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Autore: aurora giacomini    19/02/2020    1 recensioni
ATTENZIONE: Questa è la seconda parte di "Per un Bacio" la storia segue un ordine temporale preciso.
Dal Testo:
"Ciao, Amico Lettore,
Uh? Cos'è quella faccia? Cos'è, ti eri dimenticato di me? Mi spezzi il cuore...
Quanti anni sono passati....? Fammi pensare... è l'Ottobre 2029... nove anni... wow...!
Ah, ora capisco cos'è quell'espressione... pensavi forse che non sarei rimasta ad osservare chi, fra i mille passanti, avrebbe infine raccolto il mio quaderno...?"
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Per un Bacio'
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6

Voglio Morire?

 

 

Oggi c'è il sole... non mi piace il sole. Mi guasta l'umore... mi fa sentire esposta e vulnerabile...

Ad ogni modo, andiamo avanti... ti va?

 

 

Al mio risveglio, credo non più di sei ore dopo: il sole non è ancora sorto. Mi ritrovo con la guancia appoggiata ad una pozza di vomito e sangue...

Il dolore, nell'area addominale, beh... è tremendo.

E allora urlo, urlo per il dolore, per la frustrazione, per l'umiliazione che provo, per il senso d'impotenza, per non averli ammazzati tutti, per credere ancora, che ucciderli non fosse giusto.

Grido e piango finché il dolore alla gola supera quello dello sterno... grido sperando che lei torni e mi uccida, una buona volta! Grido e piango sperando di soffocarmi, non ce la faccio più... sono al limite, ho raggiunto il mio punto di rottura, che qualcuno metta fine alla mia dannata esistenza!

Ma le mie grida non attirano nessuno, solo altre grida di chi, presumibilmente, si è spaventato per le mie. Probabilmente il donnone ha lasciato il piano per dormire in uno degli uffici...

E' per disperazione che faccio ciò che faccio... mi mordo i polsi... prima uno, affondandoci i denti... all'inizio senza troppa convinzione: fa un male cane... ma poi, poi mi recido le vene... le strappo...

Poi, quando la testa comincia a diventare leggera ed il freddo aumenta, il secondo...

Perdo conoscenza pensando che, alla fine, un modo per uscire da quel manicomio l'ho trovato...

Il suicidio è una prerogativa umana... ed io odio ed amo esserlo...

 

Ma no... non sono morta...

Non ci ho forse messo abbastanza impegno? Perché la vita si ostina tanto a tenermi con sé?! Tempo dopo avrei avuto modo di apprezzarne l'ironia, ma ora è troppo presto per parlarne.

Non ho alcuna voglia di descriverti le settimane passate in ospedale... non ne ho proprio voglia...

Vediamo cosa successe al mio ritorno... in quel... manicomio.

Quando incontrai il Professor Grandi.

 

“E' un piacere conoscerti, finalmente.” Grandi mi sorride, ha un sorriso calmo e malinconico. “Avevo cominciato a pensare che gli Dei non volessero quest'incontro. Tu cosa ne pensi?”

Gli Dei...?

“Non so cosa dirle...” gli rispondo, giocando con le fasciature che ancora mi circondano i polsi.

Lui sorride, un sorriso falso e forzato, “non è importante ai fini del nostro incontro, o forse sì?”

Non è troppo vecchio per questi giochini? Avrà una sessantina d'anni, ma è già bianco come fosse una caricatura dell'inverno.

“Perché ha preso in esame il mio caso?” Gli domando. E' la cosa che più mi preme sapere.

“Non ho ancora preso in esame il tuo caso.” Mi risponde. “Prima devo valutare se ne vali lo sforzo, e se quello che ho visto in te rispecchia il vero.” Dice, sedendosi oltre la grossa scrivania.

E la prima volta che lo vedo... per quanto ne so. Glielo faccio notare.

Ride.

Cazzo c'è da ridere?! Mi fa innervosire! Non ci posso fare niente!

“Ho letto qualunque cosa da leggere vi fosse su di te.”

Ma come si esprime...

Poi un'altro pensiero mi balena nel cervello... ma subito mi calmo: non è stato lui a raccogliere il quaderno... ma se tu fossi suo figlio...?

Nah.
E poi... che mi cambia?

“E cosa pensa di me...?” Gli domando.

“Vuoi una sigaretta?” Mi domanda, mentre fruga nella tasca interna del camice.

Ha totalmente ignorato la mia domanda...

“Sì, per favore.”

“Spero che le malboro ti piacciano.”

No, mai piaciute... ma in guerra ogni buco è trincea. Shh, shh, non importa... l'importante è che mi piaccia la metafora.

“La ringrazio.” Dico, afferrando la sottile cosa che mi porge direttamente dal pacchetto. Ho le mani libere: è stato lui a pretendere che mi liberassero dalla manette.

“Ecco qua.” Mi porge anche un accendino, un comunissimo Bic... chissà perché mi aspettavo qualcosa di... boh... diverso.

Appena il fumo raggiunge la punta della lingua... beh, mi vien da vomitare... subito dopo la gola comincia a bruciare.

“Lei non fuma?” Gli domando, cercando di reprimere dei conati e la tosse.

“Ho smesso, ma mi piace che qualcuno mi fumi vicino.” Mi sorride, poi aggiunge: “è palese il fatto che tu non ci fossi più abituata.”

Rimango un momento basita, “cosa intende?”

Continua a mantenere quell'espressione sorniona, “ti è stato trovato un pacchetto di sigarette in tasca, quando sei stata arrestata.”

Un pacchetto di Camel Blue...

“Un pacchetto di Camel Blue con ancora dodici sigarette rimanenti.” Mi dice.

Mi sento la testa leggera, quasi fossi in preda ad un infinito capogiro... questo si prova quando non fumi da tempo.

“Non capisco... non capisco cosa sta succedendo...” ammetto, cercando di evitare che la cosa mi sfugga totalmente di mano... non capisco cosa stia accadendo, mi sembra assurdo tutto ciò.

“Stiamo avendo una conversazione. Tu percepisci la cosa in modo diverso?”

Non se la vuole proprio togliere quell'espressione...

“Cosa?” Sono confusa, e non faccio nulla per nasconderlo... che senso avrebbe?

“Che cos'è che ti confonde?” Si porge in avanti. Ora posso sentire il suo odore... profumo da donna, qualcosa adatto ad una ventenne, massimo trentenne... su una donna più matura risulterebbe volgare.

Decido che la sincerità è la via più facile per uscire dall'impaccio, “questa conversazione segue regole che non conosco... a tratti la percepisco come surreale...”

Si ritrae come colto da un benessere improvviso... non te lo nascondo: l'ho immaginato sulla tazza...

“Bene, molto bene.” Annuisce soddisfatto. Doveva aver un gran mal di pancia... okay, la finisco.

Cosa è bene?

“Cosa è andato bene?” Gli domando.

Unisce le mani, in quel momento noto la fede al suo dito, e le sfrega come una mosca, producendo un suono – non so perché- che mi piace molto. “Abbiamo stabilito che sei in grado di sostenere una conversazione normale, o per lo meno, di notare quando questa non lo è.”

Oh, ora è tutto chiaro!

“Non credo di aver capito...” dico, mentre mi guardo intorno per trovare un posto dove lasciar cadere la cenere. Ma non lo trovo, così il palmo della mia mano diventa il posacenere.

“Hai percepito un'anomalia nel modo in cui conducevo il discorso. Ciò esclude, almeno a livello teorico, una buona parte di patologie mentali.” Lo sfregamento delle sue mani continua... una parte di me spara che non smetta mai.

Vabbè, il professore è lui...

“Mi fa piacere, suppongo...” dico, lasciando che altra cenere cada nel mio palmo.

“Ma se non sei una sociopatica, cosa ti ha spinto ad uccidere nove persone?” Continua.

Come può dire se lo sono o meno...? Non possono bastare pochi scambi di battute... o sì?

E davvero è già il momento di affrontare il discorso saliente?

“Non ho ucciso nove persone... ne ho uccisa una... e non volevo farlo...” mi spengo la sigaretta sul palmo... mi sembra l'unico modo, ora come ora, per impedire che gli occhi freddi e vuoti di Eleonora mi accusino.

Lo sfregamento cessa.

Odio questo silenzio...

“E' stato un mostro...” scuote la testa, “un mostro evocato da un libro, fra l'altro, mai ritrovato.” Appoggia la schiena alla, presumo, morbida seduta. “Lo capisci che non posso crederti?”

Certo che sì... non so neppure se tu mi credi...

“Lo capisco perfettamente, ma ciò non implica che io stia mentendo.” Gli rispondo, guardandolo dritto negli occhi.

“Sei convinta di ciò che dici.” Il suo tono è scettico e lievemente derisorio.

Dunque?

Ma lui non parla... mi fissa come se la mia faccia potesse dirgli ogni cosa.

“Non dico mai cose che non penso davvero, tranne quando è mia espressa intenzione mentire... ma tutti mentono... questo non fa di me un mostro o una pazza.” Dico, quando il silenzio rischia di assordarmi.

“La cosa che mi lascia maggiormente basito...” stringe le labbra, ed io penso che quei corti baffetti gli solletichino il naso.

La cosa che lo lascia maggiormente basito...?

Ma lui sta zitto.

“Io penso che tu abbia qualche problema, se vogliamo esprimerci come comuni mortali...”

Ma...?

Perché deve fare così?

C'è un ma?

“Ma è troppo presto per esprimere un giudizio su di te. Ed è troppo presto anche per parlare di alcune cose, prima devo riuscire ad inquadrarti per bene.” Mi dice.

Beh... direi...

“E' inoltre prematuro...”

Cosa?

“Ma vorrei che tu ragionassi attentamente su un quesito.”

Quale?

Mi fissa in silenzio.

“Sì?” Lo incoraggio.

“Tornerò fra tre giorni.”

Okay, va bene... dunque mi prende in considerazione... ma a cosa devo pensare?

“Mi ha detto di ragionare su qualcosa...” dico.

Lui annuisce.

Mi prende per il culo?

Passano i secondi...

“Vuoi morire?” La sua voce profonda squarcia il silenzio, un silenzio ormai saturo di voci spiacevoli... di sguardi violenti ed accusatori.

Perché rivolgermi la domanda al, tra virgolette, negativo? Perché non mi ha chiesto se voglio vivere...?

Ed io... io voglio morire o voglio vivere?

“Perché...?”

Ma lui m'interrompe, “no, no, no...! Mi risponderai tra tre giorni.”

Non mi sono bastati più di vent'anni... cosa potrei mai risolvere in tre giorni...? E davvero ci ho pensato...? Voglio davvero chiedermelo...? Voglio davvero saperlo?

“Come desidera....” gli rispondo.

“Abbiamo molto di cui parlare.” Si alza.

Se lo dice lui...

“La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato...” per fortuna i resti della mia fumata sono nella mano sinistra, così posso usare la destra per stringergli la mano.

“E rifletti anche su cosa, per te, significa dolore.” Forse me lo sono immaginato, ma credo che lui abbia fugacemente rivolto l'attenzione alla mano chiusa.

  
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