Film > La Bella e la Bestia
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Autore: Matih Bobek    22/02/2017    1 recensioni
Flower è una ragazza di ventidue anni, appena laureata e in cerca di un lavoro. Conduce un'esistenza semplice nella sua città, circondata dalle amiche di sempre e ha passato la vita china sui libri di scuola per costruirsi un futuro.
La madre di una sua amica, la signora Ondrak, le offrirà di accudire il figlio maggiore, una creatura a metà tra un lupo ed un essere umano. Flower accetterà la mansione perché lautamente pagata.
Bryan, il ragazzo lupo vive in una magione abbandonata in un bosco e conduce una vita selvaggia. Flower dovrà vivere con lui sei giorni su sette, preparagli i pasti, istruirlo sulla vita degli esseri umani, educarlo e risvegliare la parte umana che è in lui. Ma la famiglia Ondrak nasconde segreti ben più grandi e ben più terrificanti.
La storia è una rivisitazione in chiave moderna e grottesca della nota fiaba "La bella e la bestia".
Genere: Avventura, Commedia, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incompiuta
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Il giorno dopo fui invitata dalla signora Ondrak, la madre di Pam, nella loro grande villa per prendere un tè e discutere della questione. Erano già le cinque meno un quarto e come al mio solito ero in ritardo di dieci minuti. In realtà ero arrivata puntuale, del resto villa Ondrak non era poi così distante da casa mia, ma rimasi in macchina bloccata da una qualche irrazionale paura che non riuscii a razionalizzare. Nella mia mente non facevo che pensare e ripensare ai segreti inquietanti della famiglia Ondrak, del resto ero l'unica a cui era stato concesso sapere anche solo poco. Poi perché mi ero lasciata convincere? Perchè? Pam aveva tenuto uno stretto riserbo sul fratello, mi aveva raccontato lo stretto indispensabile il giorno prima. Non sapevo nulla di più a riguardo, né del perchè non ci avesse mai parlato di lui, né del perchè ne avesse parlato solo con me, solo ieri, né del perchè avesse bisogno proprio di me. O forse, pensai, ero io ad aver bisogno di lei, di questo lavoro, ecco perchè aveva rivelato a me il segreto e non a Meg, magari. Ma alla fine ne avevo veramente bisogno ? Ero veramente disposta a tutto pur di guadagnare dei soldi? Cosa volevano farmi fare? Non lo sapevo, non sapevo nulla, l'unica cosa di cui avevo la certezza era il terrore che mi serpeggiava dentro come una biscia tra i sassi. 
Mi feci coraggio e citofonai al cancello. Mi accolse la voce profonda e intensa di una donna che mi invitò ad entrare. Il grande cancello nero in stile gotico si spalancò e io entrai a passi incerti ma rapidi. Sopra la mia testa gravitavano matasse nere di nuvole plumbee cariche di pioggia. L'aria era pesante. Si prospettava un gran bel temporale.
Suonai il campanello all'ingresso e pochi secondi dopo mi aprii un uomo distinto, molto più alto di me, dallo sguardo assente, con un papillon al collo e una giacca scura. 
" Si accomodi" mi disse e si scostò per lasciarmi passare. L'ingresso era tetro, seppure alla mia destra si stagliava una lunga vetrata che dava sul giardino. Il parquè scricchiolava ad ongi mio lento passo. Mi guardai intorno. Non ero mai stata a casa di Pam. Di solito venivano loro a casa mia, oppure stavamo da Meg. Ma Pam non ci aveva mai mai invitato a casa sua, e ce ne aveva sempre parlato poco. Iniziavo a intuirne le ragioni. Era un'enorme villa antica, segnale univoco della grande disponibilità economica della famiglia, ma che sembrava congelata in un passato non definito, dimentica dei fasti che aveva vissuto. " Da questa parte, prego" mi guidò il maggiordomo. Mi ritrovai in una grande sala, circondata di librerie antiche, tavolini e sedie in stile ottocentesco, candelabri, tappeti persiani e arazzi appesi alle pareti. Non sembrava esserci una coerenza di stile, e se non ci fossero stati veli di polvere lungo i bordi della libreria, sulle curve del mappamondo in legno vicino alla vetrata e sui tavolini di cristallo, si sarebbe potuta elogiare la raffinata eleganza che trapelava da ogni angolo della sala. Perlustrai incuriosita il salone, diedi un'occhiata ai libri impolverati sugli scaffali della libreria. Catturò la mia attenzione il dorso rugoso di un tomo molto spesso il cui titolo riguardava l'addomesticazione dei lupi. Non appena feci per sfilare il libro dallo scaffale sobbalzai per il rintocco grave del pendolo dall'altra parte dell'ampia sala, alla cui eco grave si aggiunge una distanza voce scura:
" Vedo che ti interessa la lettura". Mi voltai di scatto, come per paura di essere stata colta in flagrante. Vidi una donna dal volto austero camminare verso di me. Procedeva a passo serrato ma senza fretta, con intensità ma senza tensione. Somigliava a Pam, ma senza quella sprovveduta dolcezza nello sguardo. Aveva una lunga cascata di capelli color platino, gli occhi erano piccoli e ravvicinati, un guizzo argenteo ravvivava la pupilla, le labbra erano sottili e socchiuse, senza il minimo acceno di un sorriso. Si mise a sedere sulla grande poltrona di velluto al centro della sala, di fronte ad un tavolino dalle zampe dorate.
" Siediti Flower, siediti pure dove preferisci." La sua voce era priva di colore, dura, granitica.
Scelsi la poltrona di fronte alla sua, in modo da mantenere il più possibile la distanza da quella donna che incuteva timore e riverenza.
" Quella è la poltrona di mio marito."  disse senza alcun moto di ira la signora Ondrak
"Ah." feci io imbarazzatissima. Non mi restò altra scelta che sedermi sulla la poltrona alla sua sinistra.
" Walter, portaci del tè! Biscotti?"
" No, la ringrazio!"
" Anche dei biscotti."
" Non è la prima volta che ci vediamo, non è così?"
Ricordavo di averla già vista una volta, di sfuggita, ad una festa. Ma non mi pareva di averle mai parlato o di essermi mia avvicinata. 
" No, ci siamo già viste in passato, ma non ci siamo mai parlate."
" Come immaginavo. Devi sapere che io  non amo entrare di prepotenza nella vita dei miei figli. Un controllo stretto non mi permetterebbe di rimanere oggettiva, come una madre deve essere per le proprie creature. Mantengo sempre una certa distanza tra la mia e la loro vita. Questo mi consente di decidere per loro quando loro non sono in grando di decidere per se stessi, il che, mi duole ammetterlo, succede più spesso di quanto non vorrei."
L'intenzione era di dar sfoggio di virtù materne, ma io rabbrividii. 
" Ma non è per parlare di questo che ti ho chiamata, cara Flower. Sai, Pamela mi  ha parlato spesse volte di te, delle tue qualità, del tuo talento: studentessa modello, laureata a pieni voti e perfettamente in tempo, intelligente, determinata. Tutte doti indispensabili per una persona. Tutte doti indispnesabili per una donna." Fece un pausa. Nel modo di articolare il discorso, nel modo di drammatico di interloquire, mi ricordò molto Pam, ma l'energia era diversa, c'era un calcolo preciso in ogni sillaba pronunciata con maggiore o minore vigore, c'era una tangibile coscienza di sè nel dischiudere le labbra ogni qualvolta si accingesse ad aggiunere una parola. Serrò le labbra, strinse le dita intorno ai pomi dei braccioli, attorcigliò la gamba sinistra intorno a quella destra e ricominciò a parlare:
" Cerchi lavoro. Intento nobile. Intendi proseguire gli studi?"
" Credo di sì."
" Credi?" percepii un vago disgusto nel pronunciare quelle due sillabe.
" Sì, insomma, l'obiettivo sarebbe quello."
Non fu contenta della risposta.
" Troppi condizionali, ragazza mia. Troppi dubbi. Troppe incertezze."
Fece una nuova pausa, sollevo la mano destra, sfregò le dita, distolse lo sguardo, 
poi tornò su di me.
" Ma sento in te ribollire un'ambizione interessante. La percepisco. Io ero come te da giovane. Ma la mia fiamma era più verace, più scoppiettante, un incendio pieno su un campo di erbe secche. E lo sai, lo sappiamo, quei fuochi sono di breve durata."
Notai una vaga piega malinconica nella sua voce.
" Il tuo è un fuoco silente, che brucia come la miccia di una candela, per un'intera, lunga, eterna notte."
Tentavo di star dietro a questo discorso che mi sembrava mancare di senso.
" E a me" pausa " serve una persona come te." 
Non riuscii a dire una parola. Lei si fermò, chiuse gli occhi e congelò un ghigno poco rassicurante sul volto. Mi sentii lo stomaco stritolarsi dall'ansia nell'attesa che quel silenzio terminasse.
" Mio figlio è molto particolare. Niente di ciò che lo riguarda è stato consueto. Non lo è stata la gestazione, di poco più di un mese. Non lo è stato il parto, dove rischiai di morire per danneggiamenti al canale uterino. Non lo è stato la crescita, lo svezzamento, l'istruzione, gli amici. Non lo è stata la vita."
Rimasi pietrificata. Mi parve di avvertire il dolore di una madre ben celato sotto l'apparente distacco convogliato dal tono piatto della sua voce.
" Bryan è nato ricoperto di peluria, con zanne al posto dei denti, artigli sulle dita e una lunga lingua penzolante. Quando lo vidi uscire dal mio corpo ne rimasi affranta. Fui sopraffatta dall'odio per me, e poi per lui, che non fu altro che il riflesso dell'odio che provavo per me stessa
Poi feci quello che tutte le madri fanno: amare incondizionatamente ed egoisticamente."
Rimase in silenzio, con lo sguardo agganciato al vuoto. Poi riprese a parlare:
"L'ho accudito come un figlio qualsiasi, come un qualunque essere umano, l'ho ricoperto di premure, fino a quando non è cresciuto e la sua natura reale è maturata tale da non poter
più restare chiuso tra le mura di casa. Fino a quattordici anni è stato accudito da due allevatori di cani lupo cecoslovacchi in una terra lontana. Lottai per strapparlo alle mie stesse cure, ho lottato contro mio marito, contro me stessa, ma non avevo altra scelta: dovevo rispettare le sue tendenze, la sua natura. Avrei voluto cambiarlo, oh, eccome se avrei voluto. E ci ho provato, ci ho provato anni e anni interi. Ho interpellato maghi, chiromanti, cartomanti, astrologi perchè la scienza rimaneva impassibile e muta di fronte ad un tale scempio. Come darle torto... Ho preparato pozioni, cucinato viscere animali, seguito ricette arcane strappate alle pagine di tomi oscuri, e ho pregato, ho pregato Dio, Dio e tutte le plurime forme che assume per manifestarsi a noi. Alla fine l'ho trovato in me quel Dio."
La ascoltavo attentamente e nelle interruzioni tentavo di riassumere i nodi di quella storia dal sapore paranormale.
 "Andavo a trovarlo una o due volte al mese. Cercai di attutire il senso di rimorso, la mancanza naturale che una madre avverte del figlio quando è lontano, dimenticandomi di lui. Gli allevatori lo hanno accudito senza pregiudizi, con tutto l'amore che si può dare ad una bestia.  Lo hanno cresciuto in libertà, nel rispetto della sua specie, senza istruirlo sul mondo degli uomini. Così, quando tornò a casa a quattordici anni, trovai una bestia senza alcun tratto umano. Indisciplinato, aggressivo, inaddomesticabile. Un mostro! Che folle sono stata! L'ho fatto crescere allo stato brado, tra i suoi simili, come una qualsiasi bestia, trascurando l'altra parte di sè, quella umana. Fu un anno terribile. Pamela riportava ferite sul volto, sulle braccia, ovunque. Non sapevo come placarlo. Poi sentimmo parlare di una magione abbandonata nel bosco delle ombre. Sapevamo che nessuno ebbe mai il coraggio di entrarci, e mai lo avrebbe avuto, e se pure qualcuno lo avesse avuto, Bryan non lo avrebbe fatto uscire vivo. Ed è lì che ormai vive da dieci lunghi anni, da solo. Negli anni che sono trascorsi gli sono rimasta accanto ogni giorno, gli ho fatto da precettrice, ho stimolato la capacità di linguaggio, che temevo avesse perso, gli ho insegnato la lettura, l'ho istruito sul mondo che lo circonda, ma la sua anima selvaggia prende il sopravvento ad ogni richiamo dell'istinto." 
Rimasi in silenzio per tutto quel tempo incredula e stordita. Avevo troppe domande da fare, ma quella che più mi premeva era:
" Ma io cosa c'entro?"
" Il tè è servito" ci interruppe il maggiordomo trascinando un carrello carico di porcellane raffinatissime.
" Grazie Walter, ora, se ti aggrada, siediti pure con noi!"
Non capii il perchè di questa offerta al maggiordomo.
" Con piacere, tesoro."
Tesoro? Lo stupore deve essere balenato chiaro nel mio sguardo perchè la signora Ondrak
mi guardò abozzando un sorrisetto compiaciuto e disse:
" Pensavi fosse il maggiordomo di casa, vero?"
Non pensai troppo alla risposta, proptai per una cruda onestà:
" In realtà sì, con tutto il rispetto."
"Non essere formale cara, era lecito il sospetto. Avevamo la servitù un tempo, quando Bryan tornò a vivere con noi, per quell'anno da incubo. Ci fu un incidente terribile: 
Benjamin e sua moglie che abitavano nella depandance vennero aggrediti nottetempo nel giardino da Bryan che credette fossero ladri. Benjamin perse la vita, e la moglie..."
Si interruppe, non riuscì a procedere. Walter che era rimasto in piedi accanto a lei le poggiò la mano sulla spalla. 
" Comunque sia, Walter è il signor Ondrak, mio marito".
Annuii sorridendo ma in realtà ero stordita. Era il padrone di casa ma si comportava da maggiordomo. Perché? Ancora un altro perchè si aggiungeva agli interrogativi che popolavano il grigiore di quella giornata.
" Ma torniamo alla questione: perchè sei qui."
Mi concentrai sulle parole della signora Ondrak con un sentimento misto tra la curiosità e la paura di ciò che sarebbe potuto uscire da quelle labbra.
" Bryan è solo. Tutto il giorno, tutti i giorni. La mia presenza non è gradita, ormai da tempo. Pam non sa gestirlo, la loro convivenza è pacifica per poche ore, dopodichè lui le salta addosso, la graffia, la morde, la ferisce. Rispetta le figure maschili, senz'altro, ma capita che gli uomini a contatto con Bryan riscoprano la natura istintiva e animale  che millenni di evoluzione ci hanno insgnato ad ammorbidire."
" Cosa intende precisamente?"
" I maschi con Bryan regrediscono ad uno stato animale, simile a quello di mio figlio."
Guardai il signor Ondrak attentamente, notai segni di terra sotto le unghie, croste di ferite e cicatrici frastagliate lungo tutto il braccio. Spostai la mia attenzione alla folta peluria che fuoriusciva dal gilet grigio e che spuntava da sotto le maniche della camicia bianca. Mi soffermai sulla postura dritta  il cui immane sforzo però era tradito dal tremolio delle ginocchia. 
" Sei una ragazza sveglia, Flower! Mio marito è stato di recente a contatto con Bryan, e ancora porta i segni di questa vicinanza. Sono bastati due giorni appena affinchè diventasse poco più di una bestia. Lo sto rieducando ora, gli sto insegnando di nuovo a camminare su due piedi, a parlare in modo consono, lo sto riconducendo alla sua natura umana, ma occorre una grande pazienza. Bastano poche ore vicino a Bryan per regredire di secoli e secoli."
Capii ora perchè il signor Ondrak svolgesse la mansione del maggiordomo nella sua stessa casa.
" Quanto è passato dal loro ultimo incontro?"
" tre mesi."
Non ebbi il coraggio di mostare lo sconcerto che pulsava nel mio cuore.
" Io cosa dovrei fare?"
" Devi stare con mio figlio, vivere con lui, accudirlo, preparagli la cena e il pranzo, educarlo, mostargli la bellezza della scienza e la profondità della letteratura, le meraviglie dell'arte e 
l'onorevolezza delle scienze sociali. Devi essegli amica, sorella e madre. Quello che nè io nè mia figlia riusciamo più ad essere."
" Ma perchè? A quale scopo? E perché io?"
" Perchè sento che tu sola puoi riportare a galla la sua natura umana. Perchè la tua è una forza che non si piega e non si spezza, perchè sei dotata di un'intelligenza luminosa che non saprei torvare in nessun'altra.  Per di più sei una bella ragazza, e questa sarà senz'altro la qualità più gradita a mio figlio.  Bryan ha bisogno di essere amato, di sentirsi ben voluto, ma non da sua madre. Deve essere un affetto di altra natura, un affetto autentico, non condizionato da legami famigliari."
" Vorrebbe che ci innamorassimo l'una dell'altro?"
" Non è questo lo scopo principale, ma se dovesse succedere, non mi opporrei."
" Se posso chiedere, quale sarà il compenso?"
" Dritta al punto Flower, mi piaci, l'ho detto che hai le competenze adatte per questo ruolo.
Ti pagherei tremilacinquecento euro ogni sabato, per un totale di quattordici mila euro al mese."
" Lavorerei ogni giorno, non è così?"
" Ogni giorno, tranne la domenica."
" Fino a quando?"
" Fino a quando sarà necessario. E se la mia intuzione mi premia, non sarà per molto tempo." Lo disse con una luce scura negli occhi.
"Dovrei vivere con lui, in pratica."
" Tutti i giorni, tutto il giorno. Ti farò preparare la stanza nella mansione, non prima di averla resa abitabile per un essere umano."
" Ha detto che Bryan ha bisogno di affetto incondizionato. Non crede che il compenso sia in effetti un condizionamento non indifferente?"
" Credimi, per quello che ti aspetta, non esiste cifra sufficiente a ripagarti dello sforzo che andrai a compiere. Se non reggerai, non saranno i soldi a farti desistere dal fuggire via."
" Non mi sta invogliando ad accettare l'offerta, lo sa"
" Eppure so che nonostante tutto, l'accetterai. Sarai ricca, Flower, e quando tutto ciò sarà finito, finalmente libera." Di nuovo quella luce inquietante nella pupilla. Eppure al suono di quelle parole, non potei fare a meno di immaginarmi felice in un futuro non troppo lontano, serena, con la mia famiglia, con un'attività mia. Il pensiero di avere così tanti soldi per me mi dilettava, mi dilettava molto. 
" Quanto posso pensarci su?"
" Una notte. Basta e avanza."
All'improvviso sentii scriocchiolare sommessamente il parquè vicino al pendolo, poi cigolare la porta e vidi presentarsi Pam, con lo sguardo mesto, i capelli arruffati e una tuta grigia.
" Ciao, Flower"
" Pam, ciao! Pensavo fossi in università!"
" Avrei dovuto, sì..." Fece per continuare la frase ma la madre la interruppe, allungò il braccio e la avvicinò a sè.
" La tua amica è sveglia, sai. Dovresti somigliarle di più."
Pam si adombrò d'improvviso, abbassò gli occhi sul pavimento e giocherellò con la frangia spettinata carica di polvere del tappeto.
" Credo che Pam sia fantastica per le qualità che ha." dissi senza pensarci troppo.
" Che non sono poi molte..." replicò la madre.
Mi congedai, salutai con eccessiva cortesia la signora Ondrak e porsi la mano al signor Ondrak senza sapere cosa dire, abbracciai Pam e uscì di casa. Iniziò a piovere tantissimo non appena misi il piede fuori dalla porta. Dei fulmini alti nel cielo squarciarono il silenzio della sera e dovetti correre per prendere riparo nella mia macchina. Da lontano, attraverso il muro di pioggia, mi accorsi dello sguardo della signora Ondrak dalla finestra. Lo sentivo adagiarsi sulla mia sagoma come un pellicola di celophan. Mi girai e la guardai a mia volta.
Non potei esserne sicura perchè il rimbalzare dell'acqua sull'asfalto annebbiava la mia percezione visiva, ma mi parve di veder muovere le sue labbra:
" E' fatta" disse. Poi si voltò, lasciando che le tende di broccato ricoprissero il vetro della finestra. Accesi la macchina e tornai in casa, pensando a tutto ciò che appariva troppo crudo, troppo atroce per sembrare reale ma che avvertivo esserlo dentro le viscere, al di là di ogni logica.
   
 
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