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Autore: antigone7    16/07/2009    4 recensioni
È venerdì sera e come tutti i venerdì sera siamo, noi soliti cinque più il ragazzo di Audrey, seduti al solito tavolo del solito bar, aspettando che il solito Dave ci porti le solite cose da bere e si sieda con noi.
Siamo Delia, Matt, Audrey con Phil, David, Josh, e io, Jude.
Se te lo stai chiedendo, sì, sono una ragazza. Immagino che il mio nome ti abbia tratto in inganno, ma in realtà mi chiamo Judith, come quell’eroina ebraica che per salvare il suo popolo sedusse e poi tagliò la testa a Oloferne e bla bla bla, esatto. Tutti però, o quasi tutti, mi chiamano Jude come, per restare nell’ambito “paragoni famosi”, Jude Law o come quello di “Hey Jude” dei Beatles, con la piccola differenza che loro sono individui di sesso maschile, io femminile, ecco.

Sei amici, un locale e qualche venerdì sera di troppo...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Marie's and surroundings'
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1. Jude e il gruppo del venerdì sera



“Quindi George Peterson sta con Melanie Frayer? Quell’oca ossigenata e senza cervello della Frayer?”
Audrey annuisce comprensiva. “Ebbene sì.”
“Questa è la dimostrazione che Dio non esiste, e se esiste, si fa gli affari suoi: al mondo non c’è giustizia,” conclude perentoria una Delia fin troppo sconvolta, scuotendo il capo.
Io, scorgendo l’espressione di Matt che non sa se ridere o sbattere la testa sul tavolo, mi limito a sorridere, ma probabilmente se oggi non fossi di pessimo umore starei sghignazzando di gusto: la situazione, in effetti, è piuttosto divertente.
È venerdì sera e come tutti i venerdì sera siamo seduti al solito tavolo del solito bar: siamo i soliti cinque più il ragazzo di Audrey e, ovviamente, stiamo aspettando che il solito Dave ci porti le solite cose da bere e si sieda con noi. Definirci abitudinari sarebbe poco.
Delia, Matt, Audrey con Phil, David, Josh, e io, Jude.
Se te lo stai chiedendo, sì, sono una ragazza. Immagino che il mio nome ti abbia tratto in inganno, ma in realtà mi chiamo Judith, come quell’eroina biblica che per salvare il suo popolo sedusse e poi tagliò la testa a Oloferne e bla bla bla, esatto. Tutti però, o quasi tutti, mi chiamano Jude come, per restare in ambito “paragoni famosi”, Jude Law, o come quello di Hey Jude dei Beatles, con la piccola differenza che loro sono individui di sesso maschile, mentre io femminile, ecco.
Ma non parliamo di me, odio farlo. I miei amici, quelle sono persone sulle quali vale la pena spendere due parole.
Audrey, per esempio, è quella che stasera è arrivata con la notizia fresca di settimana del fidanzamento ufficiale tra George Peterson e Melanie Frayer: fare gossip, in effetti, è sempre stato un suo vezzo, anche se non lo si direbbe mai, visto il temperamento riservato e schivo che ha.
Conosco Audrey Byrne dal primo giorno di liceo: all’epoca io ero una ragazzina timida ma piuttosto tenace e combattiva, la cui migliore amica si era da poco trasferita in Europa. Durante la prima noiosissima lezione di biologia, mi trovai seduta accanto a questa bella ragazza dai capelli neri e liscissimi, dolce ma ironica e piena di spirito.
Aud in fondo è rimasta uguale ad allora. Ha la pelle olivastra, i capelli lisci color pece e i tratti indiani ereditati da sua madre, ma gli occhi sono di uno splendido verde scuro, uguali a quelli di suo padre: è ancora una delle ragazze più belle che conosco, ma non sa di esserlo. È modesta all’inverosimile, Audrey, tanto da sembrare cieca a volte. Di sé non le piace praticamente niente, nemmeno il nome: dice che si chiama così solo perché sua madre ha da sempre una stupida fissazione per Audrey Hepburn, e che vorrebbe un nome meno “da vip”.
Inoltre è sensibile e buona con tutti, spesso anche un po’ ingenua, caratteristiche che, aggiunte al suo bel viso, l’hanno portata a essere presa in giro più e più volte da bastardi e approfittatori di vario tipo. Tradotto: ha sempre avuto una sfortuna tremenda con l’altro sesso, se non che adesso sembra aver trovato la serenità con Phil, suo attuale ragazzo da circa otto mesi.
Il difetto del gossip le è però rimasto, ma, conoscendo sua madre, sospetto sia più che altro una tara genetica.
“È ingiusto! George è un gran bel pezzo di ragazzo, meriterebbe molto di più di Melanie Frayer, quella c’ha solo le tette, e non sono nemmeno sicura che siano vere! Cioè, vi ricordate anche voi che a scuola era praticamente piatta, vero? Come hanno fatto a spuntarle le tette così, all’improvviso? Oltretutto a me George piaceva già ai tempi del liceo e quella sgualdrina invece…”
Delia continua imperterrita la sua filippica contro la Frayer senza accorgersi degli sguardi ormai esasperati di tutti.
Delia Gray è fantastica, dico sul serio, anche perché se la pensassi diversamente non sarei certo sua amica da più di quattro anni. Solo che a volte è un tantino logorroica, ecco tutto. Noi le vogliamo bene lo stesso.
Delia è entrata nelle nostre vite come un uragano: cioè inaspettatamente e creando un bel po’ di confusione. Si iscrisse nel nostro liceo a metà del secondo anno, dopo essersi trasferita con la sua famiglia dalla California, e si affezionò subito a Audrey, anche se caratterialmente e fisicamente era il suo esatto opposto.
All’inizio io ero piuttosto diffidente nei suoi confronti – come sempre quando conosco una persona nuova – poiché temevo fosse la solita approfittatrice che tentava di irretire Aud per diventare popolare a scuola e poi abbandonarla preferendo compagnie migliori. Non che noi all’epoca fossimo molto popolari, al contrario; però la mia amica attirava a sé più di uno sguardo e immaginavo che le attenzioni di Delia non fossero sincere. Mi sbagliavo e mi dovetti perciò ricredere: non solo Delia non aveva alcuna velleità di scalata sociale, ma, al contrario, da allora si è sempre dimostrata un’amica fedele, oltre che una vera e propria intrattenitrice nei momenti di necessità.
Ora come ora Deels è una giovane studentessa del College single e fiera del suo status. Ha diversi ragazzi con cui si diverte, “a che altro servono sennò?” (testuali parole)… e chi può darle torto.
Fisicamente non è molto alta ed è piuttosto minuta, ma potrebbe far paura a chiunque con la sua parlantina tagliente e inesauribile, e con la sua sicurezza sfrontata. Al momento ha i capelli lunghi fin sopra le spalle, di un rosso piuttosto scuro, colore che cambia spesso, anche se il suo naturale sarebbe un biondo cenere che io adoro ma che lei definisce “color topo di fogna”.
E dopo tutta questa lunghissima descrizione, Delia non ha ancora smesso di inveire. Come volevasi dimostrare.
“…ed è una cosa assolutamente assurda. Jude, non sei d’accordo?”
Eccola là. Ovvio che mi avrebbe interpellato, sono seduta alla sua destra e ho la testa tra le nuvole da un po’. Fortunatamente so più o meno di cosa stiamo parlando.
“Dee, tu non vuoi neanche impegnarti. È inutile che te la prenda tanto a cuore.”
“Che c’entra. Magari George poteva essere l’uomo della mia vita.”
E ti pareva. Un tantino melodrammatica, no?
“Gray, nessun essere umano sano di mente potrebbe sopportarti per una vita intera, considerato quanto parli.”
Ecco, Matt non è più riuscito a trattenersi, è già strano che l’abbia fatto fin’ora.
Vedo gli occhi nocciola di Delia farsi sottili e fulminare il pazzo suicida che ha osato parlare, pazzo suicida che per fortuna si trova al lato opposto del tavolo.
“Qualcuno ti ha interpellato?”
“Non ne potevo più di sentirti uggiolare, tesoro.”
La bocca di Dee si stende in un sorriso sarcastico. “Geloso, Patterson?”
Anche Matt non se la cava per niente male col sarcasmo, però. “Oh sì, da morire!”
“Idiota,” ribatte la mia amica, contenta di aver finalmente trovato pane per i suoi denti. “Sei solo invidioso perché l’unica cosa che avrai mai di simile a George Peterson è il cognome. Per il resto, lui ti batte dieci a zero.”
“Ciò che invidio a quel tipo è che non è costretto a sopportare te tutti i venerdì sera.”
A Phil scappa una mezza risata e Audrey gli dà una gomitata, perché sa che se qualcuno si intromettesse potremmo perderci la parte più spassosa della serata. Ma Delia e Matt sembrano essere troppo impegnati nel cercare di incenerirsi a vicenda con lo sguardo per accorgersene.
In effetti, i teatrini tra Delia Gray e Matthew Jonathan Patterson sono famosi in quasi tutto l’universo conosciuto. In realtà quei due non si odiano tanto quanto vorrebbero far credere: certo, a volte sembra che stiano per prendersi per i capelli, ma sotto sotto si divertono un sacco a punzecchiarsi. Per di più ho il sospetto che Matt abbia davvero un interesse ben celato per Delia e viceversa, sennò non si spiegherebbe tanta tensione tra loro. Solo che loro ancora non lo sanno, suppongo. O forse sì?
Tutto è cominciato, come sempre, a scuola. Non conoscevo ancora Matt, o meglio, la sua fama da bello e dannato lo precedeva, ma non avevo mai avuto contatti diretti con lui, quando, una mattina, Dee ci si avvicinò sbraitando qualcosa tipo: “quel Patterson è un vero deficiente!” Da lì cominciarono una serie di insulti più o meno giornalieri tra i due: Delia era forse l’unica in tutto l’edificio scolastico che riusciva a tenere testa a Matthew Patterson e per questo aveva non pochi estimatori, ma anche un bel gruzzolo di nemici.
Finché, un giorno, Matt si prese la briga di difendere veementemente Dave da quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton di fronte a mezza scuola. Così si avvicinò a David e Josh che, conoscendolo, scoprirono che non era per niente stupido e superficiale come poteva sembrare a prima vista, e l’inserirono, per la gioia di Deels, nel nostro gruppo già collaudato. Matt è stato l’ultimo acquisto, a parte il più recente Phil che, stando con Audrey, ha cominciato in questo periodo a uscire con noi.
Matt è indubbiamente bello, con gli occhi grigi, il capello biondo scuro e la perenne aria da tenebroso. Potrebbe sembrare un attore hollywoodiano se non fosse che si veste come un vero studente squattrinato: di famiglia i soldi non gli mancherebbero, tutt’altro, ma ha sempre cercato di arrangiarsi perché mal sopporta i suoi; inoltre quello è proprio il suo stile e, ad essere sinceri, il fatto di presentarsi in giro con le scarpe mezze sfasciate gli dà una marcia in più rispetto ai soliti belli-e-perfettini-figli-di-papà.
“Sì invece!”
“Ho detto di no!”
“Sì” “No” “Sì” “No” “Sì” …
“Piccioncini, basta amoreggiare!”
Per fortuna Dave ha un tempismo perfetto e arriva un attimo prima che cominci a sgorgare il sangue, distribuendo da bere a tutti. Il locale in cui ci troviamo, infatti, è della sua famiglia, per questo siamo qua tutti i venerdì sera. E anche perché la sera è chiuso e quindi non c’è nessuno.
Ah, non l’avevo detto? Il Marie’s, chiamato così in onore della nonna francese di Dave, è un bar mattutino, da cappuccino e brioches. Chiude intorno alle sette e mezza di sera e, ogni venerdì, puntuali – chi più chi meno; io meno, di solito – alle ventuno e trenta, noi ci troviamo qui. C’è una bella pace, ancora per poco in realtà.
David ha fatto un corso per barman e ha preparato tutto per tenere aperto il locale di sera gestendolo al posto di suo padre. L’inaugurazione è prevista tra sole due settimane, quindi oggi è una delle ultime volte che ci troviamo qui in pace e tranquillità. Mi fa piacere per Dave, perché ci tiene davvero a questo progetto, ma un po’ mi mancherà tutto questo.
“Delia, ecco la tua birra,” dice il nostro barista. Poi si china sulla spalla di lei e lo sento sussurrare: “quel Peterson non dispiace neanche a me,” e darle un buffetto sulla guancia.
Il solito David. Ora almeno Dee è più soddisfatta: raddrizza la schiena e lancia un sorrisetto provocatorio a Matt, che raccoglie con uno sbuffo.
“Ragazzi, mancano un paio di cose. Vado e torno,” dice Dave allontanandosi di nuovo verso il bancone. Leggendomi nel pensiero, aggiunge: “quando torno non voglio vedere sangue in giro, eh.”
David McPharrell è moro, coi capelli mossi che gli coprono le orecchie e parte del collo e degli occhi marroni sorridenti. È un po’ miope, e di solito porta le lenti a contatto, ma stasera ha i suoi occhiali da vista.
Inoltre è, come si sarà capito, gay dichiarato.
È amico di Josh da quando avevano circa quattordici anni. Si conobbero giocando a basket assieme, ma poi Dave dovette smettere quando il mondo scoprì che era gay, perché ad allenamento gli rendevano la vita un inferno, e Josh lasciò la squadra per solidarietà.
David lo conosco da parecchi anni ormai, ma è una di quelle persone che può stupirti di continuo. A metà del terzo anno di liceo ci confessò di essere omosessuale e ci chiese se per noi era un problema. “Figurati,” fu la mia risposta secca: io avevo già notato che Dave guardava e commentava i ragazzi con me, ero solo contenta che l’avesse ammesso anche lui. Josh invece rise a crepapelle, dopodiché si assicurò che non volesse provarci con lui, infine scrollò le spalle e disse che era ok.
Un giorno però quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton (l’avevo già detto?) ascoltò un nostro discorso e poco dopo trovò David da solo nel corridoio e si mise a insultarlo con aggettivi poco carini e piuttosto omofobi davanti a mezza scuola. Qui entrò in scena Matt, che non si limitò a difendere Dave a parole, ma si beccò pure un bel cazzotto in faccia.
Finita la scuola David ci stupì di nuovo: dopo un anno passato a divertirsi al college decise che voleva fare il barman, “perché si rimorchia di più”, dice. Ed eccolo qua: noi abbiamo appena cominciato il terzo anno di università e siamo pieni di dubbi fin sopra la testa, lui invece sembra aver trovato l’aspirazione della sua vita. Beato.
“Ecco il tuo mojito, bella,” dice Dave prendendo l’ultimo bicchiere dal vassoio e posandolo di fronte a me.
Mojito? Io non avevo ordinato mojito. Anzi, non avevo proprio ordinato, perché sono arrivata un po’ in ritardo con l’autobus.
“Ma…?” esordisco dubbiosa.
“Niente lamentele, please,” mi interrompe Dave sedendosi alla mia destra e schioccandomi un bacio sulla guancia, “ha ordinato Josh per te.”
Alzo la testa e osservo con un sopracciglio inarcato il suddetto Joshua Parker, seduto di fronte a me con un sorriso che gli va da un orecchio all’altro. Perdo un battito, probabilmente perché è la prima volta che lo guardo da quando sono arrivata, ma la mia espressione non cambia.
“Avanti!” esclama il traditore con una tranquillità quasi snervante. “A te piace il mojito…”
Con difficoltà ignoro la sua faccia da cucciolo scodinzolante. “Parker, avevo detto niente alcolici per me stasera…” dico, cercando senza successo di sembrare cattiva.
“Il nostro amico sta per aprire un locale, dovremmo pur fargli fare un po’ di pratica con i cocktail…” spiega innocentemente Josh cercando di sembrare convincente.
Che stupidaggine! Sono mesi che David lavora per i più importanti pub della città, non gli serve a un piffero fare dell’altra pratica.
Vedo Dave alzare un pollice verso l’altro cretino a mo’ di ringraziamento e quasi mi scappa da ridere, ma resisto, scuotendo la testa.
Josh continua. “Juuude, bevi! Tanto guido io stasera.”
“Bella garanzia!” sbuffo indicando col mento la birra che ha davanti mentre, mio malgrado, comincio a sorseggiare il mio mojito.
“È solo una birretta, su, non mi fa male. Avevo fame quando sono arrivato,” si scusa il mio amico mostrandomi il toast che sta mangiando e alzando le spalle con ovvietà, come a dire che con un toast non si può bere altro che birra.
“Come vuoi,” gli concedo per chiudere il discorso, tanto so che alla fine l’ha sempre vinta lui. “Vorrà dire che la prossima volta se arrivo in ritardo chiamerò Aud per farmi ordinare. O direttamente il capo McPharrell qui,” concludo dando una gomitata a David a cui per poco non va di traverso quello che sta bevendo.
“Perché non me?”, “E io?” mi chiedono in contemporanea Dee e Matt.
“Tu,” spiego indicando Delia, “mi terresti mezz’ora al telefono e tu,” continuo con Matt, “ti dimenticheresti dopo cinque minuti tutto quello che ti ho detto.”
Con questa mia battuta si scatena il putiferio, ma già lo sapevo. Almeno l’attenzione non è più su di me, dato che Dee e Matt hanno ricominciato a insultarsi a vicenda.
“Jude?” sento Josh che mi chiama e mi volto.
Quasi tutta l’attenzione non è più su di me: lui mi guarda sempre, accidenti.
“Tutto ok?” mi chiede con un sorriso accennato.
“Mmh,” mugugno annuendo con la testa e fissando un punto imprecisato del tavolo.
Cazzo, dovevo immaginarlo. Josh sa sempre quando c’è qualcosa che non va, lo capisce al volo, maledizione a lui.
“Ah,” risponde poco convinto. “Perché prima al telefono mi sei sembrata un po’ strana, giù di morale. Ho pensato fosse successo qualcosa, per questo ti ho ordinato il mojito…” spiega guardandomi per carpire informazioni dal mio viso.
Io cerco di tornare in me o perlomeno di risultare meno sospetta di prima.
“Tranquillo, nessun problema,” rispondo un po’ troppo telegraficamente: infatti Josh non sembra ancora del tutto soddisfatto del mio scialbo tentativo di bugia.
Lo anticipo io, stavolta. “Che poi l’alcol non è che risolve tutti i problemi, scemo!” lo prendo in giro cercando di sembrare spontanea. “Problemi,” sottolineo, “che io non ho.”
“Va bene,” conclude lui, e sorride di nuovo. Quando dice “va bene” con quel tono, il novantanove virgola nove percento delle volte significa che non va bene. E che tornerà all’attacco. Pazienza, ci penserò dopo, adesso devo distrarmi.
Mi giro verso Delia e Audrey e mi fingo interessata alla loro conversazione su… beh, non ha importanza l’argomento, io devo solo annuire ogni tanto. Intanto mi lascio tranquillizzare dal massaggio rilassante che Josh sta facendo con le dita sulla mia mano sinistra appoggiata sopra il tavolo.
Aspetta. Cosa?
Il massaggio che Josh mi sta…?
Appena realizzo, sposto la mano di scatto e mi alzo il più velocemente possibile.
Devo dire qualcosa, perché sei paia d’occhi insistenti e perplessi mi stanno guardando.
“Vado… vado a fare pipì,” biascico spostando la sedia e indietreggiando.
Mi giro e decido di dirigermi verso il bagno vicino alla cucina, quello per i dipendenti. David non mi dice nulla, tanto so che posso usarlo.
Non ho davvero bisogno di fare la pipì, quindi una volta arrivata in bagno apro il rubinetto e piazzo le mani sotto l’acqua che scorre. Non so neanche perché lo faccio, forse c’entra col massaggio di prima, anche se spero di no.
Cazzo. Il sogno che ho fatto ieri notte mi ha condizionato non poco, ma in fondo lo sapevo già prima. Merda.
Chiudo il rubinetto e mi asciugo le mani, dopodiché mi do un’occhiata allo specchio. Capelli castani alle spalle mossi e un po’ spettinati, occhi marrone scuro, quasi nero, con delle leggere occhiaie, trucco quasi inesistente se non un filo di mascara, ed espressione da cane bastonato. Non ho un bell’aspetto, ma qualcuno avrei potuto ingannarlo. Non lui però.
Esco dal bagno sapendo già che fare: vado in cucina, prendo delle chiavi appese a un chiodo e apro la porta in fondo alla stanza.
Da qui si esce dall’edificio, ma c’è la parte più bella di questo posto: un piccolo giardino tranquillo e abbastanza spoglio che io adoro. È davvero minuscolo e oltretutto non è nemmeno curato ma, pur essendo in città, da qui si vedono le stelle meglio. Almeno io voglio pensarlo, quindi le vedo.
Mi siedo sul gradino dell’uscio e alzo la testa verso il cielo, strofinandomi con le mani le braccia coperte solo da una maglietta leggera. Ho lasciato la giacca dentro e a fine settembre la fresca arietta autunnale comincia a farsi sentire.
Vorrei non pensarci ma mi è impossibile.
Cazzo.
Sono innamorata del mio migliore amico.









Allora... Eccomi qua!
Questa è la primissima storia che pubblico, quindi vi domando per cortesia di farmi sapere cosa ne pensate, anche se il primo capitolo vi ha fatto decisamente schifo. Sul serio, vorrei saperlo.
Detto ciò, vi anticipo con gioia che non vi tedierò a lungo: Of all the people in the world è una storia senza pretese, che ho cominciato a scrivere per caso dopo aver sognato l'incipit. So che detta così sembro pazza - e lo sono - ma l'ho proprio sognata, che vi devo dire. Quindi non andrà avanti per più di setto o otto capitoli non troppo lunghi e non troppo impegnativi, che tra l'altro ho già quasi concluso.
Il titolo è tratto da una canzone; se qualcuno di voi la conosce, bene, sennò tutto sarà spiegato più avanti.
Se avete dubbi, critiche, complimenti, commenti di ogni tipo, sono qui apposta per leggerli... Attendo riscontri e grazie per l'attenzione!
A presto.




  
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