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Autore: ethelincabbages    03/05/2017    4 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 34
Waiting on a friend
Le Buone Novelle. Harry aveva sempre trovato quell’albero delle Buone Novelle una risorsa incredibilmente affascinante, a parte il nome ridicolo. Lo riportava ai tempi in cui il Mondo Magico gli riservava sorprese sempre nuove e pillole di ingegno quasi favolistico, quando si faceva sorprendere come un bimbo innamorato. Un grande abete pieno di campanelline colorate a suonare ogni qualvolta un paziente si ristabiliva o una famiglia festeggiava una nascita; era qualcosa di sdolcinato e tenero allo stesso tempo.
Sopra ogni campanella era inciso un nome; ogni tanto ne spuntava una nuova e l’albero si allargava, e ogni tanto ne scompariva qualcuna e l’albero si restringeva. Il paziente veniva dimesso oppure… andava via. A quello non c’era rimedio neanche nel Mondo Magico. Harry, purtroppo, quella lezione l’aveva imparata fin troppo presto.
Tuttavia, era sempre una piacevole sorpresa sentire il tintinnare di una campanella. Din Don. Cosa avrebbe dato per sentirne tintinnare una in particolare.
La Sala da Tè era pressoché vuota: c’era una signorina che chiedeva informazioni all’Elfa di servizio dietro il bancone dei dolci, e un paio di Medimaghi si dividevano un pranzo frettoloso intorno a un tavolo riparato.
Harry sorseggiava con calma e a più riprese un latte macchiato, bollente, senza zucchero ma con una spruzzata di cacao. Era il preferito di Chris, quello che le piaceva sgraffignargli quelle poche mattine in cui passava dal suo ufficio. Provava uno strano senso di sollievo nel sentire il liquido caldo scivolargli giù nella gola.
I Guaritori ancora non volevano pronunciarsi sull’effettiva pericolosità delle sostanze di cui la lama del pugnale era intrisa, ma preferivano mantenere Chris in stato di incoscienza, per controllare gli effetti del sospetto veleno.
Era tornato a casa una sola volta in quei tre giorni, solo per cambiarsi d’abito. Aveva visto i bambini due minuti, aveva dato un bacio forte a tutti e tre e promesso loro che tutto sarebbe andato bene. Una promessa che aveva bisogno di sentire lui stesso. Ginny era passata due o tre volte in ospedale e non aveva detto niente. Ron era passato due o tre volte in più e, anche lui, non aveva detto niente. Non parlava più nessuno.
Forse avrebbe dovuto sentirsi in colpa nel cercare così tanto spesso, in quelle ore, le mani di Hermione, ma non riusciva a trovare in se stesso abbastanza coraggio per non farlo. Quella di Hermione era l’unica mano che lo aveva tenuto saldo in ogni sua avventura, in ogni suo momento di debolezza e in ogni suo momento di forza, e lui ne aveva bisogno come l’aria. Ne avevano entrambi bisogno come l’aria.
Ron era infastidito da tutta quella situazione, Harry lo percepiva in maniera chiara quando arrivava in ospedale e stringeva le braccia intorno al petto, o si inumidiva le labbra, nascondendo, forse, qualche frase che voleva evitare di pronunciare. Ginny, invece, arrivava col suo sorriso poco convinto e qualche strano dolce inventato da Molly. A lei non dava fastidio, o forse, lo nascondeva bene.
Harry non poteva fare a meno di considerare tutta quella situazione vagamente surreale. Ma a breve Chris si sarebbe svegliata e tutto sarebbe tornato a posto. Tutto sarebbe andato bene. Era una stupida promessa che doveva fare a se stesso.
Scivolò tra corridoi e scale, stringendo il suo bicchiere, continuando a sorseggiare con calma e a più riprese, per sentire quell’attimo di caldo sollievo. Un sacco di gente si muoveva tra le corsie, era orario di visite. Ogni giorno, a quell’ora, l’ospedale si riempiva di una specie di allegria forzata e fuori luogo: visitatori solitari e imbarazzati, intere famiglie chiacchierone, vecchi amici curiosi o sinceramente preoccupati, ragazzini…
Rischiò di lasciar scivolare il bicchiere dalle mani quando intercettò la sagoma di Teddy che balbettava qualche parola di giustificazione al signor Prenston, uno degli inservienti che si occupavano di mantenere una parvenza di ordine nei corridoi dell’ospedale. Ted, Sybil Joyce e Damian Blackwood erano davanti alla porta della camera di Chris. Ted, Sybil Joyce e Damian Blackwood avevano mollato una mattinata scolastica – probabilmente senza permesso – per una visita in ospedale a Chris.
“Signor Prenston, lasci stare. Sono parte della famiglia,” interruppe la conversazione, tranquillizzando l’inserviente. Le regole sulle visite ai pazienti gravi erano piuttosto severe. Tuttavia Harry non riusciva a considerare quei tre incoscienti degli intrusi.
“Se lo dice lei, professor Potter.” Prenston annuì e si allontanò. Era il papà di una piccola Corvonero del secondo anno e con occhiali giganti, e aveva preso l’abitudine di chiamarlo professore. A Harry andava bene. Era molto più soddisfacente quel titolo rispetto a tutti gli altri che gli avevano imposto nel corso della sua esistenza.
“Grazie, Harry,” lo ringraziò Ted. “Noi, ecco… siamo venuti per…”
Com’è che era lui il portavoce di quella banda di disgraziati? Quando, solo qualche anno prima, si sarebbe nascosto dietro alla furbizia degli altri bambini? Se salti la lezione e ti becchi il professore davanti hai bisogno di tutte le tue risorse retoriche per tirarti fuori dai guai, invece Ted era e sarebbe sempre stato l’oratore meno adatto a perorare qualsiasi tipo di causa.
“Siamo qua per Chris. Vorremmo sapere come sta.” Ma aveva cuore, lo aveva sempre avuto.
“Non potreste. Dovreste essere a scuola. Avete lezione a quest’ora. Sono piuttosto sicuro che il signor Blackwood dovrebbe avere due ore di Difesa in questo momento.”
“Mancava il professore, professore,” rispose prontamente il diretto interessato. Blackwood non aveva problemi a tirare fuori la sua prontezza di spirito. Harry si ritrovò a concedergli un po’ di tregua, il ragazzo aveva un colorito troppo tendente al verde per essere salutare e  anche lui era lì per Chriseys d’altronde.
“Vorremmo solo sapere come sta, magari vederla,” continuò Ted. Lo guardava coi suoi piccoli occhi ambrati, pregandolo silenziosamente. Avrebbe dovuto raccontare tutto anche a lui quando la situazione si sarebbe ristabilita. Perché la situazione si sarebbe ristabilita. Per forza.
“Posso almeno lasciarle un regalo?” parlò Sybil per la prima volta. Se ne era stata in disparte, osservando chissà cosa nell’azzurro di quel corridoio.
“Hai portato un regalo?” chiese Ted, sorpreso.
“Certo, chi va in ospedale senza un pensierino? È da maleducati.”
Harry ascoltò quel battibecco. Ted era perplesso e sorpreso dall’atteggiamento di Sybil, Blackwood aveva prima alzato gli occhi al cielo e poi si era lasciato andare a un mezzo sorriso.
A vederli spuntare in corsia, tipo cavalleria in pronto soccorso, gli era subito tornata in mente la premiata ditta Potter, Granger e Weasley, quelli che stavano sempre dove non dovevano stare e correvano sempre a salvare l’insalvabile, ma quei tre non erano Potter, Granger e Weasley, quei tre non avevano nulla in comune se non il loro affetto per Chris.
Chris, che si era sentita tanto sola e abbandonata da lasciarsi dominare da Lord Voldermort. Chris che una volta gli aveva anche detto di non ricordare nessun momento felice nella sua vita. Harry si sentì mancare. Come aveva potuto non rendersene conto? Eppure la vedeva ogni giorno. Perché aveva lasciato che perdesse contatto con tutto l’affetto che aveva intorno a lei?  Devi sentirlo, amore. Devi sapere quanto sei amata.
“Non ha ancora ripreso conoscenza, Sybil,” si costrinse a spiegare. Ogni volta era difficile pensarlo ed era difficile dirlo.
“Lo troverà quando si sveglia.” Sybil non mollava. Ted e Blackwood annuirono.
“Uno alla volta e senza fiatare.”
 
*
Granger, non startene lì in silenzio… che fai? Dormi. Almeno fa’ bei sogni. Mi piaci di più quando ti lamenti perennemente della mia presenza. Certo che, tra tutti i casini in cui potevi andare a cacciarti, dovevi proprio infilarti in un letto di ospedale? Così, con gli occhi chiusi e tutte queste strane lucette? Cerca di tornare al castello, per favore. Abbiamo troppi discorsi incompiuti e non ho nessuno a cui promettere di togliere punti senza di te.
*
Chriseys, come stai? Ti lascio questo qui, così lo trovi quando ti svegli. È un fiore di loto, mia madre dice che il loto serve a purificare il nostro cammino su questa terra, perché nasce negli stagni libero dal fango. È importante saperle queste cose. Prima, per venire qua, io e Ted abbiamo mollato la lezione della Light. È stato divertente. Avresti dovuto esserci.
*
Chrissie, hai gli occhi chiusi. Vorrei che li avessi aperti. Ho bisogno di guardarti negli occhi per dirti quanto mi dispiace. Non basteranno mai le scuse, lo so. Non sono stato un buon amico, non ho saputo ascoltare i tuoi silenzi. Non volevo mandarti via, non avrei mai dovuto mandarti via. Ma tu dammi un’altra occasione, apri quegli occhi e ti prometto… Non sono riuscito a toccare la chitarra da quella volta, da quando ci siamo… Non la toccherò. Sta aspettando te.
 
*
 
“Mangia qualcosa. Fatti un giro. Respira un po’ d’aria fresca.” Harry Potter come voce della ragione un’immagine bizzarra. Per una volta, i loro ruoli si erano invertiti e ora toccava a lui fare il saggio. Si era avvicinato, le aveva preso la mano e vi aveva posato il bicchiere in cartoncino con metà del suo caffellatte, tiepido, come piaceva a lei.
Mangia qualcosa, fatti un giro, ci sono tre idioti che hanno infranto tutte le regole scolastiche senza un motivo logico – dal momento che, se richiesto, non ci sarebbero stati problemi a dare loro un permesso – solo per sapere come sta Chrissie, tre ragazzini idioti scappati da Hogwarts pronti a infrangere ogni regola per gli amici.
Hermione aveva lasciato il capezzale di Chris solo perché le sembrava doveroso fidarsi di quei tre. Ora doveva solo preoccuparsi di scegliere tra biscotti al cacao farciti alla vaniglia o un mix di noccioline, arachidi e mandorle. Hugo avrebbe scelto i biscotti ad occhi chiusi, Rose ci avrebbe pensato un po’ di più, ma poi avrebbe preferito le noccioline. Li comprò entrambi.
Hugo e Rose stavano bene. Erano entrambi con Molly, giocavano coi cuginetti in mezzo alla neve e alle torte di zucche e non chiedevano dove fosse la mamma. O perlomeno non lo chiedevano spesso. Appena tutta quella storia sarebbe finita, avrebbe eretto una statua in onore di Molly, enorme, all’ingresso del Ministero: Alle Nonne, le spine dorsali del nostro Stato.
Anche sua madre era stata una grande nonna. E una madre paziente.
Quel suo cervello stanco faceva tin-tin come la pallina impazzita di un flipper tra migliaia di pensieri e immagini diverse. Di tutto, pur di non fermarsi su quell’unica immagine che si rifiutava di contemplare.
“Primo Piano.” Uscì dall’ascensore prima che la voce metallica potesse informarla di tutti i reparti presenti in quel particolare angolo di San Mungo. Era diventata insofferente anche a queste piccole cose. Aveva intenzione di dirigersi nuovamente verso la stanza di Chris, ma si soffermò un secondo ad osservare il ragazzo che, seduto sul primo gradino della rampa di scale che conduceva dal primo al secondo piano, beveva avidamente da una bottiglia d’acqua.
“Damian? Blackwood?” chiese. Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei e annuì. “Credevo fossi di là.”
“Sì,” annuì ancora, “ma uno alla volta,” disse a mo’ di giustificazione, prima di sorseggiare di nuovo un po’ d’acqua dalla bottiglietta. “C’è Sybil Joyce adesso, credo,” spiegò, prima di alzare lo sguardo e rivolgerle un sorriso di circostanza.
“Perdonami, Damian, se ti sembro inopportuna ma… hai una pessima cera. Sei quasi verde in viso. Sei sicuro di stare bene?”
“Sì, sì, certo, signora Granger?” Granger andava bene. Hermione annuì, invitandolo a continuare. “Vede, io non ho un bel rapporto con gli ospedali. Anzi, ho un pessimo rapporto con gli ospedali. Si può dire che ci odiamo a vicenda,” sospirò prima di concludere un po’ sottotono, “Mi viene sempre un po’ di nausea.”
Aveva un nonsoché di tenero, quell'adolescente con i riccioli sistemati a regola d’arte e la camicia perfettamente stirata che si ritrovava in imbarazzo per un po’ di mal di stomaco. Hermione trattenne a stento l’istinto di sorridere alle piccole disavventure del ragazzo. “Vado a chiamare qualc-?”
“No, no, no. Non c’è bisogno,” interruppe la proposta sul nascere. “Starò meglio tra un po’. Po-, il professor Potter sta cercando un focolare per farci tornare al castello. Non pensa che sia capace di tornare a Hogsmeade.” Hermione riuscì a percepire nel tono di Damian giusto un po’ del suo discontento con il professor Potter, ma capiva l’apprensione di Harry. “Ho passato l’esame, a pieni voti, giuro,” aggiunse lui, notando forse un’espressione di diffidenza sul viso di lei.
“A dire il vero,” incominciò lei, mentre prendeva posto sul gradino accanto a lui, “con la vostra gitarella avete infranto le regole della scuola, è normale che Harry voglia evitare altri guai. E poi vorresti davvero Smaterializzarti in questo stato?”
Damian alzò gli occhi al cielo. “Immagino lei abbia ragione,” concesse, probabilmente a malincuore. Hermione vide che passava l’indice sul collo della bottiglia, con gli occhi abbassati, come a ponderare qualcosa. Infatti, la richiesta non tardò. “Posso chiederle una cosa?”
Annuì. Non avrebbe avuto senso negare una risposta senza conoscere la domanda.
“Cosa è successo? Cosa è successo davvero? Mi scusi, è che… non voglio risultare inopportuno, vorrei solo capirci qualcosa di più. Dove l’avete trovata? Cosa faceva? Chi è stato a ferirla così? Era sotto Imperio? C’era qualcuno nella sua testa, non è così? Perché per quanto Chriseys potesse essere confusa e delusa e arrabbiata, non posso credere che avrebbe potuto tentare di su-… Chriseys è testarda e ha la pessima tendenza di chiudersi a riccio in se stessa ma è sempre stata particolarmente combattiva. C’era qualcuno che la controllava.”
Harry considerava quel ragazzo ambiguo, secondo sue testuali parole, ma Chris sembrava avergli accordato una grande dose di fiducia. Fin troppa, forse. Era sveglio e curioso, una combinazione pericolosa. Però vomitava quando entrava negli ospedali e si era introdotto volontariamente in uno di essi pur di vedere Chris.
D’altronde, anche Hermione era sempre stata sveglia e curiosa.
Chiuse gli occhi, sospirò e annuì. Era troppo da ammettere ad alta voce.
Damian aprì nuovamente la sua bottiglia d’acqua e bevve con avidità. Poi parlò: “Ho pensato c’entrasse il Signor-, voglio dire, Voldemort, per via del Marchio, ma è una folli-” Hermione riuscì a vedere riflesso nel suo sguardo la sua sorpresa. Era riuscito a intuire anche questo? “Non è una follia.”
“Ha cercato di usarla per tornare in vita,” disse, quasi in maniera automatica. Il senso di colpa tornava a provocarle fitte all’altezza dello stomaco ogni volta che ci ripensava. “Ma lei ha resistito.” Era stata brillante e coraggiosa come Harry alla sua età. Chris era stata fenomenale e loro avevano fallito. Avevano fallito nel proposito di non permettere mai più a nessuno bambino, nessun ragazzo, di sopportare quello che loro avevano dovuto sopportare. Ancor di più, avevano fallito nella promessa che si erano fatti, vent’anni prima, di proteggere la loro bambina.
“Ecco perché il Marchio è scomparso.” Il sussurro di Damian la sorprese, aveva smesso di porgli completa attenzione quando le aveva ricordato il motivo per cui erano là.
“Hai un Marchio Nero, Damian?” Quel simbolo trovava sempre il modo di tornare ad ossessionare le menti della gente, lo aveva visto tracciato su muri a Diagon Alley e evocato contro un cielo stellato. Lo aveva visto sul braccio di gente crudele, brillante, debole e ingenua. “Come hai fatto ad averlo?”
“Alla stessa maniera di Chris, ho fatto qualcosa che non avrei dovuto,” le spiegò, abbassando lo sguardo. Se ne vergognava. E ben faceva. “Parte del mio pessimo rapporto con gli ospedali,” continuò. Probabilmente c’era una storia là dietro. “Ma adesso è scomparso. Ieri c’era e adesso non c’è più.” Finalmente una buona notizia. “Che significa, signora Granger?”
“Significa che sta vincendo lei.”
 


Note: Questi tre cavalieri in pronto soccorso sono dolci, non trovate? Anche se un po’ imbranati: uno s’impappina sulle parole, l’altro rischia di rimettere da un momento all’altro e Sybil… Sybil è meravigliosa, come sempre.
Sempre di più ci avviciniamo alla conclusione di queste vicende, manca ancora qualche capitolo ma siamo in dirittura d’arrivo, e vorrei ringraziare tutti voi lettori che seguite con costanza. Il vostro supporto, in qualsiasi modo abbiate deciso di darlo, in silenzio o chiacchierando con me nella sezione commenti, è fondamentale per la continua ‘rinascita’ di questa storia. Grazie!
 
   
 
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