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Autore: blackjessamine    18/11/2019    4 recensioni
"Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio, se siete svegli e pronti di mente, ragione e sapienza qui trovan linguaggio, che si confà a simile gente".
Ragione e sapienza, sì, ma questo alla saggia Priscilla non basta: per entrare nello stormo dei Corvonero, serve anche la creatività necessaria per attraversare la vita a passo di danza.
Due personalità opposte, vite diverse, sguardi puntati agli antipodi : nemmeno il ritmo è lo stesso.
Eppure, si danza.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo", indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Filius Vitious, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Atto secondo.

In scena



 

Roger Davies si infilò nell’aula ormai sovraffollata, cercando di non farsi notare dal professor Vitious e passando in rassegna i suoi compagni in cerca del volto del suo amico Stephen, che sperava gli avesse tenuto un posto.

Mentre passava davanti a un gruppetto di ragazzine del quarto anno,si accorse di essere seguito da occhi sgranati e risatine nervose. Più nervose del solito, quantomeno.

Oh, insomma, Roger detestava la falsa modestia: di specchi ne aveva, sia a casa che nel dormitorio, e di certo non erano di legno. Il proprio riflesso l’aveva contemplato spesso e, a onor del vero, non ci aveva mai trovato nulla da ridire. Né ci aveva mai trovato qualcosa da ridire la popolazione femminile di Hogwarts, con sua grande soddisfazione. E, insomma, Roger Davies, che sui libri di scuola non aveva mai perso troppo tempo, era pur sempre un Corvonero fatto e finito, e aveva imparato presto che non si possono affinare qualità che non si posseggono: è molto più saggio impiegare il proprio tempo cercando di migliorare ciò che si ha a disposizione, traendone il meglio. E così Roger aveva scelto di puntare sull’innegabilmente affascinante connubio del suo carattere schietto e solare e del suo aspetto avvenente, consapevole che le relazioni (più o meno) pubbliche sarebbero state il suo cavallo vincente, nella vita.

E così, in capo a pochi anni, la sua reputazione di cavaliere pronto a mettere da parte la galanteria ogniqualvolta se ne presentava l’occasione s’era accresciuta sempre più, rendendolo oggetto di pettegolezzi e femminei sospiri talvolta romantici, talvolta appassionati.

Eppure, una reazione così eclatante al suo passaggio non l’aveva mai ricevuta.

Ignorando il bonario rimbrotto con cui il professor Vitious lo invitò a prendere rapidamente posto – lo scopo di quella riunione di tutti gli studenti appartenenti agli ultimi quattro anni della Casa Corvonero per lui restava ancora un mistero – Roger si fece svogliatamente largo fra ammiccamenti e gomitate, fino a trovare finalmente il posto che Stephen gli aveva riservato.

“Che mi sono perso?” chiese, svogliato, dandosi un giro d’elastico attorno ai lunghi capelli che gli erano sfuggiti dalla crocchia e pensando all’interessante chiacchierata che aveva dovuto interrompere con una graziosa fanciulla dalla chioma fulva e dal nome impronunciabile che sembrava ben decisa a lasciarlo salire a bordo della nave di Durmstrang. Si era perso il suo nome e pure il significato di tutto ciò che aveva detto, dato che la signorina non parlava una parola che fosse una d’inglese, e di certo non comprendeva lo spagnolo, ma del resto la chiacchierata non era stata interessante per il suo contenuto.

“Torneo Tremaghi, tradizioni, a Natale diamo un ballo, tutto molto formale e noioso, e ora ci tocca una lezione di ballo da sala, per allargare i nostri orizzonti o che cazzo ne so...”

Roger si guardò attorno, cercando di ragionare rapidamente.

Un ballo, a Natale. Bene, finalmente da quel Torneo arrivava qualcosa di buono. Roger, che aveva compiuto diciassette anni soltanto il tre di novembre, per settimane aveva tenuto il broncio a quello stupido Calice di Fuoco, perché diventare Campione di Hogwarts sarebbe certo stato un ottimo espediente per guadagnare visibilità anche agli occhi delle fanciulle più defilate. Poi però ci aveva messo una pietra sopra, soprattutto dopo aver compreso quale rischio avrebbe potuto correre (figuriamoci, un volto sfigurato da una terribile ustione da drago, che tragedia!). Ora, un ballo era sicuramente un diversivo da accogliere con gioia, in quel castello dove non sembrava succedere mai niente di interessante. E questo spiegava anche le risatine eccitate delle ragazze, dal momento che un ballo richiede delle coppie, e delle coppie prevedono che Roger Davies scelga una fortunata tra tante... ma chi scegliere, questo era il vero dilemma! Era una mossa che Roger avrebbe dovuto ponderare bene, perché, sebbene non temesse alcun rifiuto, sapeva anche che ogni cosa, nel fragile mondo del pettegolezzo e delle relazioni più o meno trasparenti, aveva un gran peso, un significato simbolico, un messaggio nascosto... Forse sarebbe stato bene non invitare proprio nessuna: godeva di abbastanza popolarità da non essere deriso, se si fosse presentato da solo al ballo, e allora avrebbe potuto danzare con tutte le dame non accompagnate (o quelle accompagnate e lasciate momentaneamente sole da un cavaliere dalla vescica debole) senza rischiare di infrangere il cuore di una ragazza che avrebbe potuto vedere nel suo invito qualcosa di più.

“Fai almeno finta di essere attento!” gli sibilò Stephen, e Roger si riscosse.

Si mise a fissare il professor Vitious, e solo allora comprese le parole del professore: l’ometto stava infatti parlando davvero di una lezione di ballo. Una lezione che li avrebbe tenuti impegnati nel resto del pomeriggio, per tutte le Madragole!

Questo non ci voleva.

Questo, decisamente, non ci voleva.

Roger aveva sperato di incontrare di nuovo la sua fiamma balcanica dai capelli rossi prima del tramonto, prima che le ombre gli rendessero impossibile distinguere una ragazza di Durmstrang dall’altra. E invece no, doveva restarsene rinchiuso in una stanza a farsi insegnare cose inutili dal suo professore di Incantesimi.

Oh, non che Roger disprezzasse l’arte del ballo, tutt’altro: le sue vacanze nella terra natìa di sua madre, l’Uruguay, l’avevano visto trascorrere intere notti dapprima a osservare, e poi a imitare i frequentatori delle migliori milonghe. Candombe, habanera, tango, milonga: niente aveva segreti, per lui. E non avrebbe certo perso un proficuo pomeriggio a imparare cose che già sapeva, per la sottogonna di Priscilla!

“Dammi mezz’ora, e io me la filo”, borbottò deciso a Stephen il quale, per tutta risposta, gli rifilò un sospiro rassegnato.

Intanto, il professor Vitious si era alzato in piedi – Roger ci mise un po’ a comprenderlo – e, con voce piena di entusiasmo, stava esclamando:

“Dunque, sono lieto di annunciare che ad assistermi nell’ingrato compito di insegnare a voi giovani un po’ di disciplina e passione per la nobile arte della danza, ci sarà una mia ex allieva, vostra compagna di Casa, che forse qualcuno degli studenti più anziani ricorderà dai suoi primi giorni a Hogwarts... vi presento Alhena Macnair!”

Da un posto in angolo della prima fila si levò una figuretta sottile, che raggiunse il professor Vitious e rivolse un sorriso incerto agli studenti che la fissavano, tra l’annoiato e lo sconcertato.

Roger la fissò a lungo: lui aveva ottenuto i suoi G.U.F.O. l’anno precedente, dunque poteva a buon diritto considerarsi uno studente anziano – maturo era un termine che avrebbe di gran lunga preferito, ma tant’‘era –, eppure quella figura non se la ricordava proprio. Strano, molto strano: si trattava di una ragazza giovane, il corpo sottile stretto in un paio di morbidi pantaloni scuri che evidenziavano due gambe sorprendentemente lunghe, per una ragazza così piccina, e un dolcevita nero, che faceva risaltare ancor di più il suo viso candido. Era molto graziosa: non una bellezza di quelle che colpiscono al primo sguardo, con il suo mento puntuto e le labbra sottili, ma aveva un bel portamento e, nell’insieme, la sua figura era piuttosto gradevole. Strano che Roger non la ricordasse, proprio strano. Forse la poverina faceva parte di quello sfortunato numero di anatroccoli che, ai tempi della scuola, ancora non hanno scoperto come valorizzare il cigno che è in loro.

“Alhena ora è ambasciatrice della nobile arte del balletto classico, ma ha un’ottima padronanza anche del ballo da sala, e ha molto gentilmente acconsentito a diffondere il suo sapere fra questa nuova generazione di Corvonero. Bene, lascio a lei la parola, nella speranza che voi vi comportiate come Priscilla vorrebbe...”

La ragazza lanciò al professore uno strano sguardo, a metà fra l’accusa e la richiesta d’aiuto, e fece qualche passo verso la prima fila di banchi.

“Ehm, ecco, sì, ciao a tutti”.

Uno svogliato coro di buongiorno accolse le sue parole, al che lei arrossì appena, affrettandosi ad aggiungere:

“Se qualcuno si azzarda a darmi de lei, lo faccio arrivare a Natale pelato, sia chiaro”.

Questo ottenne qualche risatina.

“Bene, se voleste essere così gentili da alzarvi in piedi, così da poter iniziare la nostra lezione...”

Questa richiesta venne accolta con borbottii e proteste. Se l’idea di un ballo aveva eccitato gli studenti, l’idea di dover effettivamente ballare sembrava aver messo un freno anche ai più esuberanti.

Roger, che alla vista della signorina Macnair aveva cominciato a pensare che, sotto sotto, quel pomeriggio poteva anche non rivelarsi una completa perdita di tempo, si alzò. Stephen, al suo fianco, rimase ostinatamente seduto, il volto in fiamme e le braccia conserte.

“Io non ballo”, mugugnò, quasi spaventato.

“Davvero, è meglio che vi alziate, perché danzare fra i banchi è piuttosto complesso”, ripeté la ragazza e qualcosa, nella luce minacciosa che le accendeva lo sguardo, convinse Roger a sollevare quasi di peso Stephen.

“Non far lo scemo, amigo, è solo questione di far due salti...”

Stephen si alzò appena in tempo: Alhena Macnair, agitando la bacchetta, fece scomparire con un solo gesto banchi e sedie, e l’aula si riempì presto di strepiti e lamenti provenienti dai numerosi studenti che si erano improvvisamente trovati lunghi e distesi per terra.

“Ma questa tizia è pazza!”, borbottò Edgar Hagen, massaggiandosi il voluminoso fondoschiena.

“Questa tizia me encanta!”, ribatté invece Roger, che cominciava ad essere stanco di timide fanciulle che cadevano ai suoi piedi, e vedeva una interessante novità in una donna che, invece, sembrava non aver problemi a mandare decine di ragazzi ad abbracciare il pavimento.

“Bene, dopo aver diligentemente seguito la mia semplice istruzione, sono certa che sarete anche in grado di dividervi in due file parallele: signori a destra, signorine a sinistra. Con la bocca chiusa, per cortesia!”

Questa volta, i giovani Corvonero non esitarono neppure un istante a fare quanto era stato loro chiesto.






 

Alhena percorreva il corridoio di pietra con passo sicuro: il dedalo composto da scale infide, scorciatoie, arazzi che nascondevano passaggi segreti e armature che si divertivano a dare falsi indizi ai passanti si snodava ai suoi piedi, ma lei lo attraversava con una certezza che non avrebbe mai creduto di possedere ancora. Eppure, varcare il cancello di ferro battuto alla base del parco di Hogwarts e tornare a sentirsi una ragazzina che, tra quelle antiche mura di pietra, aveva per la prima volta trovato riparo e affetti, era stata quasi la stessa cosa.

Sembrava passata una vita intera, oppure un solo battito di ciglia.

 

Quando si era diplomata, Alhena era una ragazzina che riusciva a vedere solo la rabbia che si portava dentro ogni giorno. Rabbia per una famiglia allucinante, e per quella società che si era crogiolata nella sua pace chiudendo ostinatamente gli occhi davanti alle roche grida d’aiuto delle famiglie di chi era stato scagionato dal ruolo di Mangiamorte. Era arrabbiata con un mondo che non aveva saputo proteggere lei e i suoi fratelli quando ne avevano bisogno, quando erano solo dei bambini, e non aveva fatto niente nemmeno dopo.

Quando si era chiusa le porte dell’Espresso per Hogwarts alle spalle per l’ultima volta, aveva giurato che in quel mondo lì non ci sarebbe tornata più. Si era voltata senza guardarsi indietro, e si era gettata in quanto di più lontano ci fosse dalla sua famiglia: il mondo dei babbani, in cui aveva imparato ad essere, se non felice, almeno serena.

Almeno fino a quando non cominciava a volere troppo bene a qualcuno, ed era colta dal terrore che il suo silenzio e la sua reticenza su un passato di cui mai avrebbe voluto parlare si sarebbero trasformati in un ostacolo troppo grosso per qualunque tipo di relazione.

Serena, almeno fino a quando un ragazzo ferito non faceva uso di piccole meschinità per sfogare la propria frustrazione, e lei tornava ad essere quella ragazzina incontenibile che conosceva solamente la sua rabbia

Serena, fino a quando non le capitava di pensare al mondo che si era lasciata alle spalle, a quello a cui rinunciava, a tutte le lettere dei compagni di scuola a cui aveva smesso di rispondere, e che, dopo un po’, non erano più arrivate...

Serena, fino a quando non si guardava allo specchio e non si rendeva conto che, a ventuno anni, era completamente sola.

 

Uscire dalla porta sul retro di un teatro di provincia e trovarsi di fronte il Direttore della propria Casa di Hogwarts, a distanza di così tanto tempo e senza il minimo preavviso, l’aveva completamente paralizzata. Aveva seguito il professor Vitious senza nemmeno riuscire a riflettere, senza capire che cosa stesse succedendo e, soprattutto, senza riuscire a ragionare lucidamente.

Si era ritrovata a raccontare al suo vecchio professore della sua vita, del suo nuovo lavoro, del piccolo appartamento che condivideva con una studentessa di medicina babbana e una musicista di origini greche. Vitious l’aveva ascoltata, intervenendo soltanto ogni tanto con commenti divertiti e sagaci, e Alhena era stata felice: aveva sempre provato molta simpatia per il suo Direttore, che aveva sempre cercato di chiudere un occhio davanti al suo non essere propriamente una studentessa modello.

Quando però lui aveva cominciato a parlare di sciocchezze, del Torneo Tremaghi e del Ballo del Ceppo, proponendole di tornare a Hogwarts per impartire almeno una lezione di ballo ai giovani Corvonero, lei era ricascata nel suo solito meccanismo di difesa: se qualcosa ti spaventa, non aspettare di farti male, scappa. E solo dopo essere scappata aveva riflettuto. Aveva riflettuto a lungo. E aveva cominciato a ripensare spesso a Hogwarts, che forse non era stata capace di proteggerla dalla sua rabbia e dal suo dolore, ma di certo era stata la sua prima vera casa. Aveva avuto qualche amico, lì, e aveva imparato che degli adulti ci si può anche fidare. E aveva capito che il professor Vitious aveva ragione: lei era fuggita da quel mondo perché il caso aveva messo sulla sua strada una possibilità che, forse, qualcuno avrebbe ritenuto impossibile, per una Macnair. La danza era stata la sua ancora di salvezza: in un modo assurdo e che ancora non aveva del tutto compreso, ma lo era stata. Quando era una bambina, qualcuno aveva gettato quel seme, non sapendo che avrebbe trovato terreno fertile e le avrebbe permesso di scappare da una vita che mai l’avrebbe resa felice. Forse era davvero importante che lei mostrasse ad altri ragazzi che quei semi esistevano, e andavano coltivati e protetti a ogni costo.

 

Chissà come, spaventata e tremante era tornata a Hogwarts, e aveva insegnato a un branco di ragazzini sgraziati almeno i rudimenti del ballo da sala. E poi ci era tornata un’altra volta, e un’altra ancora, perché, al colmo del suo stupore, qualcuno aveva chiesto al professor Vitious di averne di più: il mercoledì e il sabato pomeriggio un’aula dismessa al quarto piano era stata messa a disposizione di Alhena e di uno scalcinato e ristretto gruppo di studenti ansiosi di apprendere più dei rudimenti del ballo da sala. Con grande stupore di tutti, le ragazze erano solamente tre: Cho Chang, una graziosa signorina che, tra un sorriso radioso e l’altro, aveva confessato che avrebbe aperto le danze al fianco del Campione di Hogwarts, e insieme a lei la sua amica Marietta, che invece sembrava presenziare alle lezioni soltanto perché obbligata. C’era anche Luna Lovegood, una strana ragazza che il più delle volte se ne stava seduta a guardare gli altri, salvo poi alzarsi e ballare a modo suo quando la musica terminava. Era giovane, troppo giovane per partecipare al Ballo del Ceppo, ma sembrava che non le importasse.

I ragazzi, invece, erano un po’ più numerosi – e molto suscettibili, al punto che, il primo giorno, un armadio del settimo anno le aveva puntato in fronte la bacchetta, al grido di Prima regola delle Lezioni di Ballo: non parlare delle Lezioni di Ballo, mentre un ragazzetto del quarto anno tutto brufoli e movimenti goffi aveva aggiunto, serio: Quel che succede in quest’aula, rimane in quest’aula. La maggior parte di loro erano casi disperati, ragazzi che vivevano lontani dalla luce dei riflettori della popolarità, ragazzi difficili, ragazzi tanto timidi che Alhena credeva di non aver mai sentito la loro voce. Erano goffi e imbranati, ma lavoravano sodo, decisi a non sprecare questa insperata possibilità.

E poi, come un alieno capitato per caso sul pianeta sbagliato, c’era Roger Davies.

Roger Davies, Capitano della squadra di Quidditch, col sorriso svelto e i movimenti sicuri e aggraziati di un felino.

Roger Davies, che si lamentava in continuazione di quanto il valzer fosse freddo, rigido e troppo impostato, ma non sbagliava mai un passo.

Roger Davies, impertinente e sicuro di sé come nessuno dovrebbe essere, a diciassette anni, ma anche divertente, brillante, e, sì, per tutti i Centauri, completamente immune da qualsivoglia tipica imperfezione dell’adolescenza.

Roger sembrava incapace di rivolgersi a una persona di sesso femminile senza mettere in scena una buffa pantomima da corteggiatore seriale. Ottenendo, a giudicare dai sospiri di Marietta e dalle risatine di Cho, un discreto successo. Roger sapeva essere una compagnia estremamente piacevole: non solo per il suo innegabile bell’aspetto, di cui lui si serviva con una faccia tosta impossibile, ma perché sembrava che sotto la sua pelle abbronzata ardessero tutta la vita e la gioia del mondo. Con Alhena aveva sempre tenuto un atteggiamento un po’ ambivalente: era sfrontato e sfacciato, con le sue battute esplicite e irriverenti, ma ogni sua parola era pronunciata con un’inflessione divertita, come se stesse solo scherzando. La verità era che non scherzava affatto, e non era nemmeno serio: lanciava anche lui dei semi, e poi si voltava senza curarsi di vedere dove sarebbero caduti.

Alhena lo redarguiva, lo rimbeccava ogni volta che la sua sfacciataggine si rivelava fin troppo irriverente, ma sotto sotto non riusciva a prendersela davvero: quella faccia di bronzo la divertiva davvero, e, nonostante tutto, lo trovava simpatico. E lui lo sapeva, lui lo sapeva, quel mascalzone, e se ne approfittava senza il minimo pudore.

 

Fu dunque con molto stupore che Alhena varcò la porta dell’aula che aveva a disposizione e si ritrovò davanti un’immagine che mai avrebbe pensato di vedere: Roger Davies era seduto in un angolo, pallido e spaventato, la schiena adagiata con poca grazia contro il muro di pietra e gli occhi sgranati e ciechi: davanti a lui, Marietta e Cho confabulavano, lanciandogli lunghe occhiate che lui sembrava non vedere nemmeno.

“Roger! Cosa è successo? Ti sei fatto male?”

Il ragazzo si limitò a scuotere lentamente la testa, sormontata ora da una crocchia disordinata. Non quel disordine artefatto, curato nel minimo dettaglio, che serviva a dargli un aspetto ancor più affascinante, no: un disordine che parlava di notti insonni e spazzole dimenticate.

“È da ieri sera che fa così”, spiegò Cho, preoccupata.

Alhena si inginocchiò di fronte al ragazzo, nervosa: ecco per quale motivo non voleva accettare quella proposta del professor Vitious; lei non riusciva a badare nemmeno a sé stessa, figuriamoci avere la responsabilità di un gruppo di ragazzini! E se Roger si fosse sentito male? Se si fosse trattato di qualcosa di grave? Doveva forse portarlo in Infermeria? Chiamare qualcuno? Non voleva quella responsabilità, lei!

“Vuoi andare da Madama Chips?”

Il ragazzo scosse di nuovo la testa, e mormorò, con voce lugubre:

“Sto bene, non devo andare in Infermeria”.

Le sue labbra piene erano secche e spaccate.

“Non stai bene, non direi proprio: non ti riconosco, non sembri neanche Roger...”

“Chiamami Ramón, allora”, bofonchiò lui, senza nemmeno guardarla.

“È il suo secondo nome”, spiegò Luna distrattamente, causando una piccola esplosione di Marietta, che proprio non si spiegava che diamine ne sapesse quella poppante del secondo nome di Davies.

“Ok, Ramón, ti chiamo come ti pare, ma tu adesso ti alzi di qui e vai a farti dare un’occhiata, perché non ho voglia che i tuoi genitori mi facciano lo scalpo perché sei stato male quando eri sotto la mia responsabilità, va bene?”

Ringraziando lo sguardo gentile di Priscilla, Roger annuì, e afferrò la mano che Alhena gli tendeva per aiutarlo ad alzarsi.

Quando furono entrambi in piedi, però, il ragazzo le posò con aria solenne le mani sulle spalle, e dichiarò:

“Tu mi devi aiutare, Alhena”.

C’era un che di febbricitante e folle nel suo sguardo solitamente malizioso.

“Certo che ti aiuto, ma ora andiamo in Infermeria, vuoi?”

“No!”

Alhena, che arrivava appena alle spalle di Roger, non ebbe scelta: lui la teneva ferma, e l’unico modo in cui avrebbe potuto liberarsi era uno Schiantesimo, ma non le andava di Schiantare un ragazzo che chiaramente non stava bene, non se avesse potuto evitarlo, almeno.

“No, niente Infermeria... ma mi devi aiutare!”

Alhena fece un respiro profondo, e con molta delicatezza, come se avesse a che fare con un cane pericoloso, riuscì a condurre il ragazzo alla cattedra in fondo alla stanza, unico complemento d’arredo superstite di quell’aula. Lo fece sedere, e ripeté, con lo stesso tono tranquillo che immaginava si dovesse usare con un bambino spaventato:

“Mi vuoi dire che cosa è successo?”

“Io...” il ragazzo abbassò il capo, le gote arrossate di vergogna, e poi sussurrò, mogio:

“Una ragazza mi ha invitato al ballo".

Alhena cercò di non scoppiare a ridere: d’accordo, uno come Davies avrebbe potuto vedere in cotanto esempio di emancipazione femminile un vile attacco alla sua mascolinità, ma non le sembrava il caso di farne una tragedia tanto grande.

“E io ho detto di sì!”, rimarcò lui, come se questo chiarisse l’entità della tragedia appena consumatasi.

Cercando di ignorare il putiferio alle sue spalle – tutti, uomini e donne, impegnati o meno, volevano capire chi fosse la fortunata – Alhena si avvicinò ancora di più a Roger, sperando di risolvere il fretta la questione per potersi dedicare finalmente alla danza.

“Non è una cosa tanto brutta, sai? È una cosa buona che le ragazze non debbano più sottostare a stupide regole di cavalleria, è una cosa buona per ragazzi e ragazze, perché...”

Roger la guardò, confuso. Confuso, ma un po’ più in sé, le parve.

“Ma non è questo il punto!”, si affettò a spiegare lui, mordicchiandosi l’anellino d’argento che gli forava il labbro inferiore.

“Io adoro l’emancipazione femminile, dico davvero, però... però io avevo deciso di non portare nessuno al ballo, e invece... e invece non ho saputo dirle di no! Io non so cosa mi sta succedendo, ma lei... è diversa dalle altre! Quando la vedo, non riesco a ragionare... sono anche arrossito! Io! E ho... ho balbettato, rispondendole! Che cosa mi succede?”

Alhena, questa volta, non riuscì a trattenerla, quella risata: dando una pacca amichevole alla spalla di Roger, gli disse solo:

“Oh, ma Ramón, tu stai benissimo! Ti sei solo innamorato!”

Al che, Roger parve tornare del tutto in sé. Balzò giù dalla cattedra, si sistemò i capelli, e scandì, indignato:

“Non mi sono affatto innamorato! L’amore è diverso, dovrebbe... sì, dovrebbe farti sentire elettrico, e sapere di buono, come un campo fiorito in Provenza! E no, con lei mi sento solo come quando hai preso un Bolide in testa... assente! Questa mi tiene per le Pluffe, Alhena!”

Alhena imprecò tra i denti, indecisa se scoppiare a ridere o mettersi a piangere: nessuno le aveva spiegato come affrontare le fregole di un adolescente sovreccitato, per Circe!

Alla fine, Marietta non si trattenne più: scostando bruscamente Alhena, quasi gridò:

“Sì, ma lei chi è?”

Con tono drammatico da attore consumato, Roger tornò lasciarsi cadere sulla cattedra, esalando uno sconsolato:

“Fleur Delacour!”

 

*

 

Le finestre dell’aula erano ormai sottili rettangoli neri appena appannati dalla condensa. La stanza ondeggiava al ritmo sinuoso dello smuoversi lieve delle fiamme delle candele, rendendo ormai difficile ai ballerini provati concentrarsi e non perdere il tempo.

Non era stata la miglior lezione in cui Alhena potesse sperare: Luna Lovegood si era lamentata che quella polca irlandese fosse altamente pericolosa, perché capace di alterare lo scorrere del sangue attorno ai suoi centri vitali, e Marietta si era rifiutata di ballare assieme a Clive Fielding, dopo che lui le aveva schiacciato per la quarta volta i piedi.

Roger aveva impiegato diverso tempo a riprendersi: per buona metà della lezione se n’era rimasto in disparte, senza protestare come faceva suo solito quando, per mera sproporzione numerica, veniva il suo turno di fare soltanto finta di danzare con una dama, e dalle sue labbra non uscì nemmeno una battuta educata. Sembrò tornare un po’ in sé stesso soltanto dopo aver danzato una mediocre giga assieme ad Alhena, durante la quale non prestò affatto attenzione ai passi, ma si limitò a fissare con aria pensosa – l’aria di chi sta macchinando qualcosa, sospettava Alhena, che forse era soltanto prevenuta perché, quando aveva l’età di Roger, aveva trascorso diverse lezioni macchinando cose – il volto della sua improvvisata insegnante.

L’umore generale, comunque, era piuttosto basso quando Alhena sollevò il disco dal piatto del grammofono e diede appuntamento a tutti per la settimana successiva.

 

Alhena abbracciò con lo sguardo la stanza ormai immersa nella penombra, e si ritrovò a fissare la figura mollemente adagiata sulla cattedra di Roger.

“Fila in Sala Grande, o farai tardi per cena”.

Alhena non era per nulla credibile in quel ruolo: lei, che era stata un disastro di studentessa, sempre in ritardo o intenta a combinare qualcosa che non avrebbe dovuto combinare, non aveva la minima autorità di spingere qualcuno a rispettare gli orari. La sua poca convinzione dovette trasparire dal suo tono di voce, perché Roger si limitò a fare un vago cenno con la mano, sistemandosi ancora più comodo su quella cattedra e fissandola con uno sguardo che, Alhena intuì, non avrebbe dovuto assolutamente fare capolino sul viso di uno studente che guardasse un’insegnante. Non che Alhena si considerasse anche solo per sbaglio un’insegnante, ma comunque...

“Mi hai aiutata davvero, sai, Alhena"?"

Alhena si rese conto che la familiarità con cui Roger aveva pronunciato il suo nome non aveva nulla a che fare con il rapporto di fiducia che lei aveva cercato di instaurare con i suoi allievi.

“A distrarmi dall’effetto che mi fa Fleur, dico...”

Alhena incrociò con decisione le braccia al petto, osservando di rimando Roger con aria severa: forse aveva sbagliato nel mostrarsi sempre così amichevole. Di certo aveva sbagliato nel lasciar trasparire il suo divertimento davanti alle sue battute e insinuazioni, e ora era troppo tardi per fingere un distacco che non c’era. Anche perché una vocina, in fondo alla sua mente – la voce infida e tentatrice che da ragazzina l’aveva spinta a compiere le sciocchezze più grandi – non poteva fare a meno di sussurrare che, a ben voler guardare le cose, quello sguardo lì non le dispiaceva proprio del tutto.

“Roger”, iniziò lei, seria, senza sapere bene dove volesse andare a parare. Probabilmente solo in un luogo molto lontano da quella subdola vocina, e molto più vicina al razionale imperativo morale che gridava e strepitava a gran voce qualcosa che assomigliava molto a comportati da adulta, una volta ogni tanto, e pensa a qualcuno che un diploma se lo sia già preso, razza di incosciente depravata!

Ma lui la interruppe, balzando giù dalla cattedra con un salto agile ed esclamando, con tutta la naturalezza del mondo, quasi avesse avvertito l’irrigidirsi di Alhena e volesse confonderla e distrarla parlando d’altro:

“Senti un po’, reina de la nieve, mi togli una curiosità? Come ci è finita la figlia di un boia purosangue a fare la ballerina fra i babbani?”

Alhena ebbe un leggero sussulto, ma nascose il suo turbamento dietro la gratitudine per Roger, che si era limitato a parlare di boia, ignorando il Mangiamorte. Del resto, Roger era un figlio della pace, troppo giovane per ricordare della guerra più di quanto poteva aver studiato a scuola, e forse per lui davvero il nome dei Macnair non era sporco.

“È una storia troppo lunga per uno studente che deve rispettare il coprifuoco”, mormorò lei, senza distogliere lo sguardo dal sorriso sornione che illuminò il viso di Roger, facendogli riapparire finalmente quella luce impertinente sul viso.

“Ma sono in compagnia di un’insegnante, Professoressa Macnair, quindi al coprifuoco posso anche non badarci!”

Alhena, più scioccata dal sentirsi chiamare Professoressa Macnair che altro, gli diede un pugno scherzoso – ma nemmeno troppo – su una spalla, sibilando:

“Non ti azzardare, Ramón! Ho impiegato sette anni a trovare il modo migliore per fare ammattire i professori, non posso passare così in fretta dalla parte del nemico!”

Roger rise, con la sua risata calda e sincera.

“E allora dimmi un po’, se ho fatto bene i miei conti io e te dovremmo aver condiviso la Sala Comune addirittura per un anno: com’è che non mi ricordo di te?”

Alhena si strinse nelle spalle, sforzandosi di ricordare gli studenti più giovani a cui l’Alhena diciottenne non aveva mai prestato nemmeno un po’ di attenzione: no, non se lo ricordava proprio, un ragazzino dal sangue latino. E del resto, a diciotto anni non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe stata lieta di guardare il tempo scivolarle fra le dita mentre chiacchierava di sciocchezze con uno di quei mocciosi che tanto aveva trovato irritanti.

Perché, inutile negarlo, ma il fiume di parole che la stava portando a raccontare con naturalezza e solo poche, oculate omissioni di come un giorno aveva deciso di non tornare a casa, ma di trasferirsi nella casa di due ballerini di origine babbana, poteva significare soltanto che il calore di Roger era riuscito a sciogliere il suo riserbo di ghiaccio.

“Oh, ma per tutti i moccoli di candela, ma è tardissimo! Devo scappare, ho una prova tra mezz’ora...”

Perché, magia o meno, per attraversare il parco di Hogwarts serviva tempo, e non si sarebbe certo potuta Materializzare in un camerino pieno di babbani senza creare dello spiacevole scompiglio.

Roger, però, si limitò a sorridere mostrando la sua dentatura candida e perfetta, e a porgerle con fare galante un braccio:

“Allora, señorita, facciamo due passi assieme, già che dobbiamo andare nella stessa direzione...”

Fu soltanto questione di un attimo: la voce razionale che strepitava improperi nella sua testa si era distratta, forse troppo impegnata ad ascoltare l’inflessione esotica nella voce di Roger, e prima che Alhena avesse il tempo di riflettere si ritrovò ad accettarlo, quel braccio teso, e a lasciarsi condurre lungo i corridoi della sua vecchia scuola.


 


Note:

 

Lo so, avevo detto che avrei concluso la storia in due capitoli, ma rileggendo il tutto mi sono resa conto che la seconda parte sarebbe stata davvero troppo più lunga della prima, e così ho inserito qualche dettaglio in più sul passato di Alhena e deciso di dividere la storia in tre parti.

Perdonatemi.

Dunque, dunque: chi di voi conosce il Roger caratterizzato da AdhoMu saprà che la sua reazione all’invito di Fleur potrebbe risultare un po’ incoerente (Adho, ti prego, perdonami se ho tradito lo spirito di Roger), ma ho cercato di coniugare questo rubacuori irresistibile con il ragazzo imbambolato e completamente perso che durante il Ballo del Ceppo pende dalle labbra di Fleur: del resto, lei non è una signorina come le altre, e “gioca sporco”, mettendo in campo caratteristiche non umane che il povero Roger, nella sua collaudata esperienza, non può aver incontrato, dunque si trova completamente spiazzato. Nel prossimo capitolo ci tornerò comunque un po’ su, e da questo punto di vista prometto una rivalsa.

Detto ciò, io ringrazio ancora infinitamente Adho per la sua gentilezza e generosità nell’avermi permesso di strapazzare così il suo Capitano dal sorriso di perla.

E ringrazio ovviamente voi che vi siete buttati in questa storia pazza sulla scia della mia Alhena, che qui ancora non riesce a essere del tutto l’adulta che sarà ma che, spero, non risulti comunque troppo inquietante nel suo rapporto con Roger, che in fondo maggiorenne lo è solo per il mondo dei maghi (ho un po’ di brividi, ma spero di non fare passi falsi). 

                       

   
 
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