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Autore: Frulli_    15/10/2017    2 recensioni
Inghilterra, 1805. Cathleen ed Emma non potrebbero essere più diverse: la prima è razionale e posata, la seconda entusiasta e romantica. Ma quando le due sorelle avranno a che fare con l'amore e i sentimenti, le reazioni saranno totalmente diverse.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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9. Best Day Ever
 

Emma camminava lungo i corridoi luminosi dell'appartamento a Bath, dando indicazioni al personale circa il da farsi per la serata imminente. Aveva dovuto attendere la fine delle feste pasquali e l'inizio della vera e propria Stagione, per potersi dedicare alla pittura. Un'arte che, secondo i pastori, era troppo “leggera” per essere eseguita in Quaresima. Sospirò, scuotendo il capo. Quella sera ci sarebbe stata la prima seduta del quadro ed avrebbe invitato la sua famiglia, gli Herbert e i Barrington. Aveva notato un certo interesse di Cathleen per quella famiglia, per Miss Elizabeth ed il Capitano soprattutto. Sorrise tra sé, mesta: era felice per sua sorella, ma la invidiava allo stesso tempo. Lei poteva dimostrare apertamente l'interesse per l'uomo che amava, seppur sapeva che sua sorella non l'avrebbe mai fatto. E con un po' di fortuna l'avrebbe potuto anche sposare. E lei invece? L'eterna romantica Emma, che sognava ad occhi aperti, rinchiusa in un matrimonio mai voluto e con un marito freddo e indifferente. Lo stesso uomo che aveva affittato un appartamento grande abbastanza da poter stare lontani e incrociarsi il meno possibile, come le disse apertamente prima della Stagione. La sua piccola vendetta per averlo “costretto” a portarla con sé.
Sospirò, ma decise che nulla avrebbe dovuto turbarla quel giorno. La seduta per il quadro l'avrebbe occupata per tutto il giorno ed anche per i successivi...così forse il tempo sarebbe passato velocemente. Scese lentamente le scale che portavano al piano terra, prese a camminare lungo l'ampio corridoio alla fine del quale c'era la piccola Music Room. Rallentò il passo, sentendo qualcuno camminare proprio in quell'ultima stanza. Sollevò gli occhi verso il pendolo nell'ingresso: non potevano essere i domestici, le ore delle pulizie era passato da molto. Curiosa, si avvicinò lentamente facendo meno rumore possibile. Portò l'orecchio alla porta semichiusa e trattenne il fiato, cercando di capire chi fosse. Non sapeva se sua cognata suonasse qualche strumento, ma non l'aveva mai vista lì...
Sgranò appena gli occhi quando sentì qualcuno sedersi e, dopo pochi secondi, le note di un violoncello spargersi nella sala. La suite n.1 di Bach vibrava nell'aria magnificamente, e d'istinto i suoi occhi si riempirono di lacrime. Chiunque stesse suonando, lo stava facendo con una passione, una tecnica ed un ardore mai sentiti prima. Socchiuse gli occhi e due lacrime le scivolarono lungo le guance. Sentire della musica che non veniva dalla sua arpa, e che risuonava in quell'ambiente glaciale, non faceva che farle esplodere il cuore di gioia. Ingoiò a forza la lacrime che le scivolavano lungo la gola. La musica riusciva a darle un tale sollievo, ogni volta, e quella particolare melodia era come un balsamo per la sua anima ferita. Si fece coraggio, aprendo un altro po' la porta.
Un uomo era seduto al centro della sala, su una sedia e dava le spalle all'ingresso. Oscillava appena al ritmo della magnifica melodia che sapeva ricreare con lo strumento che aveva con sé. Aveva la testa china sul violoncello, i capelli rossi erano scompigliati, e impiegò qualche istante per capire che era solamente...suo marito. Trattenne il fiato e sgranò gli occhi, senza parole. Arthur suonava il violoncello? Non lo sapeva nemmeno. Ed a quanto pare sapeva farlo benissimo. Non riusciva a capacitarsi di come un uomo così freddo e apatico potesse suonare con tanto ardore. Con lo sguardo sorpreso rimase a fissare la figura davanti a sé finchè questi, forse notando il suo riflesso nello specchio posto sulla parete opposta, alzò del tutto lo sguardo, stonò e interruppe di colpo la melodia, facendo incassare le spalle a Emma. Arthur si alzò e si girò di scatto, lo sguardo stravolto e i capelli scompigliati. Non lo aveva mai visto con un'espressione disegnata sul volto, e impiegò qualche istante a capire quella che stava addosso: sorpresa, mista a senso di colpa.
Il marito deglutì e lentamente poggiò il violoncello contro la sedia, quindi rimase a fissare la moglie.
«Io...» fece per dire, ed Emma capì che stava cercando una scusa plausibile per motivare la sua presenza in quella stanza.
«Non sapevo suonaste il violoncello» commentò lei, con calma, entrando del tutto e accostando la porta. Arthur la fissava, lei faceva altrettanto. Forse era la prima volta in due mesi che i loro occhi si erano davvero incrociati, davvero riconosciuti come carne e ossa e non come ombre che vivevano nella stessa casa, come se la musica avesse creato un ponte tra di loro.
«Si...sin da bambino» rispose lui, la voce insicura, senza quella solita freddezza e sicurezza che lo contraddistingueva. Rimase lì dov'era, a fissarla, con l'aria smarrita di chi non sapesse come reagire. Rimasero a lungo in silenzio, a studiarsi. «So che è la vostra stanza questa, ma pensavo eravate via e...»
«Nessuna stanza è mia. Siamo sposati, e avete il diritto di usarla come ce l'ho io. Se volete suonare, non dovete farlo di nascosto» precisò subito Emma, con tono calmo e tranquillo, senza quella lagna perenne che, doveva confessarlo, aveva inscenato per tutti quei giorni.
Arthur deglutì di nuovo, osservandola. «Mi spiace sia andata così..»
Emma sapeva benissimo a cosa si riferiva, e sorrise appena. «Lo so...»
«Lo avrei evitato, lo sapete. Ma non potevo lasciare che mia madre e mia sorella...»
«Lo so, davvero. Va bene così...» precisò Emma, sorridendogli appena.
Arthur sospirò, cercando di ricomporsi. Avanzò, e istintivamente Emma si spostò dall'ingresso, rimanendo di lato. Ma quando Arthur stava per aprire la porta lei lo sorprese, e si sorprese, poggiando la mano sulla maniglia e bloccando così la sua uscita. Il giovane poggiò gli occhi su di lei, e lei fece altrettanto, incapace di dire nulla. Era così bello, quando non mostrava tutto quell'odio verso di lei. Gli occhi, privi della solita freddezza, erano di un magnifico celeste, limpido e calmo. La mascella forte, i tratti decisi del viso, le labbra chiuse in una piega incerta.
«Arthur...suonate con me» una richiesta la sua, seppur potesse sembrare una preghiera. I loro volti erano così vicini che poteva respirarne la stessa aria, e lo sguardo del marito sembrava sciolto in una sorta di intimità, che la musica e la sorpresa aveva creato fra di loro. Emma lasciò la maniglia, dandogli modo di decidere. Passarono secondi eterni.
«Io...ho da fare» rispose appena Arthur, prima di aprire di scatto la porta ed uscire di casa come una furia, come se dovesse scappare da lì.
Emma deglutì, poggiando la testa al muro. Aveva esagerato, ma aveva visto qualcosa nel marito: umanità. O forse addirittura affetto? No, forse affetto era dire troppo. Senso di colpa, quello si, per una giovane di dieci anni meno di lui che non aveva voluto quella vita, come lui d'altronde. Forse non sarebbero mai stati innamorati, ma da quel giorno c'era una possibilità su cento che Arthur non facesse più finta della sua esistenza.

La sera l'appartamento degli Egerton si riempì di allegria e chiacchiere come forse mai era capitato.
Si girò, nervosa, verso la grande tela, i colori e i pennelli che erano poggiati al centro della stanza. Secondo la richiesta di Mr Norton, Emma era vestita come una dea greca: indossava un abito bianco, più simile ad una tunica, priva di ricami e con una fascia dorata sotto al seno. I capelli erano raccolti dietro la nuca, con qualche boccolo che sbucava dall'acconciatura, ed una doppia fascia d'oro a chiuderla. Davanti alla tela era stato sistemato un divanetto romano rosso, qualche tessuto a trama romana ed una ghirlanda d'alloro. Il pittore, vedendola entrare, le sorrise e le baciò ambo le mani con garbo e adorazione.
«Lady Egerton, siete un miraggio! Venite, lasciate che vi aiuti. Non dovete temere, vi dirò io esattamente cosa dovete fare, mh? L'importante è che siate rilassata e ferma, potete parlare ovviamente ma non muovervi. Se avete bisogno di riposare, basta che me lo diciate. Va bene?» spiegò il pittore con gentilezza quasi paterna, mentre la faceva accomodare.
Emma annuì incerta e sorrise. «Va bene, siete molto gentile Mr Norton»
«Oh è solo il mio lavoro, milady. Ecco, sedete qui. Molto bene, potete sdraiare le gambe, come le antiche statue greche? Perfetto! Ora un braccio sullo schienale, a reggervi, ed una mano che scivola sul fianco e va a prendere la corona...eccellente! Siete comoda? Bene, possiamo cominciare. Signore, signori, da questo momento per favore un tono meno sostenuto. L'artista compone...» annunciò infine Norton, inchinandosi prima di cominciare la sua opera.
Emma era emozionata e nervosa allo stesso tempo. Era molto comoda, ed era chiaro che Norton fosse molto abile, ma se fosse venuta male? Quella tela era enorme, sarebbe uscito un bel ritratto? Lei era abituata a disegnare e dipingere su fogli ben più piccoli, ma si affidava totalmente a lui. La prima parte della serata trascorse senza intoppi, con Emma che parlava ora con le sorelle ora con Mrs Herbert, sempre da quella posizione e senza chiacchierare troppo. E solo alla prima pausa, dopo un'ora, si accorse che Arthur non c'era. Si alzò, confusa, e Cathleen le andò incontro sorridendole.
«Oh Dio Emma, sembri una dea greca! Sei fantastica! Non guardare il ritratto, ma stai venendo benissimo! Ma dimmi...dov'è Arthur?»
«E'...nello studio, sta svolgendo affari importanti»
Cathleen le sorrise appena: avevano entrambe il magico dono di non saper dire le bugie. «Non ne hai idea, vero?»
«No...Piuttosto, dimmi del ritorno di questo Mr Barrington. Ieri non ho potuto vederlo con i miei occhi. E' vero che è arrivato da Londra?»
«Si, è stato imbarazzante. Eravamo al concerto di Bach ed è arrivato nel ben mezzo della serata, ha salutato e si è seduto vicino a me, ignorando suo padre e suo fratello. Non capisco davvero...»
«Ma quei problemi tra loro, sono stati risolti?»
«A giudicare dal suo viso rilassato, direi di sì, anche se non saprei in che maniera. So solo che quando c'è lui di mezzo, il Capitano mi evita palesemente...»
«Come mai tutto questo interesse per il Capitano, Cathy?» chiese Emma sorridendo divertita.
Cathleen sorrise appena ma non fece in tempo a dire nulla, il pittore richiamò la Lady al suo dovere di modella e, nello stesso momento, arrivò Arthur con la sua solita freddezza e indifferenza. Emma sospirò appena: doveva arrendersi, suo marito non poteva cambiare da un momento ad un altro.
La seconda pausa stentò ad arrivare, o così sembrò ad Emma. Finalmente potè alzarsi e muoversi, rilassando un po' la muscolatura. Immaginava che più tempo si stava ferme più era lunga l'attesa. Ma non era solo quello: era lo sguardo di Mr Norton, la metteva una certa soggezione, forse per via del fatto che uno sguardo maschile così intenso e deciso non lo aveva mai visto addosso ad una donna, o forse perchè sapeva che Arthur la stava guardando, magari con occhi nuovi.
«Oh Lady Egerton, il vostro ritratto vi fa a malapena onore, siete magnifica» annunciò Elizabeth, sorridendole garbata.
«Vi ringrazio, Miss Elizabeth. E spero che la vostra amicizia stia facendo del bene alla nostra fredda e imperturbabile Cathleen, vero cara?» precisò Emma, sorridendo verso Cathleen.
«Lady Egerton» qualcuno la richiamò, ed Emma si ritrovò presto suo marito a fissarla ed attenderla, in un angolo del salotto.
«Chiedo scusa» annunciò con garbo alle donne, quindi si avvicinò al marito con Mr Norton a pochi passi da loro, che ne seguiva le movenze. Entrambi la osservavano in maniera totalmente diversa: il pittore come una dea da venerare, suo marito come un'estranea da doversi tenere in casa.
«Lady Egerton, Mr Norton mi ha fatto osservare che...potremmo, a ritratto finito, presentarlo durante una serata con altri nostri...amici. In tal modo noi gli faremo pubblicità con altri eventuali clienti e lui ci farà uno sconto sul ritratto. Cosa ne dite?»
Emma fissò il marito, sconvolta. Davvero le stava chiedendo disposizioni su una serata con altra gente, davvero stava valutando con lei una scelta da fare? Negli ultimi tre mesi aveva disposto delle loro vite come più credeva, senza preoccuparsi di lei o della sua opinione.
«Credo che...sia un'ottima idea»
«Bene, è deciso allora» annunciò Arthur, impassibile. Emma notò un lieve tremolio delle palpebre e, quando fece per andarsene, il marito la seguì appena.
«Vi piace?»
Emma si fermò, girandosi verso di lui.
«Chi?» chiese, confusa.
«Mr Norton, vi piace? Come pittore, intendo..»
«Beh...non saprei, ancora non vedo la sua opera terminata, e non mi intendo molto di arte figurativa. Siete voi l'artista dei mille mondi, siete voi che reputate gli artisti...discretamente bravi, giudicate voi e fatemi sapere» rispose Emma, tornando dalle sue sorelle. Sorrise tra sé, divertita: aveva avuto la sua piccola vendetta. Si girò appena indietro, verso il marito, il tempo di notare la sua faccia attonita e incapace di reagire. Soddisfatta, tornò al suo posto e lasciò che Mr Norton operasse per il resto della serata.

 

25 Aprile 1806

«Tua sorella era incantevole l'altra sera, ed è stata una serata fantastica! Mr Norton ha doti artistiche eccellenti e zio Robert ha già chiesto di ritrarre se stesso»
«Oh grazie, Elizabeth, anche se temo che Emma non fosse proprio felice. Il giorno dopo sono andata a prendere il thè da lei e pare che abbia litigato furiosamente con Arthur. Lui l'accusa di avere un comportamento immortale con Mr Norton...»
«No!»
«Che razza di idiota» brontolò Edward al suo fianco, facendo sorridere Charles.
«Già, è assurdo vero? Non credo di aver mai visto una moglie tanto fedele quanto Emma, lei sarebbe incapace di ogni tradimento! Eppure Arthur la pensa così, ed ora non si parlano. Non che prima lo facessero, ma Emma non fa che piangere, non so come consolarla povera cara...»
«Visto, Miss Cathleen? Se vostra sorella si foste sposata per amore, suo marito non l'avrebbe accusata di queste sciocchezze ed avrebbe risolto tutto con fiducia e volontà»
«Davvero, Capitano? Devo per caso ricordarvi cosa l'amore e la gelosia ha creato ad Otello?» chiese Cathleen sarcastica, girandosi verso il Capitano.
«Touchè...»
«Devi ammetterlo, Charles: Cathleen ha una mente brillante e una lingua tagliente!»
«Ammetto, confermo e sottoscrivo, mia cara cugina» precisò lui, facendo ridere tutti e tre.
Era una splendida mattinata: la primavera era ufficialmente arrivata. Le giornate calde e soleggiate si susseguivano senza sosta, e gli adulti non facevano che meravigliarsi di tale evento. “Mai vissuti così tanti giorni senza pioggia!” non faceva che dire Mrs Colborne. “Di questo passo l'estate sarà secca ed il raccolto povero” ripeteva a sua volta Mr Colborne, preoccupato. Ma Cathleen, doveva ammetterlo, preferiva più passeggiare con sicurezza che pensare al raccolto. Suo padre era del parere opposto e, piuttosto che lasciarle andare da sole a passeggiare, mandò Edward e Charles con loro, anticipando così la loro famosa “ricognizione” alla villa in ristrutturazione del Capitano.
Quel giorno Cathleen indossava uno splendido abito da passeggio di mussola bianca, con una fascia di seta color ciano sotto al seno, un cappello da passeggio con una piuma sopra e, dulcis in fundo, la famosa stola di cashmere indiano, dello stesso colore di fascia e cappello. Aveva scelto il meglio, perchè quella mattinata voleva sembrare come la più bella di tutte le ragazze inglesi, seppur sapeva che le sue doti erano intellettuali e non fisiche. Il Capitano l'avrebbe capito?
«Charles, hai avuto un'idea splendida: è una giornata così bella che cavalcare sarebbe stato un peccato. Così impiegheremo più tempo ma ci potremmo godere meglio la campagna: ho bisogno di qualche soggetto d'ispirazione per il mio prossimo quadro»
«Vorrei avere la tua dote artistica, Elizabeth, davvero» ammise Cathleen «il massimo che so fare con matite e colori è un albero, ed anche molto lontano da uno reale»
Elizabeth ridacchiò. «Non dire sciocchezze, ognuno di noi è bravo in qualcosa. Io a disegnare, tu a suonare, Charles a...»
«...ad accompagnare le fanciulle nelle passeggiate?» suggerì ironico il cugino, facendo di nuovo ridere le due ragazze. Cathleen non poteva essere più felice. Adorava l'indole sincera del Capitano, libero da etichette e ruoli imposti dalla società. Un uomo cresciuto nel mare e sulle navi, abituato a compagnie genuine e prive di fronzoli, dove tutti sono fratelli e tutti si spalleggiano...come potrebbe, tale uomo, abituarsi di nuovo e con tanta velocità alla vita mondana, a cui lei è abituata solo per obbligo? E non potè fare a meno di notare che era se stesso solo in assenza di Mr Barrington.
Arrivarono alla villa prima del previsto, freschi e pieni di energie, con una leggera brezza primaverile che ristorava la pelle arsa dal calore. Era una villa di modeste dimensioni, ma solo comparata a Barrington House. Era comunque più grande della dimora dei Colborne, con un ampio giardino, alte siepi e alberi frondosi. Poteva contare almeno dieci finestre per entrambi i piani. Era proprio una gran bella casa, e si vedevano gli utensili degli operai che la stavano sistemando e curando.
«Una villa davvero molto bella, Charles, mi congratulo con voi» annunciò Edward, con lo sguardo verso la struttura ed il braccio ancora stretto a quello di Elizabeth.
«Vi ringrazio, Edward. Sarà pronta per il prossimo inverno, se tutto va bene» annunciò fiero il Capitano. «Vi farei entrare, ma il pavimento è pericolante e non c'è alcun comfort, se non qualche mobile buttato qui e lì.»
«Oh è splendida Charles! Già ti vedo, con tua moglie e i tuoi figli a giocare in giardino, o magari durante qualche festa vicino quel bel laghetto laggiù» commentò sognante Elizabeth, lanciando poi un'occhiata a Cathleen.
Questa si sentì arrossire ma fece finta di nulla. «Molto bella davvero, Capitano, dovete esserne fiero»
«Oh lo sono. Se tutto va bene con la prossima Stagione verrò a stare qui in maniera definitiva, anche se un po' mi spiace non abitare vicino a mio padre. Sta invecchiando, ormai, ed ha bisogno di noi»
«Beh c'è sempre Mr Barrington, no?» chiese istintivamente Cathleen, osservando il sorriso sparire dal volto del giovane.
«Adam, Miss Cathleen, è...come il clima inglese. Capriccioso, mutevole, incerto. Un giorno è sereno e felice, il giorno dopo lancia è scontroso e intrattabile. Non credo che si sia mai davvero affezionato a me, o a nostro padre: lui era molto legato a nostra padre, come tutti noi d'altronde, e la sua morte lo ha seriamente destabilizzato. Ma sì, è un brav'uomo e sono sicuro che si prenderà cura di nostro padre con amore sincero» terminò il Capitano, convincendo più se stesso che altri.
«Proseguiamo?» propose Edward, cercando di rompere quell'atmosfera un po' triste e seria che si era formata attorno a loro.
«Oh si, volentieri...è ancora presto e il sole è ancora alto» annunciò Elizabeth, entusiasta.

Continuarono la passeggiata camminando dritti davanti a loro, inoltrandosi in un piccolo bosco di conifere e betulle, in un paesaggio assolutamente magnifico e incredibile. I raggi del sole filtravano tra i rami privi di foglie, creando giochi di ombre nel sottobosco e illudendoli di un'oscurità che in verità non c'era. Per una mezz'ora abbondante continuarono a chiacchierare e scherzare, ed i sorrisi e le risate di tutti e quattro risuonavano ovunque. Cathleen rise divertita quando Elizabeth ed Edward presero a rincorrersi tra le betulle ed a nascondersi nella semi oscurità del bosco. I gridolini di Elizabeth risuonavano ovunque, facendo volare via stormi di uccelli. Il Capitano sorrideva divertito, mentre con garbo accompagnava Cathleen lungo la passeggiata. La ragazza non ricordava di aver vissuto un giorno migliore di quello.
«Vi manca il mare e la Marina, Capitano?» chiese, camminando al suo fianco mentre Elizabeh ed Edward si attardavano dietro di loro.
«Non eccessivamente, Miss Cathleen. Il mare è bello e ne sarò sempre innamorato, ma la guerra non lo è, affatto: mi sono arruolato perchè ero troppo giovane e non capivo, ma se potessi scegliere, sinceramente, farei il pastore»
«Il pastore?» ripetè Cathleen, ridacchiando.
«Non pensate che possa essere bravo nelle omelie, vero?» chiese ironico Charles. «Scherzi da parte, Miss Cathleen, non potrei chiedere di più: ormai ho trent'anni, ho raggiunto la più alta carica che mi si possa consentire, ed è ora di lasciare spazio a giovani molto più bravi di me»
«Davvero vi reputate così vecchio? Mio fratello Edward ha solo due anni meno di voi» precisò Cathleen, ridacchiando.
«Ma lui è molto più giovanile di me. Parla molte lingue, ha visitato molti posti, ha conosciuto ogni tipo di culture. Io sono vissuto lontano dal mondo, in una società a parte...a volte tornare nella terraferma è come nascere, ogni volta, da capo: imparare di nuovo tutto. Guardate com'è sincero di sentimenti nei confronti di mia cugina? Come sa fingere o meno? Io ne sono incapace. Una volta da bambino mi innamorai di una domestica, e mio padre andò su tutte le furie, mi scoprì mentre cercavo di abbracciarla. Adam invece è sempre stato più furbo, ed ha avuto le sue occasioni»
«Sapete» precisò Cathleen, sussurrando «credo che alla mia domestica, Augustine, stia accadendo la stessa cosa. Credo che sia innamorata di qualcuno di rango superiore a lei»
Charles sorride, gentile. «Sono sicuro che riuscirà a sposare l'uomo che ama»
«E come?» chiese di colpo Cathleen, fermandosi «l'amore, Capitano, è un sentimento crudele che non conosce rango sociale, lo stesso rango che noi ci imponiamo da secoli.»
Il Capitano si fermò, osservandola. Era terribilmente serio. «Non potete essere davvero così fredda e crudele, Miss Cathleen...L'amore è un sentimento antico, c'è sempre stato nella vita umana, ed ha sempre trionfato in un modo o nell'altro, voi come donna dovreste saperlo meglio di me. Non ho imparato molto di sentimenti nella mia vita da marinaio, ma so esattamente cos'è l'affetto: per i propri amici, per i propri sottoposti, per chi si ama. Si vogliono custodire da ogni male e da ogni tristezza, e voi parlate di crudeltà. Sì, l'amore è crudele, a volte è anche spietato. Ma come si potrebbe vivere senza amore?»
Cathleen si sentì mortificata. La delusione nel viso altrui era palese. Chinò il capo, non riuscendo a reggerne lo sguardo. Chiuse gli occhi, cercando di respirare, quindi si voltò e riprese a camminare senza dire nulla. Tornarono indietro. Cathleen camminava avanti, il Capitano indietro. Lo sentiva calpestare le foglie e l'erba secca, lo sentiva sospirare e brontolare cose fra sé.
«Torniamo a Bath?» chiese Edward, con Elizabeth stretta forte al suo braccio. Cathleen si sentì morire più di prima, incolpandosi della sua lingua lunga.
«Certo...»

Ripresero a camminare, sempre in coppia, con Edward ed Elizabeth davanti a loro di qualche metro: camminare da sola con Charles, dopo aver litigato con lui, sarebbe stata una tortura. Come poteva essere stata così fredda e crudele, come aveva potuto dire quelle cose, se lei stessa era innamorata di lui? Come poteva la mente dire una cosa ed il cuore un'altra? Avrebbe voluto chiedere scusa ed abbracciarlo, ma il suo orgoglio la costrinse a continuare a camminare, ad essere certa di quel che aveva detto.
Il cuore si rabbuiò, ed il cielo fece lo stesso. Il sole sparì di colpo, e le nuvole si ammucchiarono una sull'altra, nere e cariche d'acqua. In breve tempo, la pioggia colpì tutta la campagna inglese, senza pietà. Il desiderio di Mr Colborne si era realizzato finalmente, ma nel momento certo meno opportuno.
«Dobbiamo velocizzarci!» gridò Edward davanti a loro, cercando di coprirsi gli occhi con una mano, e tenendo quella di Elizabeth con l'altra. Cathleen poteva vederlo e sentirlo a malapena, tanto la pioggia era fitta.
«Proseguiamo finchè possiamo, Bath non è lontana!» gridò di rimando Charles.
Cathleen continuò a camminare, sempre più in difficoltà, tra il fango che arrivava fino alle ginocchia. Rischiò di inciampare due volte e si rialzò da sola, senza l'aiuto di nessuno. “Quel che semini raccogli”, lo diceva sempre suo padre. E quella pioggia le sembrava una punizione troppo piccola per come aveva parlato all'uomo che amava.
Lanciò un grido spezzato dal fiato corto quando vide un fulmine illuminare tutta la valle e colpire un albero, che prese fuoco e si spezzò. Arretrò spaventata ed inciampò sulla gonna appesantita dall'acqua e dal fango. Cadde rovinosamente a terra, fradicia fin nel midollo, tremante. Socchiuse gli occhi, non aveva più le forze per rialzarsi di nuovo. Poi sentì due mani che di peso la sollevavano, rimettendola in piedi.
«Ce la fate?» gridò il Capitano, cercando di superare il suono frastornante dei tuoni e della pioggia.
Cathleen annuì, confusa, quindi il Capitano la prese per mano e la trascinò con sé, mentre la tempesta più forte e lunga degli ultimi cinquant'anni si abbatteva su di loro.
«Ripariamoci là!» gridò ancora il Capitano, una volta raggiunti Elizabeth ed Edward. Cathleen sollevò gli occhi e intravide, tra la fitta pioggia, la villa in ristrutturazione. Non fece rimostranze, si lasciò guidare mansueta e docile. Sentiva troppo freddo ovunque, era bagnata fin nel midollo ed era consapevole che forse aveva anche la febbre, ma non si lamentò.
Il Capitano aprì con forza il portone principale, quindi fece passare prima Cathleen ed Elizabeth, poi Edward ed infine si richiuse il portone alle spalle. Dentro era buio, umido e freddo, ma almeno la pioggia lì non poteva entrare. Grondavano acqua e lasciavano pozze ad ogni passo, senza contare che pesavano il doppio con tutti quei tessuti bagnati. Li fece entrare in una sala in disuso, senza mobili ad eccezione di un divano rovinato ed un baule, una piccola catasta di legna, un camino spento, e utensili edili qui e là. Il Capitano spiegò qualcosa in proposito ai lavoratori, che usavano quella sala ed una stanza accanto come ambiente per mangiare e riposarsi. Cathleen rimase in piedi, immobile e incapace di attivarsi mentre il giovane accendeva il fuoco, chino a terra.
«Cathleen» Elizabeth la richiamò, svegliandola da quel torpore «Stai bene, cara?»
«Ha la febbre, Beth» la informò calmo il Capitano, mentre lentamente il fuoco si alimentava nel camino. Edward si fermò a fissare la sorella, preoccupato «In quel baule nell'angolo ci sono degli abiti asciutti da uomo, andate nella stanza a fianco e cambiatevi, dovete mettervi qualcosa di asciutto»
«E voi?» chiese Elizabeth preoccupata.
«Noi possiamo farne a meno» rispose Edward, sorridendo incoraggiante. Consegnò alla ragazza due camice e due pantaloni, quindi la giovane guidò Cathleen nella stanza affiancò. Si spogliò e si rivestì per prima, poi aiutò Cathleen a fare altrettanto. Era congelata, forse anche per via della caduta nel fango, o per una questione fisica. Cercò di collaborare nel cambiarsi, ma aveva la mente ben poco lucida per farlo.
Ritornarono nella sala, imbarazzate per via di quegli abiti maschili, e si avvicinarono automaticamente al fuoco acceso. Edward porse loro della salsiccia essiccata, probabilmente la colazione dei muratori, e il Capitano buttò sulle giovani una coperta vecchia ma asciutta e calda.
Cathleen sollevò gli occhi languidi di febbre su di lui: indossava ancora gli abiti bagnati e infangati, ma le sembrava così bello...
«Oh Cathy, guardati...mamma andrà su tutte le furie» mormorò Edward, accarezzandole la schiena.
«Sto bene, Eddie, davvero...» mormorò Cathleen, cominciando a riprendersi davvero. Aveva male a tutte le ossa, si sentiva la febbre addosso ma cercò di non darlo a vedere. Di essere coraggiosa.
«Perchè non vi sdraiate?» chiese il Capitano «staremo noi a guardia, poi appena passata la tempesta andremo a chiamare qualcuno per portarvi indietro»
«Sto bene» precisò ancora Cathleen.
«Io...» mormorò appena Elizabeth, tendendo una mano verso Edward che prontamente l'aiutò e si fece aiutare a sdraiarsi. Tacquero tutti, lasciando che i tuoni e la tempesta si abbattessero senza pietà sulla villa, sbattendo le persiane e buttando il vento nella stanza. Passarono svariati minuti in silenzio, poi Cathleen girò la testa indietro: Edward ed Elizabeth si erano addormentati, uno addosso all'altro.
«E' stata mia l'idea della passeggiata, non avrei dovuto portarvi così lontani dalla città» mormorò il Capitano dopo un lungo momento di silenzio, sistemandole appena la coperta lasciatale da Elizabeth.
«Non ditelo, Capitano...non ci avete costretto» mormorò Cathleen, battendo i denti.
«Lo so, ma vostro padre mi reputa responsabile per voi fanciulle, non dovevo fidarmi del clima inglese»
«Non ci pensate, ora, Capitano. Riscaldatevi e...» non riuscì a dire null'altro, batteva troppo i denti. Si tirò su la coperta e tese le mani tremanti verso le fiamme del fuoco.
«Ma guardatevi, state tremando. Venite, ecco, poggiate la testa qui, vi sostengo io...» mormorò incerto il Capitano, indeciso tra l'imbarazzo e il desiderio di aiutarla.
Cathleen non si lamentò nemmeno, lasciò andare la testa, troppo pesante per essere sostenuta da sola, sulla spalla del giovane.
«Mi dispiace avervi attaccato, prima...» mormorò Cathleen «non pensavo quel che dicevo»
«Nemmeno io. Beh sì, a dirla tutta, ma avrei dovuto esprimermi meglio, Miss»
«Cathleen...solo Cathleen...» mormorò Cathleen, gli occhi socchiusi. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. L'odore di Charles le era entrato nella testa, come quel giorno nella biblioteca a Bath. Aprì lentamente gli occhi e li sollevò verso il suo viso, tirato in un'espressione preoccupata.
«Solo Cathleen...» ripetè Charles, con calma. Si zittirono, lasciando parlare il crepitio del fuoco e la tempesta che si abbatteva fuori.
Sentì il suo braccio attorno alle sue spalle e lentamente il tremolio sparì. Forse era la febbre, forse il freddo, forse la paura di tuoni e fulmini che si abbattevano fuori, ma alla fine Cathleen lasciò da parte etichetta, regole sociali e quant'altro. Si rilassò, stringendosi lentamente a lui. Ne cercò la mano, che il giovane prontamente strinse, con delicatezza. Ne baciò il palmo con la bocca, e Cathleen rimase in contemplazione di quel piccolo e fedele gesto. Non era un semplice baciamano, era un bacio sincero, di adorazione. La bocca del giovane si muoveva con dolcezza sulla pelle della propria mano, baciandone ogni millimetro prima di portarsela al petto. Sotto le proprie dita, poteva sentire il cuore del Capitano palpitare vivace. Arrossì Cathleen, vagamente consapevole che stavano condividendo più di quello che due novelli sposi potevano condividere, ma non le importava: aveva il cuore palpitante solo a respirare la sua aria, ed un laccio invisibile aveva indissolubilmente e definitivamente legato i loro due cuori, lì dentro lo sterno. E più provava a spostarsi da lui, più la stringeva saldamente, accarezzandole ora la mano ed ora la spalla.
Fu l'ultima cosa che sentì, prima di chiudere gli occhi, ma fece in tempo a pensare che sì...quello era definitivamente il miglior giorno della sua vita.

 

Per finire: ebbene sì, io non ho nulla da fare la domenica e così pubblico il nono capitolo, eheh! E' senza dubbio, per ora, il mio capitolo preferito: siamo arrivati ad un punto di svolta. Entrambe le coppie si stanno rivelando, e denudando (non fisicamente, su!). Arthur ha ceduto alla musica e proprio quest'arte sta legando lentamente lui e la moglie; Charles e Cathleen, dall'altra parte, hanno litigato per la prima volta ed hanno condiviso una situazione estrema, per i tempi, dove l'etichetta sociale non conta più: si sono un po' dichiarati, diciamolo, perchè nel 1800 condividere abbracci e contatto fisico, in generale, era permesso solo a marito e moglie praticamente :D
Bene, spero sia piaciuto anche a voi, fatemelo sapere e ci vediamo al decimo capitolo! Besos :D

 

  
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