Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: lainil    01/10/2020    0 recensioni
[Raccolta di One Shot]
1° [Reiju Vinsmoke] "L’aveva salvata, l’aveva portata via una sera di maggio nel sonno e lei non poteva che esserle più grata."
2° [Trafalgar Law - Eustass Kidd] "Non sa più niente Law, chiude gli occhi, lasciandosi cadere sul pavimento freddo di quella casa dove l’unico intruso è lui."
3° [Ace - Marco] "Sperando che, ovunque sia, lui sia felice e continui a festeggiare e a brindare alla famiglia che ha lasciato indietro."
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Eustass Kidd, Portuguese D. Ace, Reiju Vinsmoke, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Titolo: Flares;
Genere: triste, malinconico;
Rating: giallo;
Personaggi: Portgas D. Ace, Marco;
Avvertimenti: leggeri riferimenti a
una possibile !Depressione;
Parole: 2037.



 
Marco stringe l’ombrello che lo copre e lo protegge dalla pioggia incessante che ha investito l’isola da diverse ore. Il cielo non accenna a volersi liberare da quelle nuvole per dare spazio al sole. Una giornata triste e grigia, esattamente come la loro vita da un paio di giorni.
Il biondo abbassa lo sguardo, mantenendo la sua espressione neutra e insofferente di fronte ad un avvenimento distruttivo come la morte. La morte del suo migliore amico. Ammazzato da colui che quasi tutti consideravano un fratello, anche se a lui, in realtà, non era mai andato completamente a genio, ma Barbabianca lo aveva sempre accettato senza troppe lamentele e lui non era nessuno per dubitare delle parole del padre. Era un uomo intelligente, il vecchio, e Marco era convinto fosse in grado di capire, solo da uno sguardo, se qualcuno valesse la pena o meno di entrare a far parte della sua famiglia.

Ebbene, in tanti anni di servizio in quella ciurma, Barbabianca aveva sbagliato solo una volta: esattamente quella.

Thatch, il suo migliore amico, fratello, complice e compagno di tante avventure, era stato tolto di mezzo senza alcuna pietà da Teach, in una notte di pioggia, esattamente come quel pomeriggio. L’unica ragione era stata l’astuzia e la cultura che possedeva Thatch, la capacità di riconoscere un frutto del diavolo superiore a molti altri e rubarlo, mostrandolo fieramente ai compagni, senza intenzione alcuna di cibarsene.
Non riesce a immaginare, Marco, il dolore che debba aver patito l’uomo, con un animo tanto buono e puro con il suo, a trovarsi a lottare con un tale mostro che, per molto tempo, aveva definito un fratello fidato e un “bravo ragazzo”, come gli raccontava le poche volte che lo aiutava in cucina.

La fronte di Marco si appoggia al manico dell’ombrello e i suoi occhi si chiudono, lasciando che la mente vaghi libera per i ricordi con l’amico, perdendosi in quei bei momenti che non rivivrà, parlando con quella voce che non sentirà più e udendo, per l’ultima volta, quei dialoghi avuti qualche giorno prima, parlando del cibo e di nuove ricette che Thatch gli avrebbe assolutamente voluto far provare. Chissà che piatti sarebbero stati se li avesse messi in tavola, buoni sicuramente, forse leggermente speziati, come piaceva a lui, in razioni esagerate, come avveniva sempre.
Tutti li avrebbero amati, tutti amavano la cucina di Thatch, tutti amavano Thatch come persona e compagno.

E, forse, al livello di Marco solo un’altra persona.

Un’altra persona che Marco vede quando riapre gli occhi, una persona il cui corpo trema, bagnato dall’acqua, privo di un ombrello che non ha voluto avere, mentre le lacrime si confondono alle gocce di pioggia e la bocca è aperta, ma non fa uscire alcun urlo di disperazione.
È l’unica persona, insieme al biondo, a rimanere anche quando il funerale è finito e la tomba di Thatch si erge davanti a loro.
Tutti hanno preferito ritornare alle loro mansioni, cercando una libertà di cui sono stati privati e una tranquillità che difficilmente si potrà riavere.
Marco sospira e si avvicina al piccolo corpo tremante, allungando l’ombrello e fingendo di non sentire la pioggia che, lentamente, lo bagna.
Ace ha più muscoli di lui, ma risulta così piccolo sotto quell’ombrello che ormai si rivela inutile, essendosi bagnato per minuti, se non ore, interi:

“Torniamo alla nave.”

Consiglia Marco, senza muovere però un passo, aspettando che l’altro faccia qualcosa o parli, facendogli capire come è meglio proseguire. Ace non si muove, rimane lì a fissare la piccola tomba dell’amico, ignorando le parole dell’altro:

“Ace…”
Cerca di convincerlo:

“Lasciami stare.” Ottiene come risposta: “Voglio rimanere qua con lui.”

“Non possiamo Ace, devi mangiare qualcosa, sono giorni che non mangi e il tuo corpo ti sta chiedendo pietà. Non lo vedi?”

Nulla.

Ace non gli risponde, è seduto di fronte alla lapide e la guarda privo di emozioni.
Marco sospira e si sistema al suo fianco, continuando a coprirlo con l’ombrello:

“Non doveva morire. Non meritava di morire così giovane.”
Commenta, privo di emozioni, Ace, iniziando a strappare fili d’erba, passandoseli tra le dita e rompendoli ulteriormente, lasciandone piccoli pezzettini.
Marco non dice nulla, non sapendo cosa dire per consolarlo un minimo. Ace sta male, ma lui non è da meno, semplicemente, con l’esperienza di una vita di perdite e con vent’anni in più del minore, di cose e avvenimenti ne ha visti e subiti di più e, di piangere, ne ha perso la voglia. Lo farà, se le emozioni avranno il sopravvento su di lui, nella sua stanza, nel silenzio notturno, lasciando che il cuscino attutisca il suo dolore. Non piangerà di certo davanti a quel ragazzo, mostrando una debolezza che non dovrebbe poter avere.
Thatch era il suo migliore amico e sì, probabilmente sta sentendo più dolore lui che Ace, ma non vuole fare a gara a chi voglia urlare più forte, si trattiene per una forma di rispetto verso la tomba e quella figura, ormai non più nel loro stesso mondo, del ragazzo che se ne è andato troppo presto, lasciando la loro realtà in anticipo rispetto al suo effettivo destino:

“Quell’uomo maledetto che lo ha ucciso fa parte della mia divisione. Lo ha ammazzato ed è fuggito.” Alza lentamente la voce Ace, mentre Marco lo guarda con la coda dell’occhio: “Non può restare impunito. Ripagherò il dolore di Thatch consegnando all’oceano il cadavere di Teach.”

Marco sbarra gli occhi all’udire quelle parole, vedendo il corpo di Ace irrigidirsi per la rabbia. Di riflesso gli afferra il polso della mano chiusa a pugno, cercando non solo di rilassarlo, ma anche di fermarlo da quei brutti pensieri:

“Non dire stronzate, Ace. Ora sei stanco, esausto e distrutto da questo avvenimento. Devi stare tranquillo, quando tutto si sarà sistemato penseremo a come procedere. Anche il babbo ha detto di non reagire in modo esagerato.”

“Come fate a restare così insofferenti davanti ad un avvenimento del genere? Marco, è morto il tuo migliore amico e sembra non te ne freghi nulla.”

Gli urla contro, guardandolo negli occhi e alzandosi, mettendosi all’incirca alla sua altezza, seppur Marco si presenti più alto di lui di diversi centimetri:

“Come fai a mantenerti così serio di fronte alla tomba di un qualcuno che hai avuto attorno per mesi, anni interi e che è stato ammazzato praticamente davanti a te? Non provi il minimo dolore, il minimo dispiacere, perché non piangi?”

È arrabbiato Ace, è nervoso, incredulo, afferra la camicia di Marco, facendogli quasi scivolare l’ombrello, per poi spingerlo indietro e portarsi le mani sul viso, trattenendo la rabbia e le lacrime che gli escono dagli occhi, andando a mischiarsi con la pioggia:

“Perché non riesco.”

Gli risponde semplicemente Marco, mantenendo lo sguardo su di lui:

“Cosa significa che non riesci?”

Urla, alza la voce ancora Ace, incapace di dare un senso a quelle parole: come può mai Marco non provare niente, rimanere serio, con quella sua classica espressione di impassibilità? Non lo capisce, non lo comprende, per lui è inammissibile una cosa del genere. Solleva le mani, pronto a colpire nuovamente Marco, ma lui, più veloce e lucido del ragazzo, gli blocca entrambi i polsi. L’ombrello gli scivola dalle mani, lasciando che entrambi si scoprano completamente all’acqua.
Ace respira pesantemente, è esausto e mentalmente a pezzi, oltre che stanco e affamato, incapace di dormire o mangiare, con la mente piena di allucinazioni di giorno e di brutti sogni la notte, quelle rare volte che tenta di dormire:

“Piangi!”

“Ace… Smettila.”

Cerca di tranquillizzarlo, guardandolo privo di emozioni, sospirando per sottolineare il suo fastidio di sentirlo piangere.
Ace lo fissa profondamente con gli occhi rossi e gonfi per quelle lacrime:

“Guardami e dimmi che di quell’uomo non ti è mai fregato nulla, non ti frega niente dei tuoi compagni di ciurma.”

“Ace!”

Lo rimprovera con più decisione e pesantezza Marco, innervosito da quella frase che odia sentire e che non permetterebbe a nessuno di dire. Possono dirgli di tutto, davvero, ma non che non vuole bene alla sua amata famiglia e vorrebbe ricordare ad Ace che è uno degli ultimi arrivati e, di quella famiglia, non ne sa nulla. Ma tace, riassume la neutralità sul viso e rilassa l’espressione. Non deve mai dimenticare che Ace è più giovane, troppo giovane per aver sofferto davvero tanto nella vita. Non lo vuole sminuire, ma per arrivare alla sua realtà deve ancora passare più di vent’anni di dolori e sofferenze:

“Smettila di piangere… Tanto Thatch non tornerà.”

E chiede scusa al suo amico defunto per quella frase così priva di emozione, che fa serrare le labbra con rabbia a Ace che lo guarda, scuotendo la testa, pieno di rabbia per quelle frasi, per quella frase in particolare, che lo ha completamente spiazzato. Non pensava che a Marco potesse fregare davvero così poco:

“E smettila di frignare, chissà quanta gente perderai in tutti i tuoi anni di vita.”

“Come se non mi fosse già successo.”

Trema Ace a dire quelle parole. Proprio a lui lo sta dicendo Marco, lui che, oltre al padre e alla madre, ha perso anche uno dei suoi preziosi fratelli, senza potergli dare l’ultimo saluto, l’ultimo abbraccio, senza averci potuto fare l’ultima risata:

“Ma che cosa ne sai?” Lo guarda, scuotendo la testa e deglutendo con forza: “Cosa ne sai te del fatto che io abbia sofferto o meno per una morte? Tu non sai niente di me, Marco. Non sai cosa significhi essere me. Non hai idea. Non puoi capire come ci si senta a sentirsi così inutili. Voglio solo che tutto questo scompaia! Voglio che tutto finisca! Non voglio più soffrire per una morte, per qualcuno che non sono stato in grado di salvare in tempo. Non voglio più vivere queste sofferenze!”

Gli grida, disperato, ma Marco non cambia espressione, non allevia la stretta, mantiene la presa salda sui polsi del ragazzo, guardandolo piangere e continuare ad urlare. Fa un lungo respiro, per poi avvicinare con decisione verso di sé le proprie mani, tirando dietro anche Ace che finisce per sbattere contro di lui, impedendogli qualsiasi desiderio di fuga, legandogli le braccia attorno al corpo e tenendolo lì.

Ace respira, fa lunghi, incessanti respiri, ma non si muove dal petto dell’uomo, rimane lì. Rimane lì e continua a piangere, non essendo in grado di smettere:

“Thatch è morto, Marco. Thatch è morto e nessuno ce lo riporterà mai più indietro. Se ne è andato per sempre.”

E nuovamente scoppia a piangere, stringendosi a Marco, cercando una sorta di supporto.
Marco non dice nulla, lo stringe più forte e lo lascia sfogare, tornando a guardare la tomba che giace ai loro piedi e sentendo gli occhi pizzicargli un minimo, distrutto da tutte quelle urla e da quel dolore di un ragazzo così giovane rispetto a lui. Si augura, in cuor suo, che Ace non debba mai soffrire come lui, che rimanga meno nella Ciurma di Barbabianca, che ricominci a vagare da solo senza affezionarsi a nessuno, tutto per non farlo diventare come lui. Nemmeno lui riesce più, nemmeno lui reggerebbe ad un‘ennesima morte e proprio a causa di questa costante paura si è ritrovato a dover costantemente non dimenticare di vivere ogni momento con ogni persona come se fosse l’ultimo, preferendo sedersi spesso vicino a Barbabianca, guardare gli altri gioire e festeggiare e mantenersi distaccato, imprimendo ben nella mente quei momenti, temendo che il giorno dopo non tutti siano più lì a festeggiare.

Fa male, perché nonostante spesso si sia sentito un idiota a fare queste cose – che si vergogna di raccontare a chiunque –, quell’ultima sera è servito farlo, è servito per vedere un’ultima volta Thatch felice, ridere, scherzare, prenderlo in giro per non aggiungersi agli altri.
Ha fermato quella scena e la ha ben stampata nella mente.
Thatch esisterà sempre, non importa quanto tempo possa passare, e sarà sempre sorridente e spensierato, com’è giusto che sia.

Chiude gli occhi Marco, raccogliendo l’ombrello e prendendo per mano Ace, che non ha ancora smesso di piangere, pronto a tornare sulla nave, diversi minuti dopo quello scambio di battute.

Riserva un ultimo sguardo alla tomba, pronto a lasciarsela dietro per sempre, sorridendo malinconicamente al suo migliore amico sperando che, ovunque sia, lui sia felice e continui a festeggiare e a brindare alla famiglia che ha lasciato indietro.



Prompt: “You can’t understand how it is to feel this worthless. I just want it all to go away! I want it all to STOP!”
("Non puoi capire come ci si sente a sentirsi così inutili. Voglio solo che tutto vada via! Voglio che tutto finisca! ")
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: lainil