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Autore: Marauder Juggernaut    25/04/2020    4 recensioni
{Dal testo}
Non fare domande di cui non si vuole sapere la risposta.
Una regola non detta, una legge non scritta, un dogma che era implicitamente entrato nell’inconscio di tutti i fratelli Charlotte.
[...]
Katakuri, perché non sei sposato?
[...]
“Sono la lama più affilata di questa famiglia. Devo mantenermi tale in ogni momento. Non avrò tempo per una moglie.”
Flambé era contenta di questo. Si mangiava con gli occhi il fratello maggiore e godeva dell’idea che non ci sarebbe mai stata una donna che avrebbe occupato il cuore di Katakuri. Ma Flambé aveva trentatré anni in meno del secondogenito maschio e non sapeva cosa era successo prima;
[...]
Perché Charlotte Katakuri, di donne, ne aveva avute.
E aveva amato ciascuna di loro. Appassionatamente, ferocemente, dolcemente, fino a perdere tutto il fiato che aveva in corpo e tutta la fiducia che aveva in quella vasta porzione di futuro che non riusciva a prevedere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Katakuri, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Note autrice: un ringraziamento speciale alla Tana dell'Elfo che mi ha fornito il nome dell'alcolico.
M.J.


 
Kalliope della tribù dei Gambelunghe, parte prima



 
La seconda fu Kalliope.
I suoi capelli erano fiamma pura: una cascata di boccoli ramati che scendeva sulle spalle fino alle natiche; le cosce poi erano prorompenti, ginocchia forti e polpacci possenti; un quadro che sembrava stonare con le caviglie quasi sottili.
Katakuri aveva venticinque anni quando incontrò Kalliope per la prima volta, scoprendola tra i pirati delle ciurme alleate; vide i suoi occhi verdi, le sue lentiggini che coprivano il naso e scendevano poi sul collo e sul petto, quel sorriso rovinato e insieme raffinato dalla fessura tra gli incisivi. Una risata sguaiata che si poteva sentire dal ponte di ogni nave.
Era della tribù delle GambeLunghe, come Smoothie. Forse era proprio associarla alla sorella minore che lasciava Katakuri dubbioso sul versante sentimentale.
Tutti i suoi ripensamenti andarono ben presto in fumo perché Katakuri sapeva fare tante cose, ma non comandare al proprio cuore che aveva solo buoni sentimenti nei confronti di una donna che poteva guardarlo negli occhi e non vacillare, complice anche l’altezza quasi simile che li portava a essere faccia a faccia un po’ troppo spesso e mai abbastanza.
Quella donna poi sembrava divertirsi molto nello stuzzicare il ministro della farina, si passava la lingua su labbra e denti in modo troppo malizioso quando parlava con lui.
Cracker, in merito, diceva che Katakuri non poteva lamentarsi di ricevere segnali ambigui: non c’era nessun doppio senso nascosto dietro i gesti di Kalliope, volevano proprio dire quello che Katakuri pensava.
 
«Lei … Lei beve troppo poco, ministro Katakuri» osservò Kalliope agitando il boccale di birra, facendola spillare oltre l’orlo. Rumorosa, non abbastanza per sovrastare lo spropositato chiasso della taverna, ma a sufficienza per attirare su di sé tutta l’attenzione di Katakuri.
Non che le servisse: il pirata non le staccava gli occhi di dosso, uno sguardo che scandagliava ogni centimetro di corpo che andava dagli occhi verdi e furbi fino al ventre coperto in parte dal tavolo rotondo a cui si erano accomodati.
Era stata Kalliope a invitarlo a bere sull’isola di Liqueur, conosciuta in tutta Totland per i distillati potenti, zuccherosi e afrodisiaci. Katakuri non aveva avuto voglia di dirle di no.
E in quel momento se ne stava lì a sorseggiare senza dare nell’occhio dell’Ambrosia, quel vino liquoroso che scaldava lo stomaco e tirava una fiocinata al cervello e per cui Compote forniva le migliori viti di Fruits; il buon senso gli suggeriva di non lasciarsi troppo andare, per questo aveva ancora diverse dita di vino nel suo primo bicchiere. Kalliope, invece, era già a metà del terzo boccale e ciò la rendeva particolarmente incurante di quello che le accadeva attorno.
Non che a Katakuri dispiacesse vedere il limite del coletto di lei spostarsi e posarsi ben oltre la sua spalla, lasciando scoperto buona parte del decolté. Tanto a Kalliope non sembrava importare (o semplicemente le faceva piacere essere suo oggetto di attenzione).
«Da quando la formalità, Kalliope?» domandò curioso e ironico Katakuri, prendendo tra le dita il proprio bicchiere e facendo girare liquido denso lungo le pareti di vetro, prestando attenzione a non spanderlo sul tavolo.
«Beh, da quando tua madre ti ha nominato ministro dell’isola di Komugi» ribatté lei ovvia, guardandolo con quelle iridi intense e spalancate. Si voltò poi verso la platea indifferente degli avventori del locale, portando una mano vicino alla bocca per amplificare la propria voce. «Ehi, tutti voi! Il qui presente Katakuri Charlotte è appena diventato Ministro della farina! Su i boccali per un bel brindisi!»  incitò la folla gettando occhiate divertite a Katakuri che si massaggiava le palpebre con un sospiro sconsolato, ma un sorriso nascosto dalla sciarpa.
Tutti i presenti urlarono eccitati, sollevando i boccali e sbattendoli tra di loro come una gara a chi faceva più casino, alimentando ancora di più la confusione e presto si dimenticarono di loro, tornando a far festa come se quel momento di celebrazione non ci fosse mai stato.
Kalliope continuò la propria birra, svuotandola ancora di più.
«Sono sempre io, Kalliope…» smorzò la questione Katakuri, celandosi dietro la sciarpa per bere un altro goccio di Ambrosia, cercando di non pensare a quante responsabilità in più avrebbe portato il titolo di ministro.
«Certo che sei sempre tu, per questo ti ho invitato fuori a bere» confermò lei, facendo le spallucce e sbilanciando maggiormente la stoffa sbilenca sul suo petto, rivelando sempre più porzioni della costellazione di lentiggini che la ricopriva. Quanto avrebbe voluto Katakuri esplorare quella galassia, sfilando la stoffa strato dopo strato fino a lasciarla nuda davanti ai propri occhi.
Gli sarebbe piaciuto farlo ed era certo che Kalliope gliel’avrebbe lasciato fare.
«Allora non usare più la terza persona, soprattutto quando hai una gamba sopra le mie…» disse Katakuri, osservando scettico ma divertito la lunga gamba destra di Kalliope, buttata prontamente sulle sue cosce sin dalla seconda birra di lei. A Katakuri non aveva dato fastidio, non le aveva fatto notare nulla e lei non si era degnata di spostarla per tutto il tempo.
Fino a quel momento, dove lui la guardava con un sopracciglio sollevato e lei sorrideva sorniona.
«Potevi spostarla quando volevi» gli fece notare, senza smettere di sorridere mostrando quella fessura tra i denti che le faceva fischiare qualche consonante.
E perdermi lo spettacolo?” pensò Katakuri, ma non lo disse; lo sguardo che lanciò alla gonna sollevata ben oltre la metà coscia fu comunque abbastanza eloquente. E interessato.
Sperando che quegli istanti di audacia che gli stavano facendo bruciare il petto e solleticare le mani non scomparissero presto, il Ministro delle farina trangugiò tutta l’Ambrosia che aveva nel bicchiere (scostando la sciarpa per meno di un secondo) davanti allo sguardo sorpreso di lei e posò la mano sulla sua coscia, lì dove l’orlo della gonna terminava, accarezzando sensualmente la sua pelle e spostando sempre di più la stoffa.
Non seppe dire se lei fosse arrossita (per una volta nella vita) oppure si fossero solo soffuse le luci nella taverna.
«Oh-oh, coraggioso da parte tua, Katakuri» gli concesse l’altra, sollevando un poco l’angolo della bocca. «Ma se credi davvero di ottenere così in fretta ciò che vuoi,» lo ammonì severa e maliziosa, prendendo la sua mano e spostandola più in su, a contatto con la pelle lì dove la coscia incontra l’anca; le dita di Katakuri fremettero, ma quelle di Kalliope rimasero ben salde sulla presa, vietandogli di scivolare sull’interno coscia «ti sbagli di grosso».
Katakuri mollò la presa per lo stupore, guardandola sbigottito come se non avessero passato gli ultimi mesi a danzarsi intorno pronti a fare il passo finale nella camera da letto.
«Non si direbbe, ma io sono una signorina per bene». Non lo sembrava proprio e il tono sarcastico con cui l’aveva detto lasciava ben intendere che stesse scherzando su quel fronte, almeno in parte.
«Non si direbbe proprio infatti» commentò Katakuri, concentrandosi sugli avventori della taverna.
La gamba di Kalliope scattò; il Ministro della farina ebbe giusto il tempo di prevedere il movimento e spalancare le ginocchia per evitare che i tacchi della Gambelunghe facessero uno spiacevole incontro con i suoi genitali. I movimenti delle gambe di Kalliope erano talmente precisi e veloci da mettere in difficoltà anche quella capacità di prevedere il futuro che stava apprendendo piano piano. Forse anche per questo le piaceva: quella donna era una sfida continua.
Kalliope mosse il piede sulla seduta della sedia, divertita da come il suo gesto lo aveva messo in guardia. La sua caviglia gli accarezzò il cavallo dei pantaloni, il suo ginocchio talmente alto da minacciare il mento di Katakuri.
«Voglio essere corteggiata» dichiarò decisa, finendo la propria birra.
Katakuri sollevò un sopracciglio. «Stai scherzando?»
Non stava scherzando.
 
 
Katakuri la fissò, infastidito dalla sua incredulità. Lei, in ogni caso, non smetteva di essere sorpresa e lo stupore storpiava i suoi lineamenti, ma non tanto da renderla non piacevole agli occhi. Lei non smetteva di essere bella. E rumorosa; dannatamente rumorosa, con una risata che si poteva sentire in ogni anfratto dell’isola.
«Stai scherzando…» sospirò lei sbalordita, continuando a camminare per le strade di Komugi.
Quello doveva essere un’uscita insieme; lei aveva preteso un corteggiamento e Katakuri era cresciuto con un’indole da gentiluomo che gli impediva di negargliene uno. Che avesse poche idee su dove portarla, era un’altra questione.
Si era quindi limitato per il momento a una passeggiata romantica per le strade dell’isola a cui la madre lo aveva messo a capo, per fargli vedere quell’appezzamento di terra che era ormai un suo possedimento; poi avrebbe sperato in un miracolo perché gli venisse in mente qualcosa da fare fino all’ora di cena. Era un gran sperare perché gli orologi sulle alte torri della città indicavano a malapena le 2:50 del pomeriggio.
Inizialmente aveva creduto che il tour dell’isola avrebbe impiegato più tempo, ma aveva mal considerato l’ampiezza della falcata e la velocità del passo di entrambi. Non che avessero finito il giro, ma non mancava così tanto da vedere da occupare tutto il tempo fino all’ora di cena.
«Non sto scherzando» affermò serio.
La questione in corso, comunque, sembrava per Kalliope ben più interessante delle bellezze che poteva offrire Komugi.
«Mi stai dicendo che il secondo figlio di Charlotte LinLin … sai, no quella Charlotte LinLin che ogni tre per due ha attacchi di fame da dolci improvvisa da distruggere intere isole, … in quanto? Venticinque anni non ha mai assaggiato una ciambella?».
Katakuri roteò gli occhi al cielo, esasperato: quella discussione stava andando avanti da fin troppo tempo ormai.
«Sì, è vero … è così strano?» chiese leggermente irritato. Nemmeno ricordava più come fosse saltata fuori quella questione, ma stava occupando fin troppi minuti.
«Considerando il fatto di chi sia tua madre e che tu sia il Ministro della farina? Sì, decisamente…».
Il pirata scrollò le spalle, indifferente alla sua stranezza. Le strade non erano poi così affollate, ma tutti i ristoranti, i café, le case da te e i bar ai lati della strada erano aperti e c’erano clienti un po’ dovunque.
«Sarò strano allora» confermò allora lui stesso senza smettere con al propria indifferenza e fermezza.
La sua facciata impassibile crollò per un istante quando un peso non indifferente lo bloccò per un braccio; Katakuri si voltò sorpreso mentre Kalliope avvolgeva le braccia muscolose attorno al suo e lo fissava con i due occhioni verdi e luminosi.
«Visto che ci troviamo a un appuntamento insieme, direi che è ora di rimediare» disse Kalliope con un tono che non ammetteva un “no” come risposta.
Prima che potesse impedirlo, Katakuri si ritrovò trascinato per lunghi tratti verso il café più vicino, facendosi accomodare su un tavolino troppo piccolo dalla presa decisa della Gambelunghe che lo fissava divertita.
Katakuri sentì le ginocchia urtare il piano del tavolo; nemmeno Kalliope sembrava stare particolarmente comoda, ma ciò non le impediva di fare un sorriso a trentadue denti con quella fessura disarmonica in mezzo agli incisivi.
«Sono quasi le tre, è ora di fare merenda!» esclamò, cercando di mettersi più comoda sulla sedia minuscola.
Katakuri non poté che sollevare un sopracciglio, perplesso da quel nuovo vocabolo utilizzato che sembrava implicare l’aggiunta di un nuovo pasto a quelli tre abitudinari della giornata.
«Che sarebbe?». Kalliope fece una smorfia fintamente scandalizzata come risposta alla domanda, portandosi una mano al petto generoso.
«Davvero non lo sai? Lascia che ti racconti» disse lei, provando ad accavallare le gambe. «Devi sapere che…»
«I signori desiderano ordinare?» si intromise un cameriere che risultava anche troppo minuscolo messo a confronto con loro due. Nonostante la statura, non sembrava a disagio tra i due titani.
«Prima che il Ministro qui presente possa fare il suo ordine…» si intromise Kalliope scoccando un’occhiata a Katakuri «io proporrei un vassoio con assortimento di ciambelle … ah, e del tè bianco al mango» richiese lei, mettendosi di nuovo comoda, per quanto possibile contro quello schienale minuto, dopo che il cameriere se ne era andato.
Era stata un po’ troppo veloce: Katakuri era riuscito a capire tramite il proprio molto sviluppato haki che Kalliope aveva intenzione di prendere l’iniziativa, ma non gli era stato possibile capire cosa.
Si domandò quanto fosse possibile migliorare ancora.
«Allora, cos’è questa merenda?»
«Ah, giusto!» Rammentò all’improvviso lei, ormai dimenticato che stava spiegando qualcosa a Katakuri prima dell’interruzione. «Devi sapere che nel Mare Meridionale è usanza avere un pasto tra il pranzo e la cena, intorno alle tre o quattro del pomeriggio, dove di solito si consumano dolci di pasticceria. Questo pasto si chiama appunto merenda».
Katakuri batté le palpebre, interessato. «Un altro pasto come scusa per mangiare altri dolci, eh?» domandò curioso, soppesando quella novità, alquanto intrigato.
Kalliope mise su un finto broncio adorabile. «Non descriverlo come se fosse solo una scusa per ingurgitare zuccheri, Katakuri» ridacchiò, spostandosi un poco di lato per lasciare spazio al cameriere di posare le ordinazioni.
Il Ministro della farina guardò quei tondini col buco al centro, coperti di glassa dai vari colori; erano davvero invitanti, non riusciva davvero a trovare un motivo per cui non li avesse mai assaggiati in tutti quegli anni.
«Sembrano buone» commentò, prendendo il filtro dell’infuso per inserirlo nella teiera che avrebbero condiviso.
«Sono più che buone, fidati» affermò lei sicura, posando il viso sul palmo della propria mano e scoccando uno sguardo a Katakuri. «Magari questa è la volta buona che riesco a vederti senza la sciarpa» disse candida, non accorgendosi di come si fosse fermato il respiro di Katakuri.
Non sarebbe mai riuscita a notarlo, come stoico lui lo nascondeva dietro la sciarpa incriminata.
Non si permise di seguire il filo dei propri pensieri un secondo di più: non era quello il momento, ci avrebbe pensato a tempo debito e l’avrebbe tenuto nascosto fino a quando non lo avrebbe ritenuto opportuno.
Ma in quel momento, aveva una prelibatezza da gustare.
Con la sua solita fulmineità, riuscì ad agguantare una delle ciambelle e a gustarsela ben prima che Kalliope potesse davvero capire che stesse succedendo. E quando lo face, fu troppo tardi: Katakuri era riuscito già a ritirarsi su il bordo morbido della sciarpa e a gustarsi tranquillo quel sapore soffice e zuccherino.
Sgranò gli occhi. Erano buone; buone davvero.
Probabilmente aveva un’espressione sbalordita in faccia, perché Kalliope gli rispose subito. «Allora che ti avevo detto?» sbuffò compiaciuta, prendendo la teiera e servendosi un po’ di tè. «Per questa volta lascio correre, ma prima o poi vedrò cosa nascondi lì sotto» promise certa, nascondendo un sorriso sornione dietro il bordo della tazza.
Katakuri sospirò silenzioso. Prima o dopo sarebbe giunto il momento di dirglielo.

 
   
 
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