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Autore: Master Chopper    12/06/2020    2 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 20: Why Do I Kill? (Final)

Una volta sconfitta Cipactili, la terra per far proliferare gli umani era stata creata. Sfortunatamente né i tentativi di Tezcatlipōca, né del dio della pioggia Tlaloc, avevano ottenuto buoni risultati. La razza umana era sempre imperfetta, o lo era il mondo ed il sole per loro creati.

Il Sole di Tezcatlipōca ad esempio, non era stato abbastanza chiaro, mentre quello di Tlaloc era stato fin troppo intenso.

Gli dèi dibattevano ancora di quell’ultimo fallimento.

“Anche se sei un depresso del cazzo, potevi almeno impegnarti un po’ !” Ringhiò il dio giaguaro, rivolgendo un’occhiata truce ad un dio dalla pelle blu, con il corpo costellato di pietre preziose, di cui due al posto degli occhi.

“Senti …” Rispose lui, facendo una lunga pausa. “… non mi assillare.”

Il dio giaguaro si ribaltò per terra, prendendosi la testa e cominciando ad urlare: “Che nervi !”

Quando si rialzò, non era meno calmo. “Per la terza volta di fila abbiamo fallito a creare un mondo per gli umani! Ti rendi conto di che figura stiamo facendo di fronte agli dèi? Con che coraggio ci dovremo presentare al prossimo Concili-”

“Abbiamo fallito per la terza volta ?” Li interrupe una vocina, sbucata fuori dal nulla. Quando i due dèi si voltarono, il fiato si bloccò nelle loro gole.

Quetzalcoatl era entrato, e dopo aver poggiato il copricapo per terra, si era avvicinato loro con fare incuriosito.

I due dèi lo sapevano: il secondo fallimento, detto il Sole di Quetzalcoatl, era stata una brutta macchia sulla loro carriera. Il piccolo dio era stato persino processato per aver sterminato l’umanità senza nessuna autorizzazione dal Concilio degli Dèi, ma per fortuna era stato assolto. Tuttavia, il suo tremendo ed incontrollabile potere era qualcosa che faceva venire i brividi.

“Abbiamo fallito per la terza vooolta ?!” Domandò un’altra voce, stavolta femminile e con tono più shockato.

Apparteneva ad una ragazzina, poco più alta di Quetz, dai lunghi capelli blu e con un copricapo a forma di giara sulla testa. Sbarrò i suoi occhioni, i quali presto si ricoprirono di lacrime.

“Nooo! Che tristezza! Povero Tlaloc, sarai così triste!” E corse ad abbracciare il dio della pioggia.

“Ehm… sì, sono in un dolore perpetuo… cioè, no! No. Tranquilla.” Imbarazzato, lui cercò supporto negli altri due.

Tezcatlipōca provò a rassicurare la piccola: “Dai, non è niente Acuecuyoticihuati.” Ma alla fine di quel nome lunghissimo, si morse la lingua e ritornò a ribaltarsi per terra.

“Nooo! Per colpa del mio nome ti sei morso la lingua.” Pianse, ancora più forte, la dea di tutte le acque e della bellezza.

“Il dolore è insondabile… ogni giorno spero di svegliarmi e di far parte del nulla cosmico.” Sussurrava intanto Tlaloc, drammatico.

Quel teatrino disperato, con i tre dèi che avrebbero dovuto dare speranza all’umanità, sembrava una causa persa. Tuttavia, ignorando tutta quella disperazione, Quetzalcoatl poggiò una mano sulla fronte della dea, scompigliandole i capelli con un gesto fraterno.

“Ehi, Acu… ora tocca a te, fatti forza !” E le rifilò il sorriso più smagliante ed incoraggiante che potesse.

Solo guardandolo, lei si sentì illuminata da una luce rinvigorente, e non poté fare a meno di guardarlo con ammirazione. Tirò su col naso, imbarazzata: “S-Sì, fratellone Quetz !”

 

Ed il Sole di Acuecuyoticihuati, il quarto, segnò un’epoca di prosperità per gli uomini. Una luce tanto gentile pareva come un bacio amorevole, perché tale era la gentilezza che la dea offriva agli umani. In cambio, essi cominciarono a venerarla, perché un mondo così bello non si era mai visto.

Persino gli dèi del Concilio furono sorpresi, e perdonarono i quattro mesoamericani per i tre precedenti disastri.

Tuttavia, l’energia impiegata nel rendere quel mondo così perfetto, iniziò a gravare sulle spalle della giovane dea.

Un giorno infatti, apparentemente senza motivo, tutta la tensione accumulata rovinò l’armonia che c’era tra i quattro.

“Che ti prende, Acu ?!” Quetzalcoatl, che fino ad allora aveva passato il tempo a giocare con i bambini umani, era stato di colpo allarmato dal pianto della sua amica.

Trovò la dea delle acque in ginocchio, piangente, mentre attorno Tezcatlipōca e Tlaloc cercavano inutilmente di calmarla.

“L-Le ho solo detto che dev’essere bello avere tutti gli umani che ricambiano il suo sole con tutte quelle preghiere.” Cercò di spiegare il dio giaguaro, però al sol sentire quelle parole, la dea urlò ancor più forte.

“Nooo! Tu pensi che io sia una che se la tira! Io non voglio che voi siate invidiosi di meee !” E piangeva, e piangeva, sempre più forte.

“Scusami Acu !” La implorò Tezcatlipōca, inginocchiandosi di fronte a lei. “Ti prego, fammi male, colpiscimi! Fa qualsiasi cosa che ti possa far star meglio !”

“No, fai male a me !” Si inginocchiò anche Tlaloc, venendo squadrato male dall’altro dio. “E tu che diavolo centri, scusa ?!”

Quetzalcoatl, impassibile di fronte a quella scena, mosse i primi passi avanti, scostando i due dèi. Si chinò di fronte alla sua amica, sollevandole il mento con l’indice per spingerla a guardarlo negli occhi: “Ehi …”

Vedendola quasi esitare, non resistette ancora con quel dolore in petto: la abbracciò di slancio, prendendole la testa ed accarezzandole i capelli.

“Tutti noi ti amiamo, Acu… tu sei bravissima, e questo è un dato di fatto. Anche se non credi molto in te… bhe, dovresti! Se ti fidi di me, e mi vuoi bene… allora dammi retta.”

La sentì singhiozzare un po’ più sommessamente, tirando su col naso come quando iniziava a placare il suo pianto. “No, fratellone Quetz… tu non capisci.”

E staccandosi da lui, abbassò la testa. Ora sul suo viso si leggeva molta vergogna, assieme ad una preoccupazione che fece comprendere ai tre presenti la gravità della situazione.

“Purtroppo ho… perso il controllo dei miei poteri, per colpa del pianto.”

“E …?” Domandò Tezcatlipōca, serissimo.

“Ho distrutto il mondo.”

La terra, in quei pochi istanti, era stata allagata da un alluvione devastante. Tutte le civiltà erano state sommerse, e gli esseri umani inghiottiti dai turbini marini. Ancora una volta, per la quarta volta, un nuovo sole aveva portato solo l’ennesima distruzione del genere umano.

“Cosa ?!” Strillò il dio giaguaro, mordendosi le dita in preda al panico. “Il Concilio degli Dèi ci ucciderà !”

Tlaloc, adirato, lo prese per il collare: “È tutta colpa tua !”

“Mia?! Senti chi parla! Se tu non avessi combinato quel casino l’ultima volta, ora il nuovo sole non sarebbe toccato a…”

“Che problema c’è ?”

Tutti si fermarono. La dea delle acque era sull’orlo di un altro pianto disperato, distrutta dai sensi di colpa, ma quella voce l’aveva fatta balzare sull’attenti.

“Come… Quetz ?” Domandò il dio giaguaro, vedendo il suo compagno insolitamente tranquillo. “Lo capisci che non possiamo permetterci di creare l’ennesimo sole ?!”

“Ma infatti io non lo vorrei.” Rispose semplicemente lui, prendendo le mani della dea ed accarezzandole: “Questo mondo creato ad Acu era così bello, e gli umani erano bellissimi… non ce ne saranno mai di migliori, ne sono sicuro.”

Si alzò in piedi, e mettendosi i pugni sui fianchi, propose sorridendo: “Se il problema è che sono morti tutti gli umani, allora non ci resta che andare a riprenderli dal regno dei morti !”

Questa dichiarazione lasciò di stucco i tre, al punto che nemmeno la bocca larga di Tezcatlipōca fece uscire un sussurro.

“M-Ma, fratellone !” La dea però, era così preoccupata da quell’idea che non poté non aggrapparsi al dio serpente piumato, per trattenerlo. “Non possiamo farlo! Va contro le regole !”

“Oh, allora ci andrò io.”

E con quell’affronto, Quetzalcoatl compiette l’impensabile.

Si recò sin nel regno dei morti, dove le anime soffrivano ed urlavano in una caverna buia e dall’aria irrespirabile. Discese per chissà quanto tempo fino alle profondità della terra, sepolto dalla stessa distanza che c’è tra la superficie ed il cielo.

Finché, arrivato davanti ad un portone marcescente, dodici demoniache figure non sbucarono dall’ombra per interrompere il suo passaggio. Indossavano maschere terribili, fuse con il loro corpo munito di artigli, piume, legno rosso sangue e pietra.

Sibilando, soffiando e ruggendo, gli sbarrarono il passo.

“ Noi siamo i dodici dèi della morte, e questo è il nostro regno !”

“Sì, ok, io devo passare.” Insistette Quetz, continuando a camminare. Un demone però balzò esattamente davanti a lui, facendo tremare la caverna. Lo guardò dritto negli occhi, e alle sue spalle gli altri ridacchiarono. Erano famelici, e pronti allo scontro.

“Nessun sole e nessun vento ti potranno aiutare qui! Sparisci subito, oppure …”

Un boato inconcepibile interruppe ogni parola, riempiendo il silenzio di tutto il regno dei morti. Quando, ripresi dallo spavento, i demoni cercarono di comprendere cosa fosse successo, li sorprese una luce abbagliante.

Ora sopra Quetzalcoatl, in direzione del braccio che aveva puntato verso l’alto, un buco era stato aperto nella caverna. Da esso scaturiva una luce biancastra, ed anche un flebile, seppur fresco, alito d’aria.

“Che c’è ?” Domandò allora il dio, vedendo i dodici arretrare per lo sgomento.

“Avete detto che non c’è sole e non c’è vento, ed è vero: posto non mi piace proprio perché è buio e puzza di chiuso. Così ho fatto un buco per l’aria.”

Quetzalcoatl non ebbe alcun problema a resuscitare la razza umana, quel fatidico giorno.

 

“E poi… e poi gli umani… !” Piangeva nel presente Quetzalcoatl, proprio come un bambino avvolto tra le braccia della madre, mentre Charlotte gli accarezzava la testa senza più il copricapo.

“Hanno iniziato ad adorare me, e a ringraziare me! Acu…A-Acu …” Il dio gettò all’indietro la testa, gridando con il viso rosso e segnato dalle lacrime. “Acu non ha ricevuto nessun merito !”

Sopra di loro, tra le tribune, tutti erano ammutoliti a causa di quell’evento incredibile.

“Stupido…” Il dio giaguaro Tezcatlipōca aveva le braccia incrociate in una posa seria e austera, tuttavia i suoi occhi erano lucidi. “Che razza di passato tragico sarebbe questo? Sei proprio uno… stupido !”

Al suo fianco, anche il dio Tlaloc sorrideva e piangeva commosso. “Già, proprio uno stupido. Non pensi, Acuecuyoticihuati ?” Ma si morse la lingua, iniziando a contorcersi dal dolore.

La dea però non lo stava ascoltando, e con le mani davanti alla bocca e gli occhi pieni di lacrime, guardava il suo amico aprire per la prima volta il suo cuore a quella verità.

Gli umani che avevano venerato i soli degli dèi, ed in particolare Quetzalcoatl, stavano anch’essi piangendo commossi per quella inaspettata dichiarazione del dio.

“Oh, serpente… piumato…” Mormoravano tra i singhiozzi, senza vergogna. Dall’alto Robespierre li guardò, e stizzito fece una smorfia di disgusto.

“Ehi.” Sussurrò la voce delicata e gentile di Charlotte all’orecchio di Quetz. Il dio, sorpreso, alzò la testa, incrociando il suo sorriso affettuoso. “Guarda, ora tutti lo sanno …”

Lui si guardò attorno, riconoscendo degli sguardi comprensivi, sia tra gli déi che tra gli umani. Lui, che si era volutamente tenuto lontano da entrambi a causa della vergogna e dei sensi di colpa, per la prima volta si sentì toccare davvero da quel riconoscimento che gli veniva offerto.

 

“Grazie, Charlotte.” Sussurrò, tornando finalmente a sorridere. Era come se il sole fosse sbucato fuori dalle nuvole dopo una lunga pioggia torrenziale.

“Ora però… dobbiamo tornare a combattere …”

“No, non sarà così: io mi arrendo !”

 

Quella sua voce, per quanto delicata, risuonò in tutta l’arena, in tutto il colosseo, tra tutti gli spettatori, così chiara e nitida che fu impossibile crederci.

Tutti furono colti alla sprovvista.

Il dio misterioso, così come Gaia, sussultarono al punto da dimenticarsi di respirare. La mascella di Ammit e Fobetore scese fino a terra per lo shock. Baal e Ptah spalancarono gli occhi fino a renderli grandi come delle ruote.

E per finire, agli annunciatori che ora avevano la bocca attaccata al microfono, mancò il fiato in gola.

“Si è… si è …” Si guardarono in faccia più volte per darsi conferma della realtà. “Si è arresaaa ?!!”

“Ma che combini, Charlotte ?!” Gridò proprio il dio misterioso, sporgendosi sul campo di battaglia. Ma era troppo tardi.

Ladies and gentlemen, incredibile ma vero, per la prima volta nella storia del Ragnarok un combattente dà forfeit !”

Quetzalcoatl guardava la ragazza sbigottito, ma lei non accennava a smorzare il suo sorriso.

“Cosa? Perché ?”

“Perché sarebbe orribile ucciderci a vicenda in preda all’odio, quando abbiamo scoperto di non essere per nulla legati da tali sentimenti. Non trovi ?” Aveva cominciato a piangere a dirotto, per quanto stesse sorridendo.

“E così il vincitore di questo incontro è… Quetzalcoatl !!”

Gli dèi ovviamente esultarono per la gioia, fieri di aver conquistato la seconda vittoria consecutiva. Al contrario degli umani, che, ora in svantaggio, si abbandonarono sui propri seggi con sconforto e paura per il loro futuro.

Il dio serpente piumato, d’altro canto, non si sentiva né felice né triste. Era un po’ confuso, certo, però si sentiva segnato positivamente da quell’incontro. “Che dire… ?”

Guardò in faccia la sua amica, volendola lasciare con uno splendido sorriso.

“Grazie di tutto !”

“Grazie a te... Adieu !

A Quetzalcoatl si bloccò la voce. Non era un nodo in gola, bensì una sensazione quasi piacevole, fresca ma al contempo pungente. Impiegò poco tempo prima di accorgersi che ora il coltello di Charlotte era affondato nel suo pomo d’Adamo, spuntando dalla nuca.

La ragazza lo aveva abbracciato di nuovo, così era stato inebriato dal profumo dei suoi capelli, ora che la testa gli ricadeva sulla spalla di lei. Non riusciva a muoversi, il peso di anche un millimetro del suo corpo era insostenibile.

Quando parlò uno spruzzo di piccole gocce rosse andò a macchiare la schiena della ragazza.

“Addio.” Mormorò, e sorrise. Fu strano, perché infondo stava morendo.

Non poté mai vedere ancora una volta le lacrime di Charlotte, perché la ragazza non aveva smesso di piangere, ed anzi ora levò i suoi gemiti ancor più forte. Il dolore le gremiva il cuore, ma non poteva farci niente.

 

“Che ha fatto ?! Esplosero gli dèi, sconvolti da quella visione nefasta che non poterono accettare.

Ci fu chi urlò ai soccorsi, ma quando il corpo senza vita di Quetzalcoatl stramazzò al suolo ed iniziò a disperdersi in frammenti di luce, angosciosamente tutti compresero che non ci fosse nulla da fare.

“Ma… perché ?” Si domandavano anche gli umani, senza parole.

Tezcatlipōca, Tlaloc e Acuecuyoticihuati urlarono in preda al panico, non comprendendo il perché di quell’evento così violento, improvviso ed ingiustificato.

Nell’ombra, osservando la scena, Fenrir grugnì: “Devo intervenire ?” Lui era pur sempre il sovraintendente della sicurezza, ed uccidere un dio a scontro terminato consisteva in una violazione del regolamento.

O almeno così credeva, perché persino la persona che gli dava ordini non seppe come rispondere, tanto era ammutolita.

“Tremendo …” Sussurrarono gli annunciatori, testimoni di un evento terribile e senza precedenti.

Poi, cercando di prendere in mano la situazione, si sforzarono di parlare: “P-Portate via Charlotte dal campo di battaglia.” St.Peter spense il microfono, guardando preoccupato il suo collega.

“E ora cosa si fa ?” E l’altro: “Non ne ho idea. Penso che a noi toccherà solo… aspettare gli ordini dei superiori e comunicarli.”

Ma c’era silenzio stampa in tutta l’Arena del Ragnarok. Nessuno osava esprimersi a riguardo dell’avvenuto.

Un dio non era stato sconfitto, né era semplicemente morto, bensì era stato assassinato.

 

Poco dopo, cavalcando l’onda di quella collera e di quello sdegno collettivo, la personalità più iraconda e terribile della dea degli inferi Hel stava prendendo il sopravvento.

Per fortuna usava la mano sinistra per artigliare con forza il bracciale della sua comoda poltrona, mentre con la destra accarezzava distrattamente la testa del lupo argenteo Fenrir, adagiato sulle sue ginocchia con sguardo impassibile.

“Povero… povero Quetzalcoatl !” Piangeva con la parte sinistra del volto. “Un destino peggiore della morte gli è capitato… oh!”

“Ma il regno dei morti è il tuo regno. Non potresti semplicemente riportarlo indietro ?” Le domandò quasi con disinteresse il lupo. A quella domanda la dea si voltò di scatto, facendo prevalere il suo lato del viso furioso, una vera e propria maschera di pericolo mortale.

Fortunatamente si ricompose in fretta, ovvero tornando a singhiozzare: “No, no e no! Le anime che muoiono nel Ragnarok non hanno possibilità di riscatto, e giungono fino al Nilfhel… dove neppure io posso recuperarli.”

Fenrir fece spallucce, continuando a godersi le carezze.

“Ma Fenrir… oh, Fenrir… ora quegli umani conosceranno la nostra furia! La furia degli dèi !”

“Permettimi di dissentire.” La interruppe un terzo individuo, appena intervenuto nella loro conversazione.

 

Da tutt’altra parte nella struttura interna allo stadio, dei passi affrettati segnavano il ritorno di Charlotte Corday nella stanza d’attesa destinata ai combattenti umani.

Anche nel momento in cui vi entrò, le lacrime non avevano smesso di sgorgare.

Fu allora che un’altra donna, la quale aveva atteso il suo ritorno pazientemente ma in apprensione, le venne incontro. Prendendole il viso tra le mani, si premunì di baciarle gli occhi per asciugarle le lacrime, dopodiché la strinse forte, ma così forte, che le due poterono sentire i rispettivi cuori battere.

“Charlotte …” Mormorò lei, liberando con un sospiro tutta la sua inquietudine e preoccupazione. “Per fortuna sei viva.”

Era una donna ben più alta e piazzata della francese: con una muscolatura che veniva incorniciata da un’armatura di pelle bianca e nera, assieme ad un collo di pelliccia che si espandeva anche sugli spallacci. I suoi capelli, folta chioma rossa, erano portati su di un lato, mentre dall’altro erano più radi, ma con piccole treccine che delineavano quegli zigomi un po’ squadrati, ma rosei. 

Tutto sommato l’aspetto imponente e minaccioso di Boudicca, la regina guerriera, era in perfetto contrasto con quegli occhi blu, più limpidi del cielo sereno in primavera, con i quali ora guardava Charlotte. Le sue labbra carnose erano piegate in un sorriso.

Nonostante tutto quell’affetto, l’umore della ragazza non parve migliorare.

La donna esitò, ma convinta di dover scavare in quella mente offuscata dalla tristezza per risollevarla, dovette porle quella domanda: “Charlotte, perché lo hai ucciso ?”

L’altra ebbe un fremito.

Boudicca insistette: “Ti eri arresa. Non ci dovevano essere morti. Perché allora lo hai…”

“Era l’obbiettivo.” Rispose con una sola emissione di fiato. “L’obbiettivo.” Ripeté, come perdendosi in trance.

Al che la rossa inarcò un sopracciglio, per poi scuoterla prendendola dalle spalle. Questo bastò a far riprendere lucidità, e soprattutto colore sul viso di Charlotte. “Sii più chiara, ragazza !”

“Ecco, io sapevo che dovesse essere un duello mortale. E… dovevo ucciderlo. Così, anche se mi dispiaceva, e mi dispiace ancora …” Non ce la faceva più a continuare, perché stava per scoppiare in lacrime.

Guardandola in quello stato, la donna si impietosì e tornò ad abbracciarla, tuttavia non poté non pensare all’insensatezza di quelle parole. Ma dopotutto, non conosceva le condizioni che avevano portato quella ragazza a pensare così.

“Io… io avrei potuto evitarlo!” Si straziava Charlotte, tra le lacrime, fino a quando un altro tocco non la sfiorò.

Fu una mano grande e pesante, quanto infinitamente leggera nel momento in cui si adagiò sulla sua spalla, quasi a parere un uccellino su di un ramo. Stupita da quel contatto, la ragazza sollevò il viso, per poi rimanere a bocca aperta: l’aveva appena accolta un altro sorriso, ma così radioso ed incoraggiante da riscaldarle il cuore e l’animo come un raggio di luce solare.

“Ciò che facciamo spesso non è dettato dalla nostra ragione, e per tanto va solo a riempire quella ragnatela di eventi chiamata destino… solo ad opera compiuta potremmo giudicare davvero fin dove ci hanno condotto. Prima di allora, giudicarci ed accusarsi è inutile.”

Era alto come una montagna, così grande da fare ombra alle due con la sua stazza troneggiante, il suo ampio mantello, e per di più quella corona adagiata sul capo. Solo il suo sorriso risplendeva, assieme ai suoi occhi chiari e dei capelli come fili d’oro.

Rincuorata, Charlotte annuì, riappacificandosi con se stessa. Non avrebbe dimenticato la morte di Quetzalcoatl, ma solo a fine di quella battaglia per la sopravvivenza della razza umana lo avrebbe rimpianto a dovere.

“Oh! Venite qui, voi due !”

Boudicca si inorgoglì nel vederla di nuovo contenta, così con un abbraccio cinse sia lei che il grande uomo biondo, il quale fu costretto a piegarsi e strepitò sotto la forza erculea della donna.

 Mentre intanto loro ridevano, qualcuno si era affacciato da un’altra porta, spiandoli. Uno sguardo confuso, ma che poi si arrese all’esasperazione di quella scenata, si sottrasse in fretta e tornò a badare ai suoi affari. Lì, in una camera privata con tomi e manoscritti che ricoprivano interamente le pareti, e dove un tavolo attraversato da pergamene e puntellato di calamai e penne occupava quasi tutto lo spazio, si sentiva più a suo agio.

Si sedette di peso sullo sgabello, lamentandosi del dolore. Lo avevano chiamato per la prossima battaglia, e doveva mettersi a lavoro per mettere su carta la sua ultima ispirazione prima del tempo.

“Il sesto scontro… il sesto scontro …” Ma non riusciva a concentrarsi, era eroso dalla rabbia. Al che, gettandosi all’indietro ed imprecando con tutta la forza dei suoi polmoni, Dante Alighieri urlò: “Ma perché cazzo non il terzo ?!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Questo scontro non è finito per caso come ve lo aspettavate? Ci avrei scommesso! Dopotutto l’ho sempre detto che sarebbe stata una battaglia fuori dall’ordinario.

Sono curioso di sentire i vostri pareri.

Intanto vi do appuntamento a venerdì 19 Giugno per il prossimo scontro… in cui combatterà qualcuno che, insomma, credo abbiate già capito di chi si tratti.

Alla prossima! 

   
 
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