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Autore: Abby_da_Edoras    14/02/2020    4 recensioni
Questa è la mia ff conclusiva sulla mia versione della prima stagione della fiction I Medici ed è il sequel di "Vietato morire". Giovanni ha salvato Rinaldo, ma adesso si è allontanato da lui perché l'uomo ha fatto un figlio con la moglie, inoltre c'è ancora da incastrare Andrea Pazzi per tutto ciò che ha combinato. Insomma, le cose per Giovanni, Rinaldo e i Medici non si mettono al meglio e dovranno superare molti ostacoli per giungere tutti al meritato lieto fine (che io concederò, come sempre!).
Grazie a tutti coloro che leggono queste mie storie e ancora di più a chi spende un po' del suo tempo per lasciarmi i suoi graditissimi commenti.
Questa storia partecipa all’iniziativa “Prompt, che passione!” del gruppo facebook “Fanfiction, che passione!”: il prompt che ho scelto è una citazione di Paulo Coelho.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, sceneggiatori e produttori della fiction I Medici.
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo undicesimo

 

I am here for all to see
In my bones there's dignity
I will fight them
I can say that I can change the world
But if you let me I can change the world for us
Come with me and
Make this vision all brand new
We can fight them I can say that I can win it all
Come with me and
I will make my worst untold
Let me do this…

(“Renaissance” – Skin)

 

Trascorsi tre mesi circa, la famiglia Medici era tutta riunita nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, finalmente ornata dalla bella Cupola che avrebbe suscitato ammirazione in tutto il mondo (tranne che in Rinaldo degli Albizzi, però quel giorno anche lui doveva stare lì e fare finta di non vederla…) e alla quale mancavano solo alcuni ritocchi per essere completata. Con loro, come ho detto, c’erano Rinaldo Albizzi con il figlio Ormanno e sua moglie Beatrice, incinta di cinque mesi del loro primo figlio, Alessandra Albizzi con la piccola Susanna e Papa Eugenio IV che, una settimana prima, aveva unito in matrimonio Lorenzo e Ginevra Cavalcanti e Marco Bello e Maddalena, tutti ovviamente presenti in quella luminosa domenica del giugno 1436. E, ovviamente, c’era Giovanni, che però si teneva il più lontano possibile da Rinaldo, indispettito per il fatto che l’uomo avesse osato portare la moglie ad un’occasione così importante per lui!

C’era anche tutta la famiglia Uberti venuta da Mantova: la madre Caterina, il fratello maggiore Lapo con la moglie Lucrezia e i gemelli Isabella e Ranieri. Anche Francesco degli Uberti aveva lasciato per qualche giorno Verona e le sue attività militari per celebrare insieme ai suoi familiari quel momento tanto atteso.

Sì, perché il motivo per cui tutti erano riuniti nella splendida Cattedrale di Firenze era ciò che Giovanni aveva sognato per tanto tempo: la riabilitazione postuma del suo antenato Farinata. Cosimo, in segno di gratitudine per l’aiuto ricevuto dal ragazzo e consapevole di quanto fosse stata ingiusta, al tempo, la condanna dell’intera casata, si era impegnato il più possibile per organizzare quella celebrazione che, pur se soltanto simbolica, riportava il nome degli Uberti al posto che gli spettava in Firenze.

Vabbè, magari Cosimo lo aveva fatto anche per esorcizzare una certa inquietudine: gli Uberti, infatti, erano stati per tanti anni signori di Firenze e poi, una volta sconfitti, avevano subito le peggiori condanne e umiliazioni e lui comprendeva che sarebbe potuto accadere anche alla sua, di famiglia. A quanto pareva le simpatie dei fiorentini erano alquanto volubili… e forse, onorando in quel modo una nobile e sfortunata famiglia, il Medici sperava di ottenere che alla sua stirpe non toccasse lo stesso triste destino!

Giovanni avrebbe desiderato tantissimo che le spoglie mortali di Farinata e della moglie Adaleta potessero essere traslate nella Cattedrale, che era stata consacrata e benedetta dal Papa proprio il 25 marzo di quello stesso anno… purtroppo, però, nemmeno Cosimo de’ Medici, con tutto il suo potere e le sue conoscenze in alto loco, aveva potuto ritrovare i resti degli antenati di Giovanni. Nel 1282, infatti, i cadaveri di Farinata, di Adaleta e di molti altri esponenti della famiglia Uberti, erano stati dissepolti dalle chiese e dalle cripte in cui si trovavano per subire un processo tanto assurdo quanto atroce. Le ossa di Farinata e Adaleta, sepolte nella chiesa di Santa Reparata (che, guarda la combinazione, era stata abbattuta e sostituita a fine Duecento proprio dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore), avevano subito una condanna postuma per eresia (una scusa come un’altra per disfarsi di un nemico politico e di tutta la sua stirpe…) e quindi erano state dissotterrate e bruciate e le ceneri gettate in Arno. *

Quel giorno, dunque, non c’erano veramente i resti mortali di Farinata e Adaleta sotto la lapide che il Papa aveva benedetto, tuttavia i loro nomi e lo stemma scolpito sembravano brillare sotto la luce del sole che attraversava la Cupola (sempre lei!) e li illuminava, quasi volesse accarezzarli e rendere loro omaggio. E, sebbene non vi fossero le spoglie mortali dell’illustre antenato di Giovanni, quella cerimonia, alla presenza dei Medici, del Gonfaloniere e di tutte le più nobili e potenti famiglie di Firenze (e no, ovviamente Andrea Pazzi non era stato invitato!), era l’atto che testimoniava la riabilitazione della sfortunata casata e sia Giovanni che i suoi familiari erano emozionati e commossi nel vedere, finalmente, la città che riconosceva e omaggiava gli Uberti. **

Papa Eugenio celebrò la Messa solenne, benedisse la lapide e parlò degli Uberti, e in particolare di Manente detto Farinata, sottolineando quanto avessero fatto di buono per Firenze e quanto invece Firenze si fosse mostrata ingrata e ostile verso di loro. Ricordò le tante volte in cui Farinata e i suoi fratelli avevano combattuto per Firenze, quante volte avevano salvato la città e quanto la Firenze di ora doveva al loro valore e ai loro sacrifici. Naturalmente, il Papa non sapeva poi molto degli Uberti e della loro storia, ma questa particolare omelia gli era stata caldamente suggerita da Cosimo stesso e Papa Eugenio doveva molto a Cosimo: era grazie a lui e ai soldi della sua famiglia se l’esercito di Vitelleschi aveva sconfitto gli usurpatori e se era finalmente possibile per il legittimo pontefice rientrare a Roma da vincitore! Giovanni, che per buona parte della cerimonia era rimasto vicino alla famiglia Medici, ad un certo punto dell’omelia decise di raggiungere invece la propria famiglia e si strinse con affetto al braccio della madre, visibilmente commossa. Perfino i fratelli maggiori di Giovanni guardavano con ammirazione quello scapestrato del loro fratellino che, nonostante le previsioni, era riuscito davvero ad ottenere quello che voleva e aveva riportato in alto il nome degli Uberti a Firenze, proprio come loro stavano facendo a Mantova e a Verona.

L’unico neo in quella giornata perfetta per Giovanni era la presenza di Madonna Albizzi. Il ragazzino aveva saputo solo quella mattina che anche lei avrebbe partecipato alla celebrazione, portando con sé la figlioletta. Rinaldo glielo aveva detto, spiegandogli che era un’occasione ufficiale e che non poteva certo impedire alla moglie di parteciparvi. Gli aveva detto anche di vedere il lato positivo: la presenza di Madonna Alessandra testimoniava ancora di più quanto la Firenze che contava ci tenesse ad essere presente per omaggiare la memoria degli Uberti… ma Giovanni si era sentito oltraggiato e preso in giro, aveva urlato cose irripetibili a Rinaldo ed era scappato dal suo palazzo senza pensarci due volte, per poi riapparire in Duomo insieme alla sua famiglia e ai Medici. E, per tutta la durata della cerimonia, non aveva degnato Rinaldo nemmeno di uno sguardo!

Al termine della celebrazione solenne, tutte le famiglie vollero rendere omaggio alla lapide in memoria degli Uberti e anche salutare con calore i rappresentanti della casata, come in una sorta di pacificazione. Sicuramente tra i persecutori degli Uberti, a fine Duecento, c’erano stati i loro avi e adesso, in un simbolico abbraccio, le famiglie riconoscevano l’errore commesso e sembravano chiedere perdono. Ovviamente anche gli Albizzi fecero lo stesso, ma nemmeno in quel momento Giovanni si raddolcì e continuò a ignorare allegramente Rinaldo, trattandolo con lo stesso gentile distacco con cui aveva accolto i saluti degli altri nobili e potenti di Firenze.

Tutta la famiglia Uberti, poi, si trasferì a Palazzo Medici dove Cosimo aveva organizzato un sontuoso banchetto per loro. Poiché Beatrice era la moglie di Ormanno, Cosimo aveva dovuto invitare anche gli Albizzi, sebbene la prospettiva non lo entusiasmasse. Ma non fu un piacere nemmeno per Rinaldo partecipare a quel pranzo, perché Giovanni si sedette il più lontano possibile da lui e per tutto il tempo fece finta che non esistesse nemmeno, mostrando invece tutta la sua allegria e il suo affetto per i familiari che non vedeva da tanto e per i fratelli Medici che avevano reso possibile la realizzazione di quel sogno.

Fu molto dura, per Rinaldo, guardare Giovanni che rideva e scherzava con tutti meno che con lui e non potergli parlare, non poter spiegare le sue ragioni… non poterlo, magari, portare in una stanza con qualche scusa e riappacificarsi con lui a modo suo! Possibile che Giovanni si ostinasse a non capire? Eppure gli aveva anche regalato l’anello, ormai doveva sapere che apparteneva a lui e che lui lo considerava il suo vero e unico compagno! La moglie era solo di facciata, come accadeva anche in altre famiglie, e non aveva più alcun interesse per lei così come lei non lo aveva per lui. Ma Giovanni pareva offeso anche solo per il fatto di vederla lì…

Rinaldo non vedeva l’ora che quel pranzo interminabile avesse fine, voleva solo avere l’occasione di afferrare Giovanni e parlargli a quattr’occhi, saltargli un po’ addosso in qualche modo e sfogare il desiderio represso che si era dovuto portare dietro per tutta la giornata!

La famiglia Uberti doveva lasciare Firenze quello stesso pomeriggio, poiché gli impegni di Lapo e di Francesco erano molto importanti e i due non potevano certo permettersi le ferie: era già tanto che avessero potuto assentarsi dalle loro nuove città per tre giorni per partecipare all’importante cerimonia della riabilitazione dei loro antenati. Così, subito dopo il banchetto, Giovanni dovette nuovamente congedarsi dalla madre e dai fratelli.

“Sono veramente fiero di te, fratellino” gli disse Lapo. “Non avrei mai creduto che saresti riuscito e, anzi, ero anche irritato con te quando rifiutasti di seguirci a Mantova… ma oggi comprendo che tu avevi ragione e io torto. Adesso gli Uberti sono di nuovo un nome rispettato a Firenze!”

“In realtà è tutto merito di Messer Cosimo” si schermì Giovanni, tanto insolente e sfacciato con i suoi avversari quanto intimidito quando riceveva degli elogi. “E’ solo grazie alla sua generosità se ho ottenuto tutto questo…”

“Non mentire, ragazzino” lo interruppe Francesco. “E’ vero che Messer Medici ha organizzato la cerimonia e il banchetto, facendo erigere la lapide e ottenendo la benedizione speciale di Sua Santità… ma lo ha fatto soltanto perché anche tu lo hai aiutato contro i suoi rivali. E’ inutile che cerchi di nasconderti, sei un Uberti e, come noi, non sai tenerti lontano dalla politica e dalle lotte!”

Il tono del fratello era a metà tra lo scherzoso e l’orgoglioso. Giovanni abbracciò i fratelli, baciò la mano della cognata Lucrezia e accarezzò i nipotini Isabella e Ranieri, poi fu il momento di salutare la madre, che aveva le lacrime agli occhi.

“Oggi avrei voluto che tuo padre Ranieri fosse ancora vivo… sarebbe stato molto orgoglioso di te e immensamente felice nel vedere una cerimonia così grandiosa in memoria dei suoi antenati” mormorò, commossa, stringendo le mani del figlio. “Teneva tanto al nome e al prestigio degli Uberti!”

“Anch’io avrei voluto che fosse qui con noi, lui e anche il nonno” replicò Giovanni. “E’ grazie a loro se questo giorno è arrivato. Sono stati loro a raccontarmi le gesta di Farinata e Neri degli Uberti tante e tante volte, io sono cresciuto desiderando soltanto che Firenze riconoscesse la loro grandezza e, nei momenti più difficili, era il loro pensiero e il loro ricordo a darmi il coraggio di andare avanti.”

“Sei veramente figlio di tuo padre… e un degno discendente di Farinata e Neri” affermò Caterina Uberti, abbracciando stretto Giovanni con commozione e orgoglio.

Era giunto il momento della partenza, la carrozza attendeva gli Uberti.

“Comunque ci rivedremo presto” disse Giovanni, sorridendo affettuosamente alla madre e ai fratelli. Accanto a lui c’era la sorella Beatrice, anche lei sopraffatta dalle emozioni di quella giornata. “Quando il bambino di Beatrice sarà nato, dovrete tornare tutti a conoscerlo!”

La separazione causava in tutti una sottile malinconia, ma era stemperata dal lieto evento che li attendeva qualche mese dopo e che li avrebbe nuovamente riuniti tutti insieme.

Beatrice raggiunse Ormanno, che la strinse tra le braccia, mentre Giovanni rimase a guardare la carrozza della sua famiglia che partiva finché non riuscì più a scorgerla.

A quel punto non sapeva bene cosa fare: rimanere ospite, ancora una volta, a Palazzo Medici? Non aveva avuto il tempo di spiegare la situazione né a Cosimo né a Piero, quella mattina, poi erano stati tutti coinvolti nella cerimonia… forse doveva andare a parlarci ora e chiedere se poteva dormire da loro per quella notte e, magari, anche per le seguenti?

Mentre era intento a pensare, indeciso sul da farsi, Rinaldo vide l’occasione che aveva tanto aspettato. Era il momento perfetto: Madonna Albizzi era ripartita con la bambina per la campagna e Ormanno stava tornando a Palazzo Albizzi con Beatrice. Lì, nel cortile di Palazzo Medici, c’erano solo lui e Giovanni… e Rinaldo aveva già dimostrato, recentemente, di non avere alcun problema a farsi i comodi suoi in casa d’altri!

Prima di capire cosa stesse succedendo, Giovanni si sentì afferrare per un braccio e trascinare sotto un porticato del palazzo, vicino al giardino interno. Rinaldo lo imprigionò contro il muro, avvinghiandosi a lui in un abbraccio focoso.

“Mi sei sfuggito per tutto il giorno, ragazzino, ma adesso non scappi più, eh?” mormorò con voce roca. “Sei veramente testardo, oltre che sfacciato. Non capisci che mia moglie non conta niente e che la sua presenza è solo di facciata? Non capisci che sei tu quello che voglio? Sei geloso, eppure ti dimostro in ogni occasione che mi importa solo di te, che sei la persona più importante della mia vita, anche se mi fai impazzire con i tuoi capricci e con le tue assurde ripicche!”

Rinaldo sollevò Giovanni, sempre premendolo contro il muro, incollò le labbra alle sue e lo strinse appassionatamente tra le braccia. Gli schiuse la bocca con la sua, unendosi a lui in un bacio profondo e pieno di ardore, più intimo, intenso e prolungato possibile. Quel briciolo di decenza che gli restava gli impediva di sfogare tutto il suo desiderio in quel momento e, soprattutto, sotto il porticato del palazzo di Cosimo… Tuttavia continuò a baciare intensamente Giovanni e a confondere il respiro con quello di lui, facendo aderire completamente il corpo a quello morbido del giovane e strofinandoglisi contro. Voleva fargli sentire che era solo lui che amava e che voleva, sebbene a quel punto il ragazzo non riuscisse a capire più niente, travolto dalla passionalità di Rinaldo e completamente sperduto tra le sue braccia, soffocato dai suoi baci.

“E adesso tornerai a Palazzo Albizzi con me” gli disse alla fine, riuscendo a staccarsi da lui solo al pensiero che stava per portarselo via, che quell’indisponente ragazzino non avrebbe più avuto la forza di opporsi e che sarebbe stato soltanto suo, indifeso e smarrito nel suo letto.

Giovanni, ancora stordito dalle emozioni di quell’indimenticabile giornata e stravolto per gli abbracci appassionati di Rinaldo, non riuscì nemmeno a rispondere. Forse avrebbe voluto fare ancora l’offeso, ma gli tremavano le gambe e i polsi. Si lasciò guidare da Rinaldo fino al suo palazzo, fino alla sua camera da letto, dove l’uomo lo travolse come un fiume in piena, spingendolo sul letto e mettendosi sopra di lui. Lo baciò con prepotenza, come per fargli capire che era suo e che non doveva più permettersi di sfuggirgli, divorandogli la bocca e seppellendosi in lui mentre Giovanni, completamente sperduto, lo accoglieva spontaneamente e con amore, fondendosi con il suo corpo.

Quella era stata una giornata speciale, in cui il nome degli Uberti e la memoria di Farinata avevano ritrovato il prestigio che spettava loro… e adesso c’erano emozioni ben diverse che sopraffacevano ogni fibra dell’essere di Giovanni, che era totalmente in balìa di Rinaldo e pareva aver dimenticato di averlo volutamente ignorato per tutto il giorno. Non gli importava più di Madonna Albizzi, non sentiva più la gelosia, per lui ora contava solo che Rinaldo era lì e che lo voleva, così si perse totalmente nel suo abbraccio, desiderando che non finisse mai.

Alla fine Giovanni era sfinito e disfatto… ma, almeno per questa volta, Rinaldo non si accontentò di essersi riappacificato con lui nel solito modo. No, il linguaggio dei corpi non era stato sufficiente per dirgli tutto quello che voleva, questa volta avrebbe dovuto farlo anche con le parole, perché quel ragazzo speciale lo meritava ed era giusto che sapesse, finalmente, quanto davvero contava per lui.

Lo strinse a sé con un fare tenero che non gli era abituale e gli accarezzò dolcemente i capelli sudati e scarmigliati.

“Giovanni, mi dispiace che questa giornata, che per te sarebbe dovuta essere perfetta, sia stata rovinata dalla presenza di mia moglie, ma lo capisci, vero, che non potevo evitare di mostrarmi ai fiorentini al suo fianco, come suo legittimo sposo e padre della nostra Susanna?” gli disse, in tono affettuoso. “Questa è la nostra società, legami come il nostro possono essere tollerati solo se restano segreti e se salviamo le apparenze, ma lei non conta niente per me e questo dimostra chi è che considero il mio vero compagno, l’unico con cui voglio passare ogni giorno della mia vita.”

Dicendo queste parole, l’uomo prese la mano di Giovanni in cui risplendeva l’anello che li univa.

“Ti ho già detto una volta che tu mi hai salvato in tutti i modi in cui una persona può essere salvata, ma oggi mi sono reso conto che hai fatto anche un altro miracolo per me e per la mia famiglia” riprese Rinaldo, e questa volta pareva addirittura commosso. Chi lo avrebbe mai detto che quell’orgoglioso egoista sapesse mostrare così i suoi sentimenti? Anche Giovanni, ormai placato, lo guardò con stupore, senza capire a cosa si riferisse.

“La notte che credevo sarebbe stata l’ultima della mia vita, in cella, aspettando la condanna a morte, Ormanno venne a salutarmi prima che arrivassi tu” ricordò l’uomo, incatenando gli occhi di Giovanni con uno sguardo intenso e appassionato e continuando a stringergli teneramente la mano. “Mio figlio era disperato, non poteva sopportare che io accettassi di morire e mi disse che avrebbe voluto soltanto vedermi invecchiare e vedermi stringere tra le braccia il mio primo nipote. Ebbene, tu hai salvato non solo la mia vita e quella di Ormanno, più e più volte, ma hai anche trovato una sposa meravigliosa per lui… e tra qualche mese il desiderio di mio figlio si avvererà e io abbraccerò orgoglioso il mio primo nipote!”

Giovanni non aveva pensato a questo e di certo non si aspettava che Rinaldo si mostrasse così sentimentale… era frastornato, confuso e alla fine non riuscì a fare altro che scoppiare a piangere, sopraffatto dalle mille emozioni. Rinaldo, allora, lo abbracciò ancora più teneramente e lo baciò sui capelli. Anche i suoi occhi erano inumiditi…

“Tu sei tutto per me, la mia vita, la mia famiglia e la realizzazione di tutti i miei desideri. Non te l’ho mai detto, ma è così. E, se non posso prometterti che non dovrai rivedere mia moglie… ti ho già spiegato cosa significano le apparenze… posso però giurarti che farò di tutto per renderti felice in tutto quello che potrò. In ogni caso non sarò mai in grado di fare per te tutto quello che tu hai fatto per me e per mio figlio, vorrei solo che…”

“A me basta stare con voi, non voglio altro” ammise a voce bassissima Giovanni, anche lui abitualmente molto restio a esprimere ciò che provava. “Sono felice se voi state bene e se state con me…”

Quella dunque era proprio una serata di rivelazioni per entrambi! Rinaldo lo baciò di nuovo, un bacio profondo, intimo, infinito ma anche incredibilmente dolce e tenero, non passionale come al solito. E, dopo quel bacio, l’uomo lo avvolse nel suo abbraccio per addormentarsi insieme a lui, due persone che si amavano e che si erano trovate per completarsi.

A quanto pareva, almeno per loro era vera l’affermazione di Paulo Coelho: Tutto l’universo cospira affinché chi lo desidera con tutto se stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni!

Gli Uberti erano tornati a Firenze con tutti gli onori e riposavano felicemente nella loro città.

A Palazzo Albizzi, tra le braccia del suo uomo, Giovanni sapeva di essere a casa.

Rinaldo Albizzi aveva ottenuto tutto ciò che desiderava e anche ciò che non aveva mai osato sperare.

Non era forse perfetto?

 

FINE

 

 

* Tutto questo è tristemente vero. La memoria di Farinata degli Uberti fu riabilitata a metà Quattrocento e lo stesso Granduca Cosimo I de’ Medici, in seguito, contribuì a omaggiarne e rispettarne la figura, ma non ci fu modo di dare una vera sepoltura ai suoi resti… L

 

** Se capitaste a Firenze, non vi venga in mente di cercare questa lapide con lo stemma degli Uberti da qualche parte nel Duomo, perché questa cerimonia e anche la lapide esistono soltanto nella mia fantasia. Si può tuttavia vedere lo stemma degli Uberti nel primo cortile sotto il porticato del Palazzo della Signoria e Farinata si è anche meritato, verso la metà del XIX secolo, una statua tra i notabili fiorentini che fanno bella mostra di sé sotto le logge degli Uffizi!

   
 
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