Anime & Manga > Yuri on Ice
Segui la storia  |       
Autore: Tenar80    28/02/2019    2 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non si è fatto nulla. Lo so che non si è fatto nulla.

    Victor attendeva Yuuri fuori dal palazzetto. Irrompere nello spogliatoio facendosi largo nel team giapponese non gli era parsa una buona idea.

    Che cosa gli è saltato in mente di cambiare in questo modo i salti? Da come hanno pattinato tutti devono aver spruzzato una qualche droga negli spogliatoi.

    Se vedere cadere Yurio gli aveva fatto male, però, vedere Yuuri perdere il controllo del salto in quel modo lo aveva paralizzato. Nei decimi di secondo che il giapponese ci aveva messo ad impattare col ghiaccio, Victor aveva visualizzato una serie di scenari, che andavano dalla frattura alle lacerazioni muscolari. Era stato pronto a entrare in pista senza pattini per raggiungerlo prima di qualsiasi altro. Yuuri, però, aveva quel buon senso istintivo che saltava fuori nei momenti più impensabili. Era riuscito a ripararsi il viso con le braccia e a estendere le gambe, evitando di ricadere sui propri pattini. Lui stesso non ce l’avrebbe fatta, da quella situazione sarebbe uscito solo in barella. Finire stesi sul ghiaccio in quel modo, invece, era umiliante, ma l’ego era l’unico che ne usciva in frantumi, cosa che, in quelle circostante, era tutt’altro che scontata. Yuuri si era rimesso in piedi, ormai in ritardo sulla musica, aveva perso gli ultimi elementi e aveva comunque portato a casa un punteggio migliore di quello di Otabek e di Yuri, un 170 che era comunque vergognoso, ma, tutto considerato, si poteva considerare quasi un miracolo.

    – Ehi, Victor!

    Si girò, sentendosi chiamare, e uno sputo gli arrivò quasi sui piedi.

    – Una puttana traditrice come te non dovrebbe starsene così sola soletta!

    Il tipo della mensa.

    Ci mancava solo questo.

    – Quando astio! Che sia solo bisogno d’amore, il tuo? – replicò, tentando una voce il falsetto.

    L’altro fece un gesto eloquente sul tagliare la gola.

    Pur stando del tutto immobile e ostentando lo stesso tipo di sorriso finto che di solito riservava ai giudici dopo una performance pessima, con la coda dell’occhio spiava l’arrivare di altre persone.

    Cosa dovrei fare? Scappare? Con una caviglia quasi rotta?

    La porta del palazzetto da cui uscivano gli atleti si aprì e ne uscì il team canadese.

    Non sono mai stato tanto felice di vedere J.J.

    – Ehi, Victor, certo che senza di te a fargli da balia il tuo giapponesino è proprio perso!

    – Goditi il momento, J.J., perché nel singolo non si ripeterà – replicò Victor, mentre ancora spiava il  connazionale allontanarsi.

    Yuuri uscì un attimo dopo, con uno sguardo cupo come quello che Victor gli aveva visto addosso dopo la prima finale del Grand Prix. Proprio come allora, l’allenatore tentava di consolarlo, senza riuscirci. Victor si concesse un sorriso di comprensione alla volta del tecnico che, vedendolo, disse qualcosa all’orecchio di Yuuri e si allontanò.

    Victor voleva corrergli incontro. Ma non era una buona idea. Né per la sua caviglia, né per l’energumeno che forse era ancora lì in zona. Poteva almeno tendergli le braccia? Yuuri gli sarebbe corso incontro?

    – Come stai? – si limitò a chiedergli.

    – Non mi sono fatto niente – replicò l’altro, scontroso.

    Victor scosse il capo, frustrato dal non sapere cosa fare. Voleva abbracciarlo. Non solo per rassicurare lui, ma anche se stesso. Gli mancava il contatto fisico, quelle delicatezze minime che avevano sempre caratterizzato il loro rapporto, lo stingersi le mani, i baci leggeri, lo sfiorarsi nella notte. Era stato solo per così tanto tempo che aveva dato per scontato che lo stile di vita quasi monacale che gli sarebbe toccato durante le olimpiadi non gli sarebbe pesato. Eppure, adesso il non abbracciarlo gli risultava insopportabile.

    – Ho chiesto come stai, non cosa ti sei fatto – replicò, più dolce.

    Yuuri alzò lo sguardo. Dietro le lenti, gli occhi scuri erano pronti a riempirsi di lacrime.

    – Un fallito. Il Giappone ha perso il bronzo per colpa mia.

    – Questo non puoi ancora dirlo – anche se, in tutta onestà, era probabile. 

    Per la squadra giapponese era vitale rimanere davanti agli americani. Invece quel ragazzetto insulso, Leo Qualcosa, si era piazzato secondo. Da che Victor conosceva Yuuri non era mai capitato che lo statunitense lo superasse.

      – Non sei stato certo il peggiore – provò. – Come dovrebbero sentirsi gli altri?

    – A giudicare dall’espressione di Yurio, a un passo dal suicidio.

    – In effetti, sì. È ancora vivo solo perché Yakov ha capito che neppure lui era tanto arrabbiato con Yuri come Yuri stesso.

    – Ecco.

    – Perché hai cambiato i salti?

    Yuuri alzò lo sguardo con fare di chi ritenga del tutto idiota una domanda.

    – Non è ovvio?

    – Ne abbiamo parlato l’altra sera?

    Che cosa diavolo ti ho detto sul libero?

    – In parte.

    Yuuri si infilò le mani in tasca e si avviò a passo veloce.

    Victor strinse i denti. Non doveva sforzare la caviglia. Ma certo non poteva lasciarsi scappare Yuuri in quel modo.

    – Aspetta. Non so cosa ti ho detto, sono già pessimo di solito su questo punto, figurati sotto antidolorifici.

    – Non volevo che pensassi che sono un atleta finito o che ho paura di alzare la difficoltà.

    – E questo da cosa viene fuori? – chiese Victor.

    Iniziava a sentirsi esasperato. 

    Non ce la faccio a reggere anche una delle sue assurdità da gara.

    – Da quello che hai detto sul non essere sicuro di voler continuare a essere il mio tecnico.

    – E questo cosa ha a che fare con quello che hai detto?

    – Non sono più l’atleta di due anni fa.

    – No. Adesso sei il campione del mondo.

    – Lo sono diventato con un libero che non ho più il coraggio di fare.

    – No. Adesso ne fai uno con il quale, se non ti metti a fare cazzate del tipo cambiare i salti senza consultarti con quello che in fin dei conti è pur sempre il tuo allenatore e il tuo coreografo, puoi vincere l’oro olimpico.

    – Mi hai detto tu che dovevo alzare e abbassare le difficoltà a seconda di come mi sentivo!

    Lo aveva detto?

    – Sì, ma consultando il tuo allenatore.

    – E l’ho fatto. Al momento è Tamura il mio allenatore.

    – Allora evidentemente io sono di troppo, qui – disse Victor, piatto.

    Non voleva litigare, ma aveva i nervi troppo tesi per evitarlo.

    – Del resto, forse tu preferisci allenare un atleta di maggior talento, come Yuri.

    – È per questo che ci stiamo urlando contro, perché ero con lui per il punteggio?

    – No, perché è lui che vuoi allenare.

    – Ma dove le trovi tutte queste idiozie che tiri fuori durante le gare? – sbottò Victor. – Perché io davvero inizio a non sopportarle più!

    Davvero vorrei allenare Yuri? Davvero vorrei abbracciare Yuuri. Perché gli urlo addosso? Per questa maledetta caviglia. Per quel maledetto gorilla…

    Ecco, ora Yuuri stava piangendo come un ragazzino con la metà dei suoi anni.

    Victor mise le mani avanti. Voleva scusarsi. Voleva afferrarlo e stringerlo a sé. Voleva…

    Ma Yuuri scosse il capo, si girò e corse via.

    E Victor, semplicemente, non poteva seguirlo.

*

    Aveva ragione il nonno. Non avrei dovuto venirci proprio, qui.

    Era terribile starsene così da schifo in un posto in cui era impossibile stare da soli.

    Quello era, senz’ombra di dubbio, il giorno peggiore della sua vita. Peggiore di quello in cui aveva capito che sua madre non sarebbe mai più tornata. Peggiore di quello in cui i compagni di scuola, quando aveva otto anni, avevano trovato una foto di lui durante una gara e lo avevano preso in giro per il costume, dandogli della femminuccia. Peggiore dei terribili primi giorni a San Pietroburgo, quando Yakov sembrava una divinità malevola e lontana e lui non aveva altra possibilità che lottare o morire nel tentativo. Allora aveva sempre avuto la rabbia su cui contare. La rabbia verso qualcuno o qualcosa.

    Adesso invece si faceva schifo. In modo totale.

    E in tutto il giorno non aveva trovato un posto per sbattere ripetutamente la testa contro uno spigolo o per impiccarsi.

    La cosa peggiore di tutte era stata la premiazione.

    Lo sguardo di Yakov, di Victor, di Mila per non parlare di quello di tutto il team russo la diceva lunga su cosa pensassero di quell’argento, dietro al Canada. La Russia era abituata a scalare la classifica del medagliere, ma, decimata com’era, ogni medaglia era preziosa. E la gara a squadre del pattinaggio era considerato un oro sicuro. Sicuro. Se non che quel cretino del diciassettenne aveva fatto tutta la pista di sedere. Se fossero arrivati anche dietro agli Stati Uniti, avrebbero dovuto portare a Mosca la sua pelle. Non che non l’avessero rischiato. Ma Mila, al contrario di lui, aveva pattinato bene. Anche così Yakov aveva dovuto giustificarlo davanti ai giornalisti dicendo delle emerite cazzate sulla giovane età e la tensione emotiva. A Victor avevano chiesto se fosse deluso e se non avrebbe preferito eseguire entrambi i programmi. Lui aveva più o meno eluso la risposta, ma il suo sguardo sulla medaglia diceva tutto.

    – Adesso ti tocca impegnanti davvero nel singolo – gli aveva detto Yakov.

    – Siamo sinceri, era la mia ultima possibilità di portare a casa un oro – aveva risposto Victor, laconico.

    Lo stesso Victor che per tutta la sera Yuri aveva cercato di ignorare in una camera grande poco più di un loculo. Di cui aveva cercato così ostinatamente di evitare lo sguardo. Perché, maledetto vecchio, aveva ragione. Non si fidava più del ghiaccio, di se stesso e degli altri…

    Rigirandosi nel letto, Yuri cercava con tutto se stesso di dare la colpa a Otabek.

    Beh, è colpa sua.

    Hai il cellulare pieno di donne nude?

    Il che modo questo ti fatto sentire autorizzato a cacciarmi la lingua in bocca?

    Non ce n’erano, ovviamente. Ma quello che gli piaceva guardare o pensare mentre si faceva una sega erano fatti suoi e di nessun altro. A lui non interessava il resto. Stare con qualcuno. Avere una relazione. Voleva pattinare nel miglior modo possibile e rendere fiero suo nonno. E basta. Non gli serviva altro. Non gli serviva Otabek. Non certo un Otabek impazzito che lo baciava.

    In realtà, una parte di lui, quella profonda e che il più delle volte non voleva ascoltare, stava piangendo. Non per quella stupida medaglia d’oro perduta. Per il sorriso che il kazako faceva sempre quando lo vedeva, così prezioso perché tanto poco abituale per lui. Per i posti seri in cui finivano per andare e le cose che Otabek gli raccontava, che Yuri non capiva del tutto, ma non aveva importanza, era comunque bello sentire il suono della sua voce. Per la sensazione che provava quando lui gli posava una mano sulla spalla. Per la solitudine che sentiva ora al pensiero di averlo perso. Per il ricordo della più bella settimana della sua vita, pur in un anno di merda. Per quella sensazione traditrice e vigliacca che gli aveva lasciato il suo ultimo messaggio.

    «Dammi pure tutte le ginocchiate che vuoi, ma non pattinare mai più così».

    Di colpo sentì un urlo.

    D’istinto, accese la luce e saltò in piedi.

    Nell’altro letto, il compagno di squadra era seduto, con il respiro affannoso e il sudore che gli colava alle tempie.

    – Victor? – chiese Yuri, incerto.

    L’altro si guardò intorno, spaesato, e poi si prese la testa tra le mani, cercando di regolarizzare il respiro.

    – Victor…?

    – Un incubo… Scusa – Faceva ancora fatica a respirare. – Ti ho svegliato? Che ore sono?

    – Le due, ma non dormivo… Stai bene? – chiese.

    Non sembrava proprio. Anzi. Pareva sul punto di svenire.

    E adesso che  faccio?

    – Un attimo e sarò a posto… Era parecchio che non mi capitava. Mi spiace.

    – Non sembri un tipo da incubi.

    – No? – adesso era vagamente ironico.

    Un buon segno, sperò Yuri.

    Aveva il cuore che ancora martellava per lo spavento. 

    – Che incubi ha un atleta come te? – chiese invece.

    Nella testa di Yuri c’erano due Victor. Il tipo dal curioso mix di fascino e stranezza con cui potevi chiacchierare a fine allenamento, quello che si dimenticava cosa aveva detto il giorno prima e girava con un peluche, e l’atleta che non sbagliava mai. Yuri lo aveva visto gareggiare depresso, arrabbiato, dolorante, giù di forma, non l’aveva visto vincere sempre, ma non l’aveva mai visto buttare via una competizione. Quali incubi poteva avere durante un’olimpiade un atleta così?

    Ma sull’altro letto, con ancora le mani che stringevano la trapunta come se ci si volesse aggrappare, Victor si limitò a scuotere il capo.    

    – Cadere. Continuare a cadere, per sempre.

    – Tu non hai paura di cadere.

    – Tutti noi che ci sforziamo di volare abbiamo paura di cadere, Yuri.

    Anche Yuri scosse la testa, perplesso.

    – Spengo la luce? – chiese.

    – Sì.

    Nel buio, tuttavia, lo sentiva rigirarsi nel letto.

    – Victor… – provò.

    Tanto non sarebbe riuscito a dormire comunque.

    – Sì?

    Forse, pensò Yuri, certe cose era meglio dirle al buio.

    – …Sei arrabbiato per oggi? – chiese.

    Sentì un sospiro.

    – Mi piace vincere. Ma non potevi pattinare bene, oggi, nello stato in cui eri. E, dopo tutto, sei tu quello pieno di lividi, adesso.

    Yuri si aspettava una domanda sul cosa gli fosse successo. Yakov gliela aveva urlata contro e lui si era limitato a dirgli che aveva litigato con un amico. Victor non se la sarebbe bevuta. Ma non arrivò nessuna domanda.

    Forse si è addormentato.

    Però continuava a sentirlo muoversi.

    Forse poteva osare un’altra domanda. Dopo tutto Victor aveva di certo esperienza in quel genere di… Di cose, ecco.

    – …Victor?

    – Sì?

    – Ti è mai capitato… Ecco, tu sei stato più o meno single per parecchio…

    – Più o meno?

    – Ecco… Ti è mai capitato che qualcuno… Una persona volesse qualcosa… Di più, mentre tu avresti preferito fermarti all’amicizia?

    Ecco. Era riuscito a formulare il tutto senza accennare al genere o, peggio, a Otabek. Nel buio, in quel modo vago, faceva tutto meno paura.

    – Sì, certo.

    Ah.

    – E ci sei riuscito? A rimanerci amico.    

    – Direi di sì. È Chris.

    – Chris?

    Quel maniaco. C’era da aspettarselo. E in effetti non è che ci fossero molti altri candidati. Victor, che sapesse Yuri, aveva molti conoscenti e pochissimi amici.

    – Come ci sei riuscito? A rimanerci amico.

    – Dicendoglielo. Non ci sono davvero altre vie che funzionino, a parte l’onestà, nei rapporti tra le persone.

    – E… Gli hai spezzato il cuore?

    – Il suo? No, di certo non il suo.

    Bene. Questo era rassicurante. Lo era?

    – Però… – la voce di Victor tornò, incerta, nell’oscurità. – Io e Chris volevamo cose diverse. Se però capitasse… Una persona che davvero ti piaccia e voglia il tuo bene… Ecco… Siamo creature piuttosto solitarie, noi atleti di sport individuali, e non molto trattabili. Quindi non è poi così facile incontrare quella persona. E i rimpianti, alla lunga, fanno più male dei vecchi infortuni.

    Che voglia il tuo bene.

    Dammi pure tutte le ginocchiate che vuoi. Ma non pattinare mai più così.

    – Victor…

    – …

    – Se tu avessi incontrato Yuuri in un altro momento, a inizio carriera, ti saresti comportato diversamente?

    – Mollare tutto per scappare in Giappone e fare quell’uscita in conferenza stampa? Probabilmente no… E sarebbe stato un peccato… A volte è quando senti di non avere più nulla da perdere riesci a fare le scelte giuste, anche se da fuori possono sembrare folli. Ma, insomma, ci sono anche altri modi, più discreti, per vivere una relazione.

    Questo fece sogghignare Yuri.

    – Tu e la discrezione non andate molto d’accordo.

    – No, temo di no.

    – Però non la capisco.

    – Cosa?

    – Questa fissazione dell’amore. Non si potrebbe…

    – Scopare e basta?

    – Sì… No! Bastare a se stessi?

    Yuri sentì l’altro ridere.

    – Decidere di fidarsi significa accettare la possibilità di essere feriti e non è facile – disse dopo un poco Victor, serio. – Ma alla lunga la solitudine diventa il peggiore degli avversari. Finisci per pensare di poterla sconfiggere solo con un salto, dove non ci sia il ghiaccio su cui atterrare.

    Era a questo quello a cui pensavi, Victor, dopo il tuo ultimo titolo mondiale, quando non sorridevi più neppure mentre pattinavi?

    – … Yuri?

    – Sì?

    – Grazie.

    – Eh?… E di che cosa?

    – Di avermi fatto parlare. Non è stato un bel momento, per me, prima.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: Tenar80