Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: paige95    06/10/2019    2 recensioni
~ IN REVISIONE ~
È il 1 settembre del 2017, l'orologio del binario 9 3/4 sta per spaccare le 11 in punto. Nella stazione di King's Cross c'è tanto fermento e commozione. Un nuovo anno sta per iniziare, ma i nuovi studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts subiranno le conseguenze del passato da cui discendono e del presente in cui vivono.
/............................../
N.B È importante aver letto Harry Potter e i doni della morte, soprattutto per il primo capitolo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Rose Weasley | Coppie: Draco/Astoria, Hannah/Neville, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Superficiali crepe nelle rivalità


 
[5 ottobre 2017 ore 5:00 p.m. – Hogwarts/Piano Terra/poco dopo la vittoria dei Serpeverde]

Scorpius aveva ancora il fiato corto per la partita appena terminata, che aveva visto la sua squadra trionfare sui Grifondoro. Era sceso in Infermeria per raggiungere il suo compagno di squadra, ma capì presto dalle sue parole quanto la sua presenza non fosse necessaria, oltre che sgradita. Non aveva alcuna voglia di festeggiare con i Serpeverde, non dopo ciò che era avvenuto in campo quel pomeriggio. Aveva afferrato il Boccino approfittando della confusione tra i giocatori per l’incidente doloso che Rose aveva subìto. L’arbitro, la docente di Volo, non aveva interrotto la partita, ma aveva comunque consentito i soccorsi alla ragazza infortunata. Non sapeva quale ragione lo avesse spinto verso l’infermeria subito dopo il fischio di fine che proprio lui aveva causato con la cattura del Boccino, eppure i passi lo avevano condotto dove non avrebbero mai dovuto portarlo, testimoni le parole del suo compagno di squadra. Non era rimasto indifferente alla mossa scorretta dei suoi compagni e quella sensazione di essere dalla parte del torto, benché non fosse la mano di quel gesto, lo aveva spinto ad accertarsi dello stato di salute della ragazza, peccato che il suo sincero interessamento non fosse stato colto.
Nonostante avesse notato i suoi genitori sugli spalti, si sorprese nei pressi della scalinata principale, in direzione del dormitorio – non aveva alcuna intenzione di fermarsi in Sala Comune a sorbirsi le grida di giubilo dei Serpeverde -, di imbattersi in suo padre, probabilmente in attesa della moglie per uscire insieme a lei dai territori del Castello. Il primo pensiero di Scorpius riguardò proprio la fretta dei suoi genitori, intuì che se ne stessero andando senza nemmeno salutarlo. 
 
«Papà»
 
Anche Draco doveva essere immerso nei pensieri, non si era accorto dei passi di suo figlio che rimbombavano sulle scale. La maggior parte degli studenti si trovava nei pressi delle Sale Comuni a festeggiare o a risposare demoralizzata per la sconfitta o semplicemente per immergersi nelle attività di studio pomeridiane. Quella zona del Castello, proprio per le ragioni sopracitate, era deserta, c’erano solo Draco e Scorpius a fissarsi senza sapere cosa dire. Quasi sicuramente l’inaspettato imbarazzo che scese tra i due fu dovuto all’episodio recente per il quale Draco era stato convocato dalla Preside. In quell’occasione non avevano avuto modo di confrontarsi. Dopo aver gettato un'occhiata alle spalle del figlio, forse con la speranza che proprio in quell'istante comparisse Astoria, si arrese all'inevitabile dialogo.
 
«Sei stato discreto per essere la tua prima partita»
 
«Ho preso il Boccino, cosa avrei dovuto fare d'altro?»
 
«Sì, bhe, hai avuto parecchia fortuna, erano tutti distratti dall'incidente di quella Grifondoro»
 
«Si chiama Rose e non è stato un incidente, l’hanno buttata giù dalla scopa di proposito, con l’intento di farle male»
 
Draco lo guardò quasi spaventato. Aveva pronunciato il nome di quella ragazza con naturalezza, come se tra loro non ci fosse la dovuta distanza. Quel ragazzino, così simile a lui per aspetto, non aveva la più pallida idea dei guai in cui si stava cacciando. Draco era profondamente a disagio in quel luogo e le rivelazioni del figlio non lo aiutavano affatto.
 
«Ora siete amici? Mi stai per caso dicendo che sei diventato amico di una Weasley? Scorpius, non osare!»
 
«No, certo che no, n-non ho detto questo»
 
Al ragazzo non poté sfuggire la diffidenza e la rabbia nella voce del padre, ragion per cui si sentì di assecondare i suoi timori e di non sbilanciarsi troppo con le parole. Non gli disse che in quel primo mese di lezioni non si erano verificati altri battibecchi, anzi gli allenamenti con Albus erano sempre più piacevoli e loro erano diventati molto complici in campo, escogitando insieme nuove mosse per distrarre gli avversari. 
 

Flint aveva concesso a Rose di sostare sugli spalti solo in via eccezionale, Albus desiderava tanto che la cugina potesse assistere agli allenamenti, nonostante facesse parte di una squadra avversaria. Per fortuna il Capitano aveva ereditato ben poco dal padre e fu favorevole, a patto che non avesse sfruttato le tecniche ideate dai Serpeverde contro di loro. La ragazza se ne stava in silenzio sugli spalti incoraggiando con qualche sorriso il cugino durante quelle amichevoli inter-squadra. L’unico che sembrava essere a disagio fu Scorpius, sapere che lo sguardo attento di Rose fosse puntato su di loro gli mise una certa ansia da prestazione. Durante una delle tante partite di allenamento, il giovane Malfoy si trovava ad un paio di metri da terra, quando la voce del suo compagno lo avvertiva del passaggio della pluffa, peccato che lui fosse distratto dagli occhi azzurri di Rose fissi su di loro.
 
«Scorpius, non deconcentrarti!»
 
Sentì appena in tempo l’avvertimento del compagno. Afferrò la pluffa con la punta delle dita, prendendo per un istante e per necessità le parti del portiere.
 
«So che mia cugina è carina, però resta concentrato»
 
«Affatto!»
 
Albus rise davanti all'espressione spaventata e imbarazzata di Scorpius.
 
«N-non voglio dire che tua cugina sia brutta, solo che il problema sia la soggezione che mi mette il suo sguardo perennemente addosso a noi mentre giochiamo»
 
«Ha lo sguardo investigativo come quello della zia Hermione. Sì, lo so, spesso mette in soggezione anche me. Che dici, la sfidiamo?»
 
«Come, prego?»
 
«Allenarci contro il membro di una squadra avversaria sarà un allenamento più stimolante, non credi?»
 
Scorpius lanciò uno sguardo perplesso in direzione della ragazza in questione. Rose aveva un che di poco raccomandabile, era davvero così temerario da sfidare la figlia del Ministro della Magia e pensare di uscirne indenne? Era risaputo quanto non convenisse sfidare il tenace Ministro, perché per la figlia sarebbe dovuto essere diverso?
 
«Hai paura?»
 
«Certo che no! Io paura di una Weasley??»
 
«Ti consiglio di non sottovalutarla, lei è una Granger-Weasley»
 
I capelli fiammeggianti di Rose in effetti non promettevano nulla di buono per i suoi avversari, Scorpius era ben consapevole di dover essere prudente.
 
«Dici che ha dalla sua la tenacia del Ministro?»
 
«Sì, e due generazioni di giocatori di Quidditch alle spalle. Mia madre ha giocato come Cacciatrice e Cercatrice ai tempi di Hogwarts e lei è solo un esempio da cui Rose potrebbe aver ereditato l’abilità sulla scopa»
 
Scorpius deglutì a disagio, avrebbe desiderato essere ovunque tranne che in campo in quel momento.
 
«Tua madre è la punta di diamante delle Holyhead Harpies. Tua cugina mi distrugge»
 
«Accetti la sfida, Malfoy?»
 
«Qui ne va del mio orgoglio o della mia incolumità»
 
«A te la scelta, cosa preferisci salvaguardare?»
 
Era già affannato per l'allenamento appena avvenuto, non era certo di riuscire a resistere ai colpi sferrati da quella ragazza, eppure quella mezzosangue non poteva essere tanto diversa da Albus, in lui infondo aveva riscoperto una piacevole compagnia in campo.

 
«Bene, perché i Malfoy non possono essere amici di Weasley e Potter»
 
«Per quale ragione? V-voglio dire, è così grave?»
 
Draco non fece nemmeno in tempo a rispondergli, accertandosi che suo figlio non si mischiasse a dei mezzosangue, perché delle braccia familiari e affettuose avvolsero il ragazzo, afferrandolo da dietro all’altezza delle spalle. L’uomo alla vista della moglie non osò più dire nulla contro quelle famiglie, non desiderava subire il terzo grado da parte di Astoria. Scorpius riconobbe subito il delicato tocco della madre, la quale gli fece riscoprire il sorriso dopo la tensione con cui invece Draco aveva impregnato l’atmosfera.
 
«Mamma, dai, sono sudato e poi non farmi fare figure davanti a tutti»
 
Astoria non lo ascoltò e gli schioccò orgogliosa un grande bacio sulla guancia. Non c’era alcun motivo di mantenere tanta discrezione, infondo intorno a loro non vi era anima viva. Sembrava proprio che il suo bambino stesse crescendo e non gradisse più come prima le dimostrazioni di affetto in pubblico.
 
«Sei stato bravissimo, tesoro. Vero, Draco?»
 
La donna cercò una conferma quasi scontata da parte del marito. Anche Scorpius attese un commento del padre, ma quest’ultimo non sembrava essere molto entusiasta. Il ragazzo intuì il motivo del suo umore e temette di essere stato proprio lui con le sue parole ad infastidirlo.
 
«Sì, molto bravo. Astoria, conviene iniziare ad avviarci, il tempo promette pioggia e l’imbrunire sta scendendo velocemente. Mi piacerebbe essere a casa prima che arrivi una tempesta. Figliolo, ci rivediamo a Natale»
 
Draco non attese neppure la risposta della moglie o un saluto del figlio, iniziò semplicemente ad avviarsi verso il grande portone del Castello. Scorpius rimase perplesso e cercò subito una rassicurazione da parte della madre.
 
«Mamma, ho fatto o detto qualcosa di male? Papà è ancora arrabbiato per quell’episodio?»
 
«No, tesoro, papà non è arrabbiato con te, non devi preoccuparti. È solo un po’ triste, tornare in questa Scuola lo riempie di ricordi e non sempre piacevoli»
 
Astoria non era sicura fosse quello il motivo dell’umore del marito, ma certamente angustiare suo figlio sarebbe stata una pessima idea.

 
[6 ottobre 2017 ore 11:00 a.m. – Casa Weasley/Potter]
 
Per l’ennesima volta in quella mattina la piccola Lily aveva lanciato con forza la pluffa in direzione del padre ed Harry solo per un soffio, anche stavolta, dovette bloccare quella palla prima che rompesse un altro quadro di famiglia, posto ad un’altezza media sulla parete e quindi a portata di mano della piccola di casa Potter. Fu inutile per lui placare l’euforia della figlia, per quanto le ripetesse di non voler diventare una futura giocatrice, il Quidditch sembrava essere il suo miglior passatempo. Dal canto di Harry ciò non lo disturbava affatto, anzi trascorrere del tempo con la sua bambina era il miglior modo per placare i sensi di colpa per aver trascurato i propri cari negli ultimi anni. Fissò sua figlia con l’intenzione di infonderle dubbi su quel lancio così pericoloso, ma il suo sguardo severo celava un sorriso trattenuto. Si avvicinò a lei con espressione seria. Lily riconobbe facilmente le intenzioni del padre, ma quel nuovo gioco divertiva solo lui, benché salvaguardasse l’integrità del numero 12 di Grimmauld Place. La bambina provò a recuperare la pluffa dalle mani del padre, ma lui glielo impedì alzandola leggermente.
 
«Papà, dai!»
 
Harry le sorrideva, negando con la testa. Lily si arrese, pur saltando non avrebbe mai raggiunto la sua altezza per strappargli la palla. La bambina capì subito cosa il padre cercasse di farle comprendere, era un velato rimprovero, uno di quelli che solo lui, con appena un cenno dello sguardo, sapeva impartire.
 
«Starò più attenta, te lo prometto, ma ora giochiamo»
 
Il campanello rintoccò nel soggiorno appena prima che Harry potesse rispondere alla figlia. Il viso ingenuo della bambina lo aveva quasi conquistato e convinto, era impossibile per lui prolungare la severità, non era nella sua indole e di certo non desiderava trascorrere quel poco tempo in compagnia di Lily a suon di prediche.
 
«Tesoro, un attimo, riposati intanto. Se la mamma scopre che giochiamo con la pluffa in casa, ci sfratta»
 
«Cosa fa?»
 
Harry la ignorò ed andò ad aprire la porta, senza far attendere troppo il suo ospite. Il giovane ragazzo sulla soglia di casa poteva avere non più di vent’anni, era slanciato e con un’inconfondibile chioma che una semplice variazione dello stato d’animo infondeva un cambiamento radicale della tinta.
 
«Teddy! Ragazzo, che bella sorpresa»
 
Harry rivolse al giovane figlio di Ninfadora e Remus Lupin un grande sorriso di benvenuto. Ogni volta che Ted metteva piede tra quelle spaziose mura, che infondo poteva chiamare casa da quando era appena un neonato, era una gioia per ogni componente di quella famiglia, perciò la reazione del padrino non gli fu affatto nuova. Lui però non sembrava avere altrettanto entusiasmo, anzi era stranamente a disagio davanti ad Harry, con cui nel corso degli anni aveva maturato una certa confidenza.
 
«Ciao, zio. Ti disturbo?»
 
«Assolutamente no, entra»
 
Con una certa reticenza, che al padrone di casa non sfuggì, il suo figlioccio diede prima un’occhiata alle pareti e poi si decise a superare lo zerbino. Harry fu subito sul punto di chiedergli spiegazioni, un simile imbarazzo era insolito da parte del ragazzo, ma Lily non si fece affatto sfuggire l’occasione di salutare colui che per lei era un terzo fratello. La bambina si gettò senza troppe cerimonie tra le sue braccia e la stretta della piccola che circondava la sua vita gli fece riacquistare il sorriso.
 
«Teddy!»
 
«Ciao, principessa»
 
Il ragazzo le porse una carezza tra i fulvi capelli, ma Harry concesse solo qualche secondo ai due, aveva capito che qualcosa non andasse e non voleva tardare un inevitabile dialogo. Pose così una mano sulla spalla di Teddy invitandolo a seguirlo in cucina.
 
«Vieni, preparo il thè»
 
«Zio, non è necessario, non disturbarti»
 
«Non ti vedo da tanto, sono sempre incasinato, concedimi qualche minuto davanti ad una tazza di thè caldo, direi che la giornata lo richiede. Lily, vai a riordinare la stanza e nascondi la pluffa, mamma non la deve vedere»
 
Fece scivolare la palla in mano alla figlia e la invitò ad ubbidirgli, stavolta più seriamente, non voleva certo sfigurare davanti agli ospiti. Anche quel ragazzo era pienamente consapevole dei metodi educativi che impartiva il padrino, li aveva sperimentati in prima persona e si era anche divertito spesso e volentieri in sua compagnia, perciò non gli fu difficile comprendere la tristezza della bambina a cui veniva chiesto di interrompere il loro gioco.
 
«Uffi, anche io volevo bere il thè con Teddy»
 
Solo dopo che la piccola di casa ebbe svoltato l’angolo e raggiunto le scale un po’ triste, Harry decise di porre a Teddy la fatidica domanda.
 
«Allora, qual buon vento ti porta a Grimmauld Place?»
 
Non attese la risposta e si avviò verso il piano cottura. Aveva intuito già da qualche minuto, esattamente da quando i loro sguardi quella mattina si erano incontrati, che potesse essere una questione delicata, infatti a conferma delle sue ipotesi Teddy rimase perplesso e si limitò a fissarlo confuso.
 
«Sì, ho allontanato Lily perché immagino tu debba parlarmi o è solo una visita di cortesia?»
 
Teddy non rispose, il sorriso perspicace di Harry aveva l'aria di aver compreso da solo la risposta. Mise il bollitore pieno d'acqua sul fornello, dando al giovane il tempo di organizzare i pensieri. Fu un momento difficile per il ragazzo, si guardava intorno senza riuscire a riconoscere davvero quelle pareti, era un chiaro momento di crisi interiore per lui, ciò che era successo aveva messo in discussione la sua persona e le sue origini. Gli mancava persino il fiato per ciò che stava per comunicare ad Harry. Gli venne spontaneo appurare che fossero soli, non che ciò fosse un segreto, ma parlarne con una persona era per lui una maggiorazione sufficiente sul cuore.
 
«Ginny non è a casa?»
 
«È al lavoro»
 
«Tu come mai non sei al Ministero? Credevo di non trovarti»
 
«Inizio più tardi. Coraggio, accomodati, la sedia posso garantirti che non scotta»
 
Teddy lo ascoltò, infondo necessitava proprio di un supporto per affrontare con il suo padrino quell’argomento. Non poteva negare di aver sperato per un istante di trovare vuota quella casa, perché era proprio il coraggio a mancargli. Il tavolo e la sedia diventarono il miglior appoggio che potesse trovare e sperò anche che Harry si dimostrasse come sempre il confidente più indicato. Quest’ultimo rimase vicino ai fornelli per controllare l'ebollizione dell'acqua ed evitare così di combinare pasticci sulla cucina. Si appoggiò con la schiena e le mani al mobile e con fare paterno gli sorrise.
 
«Allora, ragazzo, ci sono novità? Non parliamo da un po’ io e te»
 
Il giovane Lupin indugiò, la notizia appena ricevuta lo aveva destabilizzato e reso particolarmente insicuro. Non aveva ancora compiuto diciannove anni, si era diplomato a Hogwarts da poco più di un anno e già gli stavano affidando responsabilità immense.
 
«L-la McGranitt ...»
 
L'acqua iniziò a bollire alle spalle di Harry e distrasse entrambi. L’uomo si accorse tardi di aver alzato un po’ troppo la fiamma, era rammaricato di aver interrotto Teddy in un discorso che sembrava essere particolarmente delicato.
 
«Scusami un istante»
 
Dovette interrompere la loro conversazione per terminare la preparazione del thè, non aveva molte alternative. Teddy lo osservava mentre riempiva la teiera di acqua calda e ci immergeva dentro una bustina di thè. La portò in tavola insieme ad un vasetto di zucchero e due tazze pulite, stando ben attento a posare soprattutto il thè bollente lontano dal ragazzo. Quelle accortezze fecero sorridere Teddy, lo trattava ancora come un bambino, si prendeva cura della sua incolumità come se fosse, né più né meno, uno dei suoi figli. Le attenzioni del padrino distesero la tensione che stava salendo in Teddy, Harry sapeva sempre come, anche involontariamente, rassicurarlo, come se gli volesse dire “non preoccuparti, ci sono io con te e andrà tutto bene”, era stato ed era tutt’ora a tutti gli effetti un padre per lui. L’uomo si sedette a sua volta dall’altro capo del tavolo, ignaro dei sentimenti di protezione che infondeva al giovane, e nell’attesa che il thè fosse pronto, si mise in posizione di ascolto.
 
«Ora hai la mia completa attenzione, dimmi»
 
Lo sguardo di Harry era puntato su di lui, non si era mai sentito così tanto in soggezione davanti a quell’uomo, ma probabilmente tutto dipendeva dal tema di cui avrebbero dovuto discutere, delicato e per quel ragazzo molto toccante. Discostò gli occhi da quelli di Harry e li posò distrattamente sulla teiera da cui sperava di prendere l’ispirazione. Con voce malinconica, un po’ in contrasto con la notizia, si decise a rendere partecipe anche Harry, infondo non aveva nulla da temere, ma solo da guadagnare condividendo una parte del peso che portava sul cuore con lui.
 
«La Preside mi ha offerto un lavoro ad Hogwarts come insegnante»
 
All’istante il viso di Harry si illuminò di orgoglio, gli allungò una mano per sfiorargli il braccio e stringerlo in un gesto affettuoso e di congratulazioni, per poi prendere gioioso la teiera e versare nella tazza dell’ospite un po’ di thè.
 
«Teddy, è meraviglioso!»
 
Il ragazzo non si mostrò altrettanto entusiasta, fissava il liquido marroncino con ansia, demoralizzazione e timore. Non lo aveva informato di tutto, aveva omesso la notizia più importante, quella che infondeva così tanta agitazione e titubanza.
 
«No, non lo è ... la cattedra libera è quella di Difesa contro le Arti Oscure»
 
Harry iniziò a comprendere il suo disagio, il nome di quella materia lo bloccò, mentre era intento a riempire anche la sua tazza. Rimase a fissare quel giovane intimorito nell’attesa che esprimesse il suo stato d’animo e smettesse di specchiarsi pensieroso nel thè che aveva sotto gli occhi. Non occorsero parole, il colore dei capelli del giovane mutò, probabilmente senza che lui se ne accorgesse, immerso com’era nei pensieri. Harry, che lo conosceva molto bene, comprese il problema prima ancora di qualsiasi spiegazione.
 
«Come faccio a prendere il posto di mio padre senza sentirmi in difetto?»
 
«Non hai alcun motivo per sentirti in difetto»
 
«Zio»
 
Il tono di voce del ragazzo disapprovava le parole del padrino, Harry non era affatto convincente, gli avrebbe detto qualsiasi cosa pur di rincuorarlo e spronarlo a non intimorirsi davanti ad una nuova esperienza, anche probabilmente una menzogna. Allo stesso tempo però il giovane lanciava ad Harry una evidente richiesta di aiuto che quest’ultimo accolse senza troppe difficoltà.
 
«Teddy, non hai nulla da invidiare a tuo padre»
 
«Ma io come posso essere alla sua altezza, se non l'ho mai conosciuto. Io non so che insegnante fosse»
 
«Lo rivedo in te, sei suo figlio, non può essere altrimenti»
 
«Sono un inutile Tassorosso invece»
 
«Ehi! E questo chi lo avrebbe detto?! Un Caposcuola non parla così. Piuttosto, ne hai parlato con Victoire?»
 
Teddy lo fissò ad occhi sbarrati e rosso in volto, il nome di quella ragazza lo paralizzò, impossibilitato a gestire contemporaneamente due temi di quella portata. La proposta della Preside non era l’unico argomento scottante che avrebbero potuto sfiorare quella mattina e lui a questo non aveva ingenuamente pensato.
 
«Eh dai, Teddy, ce ne siamo accorti tutti. Se volevi discrezione, non avresti dovuto baciarla in stazione, non credi?»
 
«N-non lo sa ancora»
 
«Dovresti chiederle un parere, infondo immagino abbiate dei progetti per il futuro e tu dovrai allontanarti da lei durante le lezioni»
 
Harry si era alzato con naturalezza per recuperare i cucchiaini che aveva dimenticato, concentrato com’era sulle parole del figlioccio. Non c’era la più piccola ombra di imbarazzo sul suo viso, mentre Teddy stava divampando, eppure la disinvoltura del padrino non lo mise del tutto a suo agio.
 
«Harry, per favore!»
 
Non era sua intenzione aumentare il disagio di Teddy, ma ebbe la certezza di averlo purtroppo fatto, quando passò a lui il cucchiaino e non lo afferrò subito, si limitava solo a fissarlo come un cucciolo di uomo sorpreso con le mani nella marmellata.
 
«Che c'è?»
 
«Dobbiamo per forza parlare di Victoire?»
 
Harry, rimasto in piedi vicino al tavolo, sorrise alla reazione del ragazzo, arrivando alla conclusione più logica.
 
«Figliolo, sei proprio innamorato»
 
Teddy afferrò tra le mani la tazza di thè ed iniziò a sorseggiarlo solo per distrarre l'attenzione, senza nemmeno prendersi il disturbo di aggiungervi qualche cucchiaino di zucchero.
 
«Sei il primo con cui ne parlo»
 
«Di Victoire??»
 
«Della proposta della McGranitt! Zio, ti prego, è una questione imbarazzante … anzi, per la verità, lo sono entrambe ed io non so cosa fare»
 
«Scusa. Nemmeno la nonna lo sa?»
 
«No, ma lei è il primo dei miei pensieri, sta invecchiando ed io non voglio abbandonarla»
 
Era diventato particolarmente serio. Harry conosceva bene il legame che correva tra il ragazzo e quella donna, lo aveva cresciuto come se fosse suo figlio ed era comprensibile che ora lui non si sentisse di voltarle le spalle nel momento del bisogno.
 
«Teddy, devi pensare al tuo futuro, Andromeda non resterà sola, non lo è mai stata»
 
«Posso continuare ad aiutare Charlie con le ricerche sui draghi, a me non pesa»
 
«Teddy, con tutto il rispetto per mio cognato e i draghi, sprechi le potenzialità che la McGranitt ha visto in te così»
 
Forse Harry aveva ragione o forse stava diventando egoista, disonorando i valori della Casa dai colori giallo e nero. Il suo padrino lo stava incitando a seguire la sua strada, a farlo con serenità, eppure quel passo gli procurava troppe preoccupazioni. Andromeda stava invecchiando, aveva bisogno di suo nipote, con che cuore lasciava casa per mesi rimanendo in contatto con lei solo attraverso qualche gufo, senza poter essere presente nel caso avesse avuto necessità di qualcuno fisicamente accanto. Ciò non era nemmeno la sua unica preoccupazione a ricordargli quanto fosse inopportuno accettare quella proposta di lavoro.
 
«Com'era papà come insegnante? Tu lo hai conosciuto in quei panni»
 
«Affabile, il migliore insegnante di Difesa che Hogwarts abbia mai visto … almeno fino a te»
 
«Harry, mi ...»
 
«Non sopravvaluto nessuno»
 
Harry gli allungò un affettuoso buffetto sulla guancia. Le guance di quel ragazzo erano ancora morbide, nonostante fosse ormai un uomo. Forse era Harry che, esattamente come con i suoi figli naturali, non accettava di vederlo crescere così velocemente, rivedendo in lui il bambino che aveva contribuito insieme ad Andromeda a crescere.
 
«Sarà meglio che io vada»
 
«Già?»
 
Harry rimase deluso, si aspettava forse di poterlo invitare a pranzo, trascorrere qualche ora in sua compagnia e magari convincerlo quanto fosse sbagliato rifiutare quella proposta, invece Teddy troncò sul nascere tutti i suoi buoni propositi, alzandosi pensieroso.
 
«Grazie per il thè, zio, e salutami Li ...»
 
Non fece in tempo a terminare la frase che la piccola li raggiunse velocemente scendendo le scale. Teddy si fece nuovamente coinvolgere dal suo entusiasmo. Stavolta la salutò porgendole un bacio sulla tempia, si vedevano così di rado che dispiacque anche a lui andare. Se fosse diventato insegnante però avrebbero senz’altro avuto più occasioni di incontrarsi non appena Lily avesse intrapreso il suo percorso scolastico. Aveva trovato senza troppe difficoltà una ragione valida per accettare che lo rasserenò, ma non riuscì a placare tutti gli innumerevoli dubbi.
 
«Vai già?»
 
«Sì, tesoro, Teddy ha un impegno importante»
 
Harry gli strizzò l'occhio in segno d’intesa e gli rivolse un ennesimo sorriso orgoglioso. Teddy stava per uscire dalla porta, aveva già girato la maniglia, quando si voltò verso il padrino che nel frattempo lo aveva seguito in soggiorno.
 
«La amo tanto ... dici che dovrei parlare con Bill?»
 
«Hai intenzioni serie con Victoire?»
 
«Sì, ma con il lavoro ad Hogwarts non so quando ci consentirà di concretizzarle»
 
«Il lavoro non è un ostacolo. Bill invece ... non saprei»
 
«Sei rincuorante, sai?»
 
«Buona fortuna, ragazzo»
 
«Ed io che pensavo di non coinvolgerti per salvarti dalle sue grinfie»
 
Sapeva di poter contare sull’appoggio di Harry e almeno in parte forse avrebbe dovuto seguire di buon grado i suoi consigli.

 
[6 ottobre 2017 ore 12:30 a.m. – Hogwarts/Sala Grande]
 
La Sala Grande all’ora di pranzo era un tripudio di colori. I tavoli erano gremiti di studenti e i professori erano ai loro posti, che come sempre sovrastavano e vigilavano i componenti delle quattro Case, ordinatamente suddivise. I banchetti erano pane per i denti degli ingordi, ma beavano il palato anche di chi, come Rose, non era altrettanto goloso, ma al contrario ella sempre molto misurata. La ragazza in questione era in compagnia di James e Albus, il quale, specie dopo quello che era successo alla cugina, aveva deciso di evitare il più possibile il tavolo dei Serpeverde, ovviamente non senza incassare occhiate che invocavano l’alto tradimento. Ad Albus però importò ben poco, persino dello sguardo più enigmatico di Scorpius che aveva visto il suo compagno di Casa e di squadra allontanarsi senza che lui fosse complice dell’attacco mosso a Rose. Scorpius credeva davvero che tra loro non ci fossero più dissidi, così almeno sperava, ed invece si ritrovò lui per primo ad assecondare quella presa di distanza senza prendersi il disturbo di domandare ad Albus quale fosse il problema. Possibile che non capisse da solo che non tutti i Serpeverde erano loro nemici? Non poté ammettere di esserne stato indifferente, ma infondo si continuava a ripetere che quella amicizia lo avrebbe solo messo nei guai davanti alla sua famiglia e soprattutto con suo padre, i cui occhi diventavano fiammeggianti al solo sospetto di una complicità tra le loro famiglie.
Nel frattempo al tavolo dei Grifondoro James sembrava piuttosto sollevato nel rivedere la cugina in Sala Grande con loro, non ci avrebbe giurato dopo l’incidente che aveva subìto in campo. Anzi il ragazzo sembrava aver riacquistato anche un certo appetito.
 
«Rosie, mi hai fatto prendere una paura tremenda su quella scopa ieri»
 
«Per fortuna c'era il mio eroe a salvarmi»
 
La ragazza fissò così orgogliosamente Albus che quest’ultimo le rivolse un sorriso imbarazzato. Il fratello però, decisamente più grezzo di Rose, gli scompigliò i capelli, ignorando di avere probabilmente le mani unte dal pollo.
 
«E bravo il mio fratellino, mamma e papà saranno orgogliosi di te»
 
«Jamie, finiscila, mi stai sporcando e non trattarmi come un bambino davanti a tutta la Scuola. Rose era in difficoltà con quel bolide ed io avevo a disposizione una mazza, tutto qui. Mi dispiace solo di non essere riuscito ad impedire l’attacco successivo. Lascia che capitino sulla mia strada e puoi star certa che …»
 
«No, Al, io non cerco alcuna vendetta e spero che a nessuno di voi due venga la malsana idea di farla pagare a loro»
 
Il rimprovero che i due fratelli incassarono li zittì, non osarono ribellarsi, Rose sembrava piuttosto ferma sulla sua idea e non aveva alcuna voglia di innescare nuovi contrasti. James riprese a divorare in silenzio la sua coscia di pollo, lanciando un’occhiata complice ad Albus per comunicargli quanto fosse poco conveniente ribattere.
Poco lontano da loro, ma sul tavolo dei docenti, Neville si era perso ad osservare ogni singolo dettaglio demoralizzato, coglieva persino il più piccolo tintinnio della forchetta sul bicchiere nell’angolo a nord-ovest della sala. Non aveva molto appetito, avrebbe volentieri saltato il pranzo se la sua assenza non avesse rischiato di insospettire qualcuno. Per evitare qualunque tipo di pettegolezzo o addirittura, nelle migliori delle probabilità, di far preoccupare sua moglie, decise di presenziare. Il suo piatto era ancora intonso, nonostante fossero a tavola ormai da diversi minuti, il suo sguardo scivolava spesso e volentieri su Hannah che era seduta al posto diametralmente opposto al suo. Dopo il loro ultimo dialogo, il primo dopo diverso tempo che non si limitasse alla circostanza, sperava che il loro rapporto fosse migliorato, invece per lei lui continuava ad essere invisibile, il migliore compagno di Hannah era sempre il dolore. La voce della McGranitt colorò leggermente il suo volto di porpora, si sentì sorpreso nei suoi pensieri, benché lei non potesse sentirli, ma il suo sguardo tradiva molto più di quanto desiderasse rivelare.
 
«Neville, stai bene?»
 
«C-certo, perché?»
 
«Non togli gli occhi da Hannah, le devi forse parlare?»
 
«Mi scusi un istante, Preside»
 
Si alzò da tavolo, andando contro ogni convenevole, superò i suoi colleghi e si avvicinò quatto a sua moglie. Flesse le ginocchia accanto alla sedia di Hannah, in modo che solo lei ed eventualmente l’anziana Madam Pomfrey accanto a lei potessero vederlo, rimanendo nascosto per buona parte dal tavolo. La fece sussultare la sua improvvisa comparsa.
 
«Merlino, Neville! Si può sapere cosa stai facendo accovacciato?»
 
«Scusa, non volevo spaventarti, ma non so a chi altro chiedere senza fare la figura del tonto. La Preside ha dato anche a voi quei registri da compilare con il nome degli studenti e ciò che fate durante il giorno?»
 
Hannah lo fissò dall’alto verso il basso con scetticismo. Suo marito sembrava nervoso e dubitava che fossero quei semplicissimi registri a generare tanta ansia. Non gli rispose subito, forse in attesa che lui confessasse il vero motivo per il quale aveva interrotto il pranzo ad entrambi.
 
«Vuoi che ci ritagliamo qualche ora e ti faccio vedere?»
 
«Sarebbe fantastico. Se non ti disturbo, ovvio»
 
Aveva capito perfettamente che era solo una scusa banale per trascorrere del tempo con lei. Non era forse stata abbastanza chiara quando gli aveva chiesto altro tempo dal duro colpo che la vita aveva riservato loro? A quanto pare il messaggio non era giunto a destinazione.
 
«Neville, si può sapere cosa stai cercando di fare?»
 
«Voglio solo parlare un po’ con te, tutto qui»
 
«Per dirmi cosa? Credevo ci fossimo già chiariti»
 
Si alzò e appoggiò al tavolo, incurante degli sguardi di tutti i presenti. Le sorrise e con un dolce filo di voce si voltò verso di lei.
 
«Non possiamo esserci chiariti se nulla è cambiato tra di noi ... e se ci risposassimo?»
 
La lasciò senza fiato quella proposta. Capì dallo sguardo di suo marito quanto fosse convinto e determinato a restarle accanto probabilmente per il resto della vita.
 
«Pessima idea, Neville, una delle tue idee peggiori. N-non mi sembra nemmeno il luogo migliore per dire simili assurdità. Ora, scusami, ma non mi sento tanto bene. Tu torna al tuo posto, abbiamo attirato fin troppo l’attenzione»
 
Si alzò, cercando di essere il più discreta possibile, ma gli occhi di tutti, studenti e professori, avevano notato i loro spostamenti. Prese la via dei sotterranei, imboccando una porticina ed entrando in un corridoio buio, benché fuori dal Castello il sole fosse alto in cielo. Indugiò con la schiena accanto a quell’ingresso solo qualche istante. Era quasi convinta che Neville dall’altra parte si fosse fermato ad udire i suoi sofferti sospiri, doveva essere quello il motivo per cui non si era ancora deciso ad inseguirla. Lei era sicura che presto l’avrebbe raggiunta. Fu esattamente ciò che lui fece, non appena Hannah si decise a proseguire la sua via, ma non fece molti passi.
 
«Hannah!»
 
Sentì rimbombare sulle pareti dei sotterranei alle spalle la voce arrabbiata di suo marito. Non ebbe paura, ma la colpì quel tono infuriato. Temeva di voltarsi verso di lui e incontrare la sua espressione delusa e amareggiata.
 
«Hannah, hai intenzione anche di lasciarmi? Come se infondo non lo avessi già fatto, vero?»
 
Non riuscì ad accettare quelle insinuazioni, non era assolutamente vero, lei non avrebbe mai potuto lasciare l’uomo che amava, ma il problema era proprio quello, l’aveva tenuto legato a lei buttando via quegli anni della loro vita insieme.
 
«Io non ti ho lasciato due anni fa! Ma quando mai ti avrei detto una cosa simile?!»
 
«Ah no? E ignorarmi tu come lo chiami? Forse hai ragione, hai fatto di peggio, hai lasciato che il nostro rapporto si logorasse»
 
«Io non sono nessuno per rovinarti la vita, tu con me non puoi essere felice, non più»
 
«Ed ora chi parla, la Tassorosso che è in te? Eccesso di altruismo?»
 
«Parla la donna che ti ama tanto e che non può rinnovare quelle promesse con la consapevolezza di non poterti mai dare una famiglia. Neville, ti prego, cerca di capire»
 
«Hannah, non voglio una famiglia, io voglio te!»
 
«Parli come un adolescente, sembri uno dei tuoi studenti»
 
Quel commento lo offese particolarmente, eppure gli era parso di aver parlato con il cuore in mano, ma come sempre con lei, da due anni a quella parte, fu tutto inutile.
 
«Va bene, Hannah, se è ciò che vuoi, se il tuo scopo è allontanarmi da te, è ciò che avrai. Tanto è ciò che hai iniziato a fare tempo fa, non capisco per quale ragione io mi stia sforzando a convincerti del contrario»
 
Stava tornando rassegnato in Sala Grande per continuare a fingere davanti ai colleghi, alla Preside e agli studenti che andasse tutto bene. Avrebbe continuato a non toccare cibo, la voragine allo stomaco che si era aperta per il dolore non era rimarginabile senza di lei. Sua moglie non riusciva proprio a capire quanto si stessero causando solamente altro male in aggiunta alla perdita che entrambi avevano subìto. La voce pacata di Hannah gli impedì di riaprire la porticina.
 
«Perché mi ami, Neville, e lo apprezzo. Nonostante tutto, l'amore è reciproco»
 
«Però non mi dai alcuna possibilità di dimostrarti che insieme noi possiamo farcela»
 
«Proprio perché ti amo, io non riesco a costringerti al mio fianco così. Neville, qui l'unico Grifondoro sei tu»
 
«Non pensavo servisse coraggio per stare insieme»
 
«Da due anni a questa parte sì, ma non per colpa tua»
 
«Hannah, non è nemmeno colpa tua»
 
«Sono io in difetto, non tu»
 
«Non l'ho mai vista così, per me non era cambiato nulla. Cambiare i nostri progetti non era stato un peso, purché insieme»
 
Capirono che il pranzo doveva essere finito, quando sentirono passi e voci nei sotterranei, segno che i Serpeverde e i Tassorosso stavano facendo ritorno alle loro Sale Comuni. Non se la sentirono di proseguire, paradossalmente le giornate senza rivolgersi la parola piuttosto che discutere scorrevano più serenamente.
 
«Neville, in giornata posso passare in Serra a prendere la Valeriana, o ti disturbo? Mi serve per alcune pozioni»
 
«Basta che non esageri»
 
«Com ...»
 
«Come ho fatto a capire che era per uso personale? Ti conosco, sei particolarmente emotiva, quindi ho immaginato ti servisse qualcosa per riposare»
 
«C-certo che non esagero»
 
«Non sei brava a mentire»
 
 
[6 ottobre 2017 ore 15:00 p.m. – Casa Weasley/Potter]
 
Il rientro a casa per Ginny dopo un lungo allenamento con le Holyhead Harpies fu un grande sollievo per il fisico e l’anima. Tra le mura del numero 12 di Grimmauld Place poteva riposare, ma non sempre ritrovava la compagnia della sua famiglia. Quel giorno però era diverso, era certa di trovare a casa suo marito che aspettava il suo rientro prima di raggiungere il Ministero. Sapeva già dove lo avrebbe trovato, purtroppo si stava quasi sicuramente preparando per le lunghe ore di lavoro che lo aspettavano. Anche Ginny raggiunse la loro stanza per togliersi la sua divisa di Quidditch e indossare qualcosa di più comodo. Rimase qualche minuto sulla porta, mentre lui si infilava la divisa allacciando con attenzione ogni bottone. Sembrava quasi che suo marito indugiasse, non aveva alcuna fretta, forse la stava attendendo.
 
«Harry, è già ora che tu vada?»
 
«Ehy, ciao. Sì, tesoro, ci vediamo domattina»
 
«È il giorno del turno infinito?»
 
«Sì, è proprio quel giorno»
 
Ginny si sedette sconsolata e sovrappensiero sul letto che quella mattina aveva rifatto proprio lei prima di uscire di casa. Sovrappensiero iniziò a togliersi le ginocchiere, i paragomiti, i guanti e le scarpe slacciando i lacci con affaticamento mentale. Messi da parte gli scarponi di Quidditch rimase a fissare tutto ciò che aveva tolto, ripensando alle numerose partite in cui l’avevano accompagnata, alle decine di vittorie con quella divisa e alle emozioni che quello sport le infondeva ogni volta che gareggiava o semplicemente durante gli allenamenti che svolgeva. Si era per un istante dimenticata di non essere sola nella camera, eppure Harry era proprio di fronte a lei, mentre indugiava sul colletto della divisa davanti allo specchio. Poteva però Ginny incontrare il suo sguardo proprio attraverso i loro riflessi. Il coraggio di parlare al marito dei suoi dubbi le sorse grazie ai suoi occhi verdi che incrociando di tanto in tanto i suoi, quando li scollava dalla divisa, le sorridevano.
 
«Non hai nemmeno qualche minuto per parlare?»
 
«Ma certo, dimmi»
 
La disponibilità dell’uomo la mise in ansia per l’argomento che pensava di trattare con lui. Prese un profondo respiro, era convinta che parlarne con lui l’avrebbe aiutata a prendere la decisione migliore per sé e la sua famiglia, non era però certa che il tempismo fosse corretto.
 
«Harry, non sono più sicura vada tutto bene»
 
Ginny mise con uno scatto ciò che si era tolta sul letto, lui seguì in silenzio quei gesti e temette per un istante di essere lui la causa di tanta ansia.
 
«Cosa ti turba?»
 
Gli occhi verdi di Harry erano puntati su di lei, stavolta senza la mediazione dello specchio, lui si era voltato verso la moglie. La rasserenò lo sguardo dolce e comprensivo di suo marito, ma non seppe spiegare ciò che Harry tenne per sé.
 
«Ho una gran voglia di mandare al diavolo la squadra e tutta la mia carriera. Ho già chiesto un consiglio ad Hermione, ma senza dirmelo mi ha dato della pazza. Tu invece cosa ne pensi? Credi anche tu che io sia pazza a mollare tutto?»
 
Harry non sapeva cosa dire. I dubbi di essere il colpevole principale di quella decisione si fecero più pressanti. Ciò che gli confessò fu del tutto inaspettato per lui.
 
«Sono stato io a …»
 
«Harry, no … sento solo che è giusto così per la mia famiglia. Sai, stavo pensando che potrei entrare a far parte della redazione della Gazzetta del Profeta, magari potrei continuare ad interessarmi di Quidditch. Ron sarebbe contento, non credi?»
 
Glielo stava dicendo proprio nel momento in cui lui aveva poco tempo a disposizione, mentre ciò che gli stava domandando richiedeva molta più attenzione.
 
«Sai, Ginny, sei molto più virtuosa di me. A me non è mai venuto in mente di cercare un compromesso per la mia famiglia»
 
«Harry, non è questione di virtù, tu sei il capo degli Auror e non puoi …»
 
«E tu la Cercatrice delle Holyhead Harpies. Stai facendo vincere non poche partite alla squadra, non credo che Angelina ne sarà entusiasta»
 
«E l’entusiasmo dei miei figli? Harry, credevo fosse una bella notizia per te»
 
«Non te l’avrei mai chiesto»
 
«Infatti non me lo hai chiesto … o il problema è che ti senti in difetto?»
 
Harry deviò la domanda dando un’occhiata all’orologio da polso, scostando leggermente il polsino della divisa. L’ora temuta, quella che avrebbe interrotto quella delicata conversazione era ormai sopraggiunta.
 
«Devo andare. Lily ha pranzato con me ed ora sta riposando nella sua camera»
 
Si voltò verso la porta, intenzionato a raggiungere il Ministero e forse a prendere tempo, per pensare alla risposta migliore da dare a sua moglie.
 
«Harry. Non ci rivedremo fino a domattina, ti va di non lasciare la conversazione in sospeso?»
 
«Ginny, sono in difficoltà, non so cosa dirti. Senti, al Ministero è un casino, Hermione vuole dimettersi, Ron nel limite del possibile la sostituirà, ma prevedo già che mi chiederà aiuto … troppi cambiamenti in poco tempo»
 
«Certo … ed io che pensavo di renderti felice»
 
«Amore, lo sono … scusa»
 
«Vai, Harry, non tardare per colpa mia»
 
«Ti sei offesa?»
 
Lo lasciò in sospeso, convinto di averla infastidita, ma in effetti la sua leggerezza non la entusiasmò. Ginny si tolse il corpetto della sua divisa quasi stanca del peso del ruolo importante che ricopriva nella squadra. Il marito seguì ogni singolo gesto sperando di non aver acceso involontariamente una discussione, non desiderava litigare prima del lavoro. L’espressione severa di Ginny però che si avvicinava a lui non prometteva nulla di buono.
 
«Vado a dare un bacio a mia figlia, non la vedo dall’alba»
 
Harry le bloccò d’istinto la via, posando una mano sullo stipite della porta.
 
«Ehi, non farmi andare al lavoro così, lo hai detto tu, fino a domattina non sono a casa»
 
«Meglio, così magari avrai il tempo di pensare e saprai alla fine farmi sapere con più chiarezza la tua opinione. È anche probabile che scopriamo non ti importi nulla di me e pensi solo a lavarti tu la coscienza. Ma certo, Harry, il problema più grande ora è la tua serenità, immagino, troppo casino al Ministero per dedicarmi attenzione. E no, se lo stai pensando, continuo a non accusarti di nulla, mi infastidisce solo il tuo comportamento menefreghista nei confronti della mia decisione, visto che questo mi fa star male … avrei voluto solo un po’ più di interesse da parte tua a tal proposito»
 
Gli spostò con risentimento il braccio e si avviò verso la cameretta di Lily. Harry uscì dalla stanza e non seppe se imboccare l’uscita o seguire la moglie. Alla fine mandò al diavolo la puntualità, sfruttando per una volta la sua posizione di superiorità, in gioco, dopo le parole di lei, c’era molto di più che un turno di ronda con i colleghi per le vie di Notturn Alley e lui purtroppo non gli aveva dato il giusto peso, ma solo per difficoltà ad affrontare la situazione, non certo per disinteresse.
 
«Ginny!»
 
Lei continuò imperterrita la sua strada a passo sostenuto, era chiaramente arrabbiata.
 
«Ginevra, ti vuoi fermare un attimo?»
 
Il tono di voce era basso e serio. A quel richiamo così insolito da parte di suo marito, si fermò, ma ciò che vide appena prima di posarvi sopra i piedi scalzi non le piacque affatto. 
 
«E questo?»
 
Ginny gli mise sotto gli occhi un pezzo di vetro recuperato con attenzione da terra. Harry era diventato bordeaux, non appena comprese che il gioco di quella mattina con Lily gli doveva essere sfuggito di mano, senza che lui se ne fosse accorto.
 
«Dimmi che non avete giocato di nuovo con la pluffa in casa, ho frainteso, vero?»
 
«Ecco, posso spiegarti …»
 
«Stiamo avendo proprio una cattiva influenza su nostra figlia»
 
Appoggiò quella delicata parte di quadro su un tavolino lì accanto e riprese la sua via.
 
«Ginny, dai, scusa. Tranquilla che Lily non vuole giocare a Quidditch, mi ha detto che vuole insegnare ad Hogwarts»
 
«Sì e nel frattempo distrugge la casa»
 
«Vabbè, ma a te che importa, non è nemmeno tua»
 
Benché ormai i due coniugi stessero discutendo, venne spontaneo ad Harry un sorriso forse fuori luogo per le circostanze, ma credeva solo di fare una battuta per stemperare la tensione, nulla di più, eppure Ginny non gradì affatto. Si voltò verso di lui ancora più arrabbiata di prima.
 
«Questa mi mancava, Potter, è così che vuoi rappacificarti con me?»
 
«Ma no … Ginny, sai cosa intendevo. Ti prego, dai. Sono felice della tua decisione, potrai essere a casa nostra più tempo»
 
«Hai paura di essere messo ancora più in cattiva luce agli occhi di Albus, non è difficile da capire»
 
«Non ho paura di nulla, perché dovrei essere invidioso del rapporto che c’è tra te e i nostri figli?!»
 
Iniziò lui per primo ad alzare la voce, stufo delle illazioni della moglie, ma quando se ne accorse la abbassò subito quasi mortificato, visto che le sue erano intenzioni di pace.
 
«Ma che motivo avrei. Le tue scelte sono libere, tra me e te non c’è alcuna competizione, anzi i ragazzi saranno più contenti se potranno godere maggiormente della tua presenza, visto che io sono sempre molto impegnato»
 
«Vai al lavoro, Harry, non perdere tempo prezioso e finiamo qui questa assurda discussione»
 
Si diresse verso la camera di sua figlia ed Harry rimase lì, immobile, seguendo con lo sguardo i passi della moglie, che avendo i piedi nudi, avanzava con attenzione reduce dal pericolo che aveva poco prima sfiorato con quella scheggia di vetro. Dopo qualche istante sovrappensiero, entrasse la bacchetta e sistemò il quadro rotto dalla pluffa di Lily, conscio del fatto che ciò non sarebbe bastato a far tornare l’armonia in quella casa. La seguì perciò in camera della figlia, aprì la porta e trovò la moglie mentre riponeva il bucato, che quella mattina aveva trascurato per la fretta di raggiungere gli allenamenti, nei cassetti. Harry lanciò un dolce sguardo a Lily, intenerito dal riposo della bambina, per poi dirigersi a passo felpato verso la moglie. Impiegò il tono più basso che riuscisse per non disturbare la piccola.
 
«Ginny»
 
«Sei in ritardo, Harry. E se voglio proprio essere puntigliosa, visto che stamattina non hai lavorato, avresti potuto fare una breve ricognizione per la casa e riporre il nostro bucato e quello di Lily, invece di assecondare i giochi distruttori di nostra figlia»
 
«Eh dai, tesoro, non ho proprio pensato ai lavori domestici a parte al pranzo. Ho trascorso qualche ora con Lily, lo sai che si lamenta sempre che la trascuro, poi è venuto a trovarci Teddy e la mattinata è trascorsa così. A proposito, mi conviene andare prima che si svegli e inizi a piangere mentre esco di casa»
 
Stava per porgerle un bacio sulla guancia per salutarla, ma Ginny si scostò risentita, riservandogli poca importanza e continuando con il suo lavoro. Quel gesto di affronto lo infastidì parecchio.
 
«Senti un po’, Ginny, hai intenzione di …»
 
Stavolta aveva alzato un po’ la voce, stufo della testardaggine della moglie e rammaricato dovette accettare che la bambina si fosse svegliata per causa sua.
 
«Papà»
 
Ginny lo fulminò per aver spaventato la figlia, stavolta non si fece alcun problema a degnarlo di attenzione. Ricambiò dispiaciuto lo sguardo di rimprovero della moglie, ma Harry si avvicinò al letto di Lily per fuggire dalla sua furia.
 
«Sto andando al lavoro, tesoro»
 
Si sedette sul lenzuolo accanto alla piccola con un sorriso, rassegnato ormai al fatto che avrebbe tardato e che non avrebbe potuto avanzare come scusa quella degli occhi tristi della sua bambina.
 
«Di già, papà?»
 
«Sì, piccola, ma ora c'è la mamma con te, non ti lascio sola, per qualsiasi cosa rivolgiti a lei»
 
Harry le scostò con il dito i capelli dalla fronte e vi porse un bacio per salutarla. Si stava alzando, iniziava lui per primo a sentire i morsi della malinconia all’altezza del petto, ma Lily non gli rese facile quell’impresa, afferrandolo velocemente per il polsino della divisa.
 
«Papà, aspetta»
 
Recuperò dal cassetto del suo comodino un braccialetto e tenendo ben saldo tra le mani il braccio per il quale lo aveva trattenuto, gli legò una piccola cordicella colorata al polso, proprio sotto la divisa.
 
«Così sono con te, anche quando sei lontano da me»
 
«Amore mio, mi manchi tanto anche tu quando non sei con me»
 
Le rinnovò un bacio tra i capelli un po’ spettinati, appoggiandosi al materasso con la mano e inclinandosi leggermente in avanti per raggiungere la bambina.
 
«Vai, papà, non fare aspettare la zia Hermione»

 
[7 ottobre 2017 ore 3:45 a.m. – Casa Granger/Weasley]
 
Le notti di ottobre erano sempre state un tormento per Hermione, non riusciva mai a capire se in quella stanza ci fosse caldo o freddo. Quella particolare notte però il microclima della loro camera era ancora più particolare, perché l’indomani l’impresa che lei e suo marito avrebbero dovuto affrontare era alquanto difficile. Proprio per quella ragione non riusciva a comprendere il riposo sereno di Ron. Giusto per peggiorare la sua indecisione sulla sensazione di freddo e di caldo, suo marito aveva pensato bene di voltarsi verso di lei e cingerla con un braccio con poca grazia. Se non fosse stato immerso in un sonno profondo e non avesse fatto crollare il braccio a peso morto direttamente sul suo stomaco, avrebbe anche potuto apprezzare il gesto, infondo ora la stava abbracciando, nonostante i loro mille litigi degli ultimi giorni. Gli accarezzava sovrappensiero il braccio, infondo era lui che avrebbe dovuto iniziare un lavoro per il quale si sentiva totalmente negato, facendo a lei un immenso favore e provando a rimediare probabilmente ad anni di trascuratezze.
 
«Ron?»
 
Suo marito annuì, benché Hermione avesse impiegato appena un filo di voce, convinta che lui non le rispondesse. Fu molto strano, credeva stesse dormendo tranquillo. Ritentò, magari anche lui era nervoso, il suo era solo un dormiveglia e quell’abbraccio era sincero e non casuale.
 
«Non sei agitato per domani? Lo sono io per te, quindi posso immaginare quanto lo sia tu»
 
Stavolta non diede segni. In effetti il respiro di suo marito era pesante, infondo di cosa si stava sorprendendo.
 
«Ron, hai qualche ripensamento? Ti capirei se così fosse, davvero»
 
Non aprì gli occhi, ma inaspettatamente per lei la strinse più forte, quella era probabilmente la sua risposta e per lei fu molto rincuorante. Hermione gli porse nuovamente qualche carezza sul braccio per ricambiare il gesto di affetto.
 
«Sono consapevole di star chiedendo a te tanto e ti ringrazio per il tuo aiuto … significa tanto per me»
 
Sussurrò, non era certa che lui la sentisse, era solo speranzosa. Sentì all’improvviso il respiro caldo di Ron accanto al viso e solo tre parole un po’ impastate dal sonno.
 
«Ti amo, Hermione»
 
Sorrise, non sapeva se avesse parlato nel sonno o fosse sveglio, eppure era riuscito ad infonderle serenità.
 
«Anche io … tanto. Nel sonno diventi davvero molto dolce»
 
«Non sto dormendo»
 
Hermione fece appena in tempo ad udire le parole assonnate di Ron, quando Hugo comparve sulla porta con passo felpato e si avvicinò al letto. La madre lo intravide proprio in quel momento nella penombra della stanza, rischiarata appena dalla luce della luna che filtrava attraverso la persiana. Gli fece cenno con un sorriso di non fare confusione.
 
«Sshh, amore, papà sta dormendo. Hai bisogno di qualcosa?»
 
«Non riesco a dormire»
 
Hermione non avrebbe potuto invitarlo nel letto con loro, Ron occupava la parte destinata al bambino, così dovette trovare una soluzione alternativa.
 
«Vengo nella cameretta con te e ci addormentiamo insieme. Dammi solo un secondo, mi libero da papà»
 
Scostò delicatamente il braccio del marito appoggiandolo sulle lenzuola, ma nonostante la prudenza, lui si svegliò comunque, confuso anche di vedere il figlio in piedi vicino al letto.
 
«Hermione, dove stai andando?»
 
«Torno subito, aiuto Hugo ad addormentarsi»
 
«Hugo, stai qui con noi»
 
Si scostò ed invitò il bambino a stendersi accanto a loro. Ovviamente quest’ultimo colse al volo l’occasione. Anche Hermione sembrò essere particolarmente contenta di quella proposta e si dedicò a porgere qualche carezza al piccolo per favorire il suo sonno. Probabilmente in quella notte non sarebbe riuscita a riposare, come invece sembravano aver già fatto il marito e il figlio, ma almeno aveva la certezza di poter beneficiare della loro compagnia e insieme a quella rassicurazione avrebbe potuto attendere l’alba.
La mattina sopraggiunse con la forte luce dell’aurora che li inondava. Hermione alla fine doveva essere riuscita a dormire qualche ora, perché si sentiva intorpidita. La prima scena che le si parò davanti al risveglio fu quella del figlio rannicchiato accanto al fianco del padre e Ron che lo stringeva a sé. Stava ancora pensando a quella dolce immagine, quando scese le scale per raggiungere la cucina, intenzionata a preparare la colazione. Ebbe una triste sorpresa però, suo marito era già impegnato ad imbandire la tavola di tazze e piatti. Nonostante avesse ormai fatto il grosso del lavoro, si propose comunque di fare la sua parte, soprattutto quando vide che stava consumando la sua colazione in piedi.
 
«Amore, ti aiuto? Non è necessario che mangi in piedi. Siediti, al resto penso io»
 
«La forza dell'abitudine»
 
Si sedette per finire il suo succo di zucca e seguire sovrappensiero i movimenti della moglie. Ad Hermione, particolarmente in tensione, non sfuggì lo sguardo pensieroso di Ron.
 
«Sei agitato?»
 
«Ma no, tanto ci sarai tu ad aiutarmi, finché non avrò imparato, no? So già che non mi abbandonerai»
 
«Certo che non ti abbandono»
 
«Bene»
 
Le sorrise, fiducioso sul fatto che quella mattina lei gli avrebbe impartito qualche lezione su ciò che avrebbe potuto svolgere. Si alzò quando stava ancora masticando la sua fetta di pane.
 
«Vado a controllare Hugo»
 
«Vado io, Ron, resta seduto e finisci di fare colazione tranquillo»
 
Lo stupì talmente tanto che si bloccò a mezz’aria dalla sedia, con le mani appoggiate ai braccioli e la fetta di pane tra i denti. Quando lei tornò con il bambino, Ron stava iniziando a sparecchiare, lasciando solo la colazione del figlio e della moglie in tavola. Hermione gli si avvicinò con determinazione.
 
«Che fai?»
 
«Sparecchio?»
 
La donna gli tolse dalle mani la tazza e il piatto che stava portando nel lavello, prendendo il suo posto. Ron iniziava seriamente ad essere confuso.
 
«Hermione, ti senti bene? Saranno quasi dieci anni che penso io alla colazione, mentre tu voli al lavoro»
 
«Oggi andiamo insieme al lavoro, ricordi?»
 
Non si allontanò dal lavello, anzi vi si appoggiò provata. Ron poté facilmente capire il suo stato d’animo, quando lei abbassò lo sguardo verso il pavimento e capì che erano state quasi sicuramente le sue parole a sortire quell’effetto. Le aveva involontariamente per l’ennesima volta ricordato le sue mancanze. Stavolta era davvero mortificato, era stato poco delicato, così per rimediare si avvicinò a lei per non farsi sentire dal bambino intento ad addentare la sua colazione. Quando le fu abbastanza vicino, le fece passare le dita sotto il mento per invitarla ad alzare lo sguardo su di lui.
 
«Hermione, mi guardi?»
 
Notò subito gli occhi lucidi di Hermione e comprese la sua disperazione. Nonostante Hermione stesse esplodendo dal dolore di ciò che aveva combinato, anche lei ebbe l’accortezza di non farsi udire dal figlio per non spaventarlo, infondo suo marito era a pochi centimetri da lei e l’avrebbe ugualmente udita.
 
«Ho rovinato tutto, Ron!»
 
«Non hai rovinato niente»
 
«Ho buttato via gli anni migliori della vita dei nostri figli e tu mi dici che non ho rovinato niente?!»
 
Non riuscì a moderare il tono come avrebbe voluto, benché la presenza del bambino, al quale riservò uno sguardo sofferto. Hugo aveva già espresso il suo disagio per l’assenza della madre ed in coscienza Hermione non poteva certo sentirsi a posto.
 
«Hermione, li recuperiamo, stai tranquilla. Oggi ti aiuto e cerchi di essere a casa prima, così trascorri qualche ora in più con nostro figlio»
 
«E come?»
 
Gli sorrise sarcastica, lei non riusciva ad essere altrettanto ottimista.
 
«Gli anni non si recuperano, Ron, quelli si perdono e basta. A te piaceva il lavoro al negozio ed ora per colpa mia l’hai dovuto lasciare»
 
Più i giorni passavano, più si rendeva conto di aver sconvolto con quelle scelte la vita alla sua famiglia. Era disperata.
 
«Tesoro, solo provvisoriamente»
 
Udirono la sedia del figlio strusciare con poca grazia sul pavimento per consentire al piccolo di alzarsi al termine della sua colazione e correre in camera a prepararsi. Non dovettero rivolgergli alcuna raccomandazione, sapeva già di dover essere pronto a breve per raggiungere la Tana. Ron attese solo qualche istante per lasciare che il bambino si allontanasse e si rivolse alla moglie.
 
«Senti ... per le vacanze di Natale ti va una partita insieme ai ragazzi? Staresti in loro compagnia e faremmo felice Rose»
 
«E tu pensi che sia sufficiente?»
 
«No di certo, è solo un inizio»
 
«Ron, non c’è nulla che mi rincuori ora»
 
La attirò a sé per abbracciarla, era forse troppo che non la stringeva, visto che per la maggior parte del tempo che trascorrevano insieme non facevano altro che discutere. La invitò afferrandole le braccia a circondargli il collo, era talmente demoralizzata che forse nemmeno l’abbraccio di suo marito avrebbe potuto rasserenarla, un tentativo però andava fatto, visto che anche lei era stanca dei loro litigi. Non appena Ron avvertì la presa di lei alla base del suo collo, affondò il viso tra i capelli di Hermione e la strinse più forte, sussurrando accanto all’orecchio.
 
«Andrà tutto bene, amore»
 
Chiuse gli occhi per godere del calore di quell’abbraccio, ma nonostante fosse tra le braccia di Ron continuava a fremere in ansia. A lui non sfuggì il suo stato.
 
«Hermione, calmati»
 
«Rose sta crescendo ed è arrabbiata con me»
 
«Quella ragazza non ce l'ha con te»
 
«Mi manca. Mi manca trascorrere qualche ora con la mia bambina e adesso è ad Hogwarts»
 
Lo sentì sbuffare contro la sua spalla, stanco di ripeterle che insieme sarebbero riusciti a sistemare tutto e a dedicare entrambi più tempo alla famiglia, eppure lei continuava a sentire il peso dei sensi di colpa. Stavolta era sicuro di non avere sbagliato nulla, la stava aiutando come meglio poteva, serviva solo pazienza per vivere giorni migliori. Sciolse il loro abbraccio solo per poter catturare i suoi occhi.
 
«Rimediamo»
 
«Ron ...»
 
Le posò delicatamente una mano sulla bocca per invitarla a stare zitta.
 
«Per carità, Hermione, ora devo sentire le tue lamentele finché non trovi un valido sostituto che voglia ricoprire il ruolo di Ministro al tuo posto?»
 
«Ron ... cosa mi sono persa in questi sette anni?»
 
Lo vide alzare gli occhi al cielo, stava chiaramente mettendo a dura prova la pazienza di suo marito, pazienza che lui non sapeva più dove recuperare per sopportare le paranoie e le idee di sua moglie.
 
«Ron? Dai, sii sincero e dimmi la verità, anche se fa male. Quanti momenti ho sprecato lontana da voi?»
 
«Nessuno, perché i migliori dovranno ancora arrivare»

 
[7 ottobre 2017 ore 8:00 a.m. – Ministero della Magia londinese/Ufficio del Ministro della Magia]
 
Non appena arrivarono al Ministero, Hermione condusse Ron verso il suo ufficio. Suo marito non era per nulla a suo agio tra quelle mura, non disse nulla nemmeno quando rimasero soli sull’ascensore per raggiungere il primo piano. Era sempre più convinta che le sue rincuoranti parole non rispecchiassero ciò che lui realmente provava e pensava. Aveva ceduto solo per accontentarla e aiutarla, ma la verità era la sua prima reazione alla proposta e non era stata per nulla entusiastica. Il primo piano si raggiungeva velocemente, l’impresa più ardua era stata farlo entrare nel Ministero, visto che lui, benché parente del Ministro, non era autorizzato all’ingresso se non come semplice visitatore. Percepì chiaramente l’agitazione di Ron fin in prossimità della porta. Hermione la aprì e fece strada a Ron che la richiuse alle spalle. Dopo diversi minuti di silenzio, fu Hermione a romperlo senza troppo entusiasmo.
 
«Questo è il mio ufficio»
 
«Lo so, Hermione, non è la prima volta che ci entro»
 
«Siediti»
 
«Dove?»
 
«Alla scrivania»
 
«Io non sono il Ministro»
 
«Ma è qui che lavorerai nei prossimi giorni»
 
La ascoltò a disagio, ogni passo che faceva tra quelle pareti era misurato. Si accomodò sulla sedia di Hermione e fece vagare lo sguardo sulla scrivania. Non lo stupì affatto l’ordine, motivo per il quale non osò toccare nulla, almeno fino a che lei non gli desse qualche indicazione. Hermione tornò poco dopo con un insieme di fascicoli recuperati da un armadio e li pose davanti a lui, ignorando i fogli rimasti sopra la scrivania probabilmente dal giorno prima. Aprì uno dei fascicoli restando in piedi al suo fianco e si appoggiò alla scrivania per dargli qualche lezione base sul lavoro che avrebbe dovuto svolgere. La stava ascoltando, peccato che fosse anche altrettanto distratto dal profumo e dalla vicinanza di Hermione.
 
«Ron, ti vuoi concentrare?! Per fortuna sono tua moglie»
 
«Ma infatti ho questa reazione perché sei tu»
 
«Oh, Merlino, che pazienza devo avere con te. Ron, tra un'ora devo essere in aula interrogatori per un'udienza, non distrarti»
 
Stavolta non si chinò più e si appoggiò alla spalliera della sedia, rimase alzata per favorire la concentrazione di entrambi. Afferrò una penna ed iniziò ad indicare sul foglio per spiegare meglio a Ron. Venne interrotta però ancor prima di cominciare, quando qualcuno bussò alla porta. Con uno sbuffo acconsentì a chiunque fosse di entrare.
 
«Avanti»
 
«Minist … mi dispiace, non volevo disturbare»
 
Era un Auror, Ron lo capì subito dalla divisa particolarmente simile a quella che indossava Harry. Si distrasse dai fascicoli e prestò attenzione insieme a sua moglie a ciò che doveva comunicarle. Il ragazzo era mortificato per aver interrotto il Ministro e quello che sapeva essere suo marito.
 
«Non disturbi, dimmi»
 
«Volevo informarla che la sua udienza è stata anticipata»
 
«Quando è?»
 
«Tra mezz'ora»
 
«Va bene, grazie»
 
Il giovane Auror non si decideva ad andarsene, benché Hermione avesse nuovamente abbassato lo sguardo sui fogli. Fu Ron ad accorgersene e schiarendosi la voce, cercò di attirare l’attenzione di Hermione su quel ragazzo.
 
«Che altro c'è?»
 
«L'accusato desidera parlare prima con lei ora»
 
«D'accordo, tra qualche minuto sarò in sala interrogatori»
 
Il portavoce era a disagio, non era certo che ciò che stava per dirle fosse consono, ma lui e i suoi colleghi non sapevano in che altro modo gestire la situazione.
 
«Vuole vederla qui, desidera un incontro privato»
 
«E non sai di cosa voglia parlarmi?»
 
«Continua a proclamarsi innocente, immagino desideri domandarle compassione, teme Azkaban»
 
Aveva notato l’agitazione di quell’Auror appena uscito dall’Accademia e non era sua intenzione metterlo in difficoltà. Hermione gli sorrise, la sua esperienza l’avrebbe senza dubbio aiutata a gestire la situazione senza troppe difficoltà.
 
«Non preoccuparti, ci penso io, accompagnatelo qui»
 
Il giovane fu grato al suo Ministro per la comprensione. Chi invece non sembrava affatto sereno fu Ron. Fissava sua moglie sbalordito dal coraggio che stava dimostrando e continuò a scrutarla anche quando lei con non chalance aveva continuato ad esaminare il fascicolo per poterlo spiegare anche a lui. La mente di Ron iniziò a pensare e a riflettere sul fatto che probabilmente in quei sette anni di carriera Hermione, a stretto contatto con i più svariati criminali, avesse messo più volte a repentaglio la vita, totalmente incurante del pericolo.
 
«Allora, Ron, qui …»
 
«Tu parli con gli accusati da sola nel tuo ufficio con la porta chiusa?»
 
«Se c'è la necessità sì»
 
«No, scusami??»
 
«Non faccio nulla di male, perché mi guardi come se fossi impazzita?»
 
«Ma loro potrebbero farne a te. Kingsley lo faceva?»
 
«Credo di no»
 
«A maggior ragione, tu sei una donna»
 
Lo fissò offesa, in quel periodo le mancava proprio il pensiero maschilista di suo marito per completare la serie di problemi che avevano e le conseguenti discussioni che innescavano. Possibile che si fosse già dimenticato che niente e nessuno l’aveva mai spaventata?
 
«Che c'è? Mi preoccupo solo per te»
 
«Non è necessario, davvero. E poi ci sono già gli Auror a proteggermi. Vorresti essere un Auror?»
 
«Assolutamente no. Nemmeno Harry sarà presente?»
 
Ma la verità era che a costo di proteggerla avrebbe anche intrapreso quella strada che tanto lo spaventava e che riteneva per lui una montagna invalicabile.
 
«Hai sentito il mio Auror, vuole incontrarmi da sola. Tranquillo, non mi accadrà nulla, è disperato e vuole la grazia, ma non ho intenzione di farmi impietosire. Ron, tu tra un paio di minuti devi essere fuori dall'ufficio. Ti interessa qualche dritta sì o no? Ti avviso che nei prossimi giorni dovrai cavartela da solo»
 
«Dimmi, ti ascolto»
 
La rassegnazione di Ron a lasciarla in quell’ufficio in compagnia di un criminale durò una frazione di secondo.
 
«Sarà questione di poco, vero? Poi lo porti in tribunale dove non sei sola»
 
Hermione sbuffò, stanca di doverlo pregare di prestarle attenzione.
 
«Mi arrendo, arrangiati»
 
Lo prese per un braccio invitandolo ad alzarsi ad aspettare fuori. Lui non ebbe altra scelta, dovette assecondarla, ma prima di lasciare la stanza non mancò di lasciarle altre raccomandazioni.
 
«Hermione, cerca di essere prudente»
 
Prese con urgenza qualche fascicolo e glielo sbatté contro il petto senza nemmeno accertarsi che lo afferrasse.
 
«Inizia a sfogliare questi, quando ho finito ne riparliamo»
 
Iniziò a spingerlo verso la porta, Ron oppose un po’ di resistenza, ma era certo che avrebbe vinto lei.
 
«Hai la bacchetta? Senti, e se mentre ti sostituisco mi dovesse capitare di dover interrogare qualcuno? Non è il caso che io assista?»
 
«Ho sempre con me la bacchetta, Ron. Quello che se potesse dimenticherebbe anche la testa sei tu, non io»
 
«Spero che a lui la bacchetta sia stata requisita»
 
«Ovvio che sì»
 
Si voltò verso di lei, fissandola negli occhi supplicandola.
 
«Non posso restare davvero qui con te?»
 
«No»
 
Stavolta glielo disse in tono più dolce, grata a lui dell’affetto che le stava dimostrando.
 
«Resto qui fuori?»
 
«Ron»
 
«Va bene, resto appena qui fuori dalla porta, se hai bisogno chiamami»
 
«Ro ...»
 
Non le diede il tempo di ribattere, uscì, lasciandola con quella che suonava tanto come una promessa.


 

Ciao ragazzi!
 
Giusto per rendermi tutto più semplice aggiungo personaggi ^^’ Scusate per il ritardo infinito, tra lavoro, qualche lettura in più sul sito e la lunghezza del capitolo sono rimasta indietro ☹
 
Spero come sempre di essere stata all’altezza delle vostre aspettative, o quantomeno le novità di questo capitolo siano state gradite. Vi ringrazio per continuare a seguirmi con pazienza, ormai sapete che sono un disastro con gli aggiornamenti, ma anche che non lascerei incompleta questa storia 😊 <3
 
Alla prossima!
Baci
-Vale

 

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: paige95