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Autore: Hiraedd    21/06/2020    2 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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CAPITOLO 24
 
 
 
 
 
Necessità:
condizione di impossibilità a fare diversamente,
esigenza assoluta,
bisogno.
 
 
 
 
 
<< Ho pensato una cosa >> mormorò ad un certo punto, il martedì mattina dopo la festa di Edgar, Benjamin Fenwick.
 
Da parte di Caradoc, seduto sulla solita zucca, giunse un borbottio astratto.
 
Il fatto era che, se all’inizio Benjamin si era affidato a quella loro nuova abitudine in modo parzialmente titubante e parzialmente entusiasta, per tutto il tempo – e ormai era passato più di un mese – lo aveva fatto cercando di fingere un’indifferenza che giorno dopo giorno sembrava perdere significato: era quasi metà dicembre e in tutto il castello – ma probabilmente in tutta la Gran Bretagna – loro due dovevano essere le uniche anime abbastanza stupide da avventurarsi all’aria aperta così presto al mattino quando ormai era talmente freddo da riuscire a malapena a respirare. E, certo, Fenwick poteva fingere quell’indifferenza quanto voleva, poteva continuare a ripetersi a vuoto che a spingerlo fuori dal letto ad un orario infame non fosse la necessità di fare colazione con Caradoc. Eppure, come si ripeteva più volte al giorno, lui non era solito mentire a sé stesso. E fare colazione con Caradoc, in qualunque modo cercasse di raccontarsi la cosa, chiaramente era ormai diventata una necessità.
 
Il perché Caradoc scendesse così presto al mattino non gli era ancora del tutto chiaro – a voler essere sincero, Ben forse aveva addirittura paura di chiederselo – eppure da parte sua ad un certo punto aveva dovuto ammetterlo: forse saliva dai dormitori ogni mattina, avvolto nel suo mantello che stava progressivamente diventando troppo leggero per il freddo sempre più pungente dell’inverno, non solo perché voleva farlo. Il fatto, forse, è che non riusciva ad impedirselo. 
 
<< Presto sarà troppo freddo per venire qua fuori >> sussurrò.
 
Le parole gli lasciarono le labbra con un tono sommesso, quasi a sperare di non essere udite. Perché dopo, quando non ci sarà più un qua fuori, come sarà? Eppure non si poteva fare orecchie da mercante ancora per molto, aveva pensato. Il freddo era troppo acuto al mattino e, mentre parlavano, ormai dovevano visibilmente trattenere i brividi.
 
Caradoc, da parte sua, rimase silenzioso per un momento molto lungo, uno di quei silenzi che ultimamente si succedevano spesso nelle ore che passavano insieme al mattino. Un silenzio riflessivo, che non annullava le presenze e non accentuava le mancanze.
 
<< Potremmo andare nella torre di Astronomia >> rispose dopo lunghi minuti il Corvonero.
 
<< La torre di Astronomia? >> domandò Benjamin, la voce di nuovo un mormorio basso.
 
La torre di Astronomia era un posto strano nel castello di Hogwarts, che di posti strani ne aveva parecchi. Era teatro di lezioni di Astronomia – da cui prendeva l’ovvio nome – ma anche di incontri furtivi. Se c’era qualcosa da fare che volevi nessuno sapesse, qualcuno da incontrare che volevi tenere segreto, era in cima alla torre di Astronomia che dovevi andare, e questo lo sapevano tutti ad Hogwarts.
 
All’improvviso, e per la prima volta in vita propria, Benjamin Fenwick si sentì un po’ galeotto: aveva sempre vissuto impudentemente qualsiasi situazione della propria vita, senza sentirsi in difetto, senza voler mai nascondere nulla: erano gli altri a non vederlo, non di certo lui a nascondersi, uno semisconosciuto qualunque in quella scuola.
 
<< La torre di Astronomia >> ripeté Caradoc.
 
Avrebbe potuto dire tante cose, Benjamin. Avrebbe potuto dirlo ad alta voce, avrebbe potuto voltare lo sguardo – che ora teneva basso e fisso sulle proprie scarpe – sul Corvonero accanto a sé, vedere se avesse disegnate sul volto le stesse cose che sentiva averci disegnate lui. 
 
Ma non lo fece. Non voleva sapere cosa fosse per lui, quella necessità. Non voleva chiedersi cosa fosse per l’altro, quell’abitudine. E davvero non voleva chiedersi cosa volesse dire, il fatto che tutti gli altri continuassero a non sapere.
 
Annuì.
 
Voleva solo continuare.
 
 
*
 
 
<< Va tutto bene, Hestia? >>.
 
Dorcas Meadowes, nel bel mezzo di un martedì pomeriggio d’inizio inverno, le pose quella domanda quasi all’improvviso, mentre erano entrambe sedute nella Sala Comune di Corvonero.
 
Hestia Jones non si era mai reputata una persona sola: al suo primo anno aveva iniziato sedendosi accanto ad un ragazzino timido e posato e, con il passare del tempo, il giro delle sue amicizie non aveva fatto altro che aumentare.
 
Adesso, dopo qualche mese dall’inizio del suo ultimo anno di scuola, il suo gruppo di amici si era allargato fino a comprendere persone di quasi tutte le Case, di diversa età anagrafica e status sociale, al punto che era difficile per lei ritagliarsi un momento libero da godersi in solitudine.
 
Eppure era davvero un sacco di tempo che qualcuno non le poneva con quel tono interessato una domanda tanto semplice.
 
Certo, lei aveva sempre il suo bel daffare perennemente circondata da diciassettenni in crisi – per un motivo o per l’altro. E lei, deputato diario segreto di un gran numero di studenti del settimo anno di tre Case diverse, non ci prestava particolare attenzione, al fatto che anche lei era una diciassettenne e magari, talvolta, pure in crisi.
 
<< Sai, è davvero passato un sacco di tempo dall’ultima volta che qualcuno mi ha chiesto questo genere di domanda, qualcuno davvero interessato a conoscere la risposta >>.
 
Dorcas, seduta sulla poltrona accanto a quella in cui era seduta lei, la guardò con un sottile sorriso sulle labbra. Sembrava sapere perfettamente.
 
<< E quale sarebbe la tua risposta? >> chiese infatti la ragazza.
 
Hestia si prese un momento per riflettere, poi si accigliò.
 
<< Dipende a quale parte della mia vita ti riferisci >> disse alla fine, pesando attentamente ogni sillaba.
 
C’erano diverse cose estremamente apprezzabili in Dorcas Meadowes, aveva deciso Hestia a mano a mano che la conosceva. Era una persona affidabile, seria, posata. Era un’osservatrice acuta, ma non una pettegola: quando notava qualcosa – e sembrava sempre notare qualcosa – si limitava ad esporla a poche persone scelte e a non giudicare mai.
 
Hestia si rese conto, per la prima volta in vita propria, che non aveva mai avuto una vera e propria amica femmina: perfino Amelia, che era la piccola del gruppo e comunque si era sempre mantenuta al di sopra di ogni dinamica, le pareva più una sorella che una vera e propria amica. Quando si era immaginata le proprie amicizie ad Hogwarts, un’undicenne Hestia Jones si era probabilmente immaginata molte più Dorcas Meadowes di quanto in realtà non ne avesse realmente incontrate: oggi, sette anni dopo, ne aveva finalmente una vicina. Non che non apprezzasse il fatto di essere immersa in un costante bagno di testosterone, i suoi amici erano tutto per lei. Ma ogni tanto faceva piacere, avere anche una Meadowes.
 
<< Beh, mi sembra che con lo studio tu sia perfettamente a posto, e so che al Club dei duellanti te la cavi piuttosto bene >> mormorò Dorcas, un luccichio divertito negli occhi << Non voglio farmi gli affari tuoi, Hes. Ho solo notato che, per lo meno da quando ti conosco, sei molto indaffarata a preoccuparti per gli altri ragazzi del gruppo. Non ho visto nessuno preoccuparsi per te in particolare >>.
 
E la schiettezza era forse la parte più interessante di quella strana ragazza.
 
<< Ti ringrazio >> si sentì in dovere di dirle, poi aggiunse << Al momento credo che la mia preoccupazione più grande siano proprio i miei amici. Lo hai notato anche tu? Ultimamente, sembrano tutti sotto il controllo di un confundus di potenza impressionante >>.
 
Dorcas sorrise in modo un po’ enigmatico, ed Hestia si chiese di quanti di loro si fosse già resa conto.
 
<< Ho sentito dire che è difficile avere diciassette anni >> scherzò la ragazza in risposta.
 
Una grande osservatrice, davvero.
 
 
*
 
 
Edgar Bones, un’alta pila di libri appoggiati al tavolo e gli occhi talmente stanchi che la vista stava iniziando a calare, si maledisse spontaneamente per aver scelto di perseguire un MAGO in una materia inutile come Aritmanzia.
 
La biblioteca della scuola, se si escludevano lui, Sturgis e Caradoc, era quasi completamente vuota e nell’aria aleggiava un silenzio teso. Era stato così tutto il pomeriggio, e l’ansia di fare da cuscinetto tra i due – ultimamente non proprio in ottimi rapporti – sommata alla stanchezza derivante da un intenso pomeriggio di studio lo stavano rendendo pericolosamente isterico.
 
<< Aritmanzia è una materia inutile >> sputò fuori alla fine con tono irritato, lasciando cadere il libro che aveva in mano sul tavolo con un tonfo sordo << Praticamente è una versione più astrusa e difficile di Divinazione! >>.
 
Caradoc, che aveva alzato lo sguardo dai propri compiti allo scoppio d’irritazione dell’amico, inarcò le sopracciglia con fare sarcastico.
 
<< È un modo come un altro di descrivere la materia, te lo concedo. Anche se rendersene conto dopo così tanti anni che segui questo corso ti fa apparire un po’ poco sveglio >>.
 
<< Non ci hai preso anche un GUFO? >> rispose Sturgis con un sorriso divertito, come ad iniziare uno dei suoi soliti scambi di battute con Caradoc. Poi sembrò come ricordarsi qualcosa di spiacevole e strinse le labbra. Dearborn, da parte sua, lasciò cadere la domanda nel vuoto.
 
<< Si, si, prendetemi pure in giro >> cercò di alleviare la tensione Edgar << Magari invece potrei diventare un grande Aritman… Aritmet… insomma, uno che di numeri e futuro se ne capisce un sacco, uno famosissimo. Come la mettereste, allora? >>.
 
<< Farei finta di non conoscerti >> rispose Caradoc in tono conciso.
 
Sturgis soffocò una risata, e da parte sua Edgar dovette costringersi a fare lo stesso. Il silenzio, ora, era lievemente più disteso, quindi Edgar decise di provare a tirare un po’ la corda.
 
<< Settimana prossima giocate contro i Grifondoro >> disse tentando un tono leggero.
 
L’irrigidimento di Caradoc e Sturgis fu immediato e avvenne quasi all’unisono. Dearborn, seduto alla destra di Edgar, sfogliò il libro che aveva sottomano con rinnovato interesse e Edgar decise che non ce la faceva più. Quella situazione avrebbe dovuto sbloccarsi, in un modo o nell’altro, e dal momento che tutti si erano accorti del momentaneo gelo calato sulla coppia normalmente inseparabile di amici, era solo una questione di tempo prima che qualcuno tentasse di approcciare il problema. Avrebbe potuto farlo Hestia, con la delicatezza che le era propria, oppure avrebbe potuto pensarci lui, la cui delicatezza talvolta sembrava quella con cui l’Espresso per Hogwarts normalmente transitava sul Viadotto di Glenfinnan.
 
Sturgis, da parte sua, si limitò a premere più forte sulla pergamena con la punta della piuma che stava usando per scrivere il proprio tema di Storia della Magia.
 
E treno sia, si disse.
 
<< Voi due dovete piantarla, state facendo girare le palle a mezza scuola >> esordì senza mezzi termini. Non si definiva mica un gentiluomo così, per caso.
 
<< Non ho voglia di parlarne >> mormorò Dearborn continuando nella lettura del suo libro.
 
Podmore, dall’altro lato, sbuffò.
 
<< Questa si che è una cosa strana >>.
 
Quella frase, sibilata in tono sarcastico, fece abbassare il libro a Caradoc e gli fece puntare lo sguardo chiaro dritto in faccia al suo Prefetto.
 
<< Scusa? >>
 
Sturgis scattò velocemente, quasi si fosse morso la lingua tutto il pomeriggio pur di trattenersi.
 
<< Sei un maledetto vigliacco, e no, non ti scuso >> lo apostrofò mormorando con un tono aspro che Edgar non gli aveva mai sentito. D’altronde, era pur sempre un Corvonero in biblioteca, le regole in quel luogo per lui erano abbastanza sacre. Comunque, sempre mormorando, si voltò verso il suo compagno di casa e, piccato, aggiunse: << Non hai avuto nemmeno le palle per venire ad assistere agli allenamenti da quando hai abbandonato la squadra, fregandotene di tutto >>.
 
Da parte sua, Caradoc non si fece attendere.
 
<< Grazie per averci elargito ancora una delle tue meravigliose opinioni non richieste >> ritorse con la medesima asprezza.
 
Edgar se lo aspettava, doveva essere onesto. Aveva visto montare quella rabbia per tutto il mese precedente, incomprensione dopo incomprensione, silenzio dopo silenzio. Da parte sua cercava sempre di non mettersi in mezzo a questioni troppo private – d’altronde non aveva con Caradoc la stessa confidenza che aveva con i Prewett, o con sua sorella – eppure quella sorta di can can tra i due Corvonero lo aveva portato a riflettere diverse volte nel tempo passato dalla loro prima – e per quanto ne sapeva lui unica – litigata di quell’anno: le persone normali litigavano e non si scambiavano più la parola, mettendosi il muso a vicenda e ignorandosi. Dearborn e Podmore, che in molti modi lui avrebbe descritto tranne che normali, invece facevano a modo loro. Crescevano distanti. All’apparenza insieme, vicini; eppure, chiunque aveva notato il fatto che Caradoc fosse sempre più con la testa fra le nuvole, e Sturgis sempre più rancoroso. Un confronto era la cosa che fra loro mancava.
 
<< Innanzi tutto le persone a modo non si insultano >> li redarguì con il tono calmo ma fermo di un arbitro nel bel mezzo di una finale della Coppa del Mondo << E, inoltre, argomentano le proprie opinioni illustrando per quale motivo la pensano in quel modo >>.
 
Attorno a loro la biblioteca era silenziosa e quasi vuota e, fuori dalle grandi vetrate, il cielo buio della tarda serata sembrava acuire la gravità del momento. Momentaneamente, pareva sparita anche l’assistente bibliotecaria.
 
E nonostante tutto i due stavano ancora soffiandosi addosso come serpenti.
 
 
*
 
 
Sturgis Podmore era arrivato al limite.
 
Gli allenamenti andavano male, quel diamine di tema di Storia della Magia era troppo noioso e ancora estremamente lontano dal vedere una fine e il suo migliore amico, che non solo lo aveva abbandonato nonostante i pronostici li dessero perdenti contro Grifondoro con un distacco di almeno centosettanta punti, gli nascondeva pure le cose.
 
Caradoc sembrava aver iniziato a vivere in un mondo tutto suo, e sembrava aver revocato l’accesso a Sturgis.
 
E ora ci mancava solo Edgar.
 
<< Argomentare? >> sussurrò retorico. La biblioteca era quasi deserta, ma lì il silenzio era sacro e di tutto aveva voglia fuorché di fare una scenata in pubblico: Merlino solo sapeva quanto quella scuola fosse piena di pettegoli. << Dunque, vediamo: il tuo migliore amico non ha il coraggio di opporsi a suo padre, di mandare al diavolo tutti, di decidere cosa vuole nella sua vita. Non ha nemmeno il coraggio di affrontarti, tra l’altro, scappa al mattino presto e va dormire prima alla sera per avere il pretesto per evitarti. Come lo chiameresti tu uno così? È un vigliacco, c’è poco da dire! >>.
 
Il luccichio nello sguardo di Caradoc, seduto dal lato opposto di Edgar, cambiò riflesso diverse volte; prima rabbia, poi sconcerto, poi sorpresa. Poi scherno.
 
<< Evitarti? Pensi davvero che sia quello che sto facendo? >> domandò Caradoc, sempre sussurrando.
 
<< Caradoc? >> una voce gentile, squillante e davvero fuori luogo si intromise da un punto imprecisato della biblioteca.
 
I tre ragazzi voltarono lo sguardo, le bocche mezze aperte – chi a causa della sorpresa, chi di una risposta bloccata sulla punta della lingua. Da dietro uno scaffale spuntò una ragazza alta con i capelli scuri raccolti in una coda e gli occhiali.
 
Era l’assistente bibliotecaria di quell’anno, si ricordò Sturgis. L’anno prima Caradoc ci era perfino uscito insieme per un paio di settimane: se non ricordava male, si chiamava Jennifer ed era una Tassorosso. Ricordò che a suo tempo gli era perfino stata simpatica: ora, però, il momento che aveva scelto per flirtare con Caradoc non era dei migliori.
 
La ragazza non sembrò accorgersene, comunque, o in ogni caso fece in modo di ignorare l’aria carica di tensione e le espressioni sorprese e contrariate dei tre.
 
<< Caradoc, scusa se ti disturbo >> riprese con tono civettuolo.
 
<< Jennifer >> mormorò il Corvonero, e sembrò trattenere il tono scocciato che aveva usato per rivolgersi a Sturgis optando invece per uno incolore.
 
Jennifer si aggiustò gli occhiali rettangolari sul viso, con un sorriso sbarazzino.
 
<< Scusa se ti disturbo, ma non ti ho più visto ultimamente. Volevo chiederti come era andata quella cosa là di cui avevamo parlato… >>.
 
Sturgis voltò lo sguardo su Caradoc per trovarvi un’espressione spaesata. Era palese che, qualsiasi cosa volesse intendere la Tassorosso, Caradoc l’avesse completamente dimenticata.
 
<< Scusa, non… >> mormorò il Corvonero scuotendo il capo.
 
<< Sai, il tuo amico Serpeverde… >> disse la ragazza << Avevi detto che potevi mettere una buona parola per me, ti ricordi? Sai, si stanno avvicinando le vacanze natalizie >>.
 
Caradoc sembrò acquistare a poco a poco coscienza di ciò di cui Jennifer stava parlando. Dopodichè, fece una cosa stranissima: Sturgis lo conosceva bene, ormai, dopo sei anni di solidissima amicizia, e non l’aveva mai visto irrigidirsi a quel modo davanti a qualcuno con cui non era in confidenza. Caradoc viveva mascherato perennemente da ragazzo vanesio e narcisista, e sembrava vivere davanti agli altri con una rilassatezza e un’indolenza che, quasi, davano sui nervi a qualunque attento osservatore. Di norma, le uniche persone con cui si permetteva di mostrarsi scioccato, o rigido, o piccato, erano i suoi amici più stretti.
 
Dopo un attimo parve riprendersi, mettendo su la solita facciata impertinente.
 
<< Mi ricordo benissimo, mia cara >> celiò con quel tono galante che gli usciva così bene con tutte le ragazze << E te ne chiedo scusa, me lo ero proprio dimenticato. Ti dirò di più, provvedo subito >>.
 
Detto questo si alzò e chiuse il libro che aveva sfogliato fino a poco prima, riponendolo sul tavolo. Prima di andarsene, passò dietro lo schienale della sedia di Edgar e, sotto lo sguardo incredulo di entrambi i suoi amici, si chinò su Sturgis.
 
<< Non tutto ruota intorno a te, Stur. E forse, nel momento in cui potrei avere più bisogno del mio migliore amico, l’ultima cosa che voglio è dover essere all’altezza anche delle tue aspettative >>.
 
Sturgis deglutì, guardandolo andare via.
 
Di solito, quando litigavano, Caradoc non si scomponeva mai. Aveva sempre capito, Caradoc Dearborn, cosa mandava Sturgis così ferocemente in bestia del suo rapporto con la sua famiglia: di solito lo lasciava sfogare, capendo che il motivo per cui lui si preoccupava aveva a che fare con l’affetto che provava in realtà, e gli dava il tempo di calmarsi e poi tornare.
 
Era sempre Sturgis quello che dalle loro litigate se ne andava furibondo.
 
Cosa c’è di diverso, adesso?
 
 
*
 
 
Il problema di incontrarsi sulla Torre di Astronomia invece che nei giardini era che, di notte, il castello era dominio incontrastato del Custode e del suo famiglio, e quindi c’era sempre la possibilità di essere scoperti. Se all’esterno avevano avuto la compiacenza di Hagrid, forse incapace di mantenere i segreti ma bene o male avvezzo a non infilare il naso in questioni che non lo riguardavano, all’interno del castello sarebbero stati soli.
 
Se a Caradoc Dearborn avessero chiesto, quel passato primo Settembre, come si immaginasse il suo ultimo anno a scuola, di certo non gli sarebbe mai venuto in mente di descrivere la situazione in cui si trovava in quel momento: avrebbe detto di desiderare di trionfare nel torneo annuale di quidditch come Capitano di Corvonero, di saldare all’estremo le amicizie che si era creato all’interno di quella scuola cosicché potessero avere tutte le carte in regola per continuare anche una volta che diplomato, o – nel peggiore dei casi – si sarebbe accontentato di passare una grande percentuale del proprio tempo a studiare a causa dell’ansia che i MAGO gli procuravano, insieme a tutto ciò che quegli esami significavano.
 
Di certo, non avrebbe pensato che avrebbe passato ogni mattina ad ingegnarsi su come spendere il proprio tempo in compagnia di Benjamin Fenwick. A quel passato primo settembre, se doveva essere sincero, Caradoc Dearborn sapeva a stento che Benjamin Fenwick esisteva.
 
Invece, adesso, seduto dietro alle merlature della torre di Astronomia, non era il Capitano della squadra, era in crisi con i propri amici più stretti e da quando aveva messo piede al castello non aveva ancora rivolto un pensiero serio a studiare in attesa dei MAGO. E Benjamin Fenwick era l’unica parte della propria giornata che aveva imparato ad aspettare con qualcosa di spaventosamente simile alla trepidazione.
 
Quante cose erano cambiate in pochi mesi. Per la prima volta da settimane, però, il pensiero non sembrava trascinarsi dietro nessun alone negativo.
 
<< Fammi capire bene, ci ingegniamo per trovare un posto in cui non morire di freddo e tu comunque decidi di stare nella parte della torre sprovvista di un tetto? >>.
 
La voce di Benjamin lo raggiunse alle spalle, il tono a suo modo carico di ironia. Caradoc si voltò, per controllare con lo sguardo che fosse proprio lui.
 
Non ci aveva creduto più di tanto, che quella loro abitudine continuasse. Forse era quello il motivo per cui, appena arrivato, si era posizionato seduto dietro alle merlature della torre, ad osservare con sguardo assorto il panorama ancora celato dal buio che precedeva l’alba.
 
<< Cercavo di scappare a quel malefico gatto >> rispose nel suo solito tono indolente.
 
Benjamin lo guardò con quel suo sguardo serio, e Caradoc – non per la prima volta dacché avevano preso quella strana abitudine di fare colazione insieme – sentì di essere visto
 
Aveva imparato che non era così difficile capire Benjamin Fenwick. Era un processo lento, perché il Serpeverde aveva bisogno di tempo per ambientarsi e lasciarsi andare, ma non era difficile. Era intrigante.
 
Erano complementari, in un modo o nell’altro: Caradoc con la sua maschera da sciocco vanesio e Benjamin con la sua aura di inscalfibile serietà. Caradoc, dopo un po’ di tempo, aveva imparato a non stupirsi che proprio loro due fossero finiti ad incontrarsi in quel modo: sul ciglio tra la notte e il giorno, in sordina e di nascosto da tutto e da tutti.
 
Vide Benjamin scrollare le spalle, riconoscendo probabilmente di aver visto più di quanto Caradoc non avesse inteso mostrare ma come a non voler davvero approfondire la questione, poi il ragazzo alzò la mano destra e mise in bella mostra un cesto.
 
<< Colazione >> si limitò a dire, rientrando.
 
La torre di Astronomia era davvero un posto particolare. Era teatro inconsapevole di moltissime cose che esulavano dalle lezioni di suddetta materia: coppie clandestine, affari loschi, incontri improbabili; un sacco di avvenimenti si svolgevano tra le mura della torre più alta del castello, da cui tra l’altro si poteva godere di un paesaggio mozzafiato.
 
Caradoc osservò il Serpeverde sedersi vicino alla parete nella parte della torre più protetta, lo sguardo rivolto all’esterno e le mani già intente a frugare nel cesto che si era portato dietro. Si morse un labbro, il Corvonero. In quale delle precedenti categorie ricadevano loro due? Nell’intento di scrollarsi dalla mente quella domanda scomoda, si sedette accanto all’altro ragazzo e cercò qualcosa da dire.
 
<< Come sta andando la ricerca con Amelia? >>.
 
Fenwick sbuffò, interrompendosi nell’atto di mordere un pezzo di toast.
 
<< Hai una minima idea del numero di Nati Babbani presenti in questa scuola? >> domandò retorico il Serpeverde.
 
Caradoc ne approfittò per rispondere con una battuta.
 
<< Sapevo che prima o poi sarebbe uscito il Serpeverde purosangue che è in te >>.
 
Suddetto Serpeverde rise, sorpreso.
 
<< Idiota >> lo riprese con tono bonario << Non intendevo in quel senso. È solo che si tratta di un numero davvero alto di interviste >>.
 
Caradoc ridacchiò, prendendo una mela tra le mani ed osservandone la lucentezza prima di addentarla soddisfatto.
 
<< Ancora non ho capito come ha fatto Amelia ad intortarti. Lo rimpiangerai per il resto della tua vita >> lo prese in giro di rimando.
 
<< Almeno quanto lo rimpiangerà lei una volta che si sarà davvero resa conto di quanto divento odioso quando costretto a interagire con altri esseri senzienti >>.
 
Quando avevano iniziato a prendere confidenza, Caradoc aveva pensato di sapere cosa aspettarsi dall’altro ragazzo. Neanche a dirlo, si era sbagliato in pieno. Benjamin aveva un acuto senso dell’umorismo, e questa era una di quelle cose che da qualcuno normalmente serio come era lui non ci si sarebbe aspettati assolutamente. Aveva una pungente ironia che non risultava mai offensiva e, cosa interessante, sapeva ridere anche di sé stesso.
 
Caradoc lasciò cadere il discorso con una risata, adagiandosi in quel silenzio che era un po’ diventato il marchio di momenti come quelli e in cui, sorprendentemente, si trovava così a suo agio.
 
<< Resterai ad Hogwarts per le vacanze invernali? >> chiese ad un certo punto Benjamin.
 
<< Nah, il compleanno di mio padre è a fine dicembre e ogni anno organizza uno di quei lunghissimi ricevimenti pieni di gente e tartine ammuffite. Hai presente? >>.
 
<< Davvero no >>.
 
<< Beata ignoranza >> mormorò Caradoc << Comunque rimanere a Hogwarts per Natale non è mai stata un’opzione, per me. Tu? Torni dai tuoi? >>.
 
Benjamin aveva il tipo di famiglia da cui tornare, Caradoc se ne era accorto subito, addirittura prima che quella loro abitudine si consolidasse realmente. Ne parlava con l’espressione annoiata di chi prende tante cose per scontato ma il suo tono aveva un calore particolare quando la voce scivolava sui particolari relativi ai viaggi di Jodie, o alla passione del padre per le piante più strane.
 
<< Si, quest’anno Jodie riesce ad essere a casa per Natale >> mormorò infatti, proprio con quel tono, il Serpeverde << Anche Dorcas verrà con me, al di fuori di noi non le è rimasto nessuno, e in un modo o nell’altro è entrata a far parte della famiglia >>.
 
<< Che tipo di Natale passerete? >> chiese Caradoc, curioso.
 
<< Caotico il giusto. Mio padre e Jodie sono molto… espansivi, diciamo così. Probabilmente finiranno a cantare intorno al piano mezzi ubriachi come al solito >> rispose Benjamin scrollando le spalle << Tu, invece, tartine ammuffite? >>.
 
<< Probabile >> rise il Corvonero.
 
Quell’ultima risposta di Caradoc aleggiò nell’aria per diversi attimi, mentre il Serpeverde da parte sua sembrava concentrato sull’ultimo pezzo di toast che aveva tra le mani. La linea chiara dell’alba creava una tenue penombra intorno a loro e disegnava il profilo del ragazzo accanto a Caradoc in modo netto ma, in qualche modo, dolce. Mentre lo osservava, a Dearborn venne in mente la conversazione avuta nel pomeriggio precedente con Sturgis e Edgar.
 
Sei un maledetto vigliacco.
 
Il tono di Sturgis gli rimbombò nelle orecchie insieme a quello strano miscuglio di ansia che gli aveva provocato sul momento ad attanagliargli le viscere.
 
<< Ben, hai presente Jennifer? >> mormorò alla fine.
 
<< Jennifer? >>.
 
Dal tono, il Serpeverde davvero sembrava non avere idea di chi stesse parlando. Aveva smesso di mangiare – non mangiava mai molto, Benjamin, e comunque si limitava a spizzicare cose salate – e ora stava giocherellando con dita veloci con il bordo liso del mantello.
 
<< L’assistente bibliotecaria, quella che sta sempre al bancone davanti al tavolo che di solito occupi per studiare con Meli >>.
 
Benjamin non sembrò preoccuparsi troppo di ricordare.
 
<< Non ho la minima idea di chi tu stia parlando >> rispose infatti alla fine di qualche attimo di silenzio, il tono leggero.
 
<< Passi la tua vita in biblioteca! >> lo prese in giro Caradoc garbatamente.
 
Benjamin per un attimo sembrò scioccato.
 
<< Per studiare, mica per guardare l’assistente bibliotecaria! Anzi, ora che mi ci fai pensare, nemmeno avevo notato esistesse la carica di assistente bibliotecaria >>.
 
Caradoc rise scuotendo il capo davanti alla tranquilla ammissione dell’altro.
 
<< Beh, Jennifer sembra trovarti interessante. Mi ha chiesto di mettere una buona parola con te >>.
 
Benjamin, che fino ad allora aveva giochicchiato con l’orlo del mantello muovendo le dita svelte della mano destra a tirare i fili lisi, parve bloccarsi un secondo con lo sguardo basso. A Caradoc, che in quelle loro mattine passate insieme ormai era diventato abbastanza ricettivo all’umore del compagno di scuola, parve quasi si fosse per un attimo come spento. Poi lo vide alzare la testa ed era di nuovo quello di prima, lo sguardo tranquillo e il tono della voce leggero, quasi non stesse prestando minimamente attenzione alla conversazione ma si limitasse a portarla avanti per gentilezza.
 
<< Dubito servirebbe a qualcosa >> mormorò alla fine il Serpeverde, voltandosi verso di lui e guardandolo con occhi scuri e seri << D’altronde, fino ad ora non l’ho nemmeno notata >>.
 
Sotto il peso di quello sguardo scuro e calmo, Caradoc si sentì come rimpicciolire. La sensazione ansiosa che gli aveva attanagliato le viscere nel pomeriggio, quando aveva discusso con Sturgis ed Edgar, sembrò tornare tutta d’un colpo. Questa volta, sotto quello sguardo, si scoprì incapace di scacciarla via.
 
<< Jennifer è una ragazza simpatica >> sussurrò un po’ contro voglia. Come avrebbe descritto Jennifer a qualcuno che non la conosceva? << Un po’ ridanciana, ma non troppo. È… allegra. Ride facilmente. È un po’ chiassosa. Semplice, ma carina >>.
 
Benjamin non sembrò minimamente toccato dalla descrizione. Quando si concesse un attimo per pensare, Caradoc capì che tutto quello che aveva detto fino a quel momento non doveva suonare particolarmente invitante alle orecchie del Serpeverde.
 
Possibile che tutte le cose che gli venivano alla mente fossero, ora che ci pensava, piccoli o grandi difetti?
 
<< Davvero, è una brava ragazza >> concluse alla fine, le labbra tirate in un sorriso stranamente difficile << Potresti prestarle attenzione, la prossima volta? Magari ti piacerà >>.
 
Benjamin lo studiò ancora per qualche secondo, poi fece spallucce.
 
Non era una vera e propria risposta, si disse il Corvonero. Quel pensiero lo lasciò stranamente confortato, anche se preferì non chiedersi il perché.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
Quando ho pensato il capitolo, la parte di Hestia e Dorcas doveva essere moooolto più lunga, però poi mi sono accorta che da quando sono tornata a scrivere non le ho più scritte insieme e quindi mi serviva un po’ per riabituarmi: risultato, il prossimo capitolo sarà in larga parte su di loro, questo piccolo stralcio era per riprenderci un po’ la mano.
Mi sono resa conto che, anche per il lavoro, trovo più comodo aggiornare questa storia durante il week end (in cui lavoro un giorno solo a turno, quindi l’altro è più libero per pensare a correggere il capitolo!), quindi vi do appuntamento al prossimo fine settimana. Grazie mille per recensioni e messaggi, e in generale per il vostro supporto a questa storia!
   
 
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