Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: mikimac    05/12/2018    2 recensioni
L'amore colpisce tutti. Spesso, quando meno te lo aspetti. Qualche volta, per chi non dovresti amare.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nel tramonto
La bellissima estate, che aveva avvolto Londra con il suo caldo e soleggiato abbraccio, si insinuava quasi timorosa dalla finestra spalancata, agitando leggermente le lunghe tende bianche con una pigra brezza mattutina. Sherlock Holmes era sveglio da ore, ma era rimasto sdraiato nel grande letto vuoto, a fissare i giochi di chiaroscuro che si susseguivano sul soffitto, con il trascorrere del tempo. Ogni tanto accendeva una sigaretta e la fumava lentamente. Sapeva che la signora Hudson, l’anziana padrona di casa, avrebbe disapprovato fermamente che lui fumasse non solo in casa, ma soprattutto in camera, ma Sherlock non aveva tempo per le eventuali rimostranze della donna. C’era qualcosa che lo tormentava da una settimana. La sua mente cercava di fargli comprendere che gli era sfuggito un dettaglio importante. Il problema principale era che ogni sua riflessione arrivava inesorabilmente a John Watson. Per quanti sforzi il giovane Holmes facesse per evitare di pensare al dottore, John finiva sempre al centro dei suoi ragionamenti. Non solo perché villa Morstan era il fulcro dell’indagine. Sherlock non poteva dimenticare il loro bacio. E l’addio di John, durante il loro ultimo incontro.
Una risata allegra e cristallina irruppe nella stanza dalla finestra. Il viso di John si materializzò nella mente di Sherlock, con la sua voce dolce e pacata, la sua risata discreta e coinvolgente. La spia scalciò il lenzuolo, che lo copriva fino ai fianchi, si sedette sul bordo del letto con i piedi nudi sul pavimento freddo e spense la sigaretta nel posacenere con un gesto stizzito. Il resto del mondo avrebbe anche potuto essere meno felice, mentre lui scendeva a patti con la parte più oscura della sua anima. Quella governata dai sentimenti, a lui sconosciuti. Sherlock non avrebbe mai perdonato John per avere scatenato la tempesta, che gli impediva di riflettere in modo razionale sull’assurda situazione in cui si trovava. C’era un’unica soluzione. Affrontare il dottore apertamente, definire precisamente i confini della loro relazione e andare avanti. Lo avrebbe fatto quel pomeriggio stesso, durante il loro incontro settimanale. Sì. Aveva finalmente preso la decisione giusta. Sherlock si alzò con uno spirito più consono alla bella giornata che filtrava dalla finestra, pronto ad affrontare e sconfiggere il suo ferale nemico: l’amore non corrisposto che provava per John Watson.


Nel tramonto


La stanza era in penombra. Le leggere tende bianche si muovevano appena, bloccate dai pesanti tendaggi color crema, che impedivano alla luce del sole di entrare nella stanza. John non sentiva rumori o suoni. Solo il canto degli uccelli, che abitavano gli alberi del parco, riusciva a raggiungerlo. Null’altro. Theodore e Mary lo avevano isolato dal resto del mondo. Solo loro entravano nella stanza. Lo imboccavano. Lo accompagnavano in bagno. Per la maggior parte del tempo, John era immerso in una sorta di dormiveglia. Mary non dormiva nemmeno più con lui. Non doveva salvare le apparenze. La servitù sapeva che il medico era ammalato ed era normale che la moglie si fosse trasferita in un’altra stanza, per la notte. Theodore e Mary lo lasciavano spesso solo. John non aveva alcuna possibilità di fuggire. La porta della camera era chiusa a chiave. Il telefono era stato portato via dal comodino, insieme al cellulare; “Così nessuno disturberà il suo riposo e guarirà prima,” avevano spiegato Theodore e Mary, a beneficio della servitù e dei loro soci, ignari della reale situazione di John. La stanza era al primo piano e il dottore non avrebbe mai potuto fuggire dal balcone. Non tanto per l’altezza. Erano le forze a mancargli. Nei pochi momenti di lucidità, il giovane medico si chiedeva per quanto tempo ancora i Morstan gli avrebbero concesso di vivere. Quale fosse il periodo che ritenessero consono prima della sua prematura dipartita. L’unica sua consolazione era la consapevolezza che Sherlock Holmes lo avrebbe vendicato. Non perché gli importasse di lui, ma per portare a termine la propria missione. Sherlock Holmes avrebbe compreso che John era stato assassinato e avrebbe arrestato i due colpevoli, che avrebbero pagato per tutti i loro misfatti. Era un peccato che John non sarebbe stato presente, per ammirare la giovane spia nei panni dell’implacabile vendicatore. Però non importava. Giustizia sarebbe stata fatta e John non sarebbe morto inutilmente.


Il parco era pieno di persone, come sempre. Turisti e abitanti di Londra approfittavano delle alte piante di Kensington Park per trovarvi refrigerio, durante le ore più calde del giorno. Sherlock non poteva lamentarsi della folla. Avevano stabilito di incontrarsi nel parco proprio per nascondersi in mezzo alla gente. Ciò che lo irritava era il ritardo di John. Era strano che il dottore non fosse ancora arrivato. Agli altri appuntamenti si era sempre presentato puntuale. Doveva essere accaduto qualcosa, che gli aveva impedito di venire e di avvisare Sherlock che l’incontro era saltato. L’immagine di un John pallido e quasi barcollante apparve prepotentemente nella mente della spia, che si chiuse nel proprio palazzo mentale. Sherlock osservò con attenzione il ricordo dell’ultimo incontro con John, focalizzandosi sull’aspetto del dottore.
Improvvisamente capì.
L’illuminazione lo colpì con la forza di un pugno nello stomaco: “Stava male, non era ubriaco!”
“Finalmente lo hai capito! Per essere così intelligente, sei stato veramente lento,” sbottò una voce accanto a Sherlock, che si voltò interdetto. Davanti a lui c’era John, che indossava lo smoking blu della sera in cui era andato a cena a villa Morstan. Holmes aveva visto il dottore vestito in tanti modi, ma non gli era mai sembrato così bello come in quella occasione. La sua presenza, comunque, era destabilizzante e sorprendente: “Che cosa ci fai qui?” Domandò in tono secco.
“Volevo farti notare quanto tu fossi stato stupido. Mi hai visto ubriaco, certo, ma una sola volta. Sai che non sono un bevitore abituale. Tu e tuo fratello avete fatto controlli approfonditi sul mio passato, prima di coinvolgermi nel vostro caso. Sai che non bevo, fino a perdere il controllo. L’esercito non mi avrebbe mai affidato il comando di una squadra d’emergenza medica in zona di guerra, se avessi avuto problemi con il bere. Voi fratelli Holmes non mi avreste mai trasformato nel vostro burattino, se fossi stato un ubriacone. Non avreste mai corso il rischio di mandare tutto a monte, ingaggiando un inaffidabile alcolista. Ho cercato di farti capire che io non ero ubriaco e che stavo male, ma tu no! Tu non ti sei degnato di ascoltarmi!”
“Non puoi rinfacciarmi nulla. Non puoi sapere che cosa io pensassi,” borbottò Sherlock, irrigidendosi.
“Certo che posso! Sono nella tua testa! Io sono il John generato dalla tua mente. Devo spiegarti io, come funzioni il tuo palazzo mentale?” Sbuffò Watson, incrociando le braccia sul petto.
“Certo che no. Però mi stai facendo perdere tempo prezioso. Deve esserti accaduto qualcosa di molto grave. I Morstan devono avere scoperto la nostra incursione in cantina, capito il tuo doppio gioco e deciso di ucciderti. Non eri ubriaco! Ti stanno avvelenando!”
“Bravo! Che cosa aspetti a venire a salvarmi? Un invito scritto?”
Sherlock spalancò gli occhi, si alzò di scatto e corse verso l’uscita. Doveva fare in fretta. Doveva salvare John. Fosse anche stata l’ultima cosa che avrebbe fatto per l’MI6.


Nell’ufficio non entrava la luce del sole né l’aria della calda estate. La luce artificiale illuminava sapientemente le carte che Mycroft Holmes stava firmando, mentre il condizionatore manteneva una temperatura confortevole. Tutto era calmo e tranquillo, fino a quando la porta fu spalancata con forza. Mycroft non si scompose. Alzò appena un sopracciglio per osservare severamente chi avesse osato disturbare il suo lavoro.
“Lo stanno avvelenando,” esordì Sherlock, senza tanti preamboli.
Mycroft non aveva bisogno di sapere a chi si stesse riferendo il fratello: “Ne sei sicuro?”
“Sì. Oggi John non si è presentato all’appuntamento. La scorsa settimana era pallido e barcollante. Io ho pensato che fosse ubriaco, ma non erano i sintomi di una sbornia. John stava male. Sono stato un vero idiota a non capirlo subito e a lasciarlo tornare in quella casa.”
“Premesso che lungi da me il non concordare con te sul fatto che tu sia un idiota, non avresti potuto fare altro che lasciare tornare John a villa Morstan.”
“Perché?” Ringhiò Sherlock.
“Lo sai bene perché. Non siamo pronti a procedere con gli arresti. Se anche riuscissimo a fare condannare i Morstan con l’accusa di tentato omicidio nei confronti di John, non sappiamo che cosa succeda nella fabbrica nello Yorkshire. I complici ci sfuggirebbero e dovremmo ricominciare tutto da capo,” affermò Mycroft, mettendo la penna sulla scrivania e appoggiando la schiena alla poltrona.
“John morirà,” urlò Sherlock.
“Non mi sembrava che la cosa ti turbasse tanto, quando abbiamo deciso di coinvolgerlo nel caso. È cambiato qualcosa?” Domandò Mycroft, curioso.
Sherlock si bloccò. Non avrebbe mai confessato i propri sentimenti per John al fratello. Non prima di averne parlato con John stesso. Il dottore meritava almeno questo. Di vivere. E che Sherlock fosse onesto su ciò che provava verso lui. Come era entrato, così il giovane Holmes uscì dall’ufficio del fratello.
“Il vento dell’est è arrivato per punire i draghi malvagi. Avvisi il reparto veleni del Bart’s e mandi una squadra d’appoggio fuori da villa Morstan. Sherlock dovrebbe riuscire a salvare il suo dottore da solo, ma è meglio essere preparati a intervenire in loro aiuto. Mi tenga informato,” ordinò alla sua assistente.
“Sarà fatto, signore,” sorrise Anthea, lasciando solo il maggiore degli Holmes. Con un sospiro, Mycroft si augurò che Sherlock arrivasse in tempo a salvare John. Il dottore poteva essere la salvezza per il suo fratellino, se fosse sopravvissuto, ma la sua morte avrebbe devastato e annientato Sherlock.


Il sole aveva iniziato la sua lunga discesa verso la sera, quando Sherlock bussò alla porta di villa Morstan. Edgar gli aprì e nascose la sorpresa di trovarselo davanti: “Buonasera, signor Holmes. In cosa posso essere utile?”
“Devo vedere il dottor Watson. È urgente e importante.”
“Mi dispiace, signore. Il dottore non sta bene e non riceve visite.”
“Non importa. Devo vederlo. So che i padroni di casa hanno ospiti. Posso mettermi a chiamare John a gran voce, attirando l’attenzione degli invitati, oppure lei mi spiega dove lui si trovi e mi lascia entrare senza opporsi. In questo caso, nessuno si accorgerà della mia presenza.”
Dopo qualche secondo di riflessione, Edgar si fece da parte: “Il dottor Watson si trova nella prima stanza a sinistra, al primo piano.”
Sherlock si precipitò su per le scale, mentre Edgar andò da Mary, a riferire che cosa stesse accadendo. Sherlock spalancò la porta della stanza. La camera era in penombra, ma il giovane Holmes vide subito la sagoma distesa sul letto. Immobile. Il respiro era appena percettibile. Il cuore di Sherlock saltò un colpo. Si precipitò da John e accese una lampada: “John! John! Apri gli occhi. Rispondimi!” Chiamò, in tono disperato.
John si riscosse e aprì faticosamente gli occhi: “Sherlock?” Domandò, incredulo. Alzò una mano, sfiorando la guancia dell’altro uomo, per assicurarsi che non fosse un sogno. I polpastrelli toccarono gli zigomi sporgenti, sotto la pelle bianca come l’alabastro: “Sherlock… sei proprio tu… sei qui… sei venuto…” mormorò, con voce flebile.
“Sì, sono qui, John. Sono qui. Per te. Che cosa ti hanno fatto, amore mio?”
“Mi hanno avvelenato… mi hai chiamato amore mio? Tu mi ami?” Sussurrò John, sorridendo felice.
“Sì. Ti amo. Sono stato un idiota. Avrei dovuto dirtelo il primo giorno che ti ho visto. Avrei dovuto impedirti di sposarti. Invece ho negato i miei sentimenti, anche a me stesso. Perdonami, John.”
“Non hai nulla da farti perdonare. Anche io non ho avuto il coraggio di dirti che ti amo.  Credevo che tu non fossi interessato a me. Pensavo di non essere degno di te,” sospirò, chiudendo gli occhi.
“Nononono. Non chiudere gli occhi. Resta sveglio. Rimani con me. Non addormentarti. Ora ti porto via. Ti porto al sicuro,” lo sollecitò Sherlock.
“Che cosa succede qui?” Chiese una voce tagliente e gelida.
Sherlock non si voltò nemmeno a guardare Mary. Spostò le coperte, prese una vestaglia dal fondo del letto e sollevò John praticamente di peso: “Forza. Appoggiati a me. Andiamo via.”
“Dove crede di portare mio marito?” Sibilò Mary, avvicinandosi ai due uomini.
“Porto John in ospedale. Poi manderò qualcuno ad arrestare te e tuo padre,” ribatté Sherlock, appoggiando la vestaglia sulle spalle di John e sorreggendolo, mentre si avviavano verso la porta della stanza.
“Arrestarci? Per cosa? Lasci mio marito e se ne vada o...”
“O cosa? Spiegherà ai suoi soci che ha sposato un uomo che lavora per l’MI6? Sono sicuro che saranno molto comprensivi. Come lo sono stati con Steve Ballard,” la interruppe Sherlock, sarcastico.
Erano arrivati in cima alle scale. Sherlock sorreggeva sempre John, mentre Mary li seguiva. Theodore li raggiunse, interdetto: “John sta male. Dove lo sta portando?”
“In ospedale. Dove gli somministreranno l’antidoto al veleno che gli avete dato,” rispose Sherlock, in tono secco e deciso.
“Mary, non puoi permetterglielo. Quest’uomo non può portare via John. Gli altri si farebbero delle domande. Potrebbero capire che qualcosa non va. Devi fermarlo o andare con loro.”
“Provate a fermarmi, se ci riuscite,” li sfidò Sherlock.
I soci dei Morstan uscirono dall’ufficio di Mary e osservarono la scena, sospettosi.
“Che cosa sta succedendo. Chi è quell’uomo? Dove sta portando John?” Chiese Albert Newman.
“Il signor Holmes è un amico di John. È venuto a trovarlo e lo ha trovato peggiorato. Abbiamo deciso di portarlo in ospedale,” rispose Theodore, con voce leggermente tremante.
“Era ora che vi decideste a portare John in ospedale. Sono giorni che ve lo ripeto,” interloquì Thomas Raynolds.
“Infatti. Ora Mary e il signor Holmes accompagneranno John in ospedale. Tutto si sistemerà. Dillo anche tu, Mary.”
“Certo. John starà bene. Non mi ero resa conto che le sue condizioni fossero così peggiorate. Per fortuna il signor Holmes è passato a vederlo. Ora andremo al pronto soccorso. Tutti insieme. Vero, signor Holmes?” Anche la voce di Mary era incrinata. Sherlock continuava a scendere le scale, tenendo un braccio intorno ai fianchi di John. Non diceva una parola. Sentiva solo il respiro di John, sempre più debole. Impiegarono un tempo che sembrò eterno, per arrivare all’auto. Sherlock mise gentilmente John dalla parte del passeggero, allacciò la cintura di sicurezza e salì dalla parte del guidatore.
“Mi faccia salire. Se non vengo con voi, comprenderanno che la sicurezza della nostra missione è stata compromessa per colpa mia e mi uccideranno. Le rivelerò tutto, ma mi porti con voi,” lo supplicò Mary.
Sherlock allungò un braccio e chiuse la sicura della portiera: “Non è un mio problema,” sibilò. Avviò l’auto e non si voltò mai indietro. Mary li osservò andare via. Impietrita.
“Mary, potresti rientrare? Credo che tu abbia delle spiegazioni da darci,” la richiamò Phillip Chappel in tono gelido. Un brivido freddo attraversò la schiena della donna.
Era paura.
Non poteva fuggire da nessuna parte. Non aveva una spiegazione ragionevole da fornire ai suoi soci. Sapeva che non avrebbe mai potuto sperare nella loro pietà. Con la morte nel cuore, Mary rientrò in casa, andando incontro al proprio destino.
Arrivato al cancello, Sherlock fermò l’auto e abbassò il finestrino. Anthea si avvicinò e osservò il dottore, che sembrava appisolato: “Vi stanno aspettando al Bart’s. Ho fatto arrivare i migliori medici ed esperti di veleni del paese. Un’auto della polizia vi scorterà fino all’ospedale, a sirene spiegate,” la donna informò Sherlock.
“Andate pure dentro. I Morstan saranno così contenti di vedervi, che vi racconteranno tutto prima ancora che facciate loro anche solo una domanda,” ribatté Holmes.
Anthea annuì e fece un cenno a un’auto, che accese la sirena e partì a forte velocità. Sherlock la seguì, senza alcuna esitazione. John socchiuse gli occhi. Il sole stava tramontando alle loro spalle. Girò il viso verso Sherlock e lo osservò sorridendo. Il rosso fuoco che infiammava il cielo, faceva risaltare i lineamenti decisi del giovane Holmes, intento a guidare.
“Grazie per essere venuto,” mormorò.
“Avrei dovuto arrivare prima. Andrà tutto bene, John. I medici ti cureranno. Vivrai. Non ti lascerò mai più.”
“Allora è vero che mi ami? Me lo hai detto veramente? Non me lo sono sognato?”
“Ti amo, John. Ti ho sempre amato. Tu ti salverai e trascorrerò il resto delle nostre vite a dimostrarti quanto io ti ami. Resisti. Siamo quasi arrivati. Ti amo, John.”
“Anche io ti amo, Sherlock,” sussurrò John, con un sorriso dolce sulle labbra pallide, mentre chiudeva gli occhi. Il sole infuocato aveva terminato il proprio percorso nel cielo, lasciando il posto alla luna e alle stelle. Un amore era nato. Travagliato e incerto, ma talmente forte che nessuno sarebbe mai riuscito a separare John Watson e Sherlock Holmes.


Angolo dell’autrice

Anche questa storia è arrivata alla fine. Spero che vi sia piaciuta, che conosceste il film oppure no.
Grazie a chi abbia condiviso questa avventura con me, leggendo il racconto.
Grazie a emerenziano e meiousetsuna per le bellissime recensioni lasciate ai vari capitoli.

Prima o poi ci rivedremo da queste parti. Intanto, approfitto dell’occasione per augurare a tutti Buone Feste e un felicissimo 2019, che porti pace, serenità e tanta salute, e che realizzi tutti i vostri desideri.

Ciao!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: mikimac