Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Kore Flavia    29/07/2019    1 recensioni
Gabriele ha un potere speciale ed è quello di vivere attraverso gli altri. Ciò che vedono gli altri lo vede anche lui e ciò che risentono gli altri lo risente anche lui. Conosce la vita di un mucchio di gente, quindi, ma ciò non viene senza sacrificare qualcosa e nel caso di Gabriele a fare da agnello sacrificale è la sua di vita. A 35 anni Gabriele si ritrova però privato di questa capacità ed è perciò costretto a vivere nel proprio corpo. Giostrarsi in un’esistenza completamente vuotata di rapporti e senza risultati degni di nota non è però così semplice. Tra suo fratello che lo odia, sua madre che lo vede come un fallimento personale, Anna che vive a centinaia di chilometri di distanza e Giulia che non l’ha mai veramente provato a capire, sua nipote Francesca è l’unica a stargli accanto.
In questo clima Gabriele si racconta e attraverso sé stesso rivela le difficoltà che le relazioni presentano e la paura onnipresente della solitudine e della propria incomunicabilità. Il tutto senza mai smettere di provare a costruirsi in quanto persona e a ritrovare quel rapporto all’altro che fino ad allora aveva rifiutato.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Primo Ricordo
 
 


Il primo ricordo, filtrato dalla mia percezione presente degli avvenimenti, consiste in un prato e degli uccelli dai colori sgargianti. Avevo tre anni e ricordo perfettamente quello sprazzo di luce nella mia vita: una vita che avevo già deciso di non vivere. Ricordo che ero sdraiato e che venni svegliato da mia madre o da mia zia -non sono certo, non stavo ancora vivendo-. Quella voce, però, mi aveva svegliato dal torpore di non-vita e per la prima volta mi potei guardare attorno con i miei occhi e non con quelli di Anna, di Giulia o di Enzo, i miei fratelli. Ed era… esageratamente luminoso, ricordo di aver chiuso gli occhi, di averli riaperti e richiusi di nuovo. Quando osservavo il mondo tramite gli altri, i suoni, le luci e tutto ciò che l’essere umano può percepire era ovattato dall’involucro della persona. All’epoca trovai il chiarore esilarante e spaventoso e le stilettate negli occhi aumentavano queste mie emozioni. Risi a crepapelle sotto lo sguardo altrui, risi, risi e risi ancora. Passai mille volte le dita tra i fili d’erba, quasi ad accertarmi che fosse vero, che fosse veramente verde, veramente consistente, veramente erba. Quell’erba che avevo osservato tra le mani altrui, tra i piedi, tra i capelli, ad avvolgere il corpo come un mantello, quell’erba ora avvolgeva me, era tra i miei di capelli, tra i miei di piedi, tra le mie di mani. Quel verde brillante e umido, scuro e opaco, c’erano così tante sfumature nel mondo, tutte attorno a me, tutte tra le mie mani. Ne strappai un filo, poi due, poi tre e continuai a strapparne fino a rimanere con le mani macchiate di verde e brucianti. Vari graffietti si formarono tra le dita cicciotte, sui piedi grassocci, il rosso faceva festa con il verde. Ero un quadro meraviglioso, un’opera d’arte dipinta dalla natura. Mi alzai barcollando, muovendo i piedi nell’erba e zampettando un pochetto. Prima sul piede destro, poi su quello sinistro e poi nuovamente su quello destro. Era un tappeto naturale, madre natura ci aveva donato un meraviglioso tappeto su cui sdraiarci, su cui giocare, in cui gli animali potevano cibarsi e fare i propri escrementi. Improvvisai una corsa, caddi, mi rialzai. La pelle bruciante per le sbucciature che si mostravano trionfanti sui gomiti e timide sulle ginocchia. Il sangue aveva chiazzato i miei pantaloni scuri. Ero felice anche di quel bruciare, non avevo quel forte impulso di piangere che tutti i bambini sembrano sentire. Quello sbigottimento iniziale, quella sorpresa, quella presa di coscienza che “sì, effettivamente si erano fatti male” e quel pianto disperato erano per me emozioni sconosciute. Tutto era una festa e le ferite erano parti del gioco, della scoperta e della mia avventura. Risi un sacco quel giorno, tanto da perdere la voce e da rischiare di soffocare. Tossii tante volte, anche.
Una mano interruppe la mia gioia, era Giulia, mia sorella maggiore, che rideva a vedermi così, a vedermi vivo. Era una bambina dalle guance tonde e piene come due lune e dai capelli castani e dritti come spaghetti. Di queste sue rotondità Giulia ne avrebbe fatto un motivo di fierezza in futuro. I capelli, invece, avrebbe preso l’abitudine di arricciarli, dicendo che le curve dei ricci mettevano in risalto quelle del corpo e che erano belle: che era bella.
Mi strattonò da un lato, dunque, e mi trovai costretto a barcollare goffamente pur di non cadere di nuovo.
“Guarda là, guarda che belli!”
Strepitò indicandomi un punto dietro di me tutta curiosa. Mi girai e rimasi a bocca aperta. Estasiato dal loro aspetto glorioso e luminoso.
“Si chiama pavone.” Ringhiò Anna, la più grande tra le sorelle.
Pavone mi rigirai questa parola tra labbra, denti e lingua, facendola passare tra il palato e la gola mille volte. Mi beai del suono potente che spandeva intorno a sé, l’idea di qualcosa di maestoso, qualcosa di bello. Improvvisai una corsa stentata al loro inseguimento, spaventandoli. Fuggirono di qualche metro, ma non sparirono, forse per continuare ad essere ammirati nei loro colori brillanti, forse per pigrizia, forse per sfidarmi a rincorrerli ancora e ancora e ancora, sapendo di essere irraggiungibili.
“Paoni?” Domandai ad Anna, a Giulia e agli stessi indossatori dell’appellativo.
“Paoni!” Ripetei eccitato.
“Pavoni. Ha una “v”.” Anna mi rimproverò dall’alto dei suoi dodici anni.
Alzai gli occhi ammirando la perfezione di quella parola, perfezione che non riuscivo a simulare a causa di questa tanto famigerata “v”. Me ne infischiai sul momento e ripresi a rincorrerli felice.
Erano meravigliosamente normali ed erano perfetti così, senza nulla di straordinario. La loro maestosità risiedeva nella loro più totale regolarità.
Poi mi interruppi, come colto da un fulmine, a guardare una chiazza bianca che passeggiava poco lontano. Era come gli altri, ma lontano, lontanissimo e bianco, bianchissimo. Timoroso e squallido era diverso da tutti gli altri e lo dimostrava anche con la sua distanza. Sembrava passare inosservato, invisibile agli occhi degli altri e inesistente a tutti. Tranne che a me. E mi fissava con i suoi spilli neri tra le piume bianche. Mi fissava e io fissavo lui.
Lo osservai indeciso: “non mi piace”, fu il primo pensiero che mi colse. Perché non poteva fare lo sforzo di essere come gli altri? Questa sua diversità ostentata mi infastidiva e mi stimolava un forte prurito alle mani. Iniziai a grattarle con gli occhi sempre fissati su di lui. Poi lo indicai alle mie sorelle.
“Guardate.” Strattonai il vestito a fiori di Giulia.
Anna non mi diede ascolto, ma la minore sì, alzò lo sguardo su quella creatura bianca e mi sorrise.
“Guarda che bello che è!”
“No.”
“No?”
“No. Brutto, è brutto.”
“Ma come? È così diverso! Sembra fatto di neve!”
Era incredula. All’epoca non lo capii, ma vi sono al mondo tipi di diversità esaltate ed altre denigrate. Quel pavone pareva rientrare nella prima, io penso di appartenere alla seconda categoria. Trovai l’opinione di mia sorella inconcepibile.
“No, no, no. È cattivo.”
“Cattivo? Che vai a blaterale, stupido?” Anna aveva deciso di degnarci della sua attenzione nella sua deliziosa maniera dell’epoca. Una bomba sempre pronta ad esplodere, Anna, e come tale aveva un boato di capelli biondi in testa. Come una bomba, poi, conteneva la potenziale esplosione all’interno di un corpicino minuto e fragile.
Si mosse tronfia verso di me e mi diede una leggera botta sul capo non ribattere, ho ragione io stava a significare. Affossai il capo tra le spalle e squittii innervosito.
“È cattivo perché non vuole stare con gli altri.”
“Un po’ come te, no? A te gli altri bambini non piacciono.” Mi offesi. Abbassai lo sguardo e corsi verso quel mostruoso essere bianco. Volevo ferirlo e per la prima volta sentii quella cattiveria innocente dei bambini piccoli. La stessa che spingeva mio fratello a catturare le lucertole mentre queste arrostivano al sole e a torturarle con lo sguardo da scienziato negli occhi. Anna mi chiamò, avvertendomi di star attento. Inutile dire che non ascoltai il suo avvertimento e, in pochi istanti, finii a terra. Il pavone bianco mi aveva beccato per difendersi. Sbattei la testa e il mondo sbiadì davanti ai miei occhi.
L’ultima cosa che sentii furono i passi svelti di mia madre e lo sbuffo indispettito di mio fratello. Da quel momento provai una certa intolleranza nei confronti dei pavoni bianchi. Come potrai immaginare dovuta alla rimarchevole somiglianza a cui mia sorella accennò quel giorno. A posteriori ne vedo l’origine totalmente infantile, ma non posso far altro che scrollarmela dalle spalle questa intolleranza.

 

Note d'autrice:
Grazie per aver letto. 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Kore Flavia