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Autore: crissi    18/08/2018    15 recensioni
Il mio lavoro mi costringe a volte a diventare invisibile nelle famiglie; obbligato a rimanere, indesiderato testimone, anche in momenti che intimi e segreti dovrebbero restare. E a restare imperturbabile, saldo, professionale, anche quando il loro dolore diventa mio.
Missing moments molto liberi visti da una personaggio marginale, una figura professionale ricorrente nell’anime, che ho voluto immaginare sempre come lo stesso individuo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1 Inevitabile follia



INEVITABILE FOLLIA*


Parigi, 16 luglio 1789


Mi guardo le mani. Le mie belle, abili mani.

Sangue. Vermiglio, viscido, nauseante.

Ne sono ricoperte, quasi impregnate. Le immergo nel bacile e l’acqua diviene immediatamente rossa.

Questo fa parte della quotidianità del mio lavoro, ma oggi ne sono inorridito più che mai e, nonostante il caldo torrido di luglio, un brivido di gelo mi invade.

Fare il medico non è un mestiere, ma una vocazione.

È un cammino in salita, logorante, sia per il corpo che per l’anima. Una sequenza infinita di dolori, orrori e pene. Una consacrazione ad una missione, la dedizione ad uno scopo, che per quanto ci si impegni, sfugge sempre al suo completamento. Una necessità ad adempiere, che non si domanda quale sarà il tornaconto, se ci sarà un tornaconto.

Sì, una vocazione, la risposta ad una chiamata interiore. Almeno così dovrebbe essere per tutti coloro che intraprendono questa professione. Così è stato per me. Anche se non da subito. Potrei dire da sempre, ma non sarebbe completamente vero. Certo, ho sempre saputo cosa avrei voluto essere nella vita e, grazie ad un’ anima buona che ha creduto in me e mi ha pagato gli studi, lo sono diventato. Ho potuto seguire quella voce che mi chiamava, rispondere alla esigenza di fare. Fare qualcosa, fare di più, fare meglio. Ho potuto realizzare il mio sogno. Sia chiaro: non sono un santo. Ho sempre avuto a cuore coloro che soffrono ed il desiderio di arrecare sollievo alle pene umane, ma anche la volontà egoista, seppur umana, di migliorare la mia condizione, uscire dalla mediocrità sociale ed economica.

… Il mio sogno...

L’eco di questo mio pensiero si spande nella mente, come un grido che rimbalza tra le pareti dei monti e ritorna più forte e distorto, e pare l’urlo di un folle.

Sogno? Mi chiedo incredulo.

Mi sembra d’udire ancora le grida incessanti dei feriti, in parte, ma solo in parte, coperte dai colpi dei fucili e dal rombo spaventoso dei cannoni: un incubo, non un sogno!

Ora gran parte di quelle grida sono cessate. Per sempre. Stroncate dalla follia umana, in primis, ed anche dalla mia incapacità a porvi rimedio.

So che non è colpa mia, solo un limite della conoscenza umana, della scienza che in questi anni sta muovendo i primi passi dopo secoli di oscurantismo, ignoranza e paura; ma se qualcuno mi offrisse ora di ricominciare tutto daccapo, se potessi scegliere di nuovo quale carriera intraprendere, farei il fruttivendolo, così getterei via solo frutta marcia anziché vite umane.

Sfrego le mani col sapone, aiutandomi con una spazzola; strofino le setole sulla pelle, con energia, quasi con rabbia, eppure mi sembra che questo sangue non se ne voglia andare. Si infila sotto le unghie, nel reticolo della pelle e lì continuo a vederlo, anche quando più non c'è.

Dio mio, quanti arti ho segato in questi due giorni? Quante ferite ho ricucito e quante vite ho lasciato scivolare via perché la mia medicina era impotente, perché nulla potevo fare per riparare alla pazzia degli uomini?

Che follia. Sì. La guerra è niente altro che follia per chi, come me, le vite vorrebbe salvarle.

Per altri, invece, imbracciar le armi è stata una scelta obbligata. E mi perdo a riflettere su come sarebbe potuta andare diversamente.


Una follia inevitabile, penso.  Il sollevarsi di moltitudini, forse a ragione, forse a torto, forse entrambe le cose. Come un rivolo dapprima silenzioso che, ignorato, diventa ruscello gorgogliante e si ingrossa, alza la voce, scava tra rocce millenarie, apparentemente salde, finché rompe gli argini e nulla più lo trattiene. Non la ragione degli uomini, non la parola di Dio, non il semplice buonsenso né la pietà.

E allora, come una valanga, irrompe a valle e travolge tutto e tutti, senza risparmiare chi, più a monte, si crede in salvo, erodendogli la terra sotto i piedi e portandoselo via.

Perché è così: siamo tutti provvisori su questa terra. Nessuno è eterno, nessuno intoccabile, nessuno eletto da dio: non un re e neppure un rappresentante all’Assemblea. Mi domando se ne siano coscienti, tutti loro.


- Dottore?

Mi volgo a guardare la giovane donna bionda che si è affacciata alla porta del mio studio. Ha l’aria distrutta, forse più di me; d’altronde mi ha assistito senza sosta, pur avendo appena patito la perdita di due carissimi amici.

- Sì, Rosalie?

- Il carro è pronto, dottore. Quando vuole possiamo partire.

Annuisco e lei si allontana senza aggiungere altro, raddrizzando un poco la schiena nell’avviarsi.

Forza e coraggio, Rosalie, un passo avanti all'altro perché diversamente non puoi fare, se non camminare la tua vita, per il poco o tanto che ti verrà concesso.

Estraggo le mani dall’acqua rossa e le sciacquo con quella limpida di una brocca. So che sono pulite eppure io quel sangue me lo sento ancora addosso.

Mi rassegno a tamponarle con la salvietta, velocemente, non potendo far di più per questo mio malessere.

Prendo i miei ferri, lavati ed asciugati diligentemente; li metto nella borsa, la mia inseparabile borsa, ed esco per apprestarmi a fare ciò che normalmente non è mio compito, ma del prete e del becchino.

E stavolta sarò sincero, io abituato a mentire.


Rosalie mi sta già aspettando a cassetta mentre suo marito Bernard le rinnova raccomandazioni che qualunque buon consorte ripeterebbe fino allo stremo.

- Ti prego, ripensaci. – la supplica stringendo con la mano quelle di lei strette sulle briglia.

- No, Bernard, te l’ho detto: sono la mia famiglia ed hanno diritto a riposare in pace e non in una fossa comune.

- Almeno lascia che venga con te o mandi qualcuno: le strade sono pericolose. – Insiste il giovane passando da un tono imperativo, adatto al ruolo autoritario che si è trovato a vestire in questi giorni,  ad uno più confidente e preoccupato di un marito innamorato.

- Non devi stare in ansia. – Mormora Rosalie, deponendo i finimenti e ricambiando la stretta.

- E se lui non volesse …

- Lui deve vederli. – Afferma perentoria.

Era diventata forte Rosalie, forse lo era sempre stata. Forte, anche cocciuta, irremovibile pure nei momenti in cui la sua lacrima facile avrebbe suggerito il contrario. Lacrime che, avevo imparato negli anni, indicavano rabbia, dolore, mai debolezza.

Si sentiva forte, Rosalie, sì. Come mai prima.

E con lui, con quell’uomo, sarebbe stata indicibilmente dura.

  • Titolo “rubato” ad una canzone di Raf







   
 
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