ne fu contenta. Nonostante volesse andarsene al più presto possibile, le sarebbe dispiaciuto notare lo spostamento dei mobili, la mancanza di alcuni effetti personali - che tempo addietro non riuscì a portarsi a Verona - o che addirittura avessero trasformato la sua stanza personale in una semplice camera da letto per gli ospiti.
Giulia possedeva tanti bei ricordi di quella stanza. Il suo letto a baldacchino possedeva lo stesso copriletto smeraldino, lì aveva udito molte favole raccontate da sua madre. La cassettiera era ancora ai piedi del letto, quello era stato il suo posto preferito quando giocava a nascondino o quando voleva fuggire dalle lezioni dell’istitutrice.
«Credi di riuscire a prepararti in tempo per cena?»
In realtà Giulia avrebbe preferito passare l’intera durata della sua permanenza chiusa in camera sua. In questo modo sarebbe stata lontana dai pericoli… da quel pericolo.
«Se non vi offendo, preferirei riposare. È stato veramente un lungo viaggio e la stanchezza mi renderebbe poco presentabile».
«Non riesci a fare uno sforzo? Si da il caso che io abbia un ospite molto importante, che è a conoscenza del tuo ritorno, e potrebbe ritenere scortese la tua assenza» disse il marchese Pietro con fare scorbutico.
«Potrei fare questo sforzo e presentarmi… ma credo che troverebbe più scortese se poi la mia testa cadesse nello stufato».
Elena non riuscì a trattenere una risata divertita e cercò di contagiare anche il promesso sposo per alleggerire la tensione, ma l’uomo non sembrò affatto aver apprezzato l’ironia della figlia. La lunga occhiata torva che lanciò a Giulia, fu un segnale chiaro.
«Il nostro ospite si mostrerà comprensivo, ne sono più che sicura» prese la parola Elena, stringendosi al braccio del marchese. Percepiva che si era innervosito e tentò di portargli un po’ di pace. Se quello era l’inizio, non voleva immaginare come sarebbero stati i giorni a venire. «Giulia, cara, lei è Angela» disse poi per cambiare argomento.
Giulia si voltò, osservando la giovane cameriera, la quale la riverì con un lieve inchino.
«È nuova della servitù» constatò.
«Si tratta della tua cameriera. L’ha scelta Elena personalmente» disse suo padre.
«Credevo che Gertrude si sarebbe occupata di me. In fondo mi tratterrò fino al vostro matrimonio, che se non vado in errore si celebrerà tra un mese. Non mi serve una cameriera che non sa nulla sulle mie preferenze, per quanto io sia sicura che sia ben preparata» aggiunse per addolcire la pillola, sebbene non provasse alcuna fiducia nelle scelte di Elena.
Che cosa ne poteva sapere lei di come si sceglieva la servitù?
«Credo che ci sia un’incomprensione» cominciò il marchese Pietro, dopo essersi scambiato un’occhiata perplessa con Elena. «Sì, sei tornata qui per assistere alle nostre nozze, ma sei tornata in questa tenuta per restarci. La tua permanenza a Verona necessitava per farti riflettere sul tuo comportamento. Non era mia intenzione, né tantomeno quella di Elena, esiliarti per il resto della tua vita. Questa è casa tua e noi siamo la tua famiglia, era ovvio che presto o tardi saresti tornata».
Giulia si sentì un attimo confusa. Passò lo sguardo da suo padre ad Elena almeno un paio di volte, desiderava comprendere se avesse udito bene e sfortunatamente i suoi timpani non erano rotti.
«Quindi sarei tornata per restare?»
«Certamente! Come ha detto vostro padre, questa è casa vostra e non era nelle nostre intenzioni privarvene».
«Tre anni fa non la pensavate in questo modo. Vi ricordo che volevate mandarmi in convento di clausura. Bisogna ringraziare nonna Adelaide se sono andata a Verona e non sono diventata una novizia» borbottò Giulia, incrociando le braccia al petto e fissandoli entrambi intensamente.
A quanto pare la sua permanenza dai nonni materni non aveva addolcito il suo carattere deciso. Ciò non avrebbe portato alla pace a cui Elena auspicava. Ormai aveva imparato a conoscere colui che sarebbe diventato suo marito e - le dispiaceva ammettere - Pietro non era un pezzo di pane.
Con lei si era sempre comportato da vero signore, ma altri non avevano avuto la sua fortuna. Nonostante i loro lati positivi, Giulia e Pietro erano entrambi delle teste calde e questo tratto caratteriale non avrebbe portato altro che a vari scontri tra padre e figlia.
Elena prese in mano la conversazione, per evitare che si cominciasse già da quel pomeriggio. «Ne è passata di acqua sotto ai ponti ed è giusto che voi risiediate nella vostra casa. Tra poche settimane diventeremo una famiglia e mi piacerebbe che fossimo tutti uniti. Voi non desiderate lo stesso?»
Lo sguardo deciso di Giulia non mutò. «Desiderarlo non serve a molto, quando non tutto è chiaro».
Il marchese Pietro scosse il capo. Le sue speranze si sgretolarono rapidamente e le sue preoccupazioni presero vita. «Noto con grande dispiacere che la permanenza a Verona non ti ha cambiata minimamente. La tua sfacciataggine è rimasta intatta e questo mi delude molto, Giulia. Speravo che finalmente avessi capito…»
«Forse dovrei tornare a Verona».
«Questo no! Non tornerai a Verona, sennonché tu voglia far visita ai tuoi familiari. Non è mai stato mio desiderio esiliarti per il resto della tua vita. La verità è che speravo che in questi tre anni accettassi la mia unione con Elena, ma noto che non è così e mi dispiace per te» affermò severamente Pietro. «Tu rimarrai qui e sappi che ogni tuo comportamento avrà la sua giusta conseguenza. Il tempo della clemenza è terminato. Ormai sei una donna e verrai trattata come tale!»
«E va bene, padre. Dunque se mi toccherà rimanere qui, dovrò avere al mio servizio una cameriera degna del suo compito».
«E ne hai già una».
«Non mi sarei lamentata di questa ragazza, se il mio soggiorno avrebbe avuto breve durata. Gradirei essere io a scegliere la mia servitù. Rientra nei compiti di una nobildonna quale sono».
«Elena si è impegnata molto a…»
«Pietro, non importa» disse la donna, sfiorando il braccio del marito. Forse era un po’ ingenua, ma comprese perfettamente che la figliastra voleva cambiare la cameriera solo perché l’aveva scelta lei. Doveva aspettarselo che Giulia le avrebbe remato contro e lei doveva darle qualche battaglia vinta. Alimentare il fuoco dell’astio che intercorreva tra loro non avrebbe giovato a nessuno, soprattutto a Pietro. «Lasciate che Giulia scelga da sé chi sarà al suo servizio. È giusto così».
Il marchese sbuffò col naso, prima di voltarsi a guardare Elena. Tutto d’un tratto la furia nei suoi occhi svanì, lasciando spazio alla dolcezza che sempre accompagnava ogni suo gesto o sguardo verso la futura moglie. I suoi occhi non emanarono la stessa tenerezza, quando tornarono ad osservare il viso della figlia. In quella ragazza vedeva solamente la sua rovina.
«Ignori la tua fortuna» sibilò prima di abbandonare la stanza, seguito fedelmente da Elena.
Giulia si lasciò andare ad un respiro profondo e si passò una mano sul viso. Era andata meglio di quanto pensasse, se non contava che le avevano assicurato l’eterna durata della sua permanenza. Cercò di non farsi prendere dal panico, ma sapeva di dover fare assolutamente qualcosa per salvaguardarsi.
Prima di escogitare chissà quale piano, andò a prendere dal suo baule un sacchetto pieno di monete e poi lo mise tra le mani della cameriera scelta da Elena, che era stata inaspettatamente licenziata per un suo capriccio.
«Credimi se ti dico che non è stato niente di personale. Spero che questi ti possano essere d’aiuto».
La cameriera rimase completamente sbalordita da quel gesto. Sbattè le palpebre un paio di volte, guardando le monete che stavano all’interno del sacchetto di cuoio. Non ne aveva mai viste così tanto nelle sue mani. Certamente le sarebbero bastati per un mese intero. Alzò lo sguardo su Giulia che, fino a pochi minuti, prima aveva maledetto per la sua capricciosità e iniziò a ringraziarla in continuazione, poi uscì dalla stanza e lasciò la tenuta.
Fu Gertrude ad aiutare la giovane marchesa a disfare i bagagli. L’anziana balia sarebbe stata al suo servizio, fino a quando non sarebbe giunta la nuova cameriera.
«Lasciatemelo dire, marchesina, licenziare una domestica scelta dalla moglie di vostro padre…»
«Futura moglie» la corresse Giulia.
«Futura moglie, o meno, Elena è la padrona di questa casa da anni e vostro padre le porta un gran rispetto. Mostrare disapprovazione verso lei, o le sue scelte, non è il modo migliore di iniziare la vostra nuova vita qui».
«Sono una marchesa, non un’attrice. Non fingerò simpatia quando non ne provo alcuna».
«Siete testarda come vostro padre. Mannaggia!»
Giulia si lasciò scappare un sorriso. Teneva le orecchie ben drizzate per ascoltare i borbottii della balia, sebbene fosse comodamente seduta alla toletta, intenta scrivere una lettera.
«Marchesina, ascoltate questa vecchia serva, lo dico per il vostro bene» continuò Gertrude, intenta a riporre nell’armadio l’ennesimo abito della ragazza. «Sforzatevi di andar d’accordo con la signora Elena. Fatelo per vostro padre, per il benessere di questa famiglia… per il vostro di benessere! Vi giuro che il mio cuore ha pianto per tre anni. Non voglio che ve ne andiate nuovamente. Siete una Guerra e questa è la vostra casa, diamine!»
«Gertrude, non preoccuparti per me».
«Mi preoccupo eccome! Quando… quando vostra madre… beh… quando la signora marchesa si ammalò, le promisi che mi sarei occupata di voi e…»
«E lo hai fatto» disse Giulia, voltandosi verso la serva. «Ti sei occupata di me, come se foste lei. Sono certa che in qualunque posto mia madre si trovi, lei è fiera del tuo lavoro. Chiaramente non è colpa tuo se quell’asino, che mi tocca avere come padre, mi ha mandata via».
«Marchesina non si dicono queste cose! Non potete dare dell’asino a vostro padre. Dovete portargli rispetto!»
«Mia madre mi ha insegnato a portar rispetto a chi me lo porta a sua volta».
«Si può dire molto sul signor marchese, ma che sia irrispettoso…»
«Gertrude, il tuo caro signor marchese è stato irrispettoso nei miei confronti. Ha preferito credere a quella donnicciola, invece che a sua figlia!» sbottò Giulia, completamente fuori di sé. Un suo gran difetto era proprio quello di faticare a trattenere la calma. Una caratteristica ereditata dal padre e chi meglio dell’anziana servitrice poteva riconoscerlo. «Quell’uomo non riceverà niente da me, se non ostilità nel caso in cui dovesse impormi qualcosa a me non gradito. So che è mio padre e ha pieno potere su di me. La legge gli da il diritto di trattarmi a suo piacimento e questa è la mia disgrazia. La mia unica speranza è di tornare a Verona il più in fretta possibile».
«Marchesina, avete sentito vostro padre. La vostra permanenza qui è definitiva».
«La situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. Tutto sta nella provvidenza e spero che ella mi sorriderà» disse Giulia tornando a posare lo sguardo sulla lettera che concluse di scrivere qualche attimo più tardi.
Uscire da quell’incubo sarebbe stato assai arduo, ciò che si poteva permettere era di impegnarsi a trarre il maggior vantaggio dalla situazione. Giulia non avrebbe cominciato a piangersi addosso perché la sorte aveva deciso di esserle avversa.
Gli anni trascorsi dai suoi nonni materni non le erano serviti solo a continuare la sua educazione da nobildonna, a Giulia fu insegnato di affrontare ogni occasione, che fosse buona o cattiva, con saggezza e lucidità. Cedere alle proprie emozioni sarebbe stato come saltare nel vuoto.
Promise a sé stessa che non avrebbe commesso gli stessi errori del passato. La sua fiducia non sarebbe stata riposta in nessuno. Nella realtà in cui era costretta a vivere, ognuno seguiva il proprio interesse e di conseguenza doveva far anche lei. Era cresciuta e l’ingenuità di cui era stata vestita un tempo se ne era andata.
Quella sera decise di cenare nella sua stanza da sola, utilizzando la scusa della stanchezza del lungo viaggio per non far innervosire suo padre. Di scontri tra loro ce ne sarebbero stati, solamente uno sciocco avrebbe pensato il contrario, ma se Giulia poteva diminuirne il numero, l’avrebbe fatto volentieri. Litigare non le era mai piaciuto, soprattutto se con quell’uomo faticava a trovare dei punti in comune.
Dopo la cena, Gertrude le preparò un bagno caldo. L’unica decisione positiva del marchese Pietro fu di assegnare l’anziana serva alla scapestrata figlia, in attesa della cameriera personale che Giulia era intenzionata di scegliersi. Almeno era certo che la giovane avrebbe obbedito alla sua vecchia balia, della quale nutriva un profondo rispetto.
«Buonanotte marchesina Giulia e ricordatevi di spegnere la candela quando finite di leggere».
«Buonanotte a te e… grazie per tutto quanto».
Gertrude abbozzò un sorriso materno, prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciare la sua piccolina alla lettura serale. Per Giulia non c’era momento migliore nella giornata che non fosse quello legato ad un sano libro. Sebbene amasse i romanzi cavallereschi, la giovane marchesa s’interessava alle letture dei filosofi del suo tempo. Qualche volta non ne condivideva pienamente le idee, ma trovava affascinante come esponevano con nitidezza - ed una rigorosa logica - i loro pensieri.
Fu un toccasana concludere quella giornata tediosa immergendosi nel poemetto “Il Giorno” di Giuseppe Parini, del quale aveva concluso la prima parte. Era meraviglioso osservare come quel poeta fosse riuscito a mostrare la realtà della nobiltà, attraverso un’ironia che Giulia trovò piuttosto pungente e divertente.
«Sarebbe una delizia incontrare e stringere la mano a questo incantevole artista» mormorò Giulia tra sé e sé, voltando una pagina.
«Se pendessi dalle mie labbra come fai per questo incantevole artista, credimi, sarei l'uomo più felice del mondo».
La voce tagliente di quell'uomo fece raggelare le mani della giovane marchesa. Le parole del poemetto di Parini si dissolsero in un’immaginaria foschia e Giulia dovette sbattere le palpebre un paio di volte per rendersi conto della realtà.
Iniziò a sudare, il cuore cominciò a palpitare forte e deglutì, prima di alzare lentamente il capo e vedere che a pochi metri, appoggiato alla porta della sua stanza, stava la persona che aveva dominato i suoi incubi per settimane. Giulia non avrebbe mai potuto dimenticare quel sorriso, che seppur appena accennato aveva un tocco malevolo, e quello sguardo colmo di ogni perversione.
Non avendo mai ricevuto sue notizie, Giulia aveva sperato di non ritrovarlo alla tenuta. Erano passati tre anni e poteva essersi sposato. Andava bene anche se fosse celibe, l'importante era di non stare sotto lo stesso tetto. Giulia aveva pregato e sperato, ma la cruda realtà era proprio di fronte a lei e improvvisamente sentì di esser inghiottita nuovamente in quell'incubo da cui non si sarebbe risvegliata con il levare del sole.
«Non sembri felice di rivedermi. Questo mi spezza il cuore».
Giulia saltò giù dal letto e si schiantò contro la parete, non appena lo vide avvicinarsi lentamente. «Stai lontano da me!»
«Sei impazzita?! Non urlare!» sibilò a bassa voce quell'altro.
«Stai lontano da me!»
«Oppure? Gridare aiuto non ti è servito l’ultima volta».
La ragazza sgranò gli occhi e li ridusse a due fessure un attimo più tardi. Balzò verso il letto e da sotto il cuscino estrasse uno stiletto e lo puntò all'uomo.
«L'ultima volta non t'è bastato?»
«Non puoi uccidermi» ribattè l'altro con molta tranquillità. «Se lo facessi, tuo padre ti rinchiuderebbe in un convento come desiderava un tempo, te lo ricordi? In realtà credo che se mi uccidessi, Pietro sarebbe capace di denunciarti e spedirti sulla forca per aver ammazzato il fratello della sua amata Elena».
«Non ho mai parlato di ucciderti. Magari potrei solamente sfregiarti il viso» replicò Giulia, mantenendo lo sguardo visivo con quell'infame. «Quale donna ti vorrebbe al suo fianco? Il tuo viso sfregiato rifletterebbe la tua anima nera e il mondo dovrebbe essermi grato per aver svelato la tua natura maligna».
«Non c'è male nella passione per una donna».
«La tua passione è malata, Adriano. E una passione violenta otterrà solo una fine violenta».
«Allora chiamiamolo amore» disse l'uomo avvicinandosi lentamente a lei. La sua voce era più tranquilla e meno minacciosa. Questo non bastò a far cadere la guardia alla ragazza che non abbassò la mano che impugnava lo stiletto contro di lui. Adriano si arrestò e non tentò di avvicinarsi oltre. «Mi hai colpito dal primo momento che ti ho vista. Fu dal primo momento che desiderai averti mia e soltanto mia. Gli anni a Verona ti hanno resa ancora più bella… ormai sei una donna, sei ancora più desiderabile».
«Mi fai ribrezzo! Tu non puoi nemmeno nominarla la parola "amore", perchè se tu mi amassi veramente, non avresti provato a farmi del male».
«Che cosa c'è di male nell'unirsi alla persona amata?»
«C'è di male nel prenderla con la forza, come hai provato tu!»
«Sei talmente sciocca da credere che io sia un mostro mentre il mondo è pieno di gentiluomini che aspetterebbero i tuoi comodi?»
«Non osare voltare le carte in tavola e addossare la colpa a me!» scalpitò Giulia, rimanendo ferma nella sua posizione e ricordando bene come si svolse l'increscioso fatto di tre anni prima. «Non eravamo sposati, né tantomeno promessi sposi. Non eravamo niente! Capito, Adriano? Non eravamo niente. Sei tu con la tua mente perversa che mi hai attirata a fare una passeggiata nei boschi, dove in seguito hai tentato di approfittarti di me. Tu volevi abusare di me e questo non è amore. Sono più giovane, ma non più stupida!»
Fino a quel momento il volto di Adriano aveva dominato una sfrontata sicurezza che svanì in un lampo, non appena le parole di Giulia arrivarono alle sue orecchie. In quelle parole c'era la verità delle sue azioni e la coscienza di Adriano premette nella sua testa per fargliela accettare, esattamente come doveva accettare quel profondo disprezzo che Giulia covava nei suoi confronti e che era riflesso nitidamente dai suoi grandi occhi.
L'uomo arretrò di qualche passo, come se fosse stato colpito. Si sentì nuovamente respinto e avrebbe mentito a se stesso, se avesse affermato che la verità non gli bruciasse nel petto.
«Ti sarà arduo trovare qualcuno che provi ciò che provo io e che sia disposto a fare ciò che io farei per te!»
Quelle parole non scomposero minimamente Giulia. «Un giorno mi sposerò e chiunque sarà quell'uomo, ti assicuro che avrà tutto il mio rispetto solamente perchè mi avrà liberata da quell'ombra oscura che sei tu».
«E chi ti dice che ti libererai di me? Che cosa ti fa essere così certa che il tuo futuro marito non potrei essere io?»
«Mio padre può essere un ottuso, ma gli interessano il denaro e il potere, ragion per cui non avrebbe alcun senso unire le nostre famiglie dal momento che si uniranno in ogni caso con il matrimonio tra lui e tua sorella» rispose Giulia, non riponendo alcun dubbio per le parole di Adriano. «Io sono di alto rango e tu sei un borghese. Sei figlio di un banchiere, ma rimani un borghese. Se mio padre non è diventato un completo idiota negli ultimi anni, fatto di cui non mi stupirei visto chi frequenta, mi prometterà in sposa a qualche nobile di alto lignaggio».
«Scoppierò a ridere se sarà un vecchio!» sbottò sfrontato Adriano.
«Chiunque sarà meglio di te».
Adriano ringhiò e scosse il capo lentamente, fissando con astio la giovane nobile.
«Non è finita qui. Stanne certa» sibilò puntandole il dito contro. «Sarò sempre la tua ombra. Un giorno diverrai mia».
E con quelle ultime parole sospirate, che sigillavano una promessa maledetta, l'uomo abbandonò velocemente la stanza.
Giulia rimase immobile per qualche attimo, quasi aspettandosi che ritornasse, ma poi abbassò la mano che impugnava lo stiletto e si portò l'altra al petto. Prese un lungo respiro profondo, liberandosi di tutta la tensione che aveva in corpo.
A passi rapidi si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave. Premette entrambe le mani contro la porta, mentre in lei si faceva largo la certezza che non era assolutamente finita.
Per quanto avesse dimostrato sicurezza in quell'incontro, Giulia nutriva un forte timore di Adriano. Era stato per quell’orribile fatto a farla trasferire a Verona. Ricordava ancora com'era impaurita dopo che Adriano aveva tentato di violentarla. Nel tentativo di liberarsi lo aveva ferito alla spalla e poi fuggì da lui. Passò la maggior parte della giornata da Giacomo, a cui raccontò ogni cosa, e quella buon'anima la consolò come meglio potè. Il giovane fabbro la convinse a raccontare la verità a suo padre e la riaccompagnò alla tenuta. Giulia prese tutto il coraggio che poteva avere una ragazzina di quindici anni e varcò le porte dell'ufficio del marchese Pietro, dove a fatica raccontò l'accaduto e fu un'amara sorpresa vedere che suo padre non credette ad una singola parola.
Adriano aveva giocato d'anticipo e raccontò una versione completamente differente, in cui era stata Giulia a volersi unire carnalmente a lui e lo colpì con il suo pugnale dopo aver ricevuto il rifiuto dell’uomo.
In quel momento Giulia vide il suo mondo sgretolarsi di fronte ai suoi occhi. Non le era importato niente della falsità di Adriano, bensì era stata l'incredulità di suo padre a ferirla.
L’unico genitore che le era rimasto, la persona che l’aveva vista crescere e che non avrebbe dovuto avere dubbi sulla sua onestà. E invece la tradì.
Il marchese Pietro ed Elena le diedero della mendace. Dissero che voleva solamente far del male alla loro famiglia e minare la felicità per l’imminente matrimonio. Giulia era certa che fosse stato Adriano a manipolare le loro menti e a mettere in bocca quelle parole tanto crudeli.
Rimase sbalordita da quel suo potere. Era riuscito a soggiogare due persone adulte. La marchesina non avrebbe mai potuto dimenticare i loro sguardi e le loro parole. Fu Elena, su suggerimento di Adriano, a proporre di mandarla in convento e da quel momento nacque l’odio di Giulia nei suoi confronti.
Ironico che inizialmente fosse nato un buon rapporto tra le due e che la fanciulla non l’avesse mai disprezzata perché - ipoteticamente - non voleva che nessuna donna rimpiazzasse sua madre. La fortuna di Giulia fu…
«Nonna Adelaide» sussurrò ripensando al passato.
La marchesina si sedette rapidamente alla toletta, afferrò dal cassetto carta e piuma. In fretta e furia cominciò a scrivere una lettera.



Mrs.Montgomery:
Buongiorno lettori e lettrici!
Questo capitolo fa luce sul passato di Giulia e della sua famiglia. Le azioni di Adriano, che lui è riuscito a nascondere e camuffare, gireranno attorno alla storia per molto tempo.
Preparatevi per il prossimo capitolo che mostra il primo incontro tra i nostri protagonisti, Giulia e Andrea.
Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

 

 

   
 
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