Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: bulmasanzo    29/01/2018    1 recensioni
Alfred ha accantonato il suo sogno di diventare un musicista per aprire un negozio di ciambelle, ma fatica ancora a definirsi un fallito. Le cose si fanno particolarmente bizzarre quando crede di concludere un affare per l'ottenimento di un ingrediente segreto per rendere le sue ciambelle più dolci, che però causa un effetto completamente inaspettato.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 10

 

Alfred tornò a casa quando ormai si era ritrasformato in se stesso.

Trovò Harvey sul davanzale della finestra dalla quale era volato via, ad aspettarlo. Non appena lo vide arrivare, gli corse incontro.

"Alfred! Alfred! Porca paletta, dove eri andato?" chiese agitato, in un tono lamentoso e carico di angoscia che lo fece preoccupare, sembrava che stesse per scoppiare in lacrime.

"Oddio, che cos'hai? Cosa è successo?" chiese impaurito.

"Come sarebbe?" fece il criceto -e qui si udì un vero singhiozzo- "Te ne sei andato via all'improvviso, e chiedi a me cosa sia successo? Avevo paura che non saresti ritornato mai!"

Alfred realizzò "Mi spiace, ma sono stato via solo un paio di ore, non è il caso di esagerare..."

Harvey lo guardò e i suoi piccoli occhi sembrarono ingrandirsi, diventando troppo grossi per quel visetto minuscolo "Mi prendi in giro? Sei sparito per quattro giorni, Alfred!"

"Che cosa?"

Stava farneticando, non era passato tutto quel tempo! Era solo uno sciocco animale che non riusciva a distinguere il passare di un'ora da quello di una giornata intera...

Trovò il suo telefono abbandonato sul tavolo. La batteria era completamente scarica, lo attaccò al cavo d'alimentazione e attese che lo schermo si illuminasse.

Comparve la data di quel giorno. Ma era sbagliata. Doveva essere sbagliata.

Cominciarono ad arrivare una serie di messaggi e il registro chiamate si riempì di avvisi di telefonate a cui non aveva risposto.

Alcuni messaggi erano di sua madre, uno era di Jon, ma la maggior parte erano da parte di Suzanne.

Gli venne a mancare il fiato solo a riconoscere il suo numero.

Iniziò a leggerli. I primi erano concilianti, la ragazza gli chiedeva scusa, e questa era una buona cosa. Poi, gli proponeva se potevano parlare, e questo era ancora meglio.

Poi, però, diventavano un po' insistenti, gli chiedeva perché non le rispondesse. Se ce l'avesse con lei. Poi il tono diventava arrabbiato. Suzanne lo definiva infantile, aveva perfino spento il cellulare per evitare di starla ad ascoltare! Lei aveva sbagliato, ma davvero si meritava quel trattamento? Aveva creduto che lui fosse diverso, ma quel comportamento voleva dire che non ci teneva sul serio...

Leggendo tutti quei messaggi, Alfred si sentiva come se il cuore nel suo petto si fosse improvvisamente fermato. Aveva un grosso vuoto, e lo stomaco gli iniziò a dolere molto forte.

Si accorse gradatamente che era giusto quello che aveva detto Harvey. La data segnata era giusta, era veramente mancato per quattro giorni.

Stava pensando a come fosse possibile, la sostanza non aveva una durata così lunga e non ne aveva assunta una dose così massiccia, senza contare che non se ne era neppure accorto.

Proprio in quell'istante, arrivò l'ennesimo messaggio.

Era anche questo da parte di Suzanne.

"Adesso inizio a essere molto preoccupata. Sono venuta, ma non eri in casa, e mi hanno detto che non hai neppure aperto la pasticceria in questi giorni. Ti prego, chiamami!!"

C'era perfino un doppio punto esclamativo.

Si mise nei suoi panni e si sentì uno schifo.

Ma, al contempo, sentiva un anelito di speranza che riaffiorava.

Lei lo chiamava, si preoccupava, e anche il fatto che lo rimproverasse significava che ci tenesse veramente.

La chiamò. Sentiva il sangue congelarsi nelle sue vene, il dolore allo stomaco che si acuiva, ma la chiamò.

"Finalmente!" sentì la voce quasi stridula di lei "Perché non mi rispondevi?" non riuscì a comprendere se fosse ancora irritata, sollevata oppure entrambe le cose.

"Scusami. Scusami tantissimo!" quasi urlò lui nel microfono "Non... Non sono stato in casa e... il telefono l'avevo lasciato qui... Scusa. Mi rendo conto che ti sia preoccupata!"

"Dio santo, Al, non riuscivo a credere che non volessi più parlarmi... Dopo quello che c'è stato... E io ti ho trattato male... Avevo paura che... Al..." sembrava affannata, forse non riusciva neppure lei a credere che l'avesse infine chiamata.

"Ho letto solo adesso tutti i tuoi messaggi. Ci tengo ancora... Vengo a casa tua? Ti spiegherò meglio, anche se forse... Forse non ci crederai..."

"Dopo aver visto le mie mani trasformarsi in ali, credo a tutto." disse lei. Adesso il tono era decisamente sollevato, ma ancora molto apprensivo.

Ci furono pochi istanti di silenzio.

"Mi dispiace tanto." dissero all'unisono.

"Vieni. Ti aspetto." disse lei "Se non vieni entro un'ora, vengo io a cercarti" aggiunse.

"Sarò lì anche tra meno di un'ora." le assicurò.

"Promesso?"

"Promesso."

La sentì che sospirava pesantemente.

"Grazie" disse. E poi chiuse.

In quel momento, Alfred si piegò in due, una fitta lancinante lo aveva appena colto allo stomaco.

Si sentì privo di forze, svuotato.

"Devo mangiare qualcosa" balbettò, capendo che se era stato via senza accorgersene, voleva anche dire che per tutto quel tempo aveva digiunato... Forse era stata l'adrenalina a non fargli sentire i crampi della fame.

Gattonò verso la cucina, raggiunse un barattolo pieno di biscotti ai fichi e li divorò tutti, uno dopo l'altro. Era affamatissimo. L'afflusso di zuccheri lo fece ragionare meglio.

Gli venne in mente che se lui era stato via, allora come aveva fatto Harvey a non morire di fame?

Come un fantasma, l'animaletto comparve al suo fianco.

"Harvey, cos'hai mangiato durante questo tempo che sono stato via?" gli chiese.

"L'unica cosa che era disponibile" disse il criceto.

Ad Alfred andò di traverso una briciola. Si mise a tossire e prese un sorso di latte dal frigo. Lo sputò subito, perché in quei quattro giorni si era evidentemente inacidito.

Si riprese "Intendi che hai mangiato le ciambelle...?"

"Non tutte, tranquillo, sono piccolino, io" si difese Harvey.

"Ma... Ma io ho lasciato la porta chiusa!"

Harvey sembrò rallegrarsi.

"Quel simpatico signore l'ha aperta per me!"

Alfred si sentì mancare, a quella uscita "Quale simpatico signore?"

"Ma come, quello che sta qui..."

"Harvey, io abito da solo!" gridò, perplesso e di colpo preoccupato.

"Beh, c'è un uomo che sta al piano di sotto."

"Di cosa stai parlando? Chi...?"

Il biscotto che aveva ancora in mano gli sfuggì dalle dita.

Dal salotto, improvvisamente, era iniziata a provenire della musica.

Una musica tetra e spaventosa. Alfred si sentì male. Non c'erano assolutamente dubbi. Qualcuno stava suonando la sua fisarmonica.

"Merda" sussurrò.

Si avviò lentamente, dire che fosse terrorizzato non renderebbe l'idea.

Qualcuno era in casa sua, qualcuno era entrato a casa sua mentre lui non c'era e aveva aperto la porta della stanza delle ciambelle ad Harvey, qualcuno forse era sempre stato lì...

Alfred aprì la bocca, meravigliato.

In salotto non c'era nessuno. Era vuoto. E la fisarmonica era al suo posto. Era sul mobiletto, come sempre. E suonava da sola.

Alfred avvertì la pressione di due punte di metallo sul fianco. E immediatamente una scarica elettrica molto forte attraversò il suo corpo.

Sentì un dolore acutissimo esplodergli ed espandersi in fretta lungo tutte le sue membra, gli sembrò di vibrare e restò immobilizzato dove si trovava per diversi lunghissimi secondi.

Cadde a terra gridando, completamente incapace di muoversi.

Aveva il fiato mozzo. Il suo cervello era in allarme, gli urlava di alzarsi e scappare, ma lui era paralizzato.

Vide un paio di gambe lunghe sorpassarlo. Poi, chiunque fosse, si abbassò appena, per mostrare quello che aveva tra le mani.

In una, c'era un taser, l'arma che aveva appena utilizzato per stordirlo. Nell'altra, c'era quello che appariva come un registratore.

L'uomo premette con il pollice un bottoncino e la musica della fisarmonica si interruppe.

Allora era solo una registrazione...

"Non l'hai riconosciuta, vero?" disse una voce che sembrava piena di rabbia e disprezzo "L'hai scritta tu, ma poi l'hai scartata"

Alfred vedeva solo le caviglie del suo aggressore. Non gli occorreva sollevare lo sguardo, aveva riconosciuto perfettamente quella voce.

Gli uscì come un rantolo, non riusciva a parlare, la gola gli si era seccata e chiusa.

L'uomo gettò per terra il registratore e lo calciò via.

Poi si chinò di più su di lui.

Afferrò Alfred per il colletto della camicia con entrambe le mani e lo sollevò.

"Guardami in faccia, stronzo"

Alfred non voleva guardarlo, non voleva scontarsi con quegli occhi azzurri così paurosi e vivi.

"Tu sei Fatman. E hai un dannatissimo criceto parlante in casa." digrignava i denti per la rabbia e sputacchiava "Tutti questi segreti. E non hai ritenuto importante dirmelo!"

Alfred ritrovò la voce. "Tu sei morto" disse stupidamente.

Steve gli rise in faccia "Ti converrebbe che lo fossi" sputò.

E lo lasciò cadere a terra.

Alfred atterrò malamente, il suo corpo incominciò a rispondere, forse per via dello choc.

"Ti abbiamo seppellito un mese fa!" strillò "Ti abbiamo..."

"Avete seppellito un corpo carbonizzato e irriconoscibile." lo corresse Steve. Aveva una lunga cicatrice che gli correva lungo tutto il lato destro della faccia, e che gli si increspava tutta, mentre la aggrottava in una espressione furiosa.

"Ma... Aveva i tuoi documenti addosso" disse Alfred "Nessun altro mancava all'appello... "

"Era un senzatetto, un poveraccio che non aveva nessuno che lo aspettasse. E anche un ladro. Mi si era avvicinato senza che io lo notassi per rubarmi dalle tasche. Durante l'incidente, mi era caduto addosso, mi ha fatto finire contro il finestrino, l'ho sfondato, ecco come mi sono fatto questa" indicò il viso "Poco prima che il bus esplodesse, sono riuscito a calarmi giù attraverso il vetro spaccato. Mi sono distrutto la pelle, ma sono riuscito a salvarmi per un pelo. E poi ho visto te. O meglio, ho visto Fatman e poi Fatman si è trasformato in te. E allora ho capito tutto. Ho capito perché mi avevi allontanato, ho capito i tuoi discorsi inconcludenti..."

"Ma allora..."

"Credevo di essere il tuo migliore amico! Ma tu non mi hai voluto dire che eri Fatman! La nostra amicizia non valeva così tanto?"

"Non è così!" gridò Alfred in tono di supplica "Io... io non potevo dirtelo, non..."

"Mi hai escluso dalla tua vita senza motivo!"

"Avevo paura! Avevo paura per te! Stavano succedendo delle cose che non sapevo come controllare..."

"E poi mi hai lasciato morire! Mi sento come se mi avessi tradito..."

"Io ti ho salvato! E stavo cercando di salvarti di nuovo..."

Alfred tentò malamente di rialzarsi, ma si sentiva ancora indebolito.

"So che ho sbagliato, ma se mi permetti di spiegarti tutto..."

Ma Steve allungò il braccio e gli puntò addosso il taser "Non provare a venirmi accanto, Al. Quest'arma non uccide, ma se ti sparo negli occhi, può lasciarti cieco." lo minacciò.

Alfred si fermò. Ma poi riprese ad avanzare.

"Sta' lontano, ho detto!" ruggì Steve.

"Steve... Io sono felice che tu sia ancora vivo" disse Alfred.

"Alfreddd" grugnì Steve, trascinandosi l'ultima consonante, era come se la masticasse, con tanta rabbia.

"Non hai idea di quanto mi sia sentito in colpa, non sai quanto abbia pianto..."

"Ah, l'ho visto come ti sei consolato, ti sei buttato addosso a mia cugina! E, a proposito, dimmi, che cosa cazzo stai combinando, con lei?"

Alfred rimase interdetto e tacque.

"Continuava a chiamarti. Perché la stai ignorando?"

"Lei... Io..." balbettava, si sentiva preso in contropiede.

"Volevi solamente fartela, eh? Beh, mi spiace per te, lei non è una facile, perché la stai trattando come tale?"

"No!" esclamò lui "Non capisci, non la sto trattando come..."

"Mi fai schifo, ti comporti come l'ennesimo bastardo di cui non ha bisogno!"

"No! Non è così. Stavo appunto per andare da lei per..."

"No che non ci vai!" Steve raddrizzò la mira "Te lo impedisco" E sparò. Alfred alzò istintivamente un braccio per coprire gli occhi. I due dardi elettrificati vi si conficcarono sopra.

Alfred cadde a terra urlando.

Sarebbe stato proprio il momento buono perché la sostanza residua facesse il suo effetto, ma sembrava che l'avesse esaurita tutta quanta, era completamente senza energie.

"Questo è per averla fatta soffrire. Oh, come mi sono sbagliato su di te, mi sono sbagliato su di voi" disse Steve "Avevo sul serio creduto che poteste essere una coppia, tu e lei. Ma ora la sola idea mi disgusta"

Si avvicinò a lui.

"Tu la lascerai" sentenziò "Lei deve credere che tu sia solo l'ennesimo stronzo che la illude..."

"Perché vuoi farle questo?" riuscì a biascicare Alfred, sentiva l'elettricità invadere ogni centimetro cubo del suo corpo ed era dannatamente doloroso.

Steve sorrise "Oh, ma non è per lei. Lei è forte, ne ha superate tante, oh, vedrai che non crollerà certo stando dietro a te. Uno stupido ciambellaio che crede di voler fare il supereroe? È così ridicolo! Nossignore, lei merita di meglio. Tutto questo è per punire te. Perché tu non troverai mai nessuna migliore di lei. "

Alfred comprese che Steve era troppo arrabbiato per starlo a sentire, ma volle comunque tentare di farlo ragionare.

"Ascolta! Ti ricordi la canzone che stavi suonando poco fa? Non l'ho scritta io, Steve, l'abbiamo scritta insieme! Tu e io. Ti... Ti ricordi? Abbiamo perso quello che avevamo sognato, ma... ci piaceva scherzare. Forse, in un'altra realtà, in un mondo diverso da questo qui... Forse noi due siamo diventati famosi. Ricordi?"

"Certo, mi ricordo. L'unica cosa in cui eri davvero bravo era suonare quella fisarmonica. Eppure hai smesso."

"Ho smesso per colpa tua..."

"No. Hai smesso perché sei un fallimento" Steve andò verso lo strumento, lo sollevò da terra.

"Cosa stai..." tentò di dire Alfred, ma non finì, Steve glielo lanciò addosso. Nonostante il dolore che sentì e il pericolo che correva, Alfred riuscì a temere più che quel ricordo della sua gioventù si rompesse che per la sua incolumità.

"Non si campa di sogni! Non esistono universi alternativi, la realtà è una sola. Una realtà in cui tu, come me, hai fallito ogni singola cosa che hai tentato di fare" Steve era imbestialito, sputacchiava.

Alfred si reggeva a stento, ma non potè neppure provare a rialzarsi, Steve tornò alla carica con il taser, glielo premette addosso minacciando di colpirlo una terza volta.

"Stai cercando di uccidermi?" gli chiese, con il panico nella voce.

"Vuoi farmi credere che tu ti faresti uccidere da me?" disse Steve "Voglio semplicemente darti la lezione che ti meriti."

E, proprio appena ebbe finito di pronunciare quella frase, il cellulare di Alfred, sul tavolino in cucina, ancora attaccato alla carica, incominciò a suonare.

"Suzanne" mormorò Alfred. E cercò di precipitarsi a rispondere, ma Steve premette il grilletto.

Alfred però era pronto.

Riuscì miracolosamente a tuffarsi a terra e non venne colpito.

Lesto, sollevò una gamba, diede un calcio alla mano di Steve. L'arma gli saltò di mano.

Steve però non demorse, gli si gettò addosso, gli afferrò le braccia.

Inciamparono assieme sulla fisarmonica rimasta a terra e rotolarono giù.

"Lasciami rispondere" gridò Alfred.

"No! Tu la faresti soltanto uscire di testa, prima che ti mandi a quel paese."

Iniziarono a lottare, spingendosi a vicenda. Steve cercava di bloccarlo in una morsa. Alfred scopriva energie che aveva creduto di non avere più.

Riuscì a crollare sulla soglia, ma era tardi per rispondere. Si era attivata la segreteria telefonica.

"Al, ci stai mettendo un po'..." si sentì la voce in apprensione di Suzanne "Non voglio farmi la paranoia che mi darai buca. Non succederà e lo so. Magari stai arrivando, proprio mentre io ti dico queste cose. Voglio credere che tu non sia una persona cattiva. Comunque, scusami per come ho reagito, non è stata colpa tua se Steve è morto. Forse era solo il suo destino e tu... Hai cercato di andare avanti... In conclusione, penso che mi piacerebbe molto uscire con Fatman. Arriva presto, ti aspetto."

E lì si interruppe.

Steve era finalmente riuscito a bloccare Alfred, spingendolo a terra e sedendogli addosso, sulla schiena. Gli aveva passato un braccio sotto il collo e lo stringeva.

"Che demente." commentò "Come può seriamente essersi innamorata di te?"

"Lasciami andare da lei. Non capisci che non mi resta nient'altro?" supplicò Alfred, mezzo strozzato.

"Lo capisco. È esattamente questo il punto."



 

 

Harvey aveva indossato il giacchetto arancione che Alfred gli aveva regalato.

Lo amava, era l'unico indumento che possedesse. E amava Alfred che glielo aveva regalato. E amava la macchinetta radiocomandata che Alfred gli aveva comprato.

Gli piaceva da matti sfrecciare su quel mini-veicolo alla sua portata, perché lo faceva sentire libero. E si sentiva importante, quasi come Alfred, perché lo aveva visto spesso, lo aveva osservato dalla finestra quando lui, quasi ogni giorno, andava a lavorare, lo aveva visto guidare una macchina come la sua, ma molto più grande.

Harvey non aveva capito perché Alfred se ne fosse andato, ma lo amava e se lo aveva fatto doveva necessariamente avere un motivo.

Sentì voci concitate e poi vide il signore simpatico, quello che lo aveva accudito nei giorni in cui Alfred non era stato in casa, che attaccava Alfred. E allora non gli stava più tanto simpatico.

Harvey caricò una delle ciambelle che stava mangiucchiando da quella mattina sulla sua macchinetta.

La fece sfrecciare verso Alfred, chiamandolo a gran voce.

Alfred si volse. Era bloccato sotto l'uomo, ma si volse a guardare lui che lo chiamava.

"Harvey!" gridò Alfred a sua volta.

"Oh cavolo, quel dannato ratto è ancora qui!" disse l'altro uomo. E Harvey perse decisamente tutta la sua simpatia per lui.

"Sono un criceto!" specificò. Era importante che si capisse la differenza.

Harvey vide lo sguardo di Alfred e comprese che aveva bisogno di aiuto. Del suo aiuto.

Così si sollevò, prese la ciambella con le sue zampine e, senza esitare, la lanciò dritto dentro la sua bocca.

La centrò perfettamente.

Alfred ingoiò la ciambella intera senza neppure masticarla, il suo sapore delizioso gli diede un gran vigore. Steve cadde giù, mentre lui cresceva di volume.

Fatman si erse in piedi, fiero e possente. Indossava la tuta da supereroe, non si era mai cambiato ma la indossava come una seconda pelle.

"Ora la smetterai di fare il prepotente" disse a Steve.

"Non credere, anche se ti sei trasformato in Fatman, non cambia nulla" si schernì lui.

Ma Fatman lo colpì con un pugno in piena faccia.

Gliela fece girare tutta tutta da un lato e lo buttò a terra.

Harvey saltò in spalla al supereroe e vi si strusciò contro "Te lo dicevo che, prima o poi, avresti avuto bisogno di una spalla!" gli disse.

"Grazie, Harvey, ottimo tempismo" rise Alfred, il suo tono era pieno di gratitudine e Harvey fu contentissimo di averlo aiutato, di essersi veramente reso utile. Perché lo amava.

Poi Alfred raccolse Steve da terra, prendendolo per il retro della maglia. E si mise a fluttuare.

"Cosa stai facendo? Mettimi giù!" strillò Steve.

"Certo, ti metterò giù, ma prima... devi fare una cosa" dichiarò Alfred.

"Dove mi stai portando?"

"Da Suzanne"

Uscirono fuori, Fatman attraversò la città trattenendo Steve a penzolare giù.

Lo sentiva che si agitava e imprecava, ma i bollenti spiriti sembrava che gli si stessero calmando. Quello era sempre il suo amico, in fondo.

Quando furono a casa di Suzanne, la ragazza era lì fuori che aspettava.

Ma aspettava Alfred, non Fatman!

La ragazza era confusa, ma ancora più confusa fu quando vide suo cugino, che era morto un mese prima, vivo e vegeto di fronte a lei.

Fatman lo depositò lì davanti all'in piedi, aspettandosi che sarebbe svenuta da un momento all'altro. Ma Suzanne fissava semplicemente entrambi ed era come attonita. Non dava segni né di sorpresa né di paura.

"Cosa sta succedendo?" chiese infine, in modo molto calmo.

"Guardala" disse Alfred, spingendo Steve contro di lei "Questa ragazza ha pianto la tua morte"

Suzanne chiedeva spiegazioni sempre mantenendo una espressione calma. Era come se si fosse messa una maschera di apatia addosso.

Alfred le disse in breve che Steve aveva finto la sua morte e lei non modificò di una virgola quella faccia.

"Ero nei guai, sparire per un po' mi serviva..." cercava di giustificarsi Steve, che di fronte a quella reazione della cugina sembrava sentirsi sotto torchio.

"Non so se essere contenta che tu sia vivo o essere arrabbiata perché ci hai fatto credere che fossi morto." disse Suzanne.

"Renditi conto del dolore che hai causato" lo rimproverò asperrimamente Alfred "E in nome di cosa? Rancore? Vendetta?"

Steve si trovò a corto di argomenti, così si mise a sbraitare.

"Voi non capite un tubo! Voi..." iniziò.

"Oh, Steve quanto sei idiota!" lo interruppe Suzanne all'improvviso e, incapace di trattenersi oltre, si lanciò tra le sue braccia. La maschera le era praticamente caduta dal volto e ora mostrava apertamente tutta la sua giusta angoscia e la sua rabbia "Perché ci hai fatto questo?" piangeva.

A fronte di tale cambiamento, Steve iniziò a realizzare finalmente quello che aveva fatto e ne sentì un gran rimorso.

"Scusa, cugina" disse abbracciandola. Gli sembrava troppo piccola tra le sue braccia, nel modo che aveva di stringerlo sentiva davvero quanto l'avesse ferita.

Se lei, una donna forte e lottatrice, era in lacrime, chissà quale dolore aveva dato alla sua vecchia e fragile madre. Che figlio ingrato doveva essere stato! Steve si sentì terribilmente in colpa.

"Al, sei un gran birbone" se ne uscì "Guarda cosa mi stai facendo fare."

Suzanne lo mollò e lo spinse con rabbia "Al è una delle persone migliori che abbia mai incontrato" disse con sincerità.

Alfred fu colpito da ciò che disse. "Davvero? Non pensi che sia... un perdente?"

"Il vero perdente è chi non lo sa riconoscere" disse lei decisa, e gli tese una mano.

Sorrideva, anche se aveva ancora le lacrime che le brillavano sulle guance. Alfred le prese la mano e la chiuse tutta nel suo grosso palmo, ma con tanta cautela, sembrava che non la volesse toccare, come per paura che si potesse rompere.

Suzanne gli si avvicinò di più. "Devi ancora dirmi tante cose" gli ricordò.

Alfred capì però che non era arrabbiata, era probabilmente piena di sentimenti contrastanti, ma erano tutti quanti veri, ed era questa la cosa più importante in quel momento.

Le asciugò le lacrime, pensando che non gliene aveva mai viste versare sino a quel momento.

Lei abbandonò il viso sulla sua enorme mano. Poi si allungò sulle punte dei piedi.

Steve sembrava scocciato e girava gli occhi mentre quei due si baciavano di fronte a lui.

"Però, una cosa che hai detto è vera. Ho smesso di suonare, e questo è stato un errore." disse Alfred, dopo.

"Già, però anche lui ha smesso, no?" osservò Suzanne, indicando Steve.

Steve la guardò aggrottando la fronte. "Che cosa intendi dire?" fece mettendosi le mani sui fianchi.

Lei gli strinse il braccio e rise, pareva che si lasciasse trascinare da una certa idea venutale sul momento, ma a veder meglio, le si riusciva a leggere dentro il profondo degli occhi che non si trattava affatto di qualcosa di nuovo, ma di qualcosa che aveva concepito già da un po' di tempo.

"Doveste ricominciare... Non trovate?"

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: bulmasanzo