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Autore: Hiraedd    28/05/2020    4 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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NOTE:
Sono davvero felice di vedere il riscontro positivo avuto dallo scorso capitolo! Mi ha davvero emozionato sapere quante persone erano e sono tutt’ora affezionate a questa storia, e sono felice che nuovi lettori si siano aggiunti. Non scherzavo la volta scorsa quando ho scritto che questi personaggi, che ci crediate o meno, sono rimasti con me per tutti questi anni un po’ come amici immaginari, credo sia per questo che appena ho iniziato a scrivere lo scorso capitolo si è come sollevato un coperchio. La storia si sta un po’ scrivendo da sola sulla base di quello che per anni ho continuato a immaginare, quindi sono già alla fine del prossimo capitolo! Tuttavia, anche se a scrivere procedo molto velocemente (per gli standard cui ero abituata), ho deciso che aggiornerò una volta a settimana, il giovedì. Per adesso, infatti, anche con la ripresa del lavoro e la tesi riesco a ritagliarmi il tempo per scrivere.
Dunque, qualche spiegazione tecnica per procedere alla lettura del seguente capitolo: ci sono numerosissimi flashback e pur non anticipandovi niente della sostanza vi dico che rimandano ai Capitoli 15, 17 e 18. È una sorta di recap di tutto quello che è successo in questo periodo tra Caradoc e Benjy e i flashback procedono in ordine cronologico. Le parti scritte in corsivo sono, per l’appunto, questi flashback, quelle scritte normali sono invece collocate cronologicamente nel capitolo 21, dopo la conversazione di Caradoc e Dorcas.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 21
 
 
 
 
 
And if you have a minute, why don’t we go,
Talk about it somewhere only we know?*
 
 
 
 
 
L’alba era ormai passata da un pezzo e la casa del Guardiacaccia era vuota. Appena arrivato, Benjamin si era guardato bene intorno per cercare di capire se Hagrid fosse nelle vicinanze ma, una volta assicuratosi di non scorgere la presenza del mezzogigante, si sedette sul tronco abbattuto a poca distanza dalla porta d’ingresso, quello che era ormai diventato il suo solito posto.
 
Nelle ultime due settimane quella, per lui, era diventata una routine: era entrato talmente nell’ottica di iniziare le sue giornate in quel modo che, nei giorni della settimana precedente in cui a causa del clima era stato quasi possibile uscire dal castello, era rimasto di umore intrattabile fino almeno a metà pomeriggio.
 
Generalmente scendeva alla capanna di Hagrid per assicurarsi di non aver ricevuto posta da sua sorella – che la inviava sempre tramite i più strani volatili e che quindi avrebbe, in Sala Grande, attirato troppa attenzione. L’ultima lettera che aveva scritto a Jodie, però, risaliva solo alla giornata precedente: seduto al solito posto, sul suo pezzo di tronco abbattuto, si chiese se le ragioni che lo avevano trascinato giù dal letto quella mattina così presto fossero altre. scuotendo il capo come a togliersi dalla testa quei pensieri molesti, Fenwick alzò lo sguardo verso il castello dove vide esattamente chi che stava aspettando camminare verso di lui con, in mano, un piccolo cesto.
 
<< Sai >> lo salutò Caradoc arrivato a pochi passi da lui, sistemandosi seduto su una delle zucche giganti che Hagrid teneva sul prato e mettendo il cesto a metà strada tra sé stesso e il Serpeverde << Dal momento che il dormitorio della tua casa si trova nei sotterranei e il mio in cima ad una delle torri, sarebbe davvero tutto più facile se dalle cucine ci passassi tu >>.
 
 
*
 
 
Benjamin Fenwick era sempre stato curioso nei confronti di Caradoc Dearborn.
 
A posteriori doveva ammettere che, nonostante l’antipatia che aveva sempre provato a livello istintivo nei suoi confronti, il Corvonero – tra tutti i suoi nuovi conoscenti – era stato quello più capace ad attirare la sua attenzione.
 
Se, facendo mente locale, avesse provato a strizzarsi le meningi, il Serpeverde avrebbe potuto vedere le radici di quella nuova routine che insieme avevano instaurato risalire fino a quel pomeriggio che avevano passato insieme nell’aula di Pozioni. Se doveva essere totalmente sincero, però, forse addirittura a qualche tempo prima.
 
Eppure era stato quel pomeriggio che aveva cambiato qualcosa. Se ne era accorto praticamente subito.
 
Dopo che erano usciti dallo sgabuzzino in cui si erano rifugiati per fuggire l’ira funesta del custode della scuola, Benjamin si era allontanato a passo spedito e aveva lasciato Dearborn piantato come un sasso in mezzo al corridoio del sotterraneo, recandosi nuovamente nell’aula di Pozioni.
 
Mentre si allontanava nel corridoio scuro e poi per buona parte del rimanente pomeriggio, Benjy si era sentito seguito dallo sguardo del ragazzo, lo stomaco attorcigliato da una strana sensazione in risposta alla tensione che aveva dominato i suoi ultimi momenti con il Corvonero.
 
Quello era stato un pomeriggio strano, decise, come non ne aveva mai passati prima.
 
Rientrato nell’aula di Pozioni constatò con uno sguardo abbattuto che i risultati dell’incidente – se così lo si voleva chiamare – erano ancora tutti lì, sul bancone che aveva utilizzato e sul pavimento della stanza, in forma di una strana, viscida sostanza verde.
 
Benchè avesse fin dall’inizio temuto il peggio, provò ugualmente a pulire il tutto con uno svolazzo di bacchetta e un incantesimo pulitore ben piazzato. Come aveva sospettato, però, la strana sostanza non diede cenno di sparire e, rassegnato, Benjamin si costrinse ad invocare gli attrezzi necessari a riordinare.
 
Pulire alla babbana il mezzo macello di cui era colpevole non era certo divertente, ma gli fornì il tempo necessario a ripensare e metabolizzare ciò che era successo nel pomeriggio e, più in generale, nell’ultimo periodo. Mentre sfregava la pietra del pavimento con uno straccio inumidito, quindi, si ritrovò a fare i conti anche, tra una cosa e l’altra, con quell’ultimo paio d’ore che aveva passato in solitudine con Caradoc Dearborn.
 
E, di conseguenza, con quella mezza cosa attorcigliata che sentiva di avere in mezzo allo stomaco al suo solo pensiero.
 
 
*
 
 
Alla sera, quando aveva finito di pulire e si era recato a cena, era rimasto quasi stranito dal suono del chiacchiericcio di altri esseri viventi nel castello.
 
Era una cosa che gli capitava spesso, quando passava tanto tempo in silenzio: si abituava così tanto al suono unico dei propri pensieri da rimanere sbalordito – e vagamente infastidito, se doveva essere sincero – nel rendersi conto che attorno a lui coabitava un intero sistema di suoni e persone. Specialmente quel tardo pomeriggio, poi, i pensieri che sentiva di aver avuto in mente erano talmente assordanti e confusi da sentire la testa scoppiare solo al pensiero di rivolgere la parola a qualcun altro.
 
Per un attimo accarezzò l’idea di saltare la cena e rintanarsi in camera per mettersi a dormire, ma un gorgoglìo imbarazzante da parte del suo stomaco vuoto lo costrinse a dirigersi in sala grande.
 
Non era sicuro di essere pronto al contatto con il mondo, però. Soprattutto, sapeva che prima o poi si sarebbe imbattuto in…
 
<< Benjy! >> lo sorprese alle spalle la voce di Dorcas << Ti ho cercato tutto il pomeriggio. Dove sei stato? >>.
 
Per l’appunto, proprio la persona che sperava di evitare.
 
Era un pensiero strano, sperare di evitare ancora per un po’ la propria migliore, e probabilmente unica, amica. Non che ne fosse sorpreso, Benjamin Fenwick, dal momento che quella pareva essere la giornata deputata ai pensieri strani.
 
<< Dorcas, stai salendo a cena? >> chiese tentando di glissare elegantemente sulla domanda.
 
<< Si, visto che non ti ho trovato fuori ho pensato dovessi essere già andato a cena >>.
 
Il fatto che rimarcasse sottilmente l’aver speso tempo a cercarlo fece capire a Benjamin che Dorcas non avrebbe mollato la presa sulla questione.
 
Si chiese come spiegare l’andamento del proprio pomeriggio alla ragazza senza sembrare pazzo.
 
<< Sono stato tutto il tempo in dormitorio a riposarmi >>.
 
A quanto pareva, aveva deciso di non spiegare proprio niente.
 
 
*
 
 
Nel corso della settimana successiva si rese conto che la cosa stava diventando ridicola: non poteva camminare in giro per la scuola senza vedere Dearborn ovunque, a quanto pareva.
 
Quando andava in biblioteca se lo trovava davanti impegnato a sfogliare un libro, seduto proprio al solito tavolo che normalmente ospitava lui e Dorcas; a pranzo e a cena, ogni volta che ci prestava attenzione, poteva notare che Dearborn era sempre seduto alla sua stessa altezza – anche se a un tavolo diverso – ma di fronte a lui, impegnato a ridere e scherzare con la Jones e a riempirsi come un tacchino. Perfino il sabato mattina successivo, mentre stava aspettando Cinthia nel posto in cui si erano dati appuntamento per andare insieme a Hogsmeade, si era visto Dearborn e compagnia cantante sfilargli davanti in tutta tranquillità.   
 
Durante quella gita ad Hogsmeade, poi, tutto era degenerato. Non sapeva cosa fosse stato a spingere Cinthia a rivolgersi al Corvonero in modo così cattivo: la Rosier aveva fama di non essere docile, certo, ma il tono soddisfatto con cui si era rivolta al ragazzo pareva celare più di una semplice antipatia. Mentre era lì, però, invischiato in quella tensione così densa da poter essere tagliata con il coltello, gli sembrò ingiusto assistere a tanta cattiveria gratuita, e quando alla fine il Corvonero, spinto e protetto dai suoi due amici, uscì velocemente dal negozio, anche Benjamin sentì l’inspiegabile voglia di voltarsi contro la Rosier e difendere Dearborn che Prewett e Bones avevano dipinta nello sguardo.
 
<< Perché tanto rancore? >> le chiese mentre i tre, catapultatisi fuori dal negozio, lasciavano la via principale per sparire in uno dei tanti vicoletti.
 
La domanda doveva essergli uscita pregna del dispiacere e della rabbia che lui stesso provava, perché Cinthia lo guardò stupita. Il commesso, nel silenzio generale, si allontanò verso il fondo del negozio, con stampata in volto la poca voglia di restare invischiato in una seconda scomoda conversazione nel giro di cinque minuti.
 
<< Come prego? >> sibilò Cinthia, inarcando un sopracciglio.
 
Se fosse stato più furbo, forse, avrebbe evitato di rispondere e se ne sarebbe andato piantandola così, su due piedi. L’umiliazione gratuita che aveva visto dipinta sul volto del ragazzo più grande, tuttavia, lo costrinse incomprensibilmente ad esporsi in un modo che non gli era mai stato proprio.
 
<< Che bisogno c’era di tirare in ballo suo fratello? >>.
 
La ragazza storse le labbra in un ghigno beffardo.
 
<< Stai scherzando, vero? >> replicò quasi divertita << Hai visto anche tu come mi ha trattata da quando è entrato nel negozio! E poi, quello che è successo con Aidan Dearborn… >>
 
<< Non mi interessa cosa sia successo a Aidan Dearborn >> la interruppe alzando la voce di un tono, quasi furioso << Non ne avevi il diritto, e tirare in ballo una cosa tanto privata è gratuita cattiveria. E la cattiveria, Rosier, è l’ultima risorsa dei deboli >>.
 
L’aumento dei toni aveva richiamato di nuovo l’attenzione del commesso, che pareva però restio ad avvicinarsi. Non esattamente un leone di coraggio, quel ragazzo. Per toglierlo dall’imbarazzo, e accorgendosi di aver messo in piedi una sorta di scenata che non valeva la pena continuare, Benjamin prese due guanti dal cesto che era stato oggetto della contesa fino a poco prima e li mostrò al commesso. Poi, dalla tasca del mantello estrasse una manciata di monete.
 
<< Il resto è mancia >> gli disse appoggiando i soldi su un ripiano lì vicino.
 
Riservò un ultimo sguardo deluso alla ragazza, poi uscì dal negozio e la lasciò sola.
 
 
*
 
 
<< … ed è in seguito a ciò, che abbiamo capito che ci si poteva passare messaggi attraverso i quadri >> stava spiegando Caradoc Dearborn con un sorriso saputo in volto, come a sottolineare la furbizia dell’iniziativa.
 
<< Quindi stai dicendo che al terzo anno tu e Podmore avete inventato un modo all’interno del castello per comunicare senza gufi rendendo complici tutti i quadri delle vostre malefatte? >>.
 
Lo scetticismo nel tono di Benjamin era palpabile.
 
<< Cosa vorresti dire con quel tono? >> chiese Caradoc fingendosi offeso << Siamo Corvonero, noi due. Siamo persone sveglie! E poi, no, non abbiamo coinvolto tutti i quadri, solo quelli con lo sfondo sui toni del rosa >>.
 
L’altro ragazzo inarcò le sopracciglia.
 
Il Corvonero diede in un altro sorrisetto soddisfatto.
 
<< Il rosa è un colore particolarmente sensibile alla luce, con le giuste considerazioni abbiamo convinto i protagonisti dei quadri ad aiutarci >>.
 
<< Quello che intendi dire con questo è che li avete minacciati con un lumos solem di danneggiare una parte del quadro se non vi avessero aiutato. Molto Serpeverde da parte vostra >> commentò infine Benjamin sporgendosi per prendere un altro pezzo di toast dal cesto.
 
Caradoc schioccò la lingua ma non replicò alla frase, limitandosi ad osservare il Serpeverde mangiare di gusto la propria colazione.
 
Era una cosa strana in cui trovarsi invischiato, decise. Erano due settimane ormai che, tempo permettendo, faceva colazione in compagnia di Benjamin.
 
Vagamente si chiese, a ripensarci, da quando il Serpeverde avesse smesso di essere Fenwick per diventare Benjamin. Non c’era da stupirsi che Dorcas se ne fosse accorta, era una grande osservatrice quella ragazza.
 
 
*
 
 
Dopo che Fenwick gli aveva mostrato, con quel tono così sottilmente orgoglioso, la foto in cui Jodie sorrideva felice per il regalo stupido che lui stesso aveva consigliato, Caradoc Dearborn non era riuscito ad addormentarsi.
 
Aveva la stanchezza di un giorno pesante addosso, arrivato al termine di una settimana infernale, e se possibile l’abbraccio istintivo che aveva condiviso con il Serpeverde sembrava aver accentuato il tutto. Di conseguenza, abbandonando le speranze per un sonno profondo che aveva nutrito appena prima del dialogo con Fenwick nei corridoi bui della scuola, Caradoc si era rigirato nel letto per tutta la notte.
 
La mattina successiva, stanco come ricordava di essersi sentito di rado in vita propria, appena fuori dalla finestra vide albeggiare si alzò dal letto e, allacciato il mantello sopra al pigiama alla bell’e meglio, uscì dal dormitorio.
 
Arrivò al portone principale del cancello e lo trovò già aperto. Lontano, stagliata lungo il profilo della Foresta Proibita, poteva vedere la casa del Guardiacaccia bagnata dalla luce del sole: fu solo quando ormai aveva abbondantemente attraversato il portone, ormai a metà strada in direzione della meta, che si ricordò di cosa fosse successo – e soprattutto chi avesse incontrato – l’ultima volta che si era recato al mattino così preso a cercare Hagrid.
 
Se c’era una persona in tutta Hogwarts che davvero non voleva incontrare quel primo mattino agli inizi di novembre, quella persona era proprio Benjamin Fenwick.
 
Non era colpa di quel patetico teatrino inscenato dalla Rosier qualche giorno prima, e nemmeno dell’istintiva antipatia che aveva provato precedentemente verso il Serpeverde. Vedere la foto di Jodie, tutta felice con i suoi guanti nuovi, gli aveva davvero fatto piacere, come d’altronde sapere che Fenwick si fosse disturbato – nonostante chiaramente la sopramenzionata antipatia fosse ricambiata – a spendere un po’ del proprio tempo nel fare sentire meglio Caradoc.
 
Dearborn era giunto pateticamente ad una conclusione durante la nottata passata in bianco: il problema con Benjamin Fenwick era proprio Benjamin Fenwick. Caradoc proprio non sapeva come inquadrarlo. Ogni volta che gli rivolgeva la parola era come parlare con una persona diversa: una volta stizzito, quella dopo gentile, quella ancora successiva inespressivo e rigido. Chi diamine era Benjamin Fenwick per tenere lui, la persona più complessa e nascosta di Hogwarts, sul filo del rasoio?
 
Quando arrivò abbastanza vicino alla casa di Hagrid da poter osservarne con attenzione i dintorni Caradoc vide che, purtroppo, aveva avuto ragione: Benjamin Fenwick, vestito per la giornata di tutto punto, era seduto sul tronco su cui era stato seduto nel cortile ed era intento ad imbustare un foglio di pergamena. Accanto, questa volta, aveva un bellissimo uccello bianco, le piume lucenti, quasi brillanti di luce propria.
 
Stette per un attimo fermo sul posto, combattendo diviso tra l’idea di fare marcia indietro e quella di andare a sedersi proprio sul pezzo di tronco libero vicino al Serpeverde. Alla fine, incuriosito dall’animale e – a voler proprio essere onesti – anche dal ragazzo, si avvicinò lentamente ai due.
 
 
*
 
 
Se la prima mattina era stata un caso, e la seconda poteva essere stata una coincidenza, dalla terza in poi si poteva definire una routine.
 
Era iniziata quindi così, per caso, ed esattamente per caso quella terza mattina nello scendere dalla torre di Corvonero fino al portone della scuola, Dearborn doveva avere pensato fosse una buona idea fare una deviazione fino alle cucine.
 
Da quel giorno in poi si incontravano per fare colazione fuori dalla capanna di Hagrid, a volte soli, a volte con il mezzogigante nelle vicinanze, che apprezzava sempre la compagnia.
 
<< Che lezione hai stamattina? >> chiese Benjamin scrollandosi di dosso le briciole della colazione.
 
<> rispose il Corvonero con una smorfia.
 
<< Fammi indovinare, troppo sporca come materia per piacerti >> sorrise Benjamin divertito.
 
Caradoc sbuffò sarcastico, ma poi annuì imbarazzato. Con un tono querulo aggiunse:
 
<< Non mi piace infilare le mani nella terra, grazie tante >>.
 
Una cosa che Fenwick era arrivato a capire di Dearborn dopo il tempo che avevano trascorso insieme, era che se la prima cosa a lasciarlo interdetto rispetto al ragazzo era stata la fugacità delle versioni di sé con cui egli si presentava, la realtà non era così semplice. Facendo attenzione, si poteva scorgere, se si era abbastanza interessati, un unico filo conduttore tra le mille maschere con cui il ragazzo si circondava.
 
Quindi non esisteva un Caradoc Dearborn vanesio ed egocentrico e uno distante e fragile. Ne esisteva uno solo, che era tutte quelle cose messe insieme e in perenne lotta l’una contro l’altra. Quindi la maschera “da principino del cazzo” – come l’aveva chiamata Podmore quel pomeriggio al lago di quasi un mese prima – era poi qualcosa di molto diverso da una maschera.
 
Da parte sua, che si trattasse di mille maschere o di una catena perfetta di sfaccettature, era arrivato a capire – non sapeva come e meno che mai il perché – che il motivo per cui Caradoc Dearborn lo incuriosiva tanto, fin dall’inizio, era che anche solo con uno sguardo sprezzante, anche quando si conoscevano appena, quel ragazzo sembrava capace di sfiorare le sue corde più sensibili. Solo con Dorcas, forse, era successa una cosa del genere.
 
Faceva paura il fatto che questa idea non lo spaventasse quanto probabilmente avrebbe dovuto.
 
 
*
 
 
Avevano appena iniziato quella strana routine e all’improvviso, a causa del clima, per giorni non avevano potuto mettere il naso fuori dal castello.
 
Non era poi una cosa così terribile, si era detto Benjamin. D’altronde, forse, se avesse smesso di alzarsi così presto per un motivo che lui per primo si sentiva ancora incapace di afferrare, forse sarebbe stato più riposato durante il giorno e non sarebbe crollato dal sonno ad un orario ridicolo alla sera.
 
Tuttavia, erano bastati anche solo un paio di giorni di tempesta perché il ragazzo iniziasse a mostrare un comportamento quasi febbrile e del tutto nuovo per lui: non era mai stato tipo da amare visceralmente il tempo trascorso all’aria aperta, né da sentirne così tanto la mancanza. Alla fine se ne era accorta anche Dorcas che, dopo averlo guardato per un intero pomeriggio scrutare il cielo plumbeo fuori da una delle finestre della biblioteca, lo aveva richiamato più volte e alla fine, sentendosi inascoltata, l’aveva perfino calciato sotto al tavolo.
 
<< Che diamine hai in questi giorni? >> gli aveva chiesto con tono incolore.
 
Davvero, quella era una domanda a cui Fenwick non aveva una risposta soddisfacente.
 
 
*
 
 
La mattina seguente la fine della tempesta si era alzato indeciso e, titubante, si era diretto in Sala Comune. Era da quando quel ciclo di tempeste era iniziato che sentiva la mancanza di una finestra nel proprio dormitorio; vedere il colore del cielo da un dormitorio piazzato sotto al lago nero quasi per intero era decisamente impossibile. Avvolgendosi in diversi strati per, eventualmente, proteggersi dal freddo esterno, si era diretto verso l’uscita del dormitorio e, da lì, verso la scalinata che portava all’ingresso del castello. Quando vide che il portone era aperto e il cielo oltre di esso era rischiarato dalle prime luci dell’alba un sorriso quasi spontaneo gli inarcò le labbra.
 
Per tutto il cammino fino alla casa del Guardiacaccia si disse di stare uscendo dal castello solo e unicamente per accertarsi di non avere ricevuto posta da Jodie: a causa del clima pessimo, era ormai quasi una settimana che non controllava se strani volatili fossero planati nel cortile di Hagrid, e proprio quando le tempeste erano iniziate stava aspettando una risposta da Jodie.
 
Non si stava dirigendo fuori dalla scuola come prima cosa al mattino con l’intento di vedere nessuno in particolare, decise.
 
D’altronde, erano passati diversi giorni dall’ultima volta che aveva casualmente incrociato Caradoc Dearborn in uno dei suoi pellegrinaggi mattutini in giardino e Fenwick seriamente dubitava che il Corvonero avrebbe ripreso questo genere di visite dopo gli ultimi giorni.
 
D’altronde, anche se per quasi una settimana avevano fatto colazione insieme, non voleva dire che fossero amici. Quando si incrociavano nei corridoi della scuola si rivolgevano a malapena un saluto.
 
Quando quella mattina, dopo ben cinque giorni di assenza, arrivò davanti alla capanna di Hagrid – infagottato nel mantello e intento a discutere animatamente con i mille dubbi che gli circolavano in mente – fu una mezza sorpresa vedere la sagoma del Corvonero vicino a quella più grande del Guardiacaccia, in mezzo al cortile.
 
Non ne era per niente sollevato, o almeno così si disse il ragazzo.
 
 
*
 
 
Prima che iniziassero ad incontrarsi all’alba per fare colazione insieme, Benjamin avrebbe scommesso tutto quello che aveva che lui e Caradoc Dearborn non avessero poi molte cose da dirsi: erano le due persone più diverse sulla faccia della terra, d’altronde, avevano interessi e personalità diverse.
 
E a voler ben vedere aveva ragione: non è che, effettivamente, avessero molte cose in comune, lui e Caradoc.
 
Lui, Serpeverde del sesto anno, cresciuto in una casa fatta quasi perennemente di viaggi, allegria e affetto e un Corvonero cresciuto, per quel che ne sapeva lui, all’interno di una prigione di cristallo sorvegliato a vista da un carceriere e una donna pazza.
 
Un po’ diversa, la loro concezione di famiglia. Ma non era solo quello: Caradoc era quasi sempre rumoroso, estroverso, famoso e galante dove Benjamin invece si mostrava ritroso, silenzioso quando non timido e impacciato. Erano davvero diversi come il giorno dalla notte, loro due.
 
All’inizio di quella loro routine parlavano soprattutto di persone e fatti che entrambi conoscevano: come Amelia riuscisse ad essere conoscente di tutti e amica di nessuno, come Kingsley fosse riuscito a nascondere ad uno dei suoi migliori amici di avere una cotta per la di lui sorella, il particolare rapporto che avevano i Prewett, tra litigi e lealtà assoluta. Poi si erano mossi su territori più personali: i loro anni a Hogwarts, quello che la scuola significava per loro e come la loro vita era cambiata in tutti quegli anni.
 
Dopo due settimane di conversazioni, alla fine, Benjamin aveva iniziato a raccontare di Jodie.
 
Quella mattina, Caradoc sembrava molto interessato al genere di lavoro che faceva la sorella di Benjamin.
 
<< Non lo vorremmo tutti, qualche volta, abbandonare quello che conosciamo e andarcene verso l’ignoto? >> chiese il Corvonero quando, incuriosito, Benjamin gli domandò per quale motivo trovava il lavoro di Jodie così interessante << Sturgis vuole diventare uno Spezzaincantesimi dopo la scuola. Suona un sacco avventuroso, ma dicono che in realtà sia molto più inerente le beghe della Gringott che altro >>.
 
Benjamin aveva un’idea molto chiara di ciò che viaggiare per vivere comportava.
 
<< Non sono sicuro di essere interessato a quel tipo di avventure >> rispose scuotendo la testa << Viaggiare non mi ha mai convinto troppo, è scomodo e richiede un’elasticità mentale che non credo di avere. Ci metto troppo ad ambientarmi e affezionarmi a cose e persone, una vita in viaggio con un carattere come il mio sarebbe troppo solitaria >>.
 
Anche riflettendoci, Benjamin Fenwick non riusciva a ricordare di aver mai pronunciato tante parole tanto personali in presenza di Caradoc. Eppure, seduti lì, colazione finita e sguardo puntato sull’altro, non riusciva a pensare a una ragione che fosse una per fermarsi. Non si era mai sentito così a suo agio con nessuno che non facesse parte della sua famiglia o che non fosse Dorcas Meadowes.
 
<< Sembri parlare per esperienza >> mormorò l’altro ragazzo.
 
Erano partiti come ogni altro mattino seduti a distanza di un paio di metri l’uno dall’altro, lui seduto sul suo solito tronco e Caradoc seduto sulla zucca che occupava in genere in quelle occasioni. Ad un certo punto però – e Ben era stupito di non ricordarsi quando – Caradoc si era probabilmente avvicinato al punto da essere ormai seduto vicino a lui sulla porzione di tronco restante. Si rese conto, il Serpeverde, che ormai stavano parlottando così da diversi minuti probabilmente, e che presto sarebbe stata l’ora di rientrare nel castello.
 
Non ci fece troppo caso.
 
<< La mia famiglia viaggia un sacco >> raccontò quindi << I miei si sono conosciuti perché entrambi erano ricercatori… un po’ come Jodie, in realtà. Hanno smesso di viaggiare poco prima di sposarsi. Quando si sono sposati, mia madre è diventata direttrice dell’archivio magico nazionale e quindi hanno deciso di stabilirsi definitivamente in Galles, la famiglia di mia madre è di lì. Mio padre insegna all’Accademia di Medimagia, adesso. Però anche quando io e Jodie eravamo piccoli abbiamo continuato a viaggiare spesso, con vari pretesti >>.
 
Caradoc sorrise.
 
<< Cosa vuoi ricercare tu? >> chiese incuriosito.
 
Benjamin scosse la testa.
 
<< Non ne ho la più pallida idea >> rispose facendo spallucce << Sto seguendo corsi abbastanza vaghi da poter tenere aperte la maggior parte delle possibilità. E tu? >>.
 
Vide Caradoc deglutire e acquistare un po’ di rigidità nel modo in cui stava seduto. Si chiese se per caso avesse fatto la domanda sbagliata, ma poi vide il ragazzo inclinare il capo, come a pensare alla risposta più adatta.
 
<< Il mio sogno è sempre stato il Quidditch >> mormorò alla fine, facendo cadere la risposta nel vuoto.
 
Benjamin si chiese cosa dovesse fare di quella risposta. Sapeva, dal pomeriggio in cui aveva assistito alla mezza lite del Corvonero con Sturgis Podmore, che quel tasto era con tutta probabilità particolarmente dolente. E lui, fra tutti, era proprio la persona meno appropriata per affrontare quel tipo di discorso.
 
<< Beh >> tentò di sdrammatizzare alla fine << Almeno sappiamo che non vuoi diventare Professore di Erbologia. È già qualcosa che puoi togliere dalla lista in caso stessi pensando a un piano B >>.
 
Sorpreso, Caradoc scoppiò a ridere divertito.
 
<< Grazie >> disse dopo qualche minuto di silenzio il Corvonero, cogliendo Benjamin di sorpresa. Il suo stupore doveva essere chiaramente scritto a grandi lettere sul suo volto perché Caradoc, con un sorriso triste, spiegò: << Ultimamente tutti mi dicono cosa dovrei fare e non fare per far funzionare la mia vita. Sai, si suppone che l’ultimo anno di scuola sia importante nella vita di una persona, decidi come impiegare il resto della tua vita, seguire le tue passioni, come guadagnarti da vivere. Credo di averle sentite tutte, ultimamente. È bello ogni tanto poter parlare con qualcuno che non cerca di farti fare quello che vuole lui >>.
 
Il sorriso nacque spontaneo sulle labbra del Serpeverde.
 
<< Quando vuoi >> rispose, e la sincerità con cui lo disse colpì lui per primo.
 
Caradoc ricambiò il sorriso, poi sospirò e si alzò.
 
<< Meglio rientrare, adesso, è quasi ora di scendere in Sala Grande >> disse aggiustandosi il mantello e muovendo qualche passo in direzione del castello. All’improvviso si fermò e lo richiamò: << Benjamin? >>.
 
Fenwick attese, ricambiando lo sguardo.
 
<< Ci vediamo domani? >>.
 
Il Serpeverde sorrise, poi annuì. Era la prima volta che Benjamin lo ammetteva, per lo meno a sé stesso: non erano le lettere di Jodie a trascinarlo giù dal letto a quell’ora del mattino. Non più.
 
 
 
This could be the end of everything
So why don’t we go,
Somewhere only we know?*
 
 
 
 
 
 
 
* “Somewhere only we know”, canzone dei Keane.
 
 
 
 
   
 
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