Anime & Manga > Yuri on Ice
Segui la storia  |       
Autore: Tenar80    15/03/2019    2 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


ANGOLINO DELL'AUTRICE.
Ed eccoci finalmente arrivati all'inizio della gara individuale: che fatica! Il capitolo è lungo, ma spezzarlo non mi sembrava la cosa migliore, spero abbiate la pazienza di leggerlo, percependo tutta la tensione e la trepidazione che provano i nostri protagonisti.
Come già detto in occasione della gara a squadre, dovendo dare conto dei punteggi ottenuti sulla base dei programmi svolti ho dovuto seguire più la realtà che l'anime. Durante l'olimpiade 2018 il record del mondo vigente per il programma corto era intorno ai 113 punti, ben lontano quindi da quello di Yuri nell'anime. I punteggi che troverete qui, quindi sono basati sui risultati reali delle Olimpiadi. Diciamo che il principio è stato: se una cosa non l'ha fatta neppure Yuzuru Hanyu, allora non la possono fare neppure i miei personaggi (c'è da dire che nel tempo Hanyu ha gareggiato infortunato, rotto, ferito, malato, dandomi un'ampia casistica di riferimento...)
Buona lettura!



Come la prima sera, Yuuri guardava fuori dalla finestra. Adesso quasi tutti gli atleti, lui e Ken compresi, avevano appeso fuori dalla propria camera la bandiera della propria nazione. I tristi palazzoni grigi si erano trasformati in coperte colorate fatte di pezze multicolore. Questo riusciva a rendere il paesaggio almeno un poco meno spettrale. In compenso si sentiva quasi l’aria che trasudava delle tensioni e delle aspettative delle persone che in quei palazzi erano stipate. Ognuna con i propri sogni e le proprie paure.    

    E domani tocca a noi. La mia unica olimpiade. L’ultima gara di Victor. In ogni caso, la nostra vita cambierà per sempre.

    La scorsa olimpiade l’aveva guardata in tv, da Detroit. Lui e Phic, in un momento improbabile della giornata dovuto al fuso orario. Per non perdersi niente lui aveva saltato tutte le lezioni universitarie.

    Era strano tornare a quei ricordi con la consapevolezza dell’oggi.

    …

    – La prossima volta saremo lì noi, insieme – aveva detto Phic, sedendosi al suo fianco e passandogli una confezione di popcorn, come se fossero al cinema.

    Lui non aveva risposto. Dentro di sé aveva scosso la testa. Aveva ventidue anni. Il momento di essere all’olimpiade era quello. A quella successiva, a ventisei anni, sarebbe stato vecchio. I pattinatori hanno la stessa aspettativa di vita agonistica di una falena che danza con la luce.

    E invece avevi ragione.

    Phic si era seduto di fianco a lui sulla poltrona, facendosi largo con il proprio corpo. Per la prima volta Yuuri era stato consapevole della fisicità del suo compagno di allenamento. Esile come un folletto e a suo modo bello. Il giapponese era arrossito e aveva guardato con estrema attenzione i suoi chicchi di mais esplosi, mentre il tailandese, ignaro di tutto, si metteva comodo. Senza in alcun modo volerlo, Yuuri aveva fantasticato per un attimo di allungare una mano ad accarezzargli i capelli e poi si era alzato con la scusa di andare a prendere qualcosa da bere per entrambi.

    – Iniziano – lo aveva chiamato l’amico che in quel momento aveva smesso completamente di esistere nella testa di Yuuri.

    Adesso, Yuuri non aveva idea di cosa ne fosse stato della maggior parte di quei pattinatori. Atleti che, proprio come sarebbe capitato a lui, per la maggior parte avevano preso parte solo a un’olimpiade. Avevano gareggiato bene un anno o due e poi erano spariti. Adesso molti di loro si erano ritirati. Alcuni, pochi, erano rimasti nel mondo del pattinaggio. Altri facevano vite del tutto ordinarie da cui era impossibile capire che una volta avevano volato dentro una notte olimpica. 

    Solo la parte alta della classifica comprendeva nomi che avevano ancora un senso per Yuuri. Gli ultimi tre ad esibirsi erano stati Georgi, Victor e Chris.

    Georgi… Per Yuuri, all’epoca, era semplicemente «l’altro russo». Doveva essere stato «l’altro russo» per un sacco di persone e per un sacco di tempo. Doveva essere stato terribile essere per tutta la carriera «l’altro russo». Fosse nato in qualsiasi altro stato stato sarebbe stato per anni il campione nazionale. Invece aveva avuto la sfortuna di essere russo e coetaneo di Victor. Aveva pattinato bene, molto bene, eppure, per quanto Yuuri ne ammirasse la tecnica e l’interpretazione gli aveva augurato con tutto il cuore di fare meno punti di Victor. Chissà quanti altri glielo avevano augurato.

    Povero Georgi. Non avevo mai capito…

    Non aveva mai capito neppure quanto doveva essere stata dura per Victor tutta quella, giustificata, invidia. Non c’era stato nessun Phic, per lui, pronto a festeggiarne con sincerità i successi. A ogni allenamento, per anni, Victor era sceso in pista con gente che lo voleva morto. E condurre una carriera di quel livello per così tanto tempo voleva dire non avere una vita fuori dal ghiaccio. A Yuuri si strinse il cuore al pensiero di quanto fosse stato solo Victor, in quel periodo.

    Eccolo in pista. Yuuri ricordava come il cuore gli si era fermato quando lo aveva visto sul ghiaccio, col costume nero e rosso. C’erano stati dei sogni, poi, in cui Victor appariva con quel costume, mentre lui non aveva nulla addosso, il cui ricordo fece arrossire Yuuri.

    Non avevo capito niente di lui, allora.

    Si esibiva sulle note di Ivan il Terribile. Un tiranno che schiaccia gli avversari con la violenza.

    In realtà è da allora che hai iniziato a sentirti vulnerabile, vero? Quello che volevi raccontare era la solitudine del tiranno, non la sua rabbia. E un po’ ti scusavi per continuare a seguire la tua natura. Non hai mai voluto sconfiggere nessuno, solo essere il migliore, ma non si può vincere una guerra senza caduti…

    Era vero, non aveva pattinato benissimo, almeno per i suoi standard. Una mano sul ghiaccio, un quadruplo diventato un triplo, ma in realtà non se ne era accorto nessuno. Né Yuuri né Phic ci avevano davvero fatto caso. La forza interpretativa di Victor era tale che le imprecisioni sparivano.

    – Chissà cosa direbbe se vedesse pattinare noi? – aveva mormorato Phic.

    – In realtà dicono che sia sempre gentile con tutti.

    – Sì, come no. Secondo me guarda tutto il resto del mondo come se fosse fatto di scarafaggi.

    Era così raro che Phic esprimesse un giudizio negativo con qualcuno che Yuuri si era voltato a guardarlo. Come osava parlare così di Victor? Del suo Victor!

    Quanto ero patetico!

    – Perché dici una cosa del genere su una persona con cui non hai mai parlato?

    – Neppure tu ci hai mai parlato. Se lo facessi probabilmente ti deluderebbe tantissimo.

    – Non è possibile! Sono sicuro che Victor non potrebbe mai deludermi. Mai.

    Phic lo aveva guardato in modo strano, poi aveva scosso la testa e gli aveva sorriso.

    – Ti meriteresti davvero un abbraccio da parte sua, Yuuri – aveva detto. – Attraverseresti il fuoco per lui. È un peccato che non lo sappia.

    C’era una sorta di commiserazione affettuosa nello sguardo dell’amico.

    Eppure avevo ragione.

    Adesso sei una persona vera, Victor. E a volte sei snervante. A volte ti chiudi in te e non c’è modo di raggiungerti. A volte sei di un’ingenuità disarmante. Eppure non mi hai mai deluso. Mai.

    Un altro ricordo si sovrappose, più recente. 

    La prima volta che avevano fatto sesso, con quel lampo di panico che aveva attraversato gli occhi di entrambi. E se, dopo tutto il tempo che avevano aspettato, si fosse rivelato deludente? 

    Non lo era stato, naturalmente.

    Più tardi erano usciti dalla doccia insieme. Victor gli aveva tamponato i capelli con l’asciugamano, un gesto così intimo e delicato che aveva fatto sentire Yuuri del tutto protetto.

    – Avrei preferito farlo ad Hasetsu, in camera tua – gli aveva sussurrato Victor all’orecchio.

    Il sottotesto era anche «avrei preferito farlo mesi fa».

    Un brivido di disagio aveva attraversato Yuuri.

    – Dove tenevo tutti i poster che ti ritraevano? Sarebbe stato terribile.

    – Sei deluso, adesso, che io non sia il Victor che viveva nella tua mente?

    Yuuri si era appoggiato all’accappatoio morbido e poi al petto solido di lui.

    – Vuoi scherzare? Il Victor nella mia mente era noiosissimo, come tutte le cose perfette. Tu sei una persona vera.

    E Victor aveva emesso quel suo sospiro soddisfatto che Yuuri avrebbe imparato a conoscere e amare, di quando era insieme felice e vulnerabile.

    Una persona vera, sì, con tutti i difetti che abbiamo noi esseri umani, ma che non potrebbe mai deludermi.

    Due anni prima di quel momento, tuttavia, Victor esisteva ancora solo come perfetta idea platonica nella sua mente o come immagine in uno schermo televisivo.

    Era uscito il punteggio.

    Sul viso di Georgi si era dipinta un’espressione di puro odio di cui Victor non si era per nulla reso conto. Invece, era deluso per la propria prestazione.

    Ed eravate compagni di stanza. Vaglielo poi a spiegare, a quello a cui hai soffiato la medaglia, che ritieni di aver pattinato da schifo… E poi ti stupisci di essere così disperatamente solo…

    Per ultimo era sceso in pista Chris. Dallo sguardo di Victor, i loro rapporti non erano dei migliori. Yuuri non sapeva cosa fosse accaduto tra loro durante quell’olimpiade. Il fatto di ignorarlo voleva dire, probabilmente, che non era stata una cosa da poco, almeno agli occhi del russo.

    Chris aveva pattinato bene. Se non avesse sbagliato l’ultimo salto avrebbe soffiato l’oro a Victor. Così, invece, si era insinuato in quei tre punti che c’erano tra lui e Georgi.

    In fondo è proprio una brava persona, Chris. Pattinare sul filo del proprio limite e arrivare comunque secondo. Dietro a uno che ha tutta l’aria di volersi fustigare per quanto ha fatto schifo…

    Victor era rimasto freddo anche dopo, quando Chris era andato a stringergli la mano. Decisamente non era un problema solo sportivo. La faccia di Chris aveva quella tipica espressione che faceva lo svizzero quando cercava di ricordarsi dove avesse sbagliato.

    E poi eccoli sul podio.

    – Ci arriveremo mai? – aveva chiesto Phic.

    – Sul podio olimpico? Tu magari, io no di certo.

    Ci arriveremo mai?

    Che strano porsi ora quella stessa domanda. Che strano pensare a quanto fosse diversa la sua percezione, quattro anni dopo.

    Ci posso arrivare?

    Tamura ne era convinto. Ken ne era convinto. Victor ne era convinto.

    E Yuuri?

    Quello non era il Grand Prix, i Quattro Continenti o il Mondiale. Erano le Olimpiadi. Al solo pensiero gli tremavano le mani. Eppure… C’era un’altra parte di sé, una di cui quasi si vergognava e che tuttavia non poteva ignorare del tutto.

    Ci arriveremo mai?

    Insieme no, Phic. Mi spiace.

    Questa però può essere la mia occasione.

    L’unica.

 

    *

    – Andiamo a fare colazione? – chiese Yuri.

    – Inizia a scendere. Arrivo – rispose Victor.

    Eccoci qui. La mattina della mia ultima gara.

    Mattina… Con la gara che iniziava alle dieci, la sveglia era suonata molto prima dell’alba. 

    Meglio così.

    Se deve essere l’ultima, voglio viverne ogni istante. Anche quelli peggiori. Anche questo dolore un giorno mi mancherà.

    La caviglia gli faceva male. Avrebbe fatto in modo che il massimo effetto degli antidolorifici coincidesse con la propria esibizione, a costo di perdere un po’ di lucidità. Parecchia lucidità, probabilmente. Però la verità era che faceva male e che aveva fatto uscire Yuri perché non lo vedesse mentre si metteva la scarpa. Non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.

    Sospirò.

    È la prima volta in una gara del genere che mi auguro che qualcuno pattini meglio di me

    Di fatto, l’unica gara importante a cui sia lui che Yuuri avevano partecipato entrambi era stata la finale del Grand Prix dell’anno precedente, poi Victor si era limitato a ottenere la qualificazione per le olimpiadi partecipando a una gara in Germania. A quella finale del Grand Prix, da egoista qual era, aveva pattinato per sé, per la propria rabbia, per la frustrazione che provava nel farsi tenere al guinzaglio dalla federazione russa.

    Adesso mi accontento di uscire di scena in maniera dignitosa.

    Se non posso vincere, voglio almeno che mi ricordino.

    Me ne andrò, ma non certo in silenzio. Non oggi.

    Qualcuno bussò alla porta.

    Yuri avrà dimenticato qualcosa.

    – È aperto – disse.

    Era Mila.

    Victor la guardò perplesso.

    Mila apparteneva a una generazione diversa dalla sua, non erano mai stati davvero amici e Victor sapeva che lo riteneva responsabile dei guai che aveva passato Yakov negli ultimi mesi. 

    – La caviglia ti fa male? – chiese la ragazza, vedendo il bendaggio rigido.

    – Sì, un po’.

    – Bene, mi sembra un’ottima scusa.

    – Per cosa?

    – Per pattinare male.

    – Eh?

    La ragazza si passò una mano nei capelli rossi.

    – Senti, Victor, io non dovrei essere qui – esordì, a disagio. – Il mio ex è nella squadra di hockey, ricordi? Metà dei titolari non è qui e stanno avendo dei problemi nel torneo. Inizia a girare voce che tu ne sia in parte responsabile. Già non avevano molta simpatia per quelli come te.

    – Quindi? – chiese Victor, duro.

    Sentiva tutti i muscoli che iniziavano a tendersi.

    – Quindi servivi per la gara a squadre e non sei stato abbastanza.

    – Non è stata colpa mia.

    Mila sospirò.

    – Io lo so. Per loro, un ragazzino ha dovuto portarsi un peso insostenibile perché tu volevi risparmiare le forze per il singolo.

    – Ah, sì?

    – Sì. Quindi se pattini male va tutto bene, ma se andrai bene… Victor io non posso farci niente, ma forse non vale la pena di pattinare bene, oggi.

    Victor si alzò e la abbracciò.

    – Grazie, Mila – disse. – Adesso so esattamente cosa fare.

    Prima di scendere sul ghiaccio pensa a qualcosa che ti fa arrabbiare e stendili tutti.

    Grazie anche a te, Chris.

 

*

    Otabek era solo, appoggiato al muro di fianco all’ingresso degli atleti del palazzetto, col cappuccio in testa e le cuffie nelle orecchie.

    Conoscendolo, era arrivato per primo, aveva allontanato in proprio allenatore e si era piazzato lì ad ascoltare e riascoltare la musica della propria esibizione.

    – Arrivo subito – disse Yuri agli altri.

    Non che lo considerassero.

    Anche se nessuno lo diceva, erano tutti preoccupati per la caviglia di Victor. In realtà, anche se non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura, era preoccupato anche lui. Era arrivato al villaggio olimpico augurando il peggio a Victor, ma quella mattina, quando poi era sceso a colazione e ci aveva messo tutto il tempo di un caffè per passare da uno sguardo cupissimo all’abituale sorriso che esibiva sempre quando aveva del pubblico, Yuri si era sentito pieno di qualcosa che poteva definirsi solo pena. Che lo volesse o no, non solo suo nonno era sinonimo di famiglia. Lo erano anche Yakov, Mila e Victor. C’era poi il fatto che tutti, in Russia, si aspettavano almeno una medaglia da quella gara. Quindi, se non avesse potuto essere Victor, toccava a lui. E se pattinava come aveva fatto nella gara a squadre, a forma di medaglia avrebbe avuto solo il buco che Yakov gli avrebbe fatto in fronte. Con un trapano a mano, in tutta calma.

    – Non stare fuori tanto e non fare cazzate – si limitò a dirgli Yakov.

    Cazzate?

    Un brivido di panico gli attraversò la schiena.

    Cazzate del tipo di quelle che Victor ha fatto con Yuuri. Baciarsi davanti alle telecamere, per dire.

    È questo che Yakov crede che potrei fare?

    Lo potrei fare?

    E come gli parlo adesso, con questo pensiero?

    Lo potrei fare?

    Non era quella la domanda più spaventosa.    

    Lo vorrei fare?

    … Forse è il caso di entrare…

    – Ah, Yuri…

    Troppo tardi, Otabek lo aveva visto.

    Sembrava… Tra l’incuriosito e l’infastidito. C’era anche qualcos’altro, che Yuri non sapeva decifrare.

    – Io… Cerca di pattinare nel migliore dei modi possibili, oggi – disse Yuri, tutto d’un fiato.

    Sul viso del kazako apparve l’ombra di un sorriso.

    È bello. L’ho sempre pensato. Ma me ne accorgo solo adesso.

    – Se cadi, ti riempio di pugni – replicò Otabek.

    – Ti piacerebbe?

    – Non sai quanto.

    Otabek si passò la lingua sulle labbra. Un gesto di certo studiato, ma così poco abituale per lui che provocò uno smottamento tra lo sterno e lo stomaco di Yuri.

    – Devo entrare. Se no Yakov mi uccide – borbottò il russo.

    E fuggì.

 

*

 

    – Come va la caviglia? – chiese Yuuri.

    – Scaldati, pattini per secondo, subito dopo Chris, vorrei che tu pensassi a te stesso – rispose Victor.

    Yuuri aveva le mani che tremavano, per la tensione e la preoccupazione. La sera precedente erano riusciti a parlarsi appena, giusto il tempo che Yuri ci aveva messo a fare la doccia. Il giapponese non si era sentito di far fare neppure un passo al proprio compagno. 

    Anche quella mattina l’unico momento che potevano usare era quello, durante i preziosi minuti di allenamento.

    – Non hai provato i salti – provò.

    – Non ho bisogno di provare i salti – replicò Victor, tagliente.

    C’è qualcos’altro, oltre alla caviglia?

    – Scusa – disse Victor, subito dopo. – Sono teso anch’io. Dovrei essere più…

    – Non devi essere nulla di più, Victor. Voglio solo che tu stia il meglio possibile.

    – Pattino dopo di te. La cosa che davvero potrebbe farmi stare meglio è vederti pattinare benissimo. Fonditi con la musica, pattina per me e tutto andrà bene.

    L’assoluta sicurezza e sincerità con cui il russo parlò, guardandolo con quei suoi occhi chiari, sciolse qualcosa in Yuuri. Non solo, in modo del tutto romantico e metaforico, nel cuore, ma nei muscoli e nello stomaco. Il giapponese sentì un grumo di tensione che si scioglieva. L’olimpiade svaniva e tutto tornava una questione privata. Pattinare per Victor. Per vederlo emozionare. Per farlo innamorare ancora una volta di sé. Questa era una cosa che poteva fare. Che voleva fare, con tutto se stesso.

    – Contaci – disse. – E non staccarmi gli occhi di dosso un solo istante.

    – Neppure per il tempo di un respiro.

    Voleva baciarlo, ma non era il caso. Meglio così. Non avrebbe pattinato per una medaglia, ma per meritare un bacio. Si poteva desiderare qualcosa di più?

    Sorrise e vide anche il compagno si apriva in un sorriso del tutto sincero.

    Se basta un mio sorriso per farti sorridere, stai sicuro che farò in modo che la mia esibizione non possa che procurarti gioia.

 

*

 

    Chris, il primo pattinatore dell’ultimo gruppo, entrava in pista. Nessuno nei gruppi precedenti aveva supero il 100 come punteggio. La gara incominciava davvero in quel momento.

    Victor gli gridò un incoraggiamento in francese, sperando di aver azzeccato la pronuncia.

    Gli antidolorifici iniziavano a fare effetto e la mente prendeva a vagare.

    Speriamo che poi l’adrenalina dovuta alla competizione basti a compensare.

    Dovette ammettere che il costume di Chris, verde e oro, era bello, più sobrio di altri che aveva avuto modo di vedere, e di criticare. E anche Chris, in verde e oro, era ancora bello.

    Era una fortuna che Yuuri su alcuni aspetti fosse così maturo. Se ci fosse stato un Chirs nella vita del giapponese, Victor ne avrebbe voluto la testa su un piatto d’argento. Invece Yuuri era solo contento che avesse un amico, qualsiasi cosa fosse stato per lui in precedenza.

    E anch’io sono contento di averti come amico, Chris. E di condividere anche questa gara con te.

    Anche Chris si sarebbe ritirato a fine stagione. Un’epoca che si chiudeva. Cos’è che gli aveva detto che avrebbe fatto dopo? Collaboratore per testate sportive e marketing di qualcosa. Lo avrebbe fatto bene. A Chris piaceva giocare al ragazzaccio, ma era un lavoratore serissimo. 

    Dev’essere bello avere un’idea così chiara del dopo…

    Ecco, aveva cominciato.

    Col cavolo che era lì per fare turismo.

    Alla terza olimpiade era ancora lì che lottava per una medaglia.

    Non sarò io a negarti l’oro, questa volta.

    Non che l’altro gliene avesse mai fatto una colpa. Con tutte le volte che era arrivato subito dopo di lui avrebbe dovuto odiarlo… 

    Senza averne l’intenzione, erano i farmaci, senza dubbio, per una volta si era fidato del medico e di Yakov e chissà cosa gli avevano dato, si ritrovò a pensare alla vacanza che si erano presi in Canada, dopo la prima olimpiade che avevano condiviso.

    L’aria umida e salmastra sul viso, il giorno che erano andati a vedere le balene… Il sole troppo forte nonostante il freddo, alla sera sarebbe diventato di un colore imbarazzante, la barca che tremava sotto i piedi e non gli dava alcun affidamento. Ma le balene, lontane, erano la cosa più bella che avesse mai visto, con la loro saggezza inumana. Victor tentava allo stesso tempo di sporgersi e di avvinghiarsi alla paratia e Chris  rideva di lui senza cattiveria, solo perché era buffo… Poi una megattera si era alzata di colpo, vicinissima, enorme rispetto a loro e alla loro barca. Tutto gli era parso così effimero, la stupida medaglia, di cui, in fondo, era così deluso, tutta la sua inutile vita chiusa in una bolla di ghiaccio… La balena era ricaduta in mare, lo spruzzo li aveva investiti in pieno e Victor aveva perso l’equilibrio e aveva pensato che sarebbe finito nell’oceano, dove del pattinaggio e delle medaglie non importava a nessuno e sarebbe sprofondato per sempre… Ma Chirs lo aveva afferrato e rimesso in piedi.

    – Che schiappa – aveva detto, mentre lo aiutava ad asciugarsi il viso. – Ha fatto solo mezzo avvitamento.

    Per molto tempo, quello era stato il suo ricordo più bello.

    Combinazione… Dai Chirs… Non ottimo… Bene lo stesso…

    Chiuse gli occhi.

    Negli ultimi due anni aveva collezionato abbastanza ricordi da fargli quasi dimenticare quella mattina sul mare…

    Il suo preferito in assoluto era il più semplice di tutti.

    Lui e Yuuri seduti fianco a fianco sulla spiaggia, in Giappone, in una sera di maggio. I muscoli stanchi dopo un allenamento bel riuscito. Il braccio di Yuuri intorno alla sua spalla. Poi il ragazzo gli metteva, piano, una cuffia in un orecchio per condividere la musica che stava ascoltando, come ragazzini all’uscita da scuola. Infine, con quella delicatezza esitante che era così tipica, Yuuri gli appoggiava la testa sulla spalla e allora era tutto davvero perfetto.

    Grazie, Chirs, per avermi aiutato a raggiungere Yuuri.

    Lo svizzero aveva finito.

    E in realtà non ho proprio idea di come sia andato… Cosa guardo adesso? Il suo punteggio o il riscaldamento di Yuuri?

    Non poteva perdere di vista i punteggi degli avversari.

    105

    Turismo un corno!

    Dovevi scegliere proprio oggi per fare lo sbruffone?

    Yuuri, 111, lo puoi fare 111, vero?

 

    Eccolo.

    Come faceva a essere così bello anche in costume che in teoria doveva essere quello di un corvo?

    Yuuri pattinava sulla colonna sonora di un film animato giapponese, Il castello errante di Howl. Lo avevano visto insieme e, nonostante il costume scelto dal giapponese, Victor non aveva mai avuto dubbi sul fatto di essere Howl. Era lui il mago che in realtà doveva essere salvato. E Yuuri aveva tutta la timida saggezza della protagonista. Victor si era quasi commosso, quando lo avevano guardato. Che cosa sciocca, alla sua età, commuoversi per un cartone animato… Yuuri non gli aveva chiesto il perché. Yuuri non aveva mai bisogno davvero di chiedergli le cose, non era di quelle asfissianti persone che sentono la necessità di farti parlare e farti rivelare tutto, sopratutto gli argomenti che non vuoi affrontare. Ci sono cose che si possono ascoltate solo nei silenzi e osservare negli angoli bui. Yuuri era una di quelle rare persone in grado di farlo. 

    – Voglio usare questa musica per il corto – aveva detto invece. – Perché voglio proprio quel tuo sguardo su di me.

    Eccolo. 

    Ma non esagerare.

    Controlla in tuo volo, Yuuri.

    Salto, combinazione, trottola.

    Bene.

    Passi.

    Salto… Troppa rotazione…

    Bastava un triplo, maledizione…

    Ne era stato innervosito?

    Un po’. Anche il salto seguente fu impreciso. Non da buttare, certo, ma impreciso. Eppure, l’esibizione…

    Voliamo insieme, Yuuri.

    Quale sia il futuro che ci aspetta, va bene. 

    Mi fido di te.

    …

    104.58

    Maledizione.

    Come l’hai presa?

    Victor ne cercò con avidità lo sguardo. 

    Yuuri guardava il tabellone un po’ sperso. Tamura, al suo fianco, gli stava facendo una marea di complimenti. Con ogni probabilità non aveva mai accompagnato qualcuno che prendesse un punteggio simile.

    Al diavolo tutto. 

    Non posso restare qui.

    – Victor! Torna da Yakov, prima che ti fucili!

    – Yuuri… Come stai?

    – … Io…  Non sono andato così male, vero?

    – Non sei andato male per niente.

    Yuuri sorrise.

    Ed era tutto quello di cui Victor aveva bisogno.    

*

    – Yuri, guardami.

    Il ragazzo sbuffò. 

    – Sono pronto, davvero – disse.

    Il corto non gli faceva paura. Non più di tanto.

    – Lo so che sei pronto – replicò il tecnico.

    Con un sospiro, Yuri si obbligò a guardarlo.

    Era vecchio. Era la prima volta che Yuri lo pensava. Quanti anni aveva Yakov? Non se lo era mai chiesto. Yakov esisteva da sempre e sarebbe esistito per sempre. La divinità suprema del pantheon del pattinaggio russo. Pare ci fosse stato un tempo, prima degli eroi, quando le divinità camminavano sulla terra, in cui anche Yakov aveva pattinato. Una volta, anni prima, Victor aveva fatto circolare un vecchissimo video sfocato in cui si vedeva un tizio che pattinava piano e faceva salti ridicoli. A quanto era stato detto quel tipo era Yakov e quei salti erano il top dell’epoca. Ma Yuri non ci davvero creduto.  Nella sua mente Yakov era eterno, sempre uguale a se stesso, signore e padrone della pista di San Pietroburgo. Adesso, però, che ne vedeva il volto pieno di rughe, c’era qualcosa, nella posa delle spalle, nella curva del naso, che ricordavano il tizio sul video. E se Yakov era stato giovane, allora poteva davvero essere vecchio e…

    – Yuri! Tra un istante tocca a te, a cosa stai pensando?

    A te, che sembri vecchio come mio nonno. A Otabek, che sembra bello. Al mondo che non è più quello a cui sono  abituato.

    – Puoi fare meglio di quel vecchio svizzero, lo sai.

    – Lo so.

    – Yuri…

    – Sì?

    – Tu non cadrai – scandì Yakov con la granitica sicurezza degli dei.

    Era tornato sull’Olimpo.

    E Yuri gliene fu grato.

    Andò al centro della pista.

    Il corto gli piaceva molto più del libero, anche se quando glielo avevano proposto gli era sembrato di pessimo gusto. Si esibiva sulle note de La Voliera del Carnevale degli Animali e le piumette sul costume davano a intendere che fosse ancora un pulcino che stava appena imparando a volare. Beh, anche se gli scocciava, era esattamente come si sentiva.

    Per tutto l’allenamento aveva sentito lo sguardo di Otabek guizzare verso di lui, di tanto in tanto. A volte scocciato. E questo era comprensibile. A volte curioso. E anche questo era comprensibile.  A volte duro, proiettato alla gara imminente. E questo era tipico. A volte malizioso. E questo non era tipico per nulla. Questo era del tutto… Inaccettabile?… Elettrizzate?… Angosciante?

    Angosciante come il quadruplo loop che doveva fare in quel momento?

    Grazie al Cielo la combinazione veniva dopo…

    Era come cadere…

    Tu. Non. Cadrai.

    Tutti noi che proviamo a volare abbiamo paura di cadere.

    Non cadde.

    Non fu perfetto. Di certo non da record del mondo, ma non cadde.

    Si stanno chiedendo tutti che ne è stato di quel ragazzo.

    Che ne è stato? Non lo so.

    Ma so che questo Yuri arriverà in piedi in fondo. E avrà imparato a volare.

    Aveva il fiato corto. 

    Maledetto maialino. Con l’età che hai come sei arrivato alla fine così fresco?

    Combinazione.

    E uno. Impreciso, ma fatto.

    E… Poca rotazione… Fatto.

    Fanculo la perfezione. Sono qui.

    Sulle mie gambe.

    Mi spiace, Otabek, niente pugni.

    E smettila di leccarti le labbra dentro la mia testa!

    Qualcuno aveva una stramaleddetta bombola d’ossigeno? Gli sembrava di averne un bisogno impellente. Ma niente. Gli lanciavano gattini di peluche, non strumenti per aiutarlo a respirare.

    Meglio di niente, suppongo.

    Il viso di Yakov era una maschera indecifrabile. Impossibile capire come fosse andato. Adesso, in compenso, avrebbe saputo tutto quello che non era andato. Yakov non risparmiava mai nessuno a fine esibizione, l’unica volta che si era limitato a grugnire aveva fatto il record del mondo.

    Yuri abbassò la testa, in attesa.

    E sentì la mano dell’allenatore che si posava sui suoi capelli.

    – Bravo ragazzo – disse. – Andiamo a scoprire la sentenza.

    Eh?

 

    99.80

    Prima dell’infortunio avrei sputato per terra per la rabbia.

    Adesso… Da quant’era che non andavo sopra il 95?

    Ora toccava a Otabek.

    Era una sua impressione o aveva sorriso, mentre veniva scandito il punteggio?

    Era una sua impressione o era ancora nervoso, come nel libero a squadre? Beh, forse non come quel giorno. Nessuno di loro poteva pattinare altrettanto male, vero? Però non era del tutto concentrato.

    Di solito Otabek aveva quel suo sguardo duro da cecchino, serio, pronto ad uccidere. Invece adesso il suo sguardo non si fermava mai davvero. Come se non riuscisse a mettere a fuoco qualcosa.

    Di certo, se era nervoso, non lo era per colpa sua. Vero?

    Erano le olimpiadi la cosa importate. Lui cosa poteva essere? Al massimo un’incidente di percorso.

    – Mettiti la felpa che prendi freddo! – brontolò Yakov.

    – Eh…

    In effetti aveva addosso solo il costume, ed era tutto sudato, attaccato alla balaustra. Pronto per fare il libero con la polmonite. E Yakov era in piedi di fianco a lui con la felpa in mano. Si prospettava una giornata di cose mai viste.

    Gridò un incoraggiamento e poi si rivestì.

    Intanto Otabek aveva incominciato. Il suo programma era bello. Molto marziale, come piaceva a lui. Su una musica che raccontava un qualche evento storico, come piaceva a lui. Molto, quasi troppo Otabek. Per questo stonava di più il suo non essere perfettamente a tempo. Era come se fosse di appena qualche secondo sfasato, ora troppo indietro, ora troppo avanti.

    E se cadi cosa dovrei farti? Dovrei essere io a picchiare te?

    Non cadde, ma neppure saltò come avrebbe dovuto. Il primo salto uscì sottoruotato. La combinazione… Otabek si era reso conto di non riuscire a dare il massimo. Stava riportando il programma al livello di difficoltà di quello della gara a squadre.

    Io non riuscirei ad avere questo lucidità. 

    Invece Otabek aveva ripreso il controllo. Stabilita una linea d’azione, era tornato anche a pattinare a tempo.

    Qual è la tua linea d’azione, con me?

    86.80    

    Il che lo portava, al momento, in sesta posizione con ancora due atleti e non proprio quelli capitati lì per caso, J.J. e Victor, che dovevano esibirsi.

 

*

    Stava per esibirsi J.J. e poi, per ultimo, Victor.

     Da quello che il giapponese aveva sentito mentre si rimetteva la tuta, Yuri se l’era cavata benino, mentre Otabek aveva fatto un po’ peggio che nella prova a squadre, evidentemente il litigio con il russo non si era ancora risolto.

    Questi russi! Com’è che finiamo per dipendere così tanto da loro?

    Il che non era sempre un male. Al momento a Yuuri importava pochissimo della sua seconda posizione temporanea. Quattro anni prima avrebbe chiamato il servizio medico per far ricoverare chiunque gli avesse detto che avrebbe affrontato la finale olimpica da una delle prime quattro posizioni. Adesso aveva in mente Victor che calcolava e ricalcolava al centesimo i punteggi potenziali.

    «Tra 109 e 112» era stato il suo prognostico.

    Beh, non aveva fatto neppure 109. Ma al momento non gliene importava molto. La parte della sua mente che, nonostante tutto, lavorava sulla propria gara era relativamente soddisfatta di un potenziale quarto posto che lo avrebbe comunque messo in condizione di lottare per il podio. La parte di lui che viveva in una situazione di panico costante era sicura che il giorno dopo sarebbe stato un disastro. Entrambe, però, erano quasi del tutto tacitate dalla preoccupazione per Victor.

    A vederlo così non sembravano essercene motivi. Mentre Otabek attendeva il punteggio e J.J. si scaldava, il russo si stava preparando sotto la supervisione di Yakov. A quanto pareva riusciva a sorridere. Ma la cosa non voleva dire molto. Per qualche motivo Victor era del tutto incapace di mascherare il proprio stato d’animo quando accompagnava Yuuri in qualità di allenatore, ma come atleta vestiva con tale naturalezza il suo abito da re del pattinaggio che quei sorrisi potevano voler dire qualsiasi cosa. 

    Molto sarebbe dipeso da J.J. Se il canadese fosse riuscito a portare a termine il quadruplo Axel, Yuuri non aveva idea di come Victor avrebbe reagito. Quell’ordine di esibizione era stata una beffa. 

    Il giapponese scosse il capo. Non poteva farci nulla. Salvo che tifare contro a J.J.. Cosa che per altro lo faceva sentire un mostro.

    Iniziava.

    Anche il canadese, come lui, si esibiva su una colonna sonora. Un film che Yuuri non conosceva e una musica che riteneva banale. Il problema erano le sue doti atletiche. Tutt’altro che banali. 

    Era appena un po’ in anticipo sulla musica. Cosa voleva dire? Era nervoso?

    Come Victor, l’avrebbe fatto come primo salto.

    Yuuri lo vide prepararsi, caricare… 

    Perfetto…

    Una… Due… Tre… E mezza.

    Atterrò.

    Un triplo Axel perfetto. Ma comunque triplo.

    Cosa gli era mancato? Il coraggio? La concentrazione? O semplicemente il suo corpo si era rifiutato di obbedire?

    Passi. Ancora un filo in anticipo. C’era forse un po’ di stizza… Ma era una questione di frazioni di secondo, forse i giudici non se ne sarebbero neppure accorti.

    Quadruplo Luz. Fatto con arroganza, per urlare al mondo che sapeva fare tutto meglio di chiunque altro.

    Meglio di me, sicuramente. Io non ce l’ho tutta questa elevazione.

    Sicuramente non riesce ad averla Victor.

    Però Victor è ancora il più elegante.

    La combinazione…

    Questa è un po’ imprecisa. È partito male con il secondo salto…

    Sta andando meglio di me, però… 

    Meglio di Chris?

    Gli applausi scroscianti che accolsero J.J. alla fine dell’esibizione sembravano dimostrarlo.

    Yuuri scosse il capo. Ancora una volta non sapeva calcolare il punteggio.

    J.J. andava a vedere il risultato, Victor iniziava a scaldarsi.

    Yuuri si sbracciò per farsi vedere.

    Come stai? Quanto male ti fa la caviglia? Quanto sei lucido, nonostante tutto quello che ti hanno dato? Mi vedi? Tu, al mio posto, mi diresti che siamo solo noi due. Ma tu non sei me. Tu hai bisogno di vedere tutti. Tutto il mondo che ti guarda, per la tua ultima gara. Io pattino per te. Tu pattini per il mondo. È un peso che io non potrò mai portare, ma tu sì. Non deluderci tutti. So che non lo farai.

    Era uscito il punteggio di J.J.

    106.32

    Victor si mosse verso la posizione di partenza. Con calma, senza esibirlo né nasconderlo, lo cercò con lo sguardo e si portò l’anello alle labbra. Poi però cercò qualcun altro. 

    Chi?

    Mila? 

    Perché? 

    Eppure era a lei, inequivocabilmente, e senza l’ombra di un sorriso, che alzava il calice immaginario. 

    Si comincia.

    Victor quando pattinava era ipnotico. Non ci si poteva fare molto, gli bastava un movimento della mano o del capo per catalizzare l’attenzione su di lui. Non era una cosa studiata. Yuuri sapeva meglio di chiunque altro che mentre pattinava Victor si fondeva con la musica e i sentimenti che questa gli trasmetteva, teneva in qualche modo le redini della parte tecnica, ma non aveva idea di come sembrasse da fuori.

    Eccolo lì.

    – Vieni a ballare con me – sta dicendo. – Danziamo sull’orlo dell’abisso, bellissimi sulla fine del mondo. All’alba bruceremo. Dimentichiamoci dell’alba.

    Balliamo ancora.

    Eccolo.

    Per fortuna caricava il salto sul sinistro, la gamba che sentiva più sicura.

    Il problema è l’atterraggio sul destro…

    Ma non c’era tempo per pensare.

    Una rotazione, due, tre… 

    Quattro.

    E mezzo.

    Atterrò.

    Lo aveva fatto con una tale naturalezza che nessuno sembrava aver realizzato. 

    O, forse, nessuno osava applaudire o fiatare per non rompere l’incantesimo.

    Se Yuuri non avesse saputo che la caviglia gli faceva male non lo avrebbe mai sospettato.

    Balliamo ancora.

    Combinazione.

    Yuuri ebbe l’istinto di chiudere gli occhi.

    Andata.

    Iniziava a essere stanco. Lui se ne accorgeva, gli altri probabilmente no.

    La trottola è meravigliosa.

    Non fermati. Balliamo ancora.

    L’ultima sequenza di passi e poi l’ultimo salto.

    Il quadruplo Toeloop. 

    Perfetto… No…

    In un attimo di puro terrore, Yuuri vide Victor annaspare nel tentativo di non finire sulla caviglia con tutto il peso del proprio corpo e di salvare comunque la situazione.

    Cadde all’indietro, facendo in tempo ad attutire l’impatto con le mani e a rialzarsi subito.

    Poco dopo era nella posizione di chiusura, di nuovo col calice levato.

    L’applauso del pubblico, tutto in piedi, era come l’infrangersi delle onde del mare.

    Yuuri, però, era ancora immobilizzato, con le mani strette l’una nell’altra e la circolazione bloccata. 

    Sulla pista stavano piovendo fiori e peluche a forma di cagnolino.

    Azz… Ci riempiremo un’intera stanza… Questi di certo non me li lascerai buttare.

    – Cosa stai aspettando, corri da lui – gli disse Tamura.

    Yuuri non se lo fece ripetere due volte.

    Arrivò all’uscita quasi in contemporanea a Yakov, che lo guardò truce, ma non disse nulla.

    Zoppicava?

    Sì, Victor fece quegli ultimi metri dopo i saluti trascinando quasi il piede destro. Però, vide Yuuri, sorrideva.

    – C’erano abbastanza rotazioni nell’ultimo salto? – fu la prima cosa che chiese. – Non capivo più nulla a quel punto.

    – C’erano – borbottò Yakov. – Ma questa volta il record te lo scordi.

    – Posso sopravvivere.

    L’allenatore gettò uno sguardo alla caviglia.

    – Sicuro?

    – Quasi.

    Yuuri riuscì ad afferragli una mano. Victor gliela strinse subito e il giapponese si accorse che tremava. Era il dolore o solo la tensione?

    – Andiamo – borbottò Yakov. Poi si accorse che i copripattini erano ancora nelle proprie mani – Riesci a metterteli?

    Victor li guardò come se non ne avesse mai visti prima.

    – No, temo di no – disse.

 

    Ma quanto ci mettono…

    Yuuri si tormentò il pollice con un’unghia fino a farsi uscire del sangue.

    Però ci stavano davvero impiegando molto.

    Non sono abituati a inserire il quadruplo Axel…

    112.60

    No, non era il record del mondo, ma era comunque di gran lunga il punteggio più alto della giornata.

    Ed ecco, quindi, la classifica definitiva del programma corto.

1

Victor Nikiforov

112.60

2

Jean-Jaques Leroy

106.32

3

Christophe Giacometti

105

4

Yuuri Katsuki

104.58

5

Yuri Plisesky

99.80

6

Phichit Chulanont

90.50

7

Lee Sung-il

88.30

8

Otabek Altyn

86.80

9

Michele Crispino

85.10

10

Emil Nekola

83.50

11

Leo de la Inglesia

83.40

12

Guang-Hong Ji

83.19

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: Tenar80