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Autore: Belarus    27/10/2020    1 recensioni
"Dall’alto dei suoi due metri e delle batoste prese nella sua breve vita, Kidd la osservò mordicchiarsi la bocca e un pensiero lo investì, facendogli lanciare di mal grazia la rivettatrice nel carrello degli attrezzi.
«Che si fottano loro e tutta la classe dirigente di Marijoa. Puoi stare da me.» annunciò serio, facendo scappare a Killer la saldatrice accesa di mano."

[AyaKiddAU con la simpatica collaborazione di Law in veste di vicino]
Storia partecipante{o quasi} al Writober2020 indetto su Fanwriter.it
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Quadro
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: E per la serie I Grandi Cliché della storia abbiamo: i calendari osé nelle officine. Questa shot mi sono divertita molto a scriverla perché è idiota, ammettiamolo, ma si svolge in quella modalità di narrazione che a me piace moltissimo, cioè il malinteso. Che sia culturale, linguistico, generazionale e chi più ne ha più ne metta, io li adoro. Il prompt era incentrato sui quadri e mentre mi scervellavo su come conciliare la mancanza di quel genere d’interesse culturale in Kidd con Aya che trova avvincente anche un saggio della Crusca, ho avuto una visione mistica{?!} della Grande onda di Kanagawa e beh, la cosa è degenerata. Spero vi piaccia e grazie come sempre a chi ha letto, recensito, aggiunto la storia tra le seguite. Ci si sente presto mes amis~




#09. Quadro





Quel pomeriggio, approfittando della mancanza dei due padroni di casa, aveva appena avuto il tempo per una doccia prima che Kidd mandasse in fumo i suoi cinque minuti di dominio sull’appartamento, chiamandola con un colpo ben assestato di scopa al tetto dell’officina di sotto. Le era venuto un accidente, come sempre d’altronde da quando lui aveva scoperto di poterla chiamare comodamente da lì, ma la notizia che le aveva dato poco dopo era stata elettrizzante persino per lei e trascinata dall’entusiasmo del rosso si era persino dimenticata d’asciugare i capelli. Così adesso, mezz’ora più tardi, era pronta a far ritorno dal centro città carica di snack della peggior specie, cibo da asporto raccattato un po’ ovunque per accontentare i gusti di tutti e un sacchetto biodegradabile di Mos Burger che si stava già biodegradando tra le sue mani, mentre Kidd la accoglieva tronfio all’interno dell’officina appena ristrutturata.
«Allora, sembra un’officina per ricconi adesso o no?» chiese orgoglioso, mostrandole il frutto di quattro giorni di duro lavoro e Aya si abbandonò ad un sorriso nel guardarsi attorno.
L’inondazione era arrivata improvvisa, durante il fine settimana precedente. Il meteo prevedeva solo pioggia e le autorità della zona si erano mobilitate previdenti data la situazione dei drenaggi in quella parte della città, ma la situazione era precipitata chissà come in ogni caso. Le cisterne che avrebbero dovuto far defluire l’acqua sotto il porto non avevano retto e con una densità di popolazione da accapponare la pelle, abitazioni che sfidavano le leggi fisiche oltre che architettoniche e scarichi rotti, l’acqua era venuta fuori da ogni angolo. Aya aveva piazzato stracci – e non – ovunque in casa per salvare il salvabile, mentre Kidd e Killer cercavano di mettere al sicuro l’officina, ma era stata una lotta impari. Era finita sommersa e con lei tutto il materiale dentro, così entrambi avevano dovuto rimboccarsi le maniche a capo chino, consci che se non si fossero dati una mossa nessuno li avrebbe aiutati e ci sarebbero andati sotto per l’intero mese estivo. Grazie ai kami però, per quanto duro fosse stato il colpo subito, Kidd l’aveva presa come un modo per rifarsi, migliorare addirittura. Beh, non subito ovvio… gli c’era voluta qualche ora di non proprio garbate parole che il vicinato avrebbe tramandato ai posteri come una leggenda metropolitana e per cui Aya aveva visto sbarrare finestre per non riaprile più, ma alla fine era andata bene. Benissimo a giudicare dal risultato.
«Sono sinceramente ammirata. Non puzza quasi più di umido! C’è davvero da festeggiare!» si complimentò, guardandosi attorno con sempre più stupore ad ogni passo.
L’officina per Kidd e Killer era tutto, Aya lo aveva capito dal primo istante in cui vi aveva messo piede. Era il loro lavoro, la loro vera casa, un covo in cui fare baldoria con la loro comitiva e il loculo in cui sotterrarsi quando qualcosa andava storto. L’avevano affittata anni addietro da un omino che alla fine gliel’aveva venduta per il terrore di averci sempre a che fare e sistemata alla meglio con quel poco che avevano, aggiungendo e riparando, sacrificio dopo sacrificio, ogni volta che avevano qualche berry in tasca in più. Sebbene i loro sforzi sino ad allora fossero stati più che commoventi però, la Victoria Punk era rimasta tragicamente un garage umido e uggioso, privo di finestre e con un gabbiotto da carcere come ufficio, in una zona della città sottomessa ai palazzi da ricchi che li circondavano e con ben due scarichi fognari piazzati dietro l’angolo pronti a strabordare a tradimento alla prima occasione. Fino a quella sera almeno.
«Dopo tre mandate di colore, deve solo provarci a tornare.» quasi minacciò il soffitto Kidd e ad Aya scappò una mezza risata, mentre si faceva largo tra le uniche due auto parcheggiate per la lucidatura.
Avevano ridipinto le pareti – di un colore dubbio, ma lo avevano fatto –, riordinato gli scaffali e aggiunto qui e lì pannelli da far invidia ad una sala delle torture, il pavimento in cemento era stato colato di tutto punto dalla scivola d’accesso, l’illuminazione migliorata, le grate dei condotti di scarico ampliate.
«E avete cambiato il divano.» notò sbalordita, passandogli accanto.
«L’abbiamo fregato alla ragazzetta del negozio di tatuaggi, quella col pupazzo rattoppato che parla.» precisò chissà perché Wire, sedutoci sopra con una bottiglia di birra in mano e l’aria di chi si prende una pausa dopo troppe ore di lavoro.
«Non aggiungere altro ti prego.» lo zittì con una mano Aya prima che scendesse nei dettagli, mentre Kidd la superava sbracciandosi nell’indicare il resto delle migliorie seminate un po’ ovunque.
«C’è un sistema di videosorveglianza agganciato direttamente all’appartamento, così posso controllare anche da lì, sensori per le fughe di gas, un carrello elevatore appena uscito dalla fabbrica.»
Non aveva mai ben capito cosa se ne facessero di un sistema di videosorveglianza, stando proprio sopra l’officina e con la reputazione poco brillante che avevano, più che nel quartiere, nella città in genere, ma non era il caso di lanciarsi in un simile dibattito proprio in quell’occasione.
Per cui Aya lo seguì sorridente nel suo gironzolare e benché capisse purtroppo meno di quanto avrebbe voluto di ciò che le stava elencando con aria orgogliosa, non le riuscì di trattenerlo dal parlargliene, soddisfatto com’era per il lavoro e gli sforzi degli ultimi giorni. Significava tanto per lui, quello lo sapeva bene e vederlo così di buon umore per i suoi risultati tanto sudati le rallegrò il cuore.
«Avete fatto le cose in grande. Sono felice per te Kidd, per voi! Ve lo meritate, lavorate sodo tutti i giorni fino a tardi e quell’inondazione non ci volev-… stanno appendendo un quadro in ufficio? Avete comprato un quadro per l’officina?!» si bloccò di getto, quasi pietrificata.
Nel misero spazio, chiuso per metà da pareti di plexiglass, in cui avevano alloggiato documenti, inventario, cassaforte e un tavolaccio da far invidia ad un macellaio, due degli uomini dell’officina e ormai parte della comitiva di Kidd, si stavano affaccendando contro la parete. Avrebbe anche potuto fraintendere, perché sì, quella sarebbe stata davvero una svolta da far accapponare la pelle, ma erano armati di chiodi, martello, avevano persino una livella verdognola. Stavano sul serio appendendo un quadro!
«Un po’ più a destra, te l’ho detto due secondi fa idiota!» berciò uno di loro, proprio mentre Aya li raggiungeva boccheggiando per lo stupore incontrollato.
Di quel passo la Victoria Punk non solo sarebbe stata un’officina degna di tale nome, ma addirittura quella sciccheria da ricconi che tra le risate Kidd le aveva illustrato per spillare soldi a quelli che stavano ai piani alt-…
«È…» farfugliò tuttavia, interrompendo il flusso dei suoi pensieri con Kidd alle spalle che già se la rideva.
«Un capolavoro.» appurò convinto uno dei due geni e lei si ritrovò a sollevare un sopracciglio incerta.
«Più di uno direi! Fronte e retro!» sghignazzò cafone il compare, suscitando l’approvazione degli altri.
Quello sì che avrebbe dovuto immaginarlo, in fondo era stata lei ad alzare l’aspettativa oltre il limite della logica. Era una conclusione ovvia, naturale quasi, degna del clima che malgrado le migliorie si respirava là sotto e tra quelle menti mancate, ma chissà per quale bizzarra ragione così non era stato. E ora, immobile con i sacchetti della cena ancora tra le mani e i capelli arruffati dall’umidità di quella sera estiva, si ritrovava a contemplare con dubbio il titolo solenne stampato tra le cosce di una a dir poco succinta e accaldata Boa Hancock che riemergeva dalla schiuma del mare con uno sguardo che pareva sfidarla. O commiserarla. Aya non ne era esattamente certa, quella donna aveva qualcosa che non andava e di sicuro non era il costume da bagno striminzito. Doveva essere quel titolo, doveva per forza essere quel titolo perché chiunque avesse avuto quella brillante, surrealistica, sarcastica e culturalmente elevata trovata meritava d’essere annegato. Haii, annegato. Non c’erano mezze misure, non era un’esagerazione, era la punizione legittima ad un affronto culturale e perché no, anche parecchio sessista se proprio si voleva essere sinceri.
«Devo proprio farmelo un giro a Kanagawa prima o poi.» sospirò estasiato il supervisore ai lavori pubblici, toccandosi con mal grazia il cavallo dei pantaloni prominente.
“Le dodici vedute del monte”. Lo avevano davvero messo in vendita al pubblico come “Le dodici vedute del monte”. Qualunque fosse stato il salario di Boa Hancock per quella trovata, era stato comunque troppo poco rispetto a ciò che le avevano fatto inscenare.
«Ed è l’unica cosa che riusciresti a farti!» lo ammutolì Heat, sbucando con quel suo fare da cadavere tra le risate generali, senza che lei riuscisse a capacitarsi di avergli sentito fare quel genere di battuta con tanto slancio.
«Oh! Adesso è dritto!» gioì finalmente l’ultimo complice, scendendo dalla sedia su cui era stato appollaiato per ammirare dalla dovuta distanza la sua opera di precisione.
«Ci puoi scommettere che lo è!»
Mancava solo che lo chiudessero in una teca e ci piazzassero un cordino di velluto rosso sotto, per evitare gli approcci troppo diretti. Sempre che ne fossero capaci…
«Altro che “La grande onda”, dovevano intitolarlo “Il grande caz-»
… e no, non lo erano per niente.
Così con un sorriso forzato e a occhi chiusi quasi tanto bastasse per non sentire altro, ruotò su se stessa, lasciandosi Boa Hancock in costume, le onde del mare in burrasca e quel cenacolo di critici d’arte improvvisato alle spalle per dirigersi qualche metro più in là e dare finalmente le giuste attenzioni al sacchetto di Mos Burger che le si stava liquefacendo a contatto con la pelle: “M come la nobiltà della Montagna, O per il cuore profondo dell’Oceano ed S, simbolo di una passione bruciante come il Sole”.
L’aveva scelta bene la cena, non c’era che dire. Adatta.



  
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