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Autore: ToscaSam    18/01/2020    3 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Martha Boll
 
Il salotto era ben illuminato, ricco, elegante eppure equilibrato.
Dava un senso di spazio, di aria e salubrità.
Eppure non esisteva niente di più nefasto e oscuro, al momento. O almeno così la pensava il commissario Richard Voss.
Quel salotto gli dava ai nervi: l'aveva già visto in un'occasione non meno triste e il fatto di trovarcisi di nuovo non attenuava il suo senso di disagio.
Non c'era cornice sontuosa né lussuosa dormeuse che non gli risultasse sgradevole.
Ecco lì il tavolino dove ad agosto stava la lampada, pensò Richard. Adesso l'avevano sostituita con un candelabro d'argento. Che sciocchezza.
Il divanetto foderato di raso su cui sedeva era molto comodo. Fosse stato a casa sua se ne sarebbe compiaciuto.
 
« Come si chiamava l'infermiera?»
« Irene Strauss»
Irene Strauss.
Voss annotò velocemente su un blocchetto questo nome, pur sapendo che era perfettamente inutile.
« Età?»
« Ventidue anni»
« Aveva congiunti?»
« Un fratello che abita in Svizzera»
« L'avete avvertito?»
« Telefonicamente. Ha detto che è molto dispiaciuto»
« Nient'altro?»
« No, commissario. Nient'altro».
L'infermiera che gli stava davanti era ancora giovane: poteva avere al massimo trent'anni. Un volto gradevole, seppure rigido. Forse lo guardava così perché non desiderava la sua presenza nella clinica.
Ma che diamine. C'era stato un omicidio e lui era il commissario incaricato della polizia di stato. La sua presenza lì era del tutto legittima.
Irritato dalla fredda insolenza dell'infermiera, Voss si accomodò meglio sul divano e diede una rapida occhiata in giro: vide un piccolo tavolo con sopra bicchieri di cristallo.
« Perbacco e quelli li tenete qui?»
« Certo. I nostri pazienti dovranno pur bere»
« Alla luce dei fatti non li ritenete pericolosi, i bicchieri di cristallo?»
« No. Non sono mai stati usati come arma. Lo sa bene. Vuole del tè, signor commissario?»
« No, grazie. Mi dia una bella Sambuca in uno di quei bicchieri»
« Non usa, qui dentro».
Voss era così irritato che si alzò e prese una sigaretta dal taschino. Proprio mentre tirava fuori anche lo zippo, ecco che la voce della donna proseguì:
« Lei dimentica che qui siamo in una casa di cura».
Voss fece un cenno per scusarsi e ricacciò tutto dentro.
Guardò tristemente il disegno di gesso sul pavimento: una figura umana, sdraiata, contorta. Una ragazza di ventidue anni, roba da pazzi. Pazzi, appunto. Si trovava in una clinica psichiatrica.
Lo stabilimento aveva nome Il Lago e sorgeva in una pittoresca cittadina tedesca di periferia. Campagna, un lago – appunto – , una modesta università, qualche casa e qualche ufficio.
Voss non aveva mai sentito parlare del Lago fino all'estate precedente, quando il procuratore di stato gli aveva sottoposto un caso strano: un'infermiera era stata strangolata col filo di una lampada nel salotto di una prestigiosa clinica psichiatrica. La poverina si chiamava Dorothea Moser, aveva venticinque anni ed era finita con la corda al collo dopo un anno di lavoro nella struttura.
Voss si era precipitato sul luogo del fatto e si era ritrovato davanti a una scena fuori da ogni immaginazione: le altre infermiere sapevano benissimo chi fosse il colpevole ma non erano minimamente turbate dal fatto. Si trattava di un paziente, un ricoverato che fingeva di essere il grande fisico Isaac Newton.
Gli era stato proibito di fare alcunché verso l'omicida, anzi, non gli riuscì nemmeno avvicinarlo. Non lo vide, gli fu tenuto nascosto. Dicevano che era malato e che non poteva essergli imputato niente.
La direttrice dello stabilimento di cura, poi, non si era degnata di comparire. Anche per lei avevano tirato fuori una scusa veramente assurda: “sta giocando a scacchi con Newton”, gli avevano detto (si erano abituati a chiamare il paziente per davvero Newton) “il poverino è malato e si calma solo se gioca a scacchi con la direttrice”.
Di lei non sapeva niente: era la discendente di un'antica casata nobile che, dopo una brillante carriera universitaria, aveva raggiunto una notevole fama operando come psichiatra.
Questo era tutto quello che era accaduto a Richard Voss durante la sua visita precedente.
Adesso era novembre e Voss era stato chiamato dal procuratore di stato, infuriato come una iena, che gli comunicava di doversi dirigere nuovamente allo stabilimento Il Lago.
Un'altra infermiera era stata strangolata. Stavolta con il cordone della tenda.
Assurdo, aveva pensato Voss.
 
« E insomma, l'assassino ...» cominciò
« Ma che dice mai! Quel poveretto è malato!»
« E va bene, allora. Come lo posso definire? Diciamo, l'autore del gesto
« Si chiama Ernst Ernesti. Noi però lo chiamiamo Einstein»
« Ah si? E come mai, sentiamo?»
« Perché lui crede di essere Einstein».
Voss guardò la ragazza dritto negli occhi, ma lei li teneva fermi: credeva davvero a quanto diceva. Era seria. C'era qualcosa nei dipendenti di quel posto che non tornava: come diavolo era possibile che non si rendessero conto della situazione?
« Beh, si chiami come diavolo vuole. Io dico che è un'incoscienza far curare questi pazzi da delle infermiere. Questo è il secondo assassinio … »
« Ma signor commissario!»
« Beh. Il secondo incidente che capita qui al Lago. Guardi qui: il dodici agosto, un certo Georg Beutler, che crede di essere il grande fisico Newton, ha strangolato l'infermiera Dorothea Moser. E anche lui qui! In questo salotto! Una cosa che non sarebbe successa se la vostra direttrice avesse preso in considerazione quanto le avevo suggerito nella lettera che le lasciai: infermieri, guardie, qualcuno che possa essere d'aiuto a voi ragazze»
« Questo lo dice lei» incalzò l'infermiera. Se possibile era innervosita: « deve sapere che Dorothea Moser era membro dell'associazione femminile di lotta libera e Irene Strauss campionessa nazionale di judo».
Voss sorrise: « Si, certo. E lei?»
L'infermiera lo guardò con sufficienza: «Io faccio sollevamento pesi».
« Posso vederlo, adesso, l'assassino?»
« Ma signor commissario!»
« Santo cielo! Va bene! Posso vedere l'autore di questo efferato gesto
La donna lo squadrò con estremo disgusto. Attese molto tempo prima di rispondere, come se assaporasse l'insensatezza di quella situazione e la rigettasse addosso a Voss.
« Sta suonando il violino» concluse, fredda.
« Che diavolo vuol dire “sta suonando il violino”?»
Voss smanacciava molto. Gli accadeva sempre, quando era nervoso. Se ne rese conto e cercò di contenersi.
« E che? Non lo sente?» disse l'infermiera.
Voss era al culmine della pazienza.
Si, aveva sentito sin dal suo arrivo una melodia di sottofondo. Proveniva da qualche stanza più in là. Era un suono piacevole, ma ormai Voss era così irritato da trovarlo insopportabile.
« E lei lo faccia smettere! Devo interrogarlo!»
« Impossbile»
« Ma come è impossibile?»
« Come medici, non possiamo permetterci di interromperlo. Il signor Ernesti deve riacquistare la calma e siccome si crede Einstein, gli è possibile farlo solo suonando il violino»
« Sto diventando pazzo anch'io»
sibilò Voss, portandosi una mano alla tempia sudata.
Il cuore gli batteva a mille e non era un bene per la sua pressione. Troppo lavoro e per giunta lavoro di questo tipo. Non ce la faceva più con tutte queste grane.
Attese che il cuore gli si calmasse, si asciugò la fronte con un fazzolettino a quadri.
« Fa caldo qui dentro» mugolò, più che altro a sé stesso
« Non fa caldo per niente» sussurrò a sua volta l'infermiera, alle sue spalle.
Voss riaprì gli occhi. Il salotto si materializzò di nuovo davanti a lui.
Si voltò e si rivolse alla donna, che lo fissava con espressione arcigna:
« Mi faccia un favore, signorina …. come si chiama?»
« Martha Boll»
« Mi faccia un favore, signorina Boll. Vada a chiamarmi la direttrice. La prego»
« Mi dispiace. Anche questo è impossibile. La dottoressa sta accompagnando Einstein al pianoforte. Sa, Einstein si calma solo se la dottoressa suona con lui».
Voss affilò lo sguardo da sotto gli occhiali. Se si trattava di un trucco, si disse, non ci sarebbe cascato di nuovo:
« Ah si, eh? E tre mesi fa la dottoressa doveva giocare a scacchi con Newton per farlo calmare. Adesso il pianoforte. Sa una cosa? Non ci casco più, cara Martha Boll. Voglio parlare ad ogni costo con questa direttrice»
« Come vuole. Le toccherà aspettare»
Voss non staccò lo sguardo da quello di Martha. Lei non era preoccupata, sembrava soltanto molto seccata da tutta la vicenda.
« E quanto durerà questa storia col violino?»
« E chi lo sa? Mezz'ora? Un'ora? A seconda dei casi».
Voss falciò la stanza a grandi passi e si sistemò sul più sontuoso sofà.
« E allora aspetterò. Ha capito? Aspetterò» disse con aria di sfida.
Martha Boll lo fissò con commiserazione, come per chiedersi quanto fosse stupido. Raccolse la cartellina clinica che aveva abbandonato su un tavolo e girò i tacchi. Uscì dalla stanza con un passo dolce, soffice, decisamente contrario al gelo del suo carattere.





note autrice:
Grazie a tutti di essere qui. Volevo precisare ulteriormente che il mio testo è ispirato da "I Fisici", opera teatrale di 
Friedrich Dürrenmatt. Quello che avete letto e che leggerete nei prossimi capitoli è frutto di un mio lavoro di trasposizione e reinterpretazione. Ho modificato molto i personaggi, donando loro una caratterizzazione originale e ampliando i loro background.
Spero di continuare ad interessarvi.
Grazie per esservi fermati a leggere il primo capitolo!
 
 

 
  
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