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Autore: Severa Crouch    26/11/2020    7 recensioni
Si dice che un Potter porti sempre scompiglio a Hogwarts. Lo sa bene Minerva McGranitt, l’anziana preside della scuola di magia e stregoneria più prestigiosa d’Inghilterra, che ha allertato Prefetti e Capiscuola in vista dell’arrivo del primogenito di quello che fu il Bambino che è Sopravvissuto.
Come se fosse una maledizione legata al nome, con l’arrivo di James Sirius, strane presenze compaiono tra i corridoi della scuola, riportando a galla gli echi di una guerra finita.
In modo del tutto speculare, con reciproche diffidenze e sospetti, i cugini Weasley-Potter e i fratelli Lestrange indagano su quelle apparizioni, cercando di fare luce su quel mistero che riapre ferite che sembravano guarite.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi, Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 3

 

 

Hogwarts, 3 ottobre 2015

 

 

“Muovetevi! Roxanne, la Pluffa! Passa la Pluffa a Dominique! Lo schema, per Godric, ricordate lo schema!” Victoire si stava sgolando su quella scopa mentre cercava di mettere ordine tra i componenti della squadra di Grifondoro.

Rispedì a Baston il Bolide.

“Bel colpo, Vic!” le urlò in rimando, “Spero che colpiremo qualche Serpeverde con questa furia!”

“Non ti distrarre Seb, resta concentrato! Sono le Serpi che danno fiato alla bocca, noi Leoni andiamo a caccia!”

Tiberius McLaggen parò il lancio di Fred e Victoire sentì il fischio di Madama Hooch: “Tempo scaduto!”

“Va bene, ragazzi! Complimenti a tutti! Li stracceremo anche questa volta!” Alzò lo sguardo e incontrò quello di Teddy. Sorrise. Lui non perdeva nemmeno uno dei suoi allenamenti.

“Vieni a spiare, Lupin?” gli aveva detto McLaggen mentre entravano nello spogliatoio.

“Vengo ad ammirare la vostra Capitana, McLaggen.”

Si scambiarono un sorriso e Victoire si sentì a disagio nell’incontrare quello sguardo innamorato mentre lei era ricoperta di acqua e sudore, con i capelli scompigliati dal vento e il volto arrossato dall’intensità dell’allenamento.

“Ti aspetto qui fuori, fai con calma,” le sussurrò prima che lasciarla entrare nello spogliatoio, dritta nelle docce per rinfrescarsi e rendersi presentabile, se mai la tuta con i colori della squadra potesse avvicinarsi al concetto di “essere presentabile”. Sua madre avrebbe alzato gli occhi al cielo nel vederla conciata in quel modo, ma lei non era una studentessa di Beauxbatons e Hogwarts aveva un clima ben diverso dalla Francia, e comunque lei non era sua madre, per quanto si assomigliassero.

Victoire si sentiva più simile a suo padre, da cui aveva ereditato la stessa passione per l’avventura, nonché il ruolo da Battitore nella squadra di Quidditch e la passione per gli incantesimi. Sognava di diventare una Spezzaincantesimi proprio come lui, un giorno. Sarebbero stati una coppia meravigliosa, lei e Teddy, un Auror e una Spezzaincantesimi, con una vita piena di avventure.

C’era, però, una cosa che aveva indubbiamente ereditato da sua mamma, ed era la consapevolezza dei propri sentimenti e la stessa tenacia e determinazione nel coltivarli. Si sentiva unita a Teddy da un filo invisibile, come se loro due fossero nati per stare insieme, e più il tempo passava, più le prove di quella specie di predestinazione le avvertiva tutte.

Sospirò davanti lo specchio, mentre raccoglieva i capelli, sentì Roxanne dirle: “Almeno tieni sciolti i capelli. Teddy si ricorderà che sei la sua fidanzata.”

“Come se fosse una coda a farglielo dimenticare!”

“Beh, ma così sei decisamente più carina!”

“D’accordo.” Non le sfuggì con la coda dell’occhio l’attenzione che Dominique impiegava nel sistemarsi l’uniforme di Grifondoro. Strizzò gli occhi in direzione della sorella e le sembrò che stesse, addirittura, eseguendo un Incantesimo Illuminante al volto. Scosse la testa tornando a pensare a Teddy che l’aspettava fuori, salutò il resto della squadra e uscì.

“Albert!” esclamò non appena uscì all’aria aperta, “è successo qualcosa?”

Albert Goldstein, nella sua uniforme di Corvonero le sorrideva imbarazzato passandosi una mano tra i ricci scuri, sul mantello spiccava la spilla da Prefetto, a ricordare a tutti la sua posizione. Scosse la testa e una cascata di onde nere gli cadde sul volto. “No, non è successo niente. Passavo di qui!” le rispose vagamente.

“Vic!” Teddy la richiamò e Victoire lasciò Albert fuori dallo spogliatoio delle squadre con le mani in tasca e un’espressione ansiosa sul volto.

“Fermo, Ted,” gli disse sottovoce, mentre lui stava andando verso il castello. Lo guidò sotto gli spalti.

Ted l’abbracciò e le posò un bacio sulla guancia sussurrandole: “Che idee hai in mente, Prefetto Weasley?” Victoire gli diede un colpetto sulle mani e gli intimò di non fare rumore. Sottovoce aggiunse: “Goldstein non me la racconta giusta. Voglio capire che cosa ha in mente. Corvonero ha gli allenamenti la prossima settimana, cosa ci fa qua?”

Si scambiò un’occhiata complice con Teddy e rimasero in attesa, nascosti sotto gli spalti, mentre il vento riprendeva a soffiare e la tuta di felpa era decisamente troppo leggera per Victoire.

Teddy allargò le falde del suo mantello, la strinse a sé e le disse: “Vieni, almeno non prendi freddo.” Fu piacevole sentire il tepore del corpo di Teddy, mentre Goldstein sembrava sempre più impaziente. Poi, capirono tutto non appena videro Dominique uscire e sorridergli. Lui le fece un galante baciamano e poi le loro dita si intrecciarono e nessuno dei due sembrava aver intenzione di separarsi l’uno dall’altra.

“Direi che Goldstein aveva in mente tua sorella,” le sussurrò Teddy con una punta di divertimento nella voce.

“Lo vedo! Ecco perché Dodò ha impiegato un’eternità a prepararsi!”

“Andiamo adesso? Sto congelando!” esclamò Teddy, “possiamo parlare di Dodò e Albert anche in Sala Grande. Ti va se studiamo lì?”

Victoire annuì. Voleva lavorare al tema di Erbologia che il professor Longbottom aveva assegnato. Si sentì sciogliere non appena entrata tra le calde pareti della scuola. Si sistemarono al tavolo dei Tassorosso con libri e pergamene, mentre dietro di loro sentivano degli schiamazzi da parte di Serpeverde.

Teddy alzò lo sguardo infastidito verso la fonte di quel rumore. “Per Tosca, c’è sempre un Lestrange di mezzo quando c’è casino!”

“Puoi dirlo forte! Ad Erbologia, Roland ha combinato un disastro: ha inzuppato metà dei Serpeverde di Puzzalinfa! Neville era su tutte le furie, nemmeno ricordo quanti punti ha tolto a Serpeverde. Guarda la loro clessidra.” Victoire ridacchiava mentre ricordava le scene dell’ultima lezione.

“Bleah! Puzzalinfa! Nauseante come lui…” commentò Teddy, mentre si alzava verso quei ragazzini che sembravano un po’ troppo entusiasti per discutere di compiti.

“Ti dico di no!” esclamava Rabastan, il più giovane dei Lestrange, ad alcuni studenti. Victoire riusciva a sentirlo chiaramente fin dal tavolo dei Tassorosso. “Le streghe nel Medioevo facevano un incantesimo Fiammafredda per resistere ai roghi e poi si Smaterializzavano!”

“No, si Smaterializzavano subito, per questo non le prendevano!” rispondeva l’altro studente.

“Guarda che su Storia della Magia c’è scritto diversamente… Pure Binns l’ha spiegato così!”

“Ma tu ascolti le lezioni di Binns?”

“Certo che le ascolto. Dormo la notte, mica il giorno! Poi, sono lezioni piene di guerre, avventure e teste di Goblin che saltano per aria! Ci potremmo scrivere un romanzo su quelle cose!”

“Voi tre!” Teddy li richiamò all’ordine “Volete abbassare la voce? Se volete gridare, tornatevene nel vostro sotterraneo! In Sala Grande si rispettano anche gli altri studenti.”

“Ma noi stiamo studiando come gli altri!” protestò Rabastan agitando la testa con i ricci castani. Socchiuse gli occhi verdi come due fessure. Il suo amico gli posò una mano sulla spalla e lo portò a più miti consigli: “Lascia perdere, Rab, è un Caposcuola! Non facciamo perdere altri punti a Serpeverde, guarda la clessidra.” Rabastan sbuffò come un gatto e si sedette al tavolo con le braccia conserte.

“Segui il consiglio dei tuoi amici, Lestrange, fatti insegnare un po’ di buone maniere o ritorna da dove vieni.”

Teddy tornò al tavolo, si sentiva Lestrange borbottare qualcosa, mentre gli amici gli dicevano di stare calmo.

“Ti rendi conto che quei ragazzini non c’entrano niente con la guerra?” gli domandò Victoire.

“Lo so, Vic, ma se ci fosse stata giustizia, non sarebbero mai nati e i loro genitori starebbero marcendo ad Azkaban!” Lo aveva detto sottovoce, con un tono stizzito e pieno di rabbia. Victoire era l’unica persona al mondo a conoscenza dell’odio che Teddy provava ed era la sola in grado di tenere a bada quella bestia che ogni tanto si agitava in lui.

Teddy le aveva confidato di credere che il mostro che lo riempiva di rabbia fosse un residuo del lupo che dimorava in suo padre, un istinto animalesco, che il più delle volte lo spingeva a proteggere il branco e gettarsi nelle avventure, ma che finiva anche per trasformarlo in una versione più selvaggia quando vedeva qualche minaccia. Il nome dei Lestrange, per lui, era l’apoteosi della minaccia.

Victoire capiva quei pensieri e quello stato d’animo e avvertiva quella stessa bestia dentro di sé, smaniosa di uscire, pronta a lanciarla in nuove imprese, che lei aveva tentato di domare scegliendo il ruolo di Battitore, pensando che la tensione agonistica, la violenza con le mazze e i Bolidi, potesse placarla. Si stava accorgendo, però, che la bestia sembrava nutrirsi di quegli istinti e lungi dal placarsi, diventava sempre più affamata di adrenalina, tensione e violenza.

Trascorsero tutto il pomeriggio a studiare e Victoire si trattenne al tavolo dei Tassorosso anche per cena, l’istinto le suggeriva di non lasciare Teddy da solo.

Il fantasma del Frate Grasso spuntò dal tavolo e le fece un inchino: “Vedo che abbiamo ospiti!” esclamò allegro, “Tosca sarebbe felicissima di sapere che una giovane Grifondoro siede al nostro tavolo. Mi raccomando, miei cari ragazzi, fatela sentire a casa. Non smentiamo l’ospitalità per cui siamo famosi!”

Teddy le accarezzò la schiena e le posò un bacio sulla guancia, mentre Amelia e Nigel, i Prefetti di Tassorosso, le sedettero accanto per intrattenerla ogni volta che Teddy veniva distratto da un compagno di Casa.

“Sappiamo che non conosci molti studenti di Tassorosso, quindi ti facciamo compagnia noi!” le aveva detto Amelia Bones, nipote della celebre consigliera del Wizengamot, uccisa da Voldemort in persona durante la seconda guerra magica. Avevano chiacchierato non solo sui turni di ronda, ma anche su alcuni compiti assurdi che la Cooman aveva assegnato a Divinazione.

“Io la seguo solo perché serve per fare domanda all’Ufficio Misteri,” le aveva confidato Amelia.

“La Divinazione non serve a nulla! Vorrei proprio conoscere qualcuno a cui piace questa materia. Poi la Cooman è, francamente, fuori di testa. Assegna i voti secondo il capriccio, dicendo che la Vista glieli ha suggeriti! È il regno dell’arbitrarietà! Chi è in grado di smentirla?”

Nigel ridacchiava, mentre Victoire dava libero sfogo alla sua avversione contro quella materia. La scorsa estate ne aveva discusso con zia Hermione che le aveva confidato che la scelta di lasciare quella materia al terzo anno era stata la migliore della sua vita.

“Ragazzi, però, a differenza di Artimanzia, Divinazione è una passeggiata,” aveva commentato Teddy.

“Mi dispiace contraddirti, Lupin,” intervenne Nigel, brandendo una forchetta con una salsiccia infilzata a mo’ di spada, “ma Aritmanzia ha un senso, una logica, Divinazione è semplicemente invenzione. Persino Tosca era scettica.”

La cena trascorse allegramente, come ogni volta che cenava al tavolo dei Tassorosso, e dopo il dolce lei e Teddy salutarono gli amici per fare una passeggiata prima di darsi la buona notte e tornare nelle rispettive sale comuni. Avevano trovato un corridoio deserto. Teddy si era seduto su una panca sotto una finestra, Victoire era in piedi di fronte a lui, con le braccia intorno al suo collo, perdendosi nei suoi occhi castani.

Fuori dalla scuola, il mondo era immerso nell’oscurità della notte. Dalla finestra si intravedevano le fronde degli alberi della Foresta Proibita che si agitavano sotto il vento, mentre una pallida luna illuminava le acque del Lago Nero.

Sfiorarono i loro nasi e Victoire inspirò il profumo di Teddy. Sapeva ancora di vaniglia e succo di zucca, troppo invitante per resistere, sembrava un altro dessert. Si chinò su di lui a baciarlo, sentendo le sue labbra morbide. Teddy la invitò a sedersi sulle sue ginocchia e continuarono a scambiarsi baci, sfiorarsi i nasi. Victoire amava giocare con i capelli di Teddy, mentre lasciava che lui infilasse le dita sotto la sua felpa.

“Oggi dobbiamo fare i bravi,” gli aveva sussurrato Victoire.

“Io non resisto, Vic,” le aveva soffiato con una certa impazienza. Victoire si era chinata sul collo di Teddy, liberandolo dalla cravatta e dal colletto della camicia per riempirlo di baci e sentirlo fremere sotto le sue labbra. “Lo sai, oggi proprio non posso,” aveva sbuffato. Odiava quei giorni del mese che la tenevano lontana dal suo Teddy. Lo prese per mano, lo guidò in un’aula abbandonata e gli disse: “Se vuoi fare il cattivo ragazzo, lascia che ci pensi io a te…” Aveva fatto scivolare la mano nei pantaloni e si era gustata le espressioni di piacere di Teddy e i capelli che continuavano a cambiare colore senza che lui riuscisse a controllarlo. Era una cosa che la faceva impazzire, sapere di avere questo potere su di lui.

Ripulì il tutto dopo averlo sentito gemere nel suo orecchio e si augurarono la buona notte. Teddy la stringeva a sé e Victoire sentiva il corpo surriscaldarsi per quel contatto e per quell’eccitazione che era costretta a reprimere. Avrebbe voluto lasciarsi andare anche in quei giorni, ma era più forte di lei, e proprio non riusciva a immaginare che Teddy potesse trovarla in certe condizioni. Voleva essere perfetta per lui.

Si salutarono, fermandosi diverse volte lungo il tragitto per scambiarsi baci appassionati. Alle scale del terzo piano, Victoire prese la strada per la torre di Grifondoro, mentre Teddy tornò verso le cucine, dove c’era la sala comune di Tassorosso.

Lungo il tragitto vide Lucy infilarsi circospetta in una classe con Samuel Finnigan e si domandò se Molly sapesse che la sorella si vedeva con il Prefetto di Grifondoro. La curiosità verso Lucy le costò cara: le scale cambiarono posizione e fu costretta a fare un altro giro per tornare alla sala comune.

Sbuffò mentre tornava indietro, cercando di raggiungere l’altra ala del castello. Scese al secondo piano e attraversò un corridoio deserto, immerso nell’oscurità e rischiarato solo da una fila di finestre bifore da cui proveniva la luce della sera. Svoltò a sinistra, in direzione delle altre scale e vide il corridoio stranamente buio. Le torce erano completamente spente.

“Lumos!”

La luce della bacchetta davanti a sé illuminava il percorso, i personaggi dei ritratti protestavano per essere stati svegliati.

Poi lo sentì.

Sentì una voce che si avvicinava nella sua direzione e un nome che veniva ripetuto, come se la stessero chiamando: “Fleur, sei tu?”

Pensò ad uno scherzo, di pessimo gusto per altro. “Avanti, fatti vedere! Se non chiedi scusa per lo scherzo idiota tolgo cinquanta punti alla tua Casa!”

La figura avanzò andandole incontro. Una divisa di Tassorosso fu la prima cosa che finì sotto la luce della bacchetta, seguita da un volto giovane e decisamente bello.

“Ma tu sei…”

“Cedric Diggory. Non ti ricordi di me, Fleur?”

“Non sono Fleur, sono la figlia. Victoire Weasley, ma tu cosa ci fai qui? Non sei…”

“Morto. Sì, sono morto. Non so perché sono qui, suppongo che qualcuno mi abbia evocato. Puoi dire a mio padre di non preoccuparsi, che sto bene? Che ci ritroveremo un giorno e staremo bene insieme? Puoi dirgli di perdonare Potter, che non è colpa sua?”

Victoire si portò una mano alla bocca nel sentire quelle parole che la precipitavano ancora una volta in quella guerra maledetta. All’inizio dell’anno il Cappello Parlante aveva fatto riferimento al passato che rischiava di tornare, ma Victoire non aveva dato peso a quelle parole, non credeva che sarebbe tornato letteralmente ad infestare i corridoi della sua scuola.

“Lo farai?” le domandò Cedric.

Victoire annuì. “Sì, lo farò, Cedric, se mai tuo padre vorrà ascoltarmi. Sai com’è fatto. Zio Harry ci ha raccontato quanto sia difficile relazionarsi con lui, ma lo farò. Te lo prometto. Hai la mia parola.”

“Grazie, Victoire Weasley, bella, gentile e generosa come Fleur. Ora devo andare.”

La figura di Cedric scomparve nell’oscurità e Victoire corse fino alle scale, con la paura di incontrare qualcun altro o, peggio, chiunque avesse evocato l’anima di Cedric Diggory. Chi poteva disturbare il sonno della morte di un ragazzo tanto carino quanto sfortunato?

“Dulcis in fundo” urlò alla Signora Grassa.

“Che modi! Passa!” le rispose il ritratto seccato per essere stato interrotto dalle chiacchiere con la sua amica Violetta. Victoire scivolò nel buco. Trovò Molly e Roxanne intente a consultare avidamente una serie di libri, mentre la sala comune si era in gran parte svuotata. Molly sollevò lo sguardo, dovette leggere i segni del terrore ancora impressi sul suo volto.

“Lo hai visto anche tu?”

Victoire annuì.

“Zio Fred?” domandò Roxanne avvicinandosi e guidandola fino al divano vicino il caminetto. Il contatto con la pelle di Roxanne le fece capire quanto stesse gelando. Scosse la testa, mentre il calore del fuoco le ridava forza: “Cedric Diggory.”

“Godric, un altro!” esclamò Molly. Sorrise nervosamente alla cugina e spiegò: “Sono tutti i libri della biblioteca sull’argomento. È da ieri che cerco di capire cosa sia successo, cosa siano quei fantasmi e perché gli spiriti di persone morte si aggirino per i corridoi della nostra scuola.”

“Ma chi li ha evocati?” domandò Victoire.

“Non riesco a venirne a capo, Vic, non trovo nemmeno un incantesimo che possa evocare i fantasmi,” ammise Molly. Guardò l’orologio e disse: “Si è fatto tardi. Continuiamo domani.”

Victoire era distrutta. La stanchezza della partita, le attenzioni di Teddy, il ciclo, l’incontro con Cedric Diggory, tutto la turbava. Si gettò sotto la doccia prima di infilarsi tra le coperte e sprofondare in un sonno popolato da fantasmi, morti e una guerra magica che ancora continuava a lasciare il segno.

 

***

 

“Mio caro Roddie,

papà sta bene (è passato solo un giorno dalla nostra ultima lettera!), spero che voi stiate studiando e vi stiate impegnando al massimo. Non sai quanto mi renda orgogliosa e commossa il pensiero che tu abbia deciso di voler seguire le mie orme e fare domanda all’Ufficio Applicazione Legge Magica dopo la fine della scuola.

Ricorda, mio caro, la politica è fatta di contatti, quindi approfitta di questi anni per stringere amicizie e conoscenze con quanti più studenti possibili. Sii gentile e educato (so già che sei impeccabile, specie rispetto ai tuoi fratelli!), ricorda il confine tra cortesia, diplomazia e vera amicizia (i veri amici sono pochi e rari).

È un vero peccato che il professor Lumacorno sia andato in pensione: sarebbe stato istruttivo per te partecipare ad una delle sue famose cene. Non amareggiarti troppo per il trattamento del professor Longbottom, anche questa è una lezione di vita: non potrai piacere a tutti e il tuo cognome ti porterà molti nemici e trattamenti simili. Durante la prima guerra magica io venivo trattata nello stesso modo dai compagni di Casa, tu sei più fortunato: è solo un professore che ti ignora! Non dargli pretesti per abbassarti i voti o togliere punti alla tua Casa. L’appoggio dei compagni di Casa è importantissimo. Non voglio più essere convocata dalla preside perché uno dei miei figli non si comporta bene. L’incidente con Roland è stato illuminante sul clima che siete costretti a tollerare, ma siete dei Lestrange e ne uscirete a testa alta.

Ti mando un grosso bacio, un altro e un altro ancora, mio pulcino adorato!

E ne mando altri anche ai tuoi fratelli (mi mancate tantissimo!).

Con affetto,

la mamma.

PS: sul serio Roland ha mangiato il budino con la forchetta? Per Salazar, che orrore! Dì a tuo fratello di stare attento, la prossima volta, altrimenti gli altri penseranno che i Lestrange non sappiano mangiare i dolci al cucchiaio. Cosa devo sentire! Quando tornerete per le vacanze faremo un ripasso.”

Rodolphus sorrise rileggendo la lettera. Forse aveva messo nei pasticci Roland con l’aneddoto sul budino, ma era stata una scena così buffa che pensava che la mamma ne avrebbe riso con lui. Insomma, vedere Roland che provava a infilzare il budino senza riuscirci era proprio uno spasso!

Ripensò ai consigli di sua mamma: aveva ragione, ma non sapeva quanto fosse complicato stringere amicizie o solo farsi benvolere dagli altri di quei tempi. In Serpeverde riusciva ad avere buoni rapporti. Andava d’accordo con i suoi compagni di dormitorio e riusciva anche a non farsi insultare da qualche Corvonero. Si era impegnato moltissimo per aiutare alcuni Tassorosso durante le lezioni di Incantesimi, anche se la diffidenza che percepiva gli suggeriva di andarci cauto.

C’era una cosa che, in modo particolare, attirava sguardi carichi di diffidenza ed erano i rituali che lui, i suoi fratelli, e altri compagni di Serpeverde si trovavano a fare per celebrare i sabba. Era un’iniziativa nata per gioco, dopo alcune ricerche in biblioteca per dei temi assegnati da Binns lo scorso anno. Avevano pensato che potesse essere utile ripetere i rituali propiziatori degli antichi, cercare le erbe e accendere le candele. Persino il loro direttore di Casa si era mostrato piacevolmente sorpreso quando gli avevano chiesto il permesso di poter usare un angolo della sala comune per allestire una specie di altare rituale.

Eppure, quella voce si era sparsa per la scuola, trasformandosi di bocca in bocca, con il risultato che la preside aveva convocato lui e il professor Pucey perché le avevano riferito che “Lestrange esegue rituali di magia oscura nella sala comune dei Serpeverde”.

Per fortuna, il professor Pucey era scoppiato a ridere di fronte la preside e le aveva spiegato il genere di rituali che venivano eseguiti e le volte successive avevano persino invitato la Preside, di modo che potesse appurare di persona. Tuttavia, continuavano a guardarlo con sospetto e i Grifondoro continuavano ad alimentare le voci e i sospetti sulla plausibilità che la celebrazione dei sabba fosse solo la facciata presentabile di rituali oscuri sconosciuti.

Aveva sentito con le sue orecchie Tiberius McLaggen mormorare: “Una volta che le candele sono accese e il rituale è iniziato, cosa ne sappiamo se non lo ripetono al contrario per evocare le forze oscure?” Rodolphus lo aveva persino invitato ad assistere e gli aveva domandato se secondo lui la Preside avrebbe acconsentito a qualcosa del genere, ma lui gli aveva urlato di stargli alla larga e che non era interessato a quelle cose oscure.

La mamma, poi, gli aveva spiegato che il nonno, che pure si chiamava Tiberius, in realtà, durante la prima guerra magica, non si era mai fatto molti scrupoli a usare le Maledizioni Senza Perdono quando era un Auror e che i McLaggen le Arti Oscure le conoscevano e le avevano anche praticate. Tiberius junior cercava solo di smarcarsi da un passato ingombrante.

“Sono solo dei pavidi, dei vigliacchi che avrebbero dovuto morire…”

La voce arrivò dal fondo del corridoio. Roddie strizzò gli occhi per vederci meglio. Afferrò la bacchetta.

“Non sei sufficientemente veloce, Lestrange!”

Sembrava che lo stesse prendendo in giro.

“Chi sei? Fatti vedere!”

Una figura spettrale emerse dalle tenebre. Il suo volto era deformato e sembrava appannato, come se stesse evaporando. La sua immagine non era nitida come quella dei fantasmi di Hogwarts. Roddie non aveva idea di chi fosse, e dire che pensava di aver conosciuto tutti i fantasmi della scuola.

“Sei un nuovo fantasma?” domandò incuriosito. Forse gli avrebbe raccontato qualche storia interessante sulla sua morte. Sembrava che le difficoltà che Roddie incontrava nello stringere amicizia con i vivi, non le avesse con i morti. Ogni anno frequentava la festa di complemorte del Barone Sanguinario e durante il suo primo anno si era impegnato moltissimo per aiutare il fantasma dei Serpeverde a convincere gli altri fantasmi a partecipare alla sua festa. I fantasmi erano sempre interessanti da ascoltare e nessuno si impressionava o lo guardava male per il cognome che portava.

“Qualcosa del genere,” rispose la voce.

“Perché sei così sfumato?”

“Perché questo è ciò che rimane dopo che l’anima è stata divorata da un Dissennatore,” disse annoiato, come se quell’argomento lo irritasse ancora profondamente. Roddie pensò di aver fatto una gaffe toccando un tasto dolente. Eppure, era ancora molto curioso.

“È così che sei morto?” gli domandò.

La figura sorrise triste. “No, sono morto tra le braccia di tua madre ed è stata una delle decisioni più difficili della mia vita: lasciar andare lei e Orion, e andare avanti.”

“Tu sei il papà di Orion, quindi?”

“E tu non hai preso niente della perspicacia della mia Alex e nemmeno di Rodolphus, devo dire… Come pensi di onorare il nome che porti se non sei nemmeno in grado di riconoscermi? Come potrai essere un mago oscuro all’altezza di tuo padre? Sai che Orion alla tua età era molto più sveglio?”

“Orion è sempre stato il migliore! Vorrei che fosse qui, così potreste incontrarvi!” gli rispose.

“Potrò tornare, forse. C’è una profezia, ma richiede un costo. Sei disposto a pagarlo, Rodolphus Lestrange?”

Rodolphus scosse la testa e balbettò: “No. Non voglio scomparire. Io voglio la mamma e anche il papà e i miei fratelli! Non potete farci svanire!”

“Preparati, Lestrange, il tempo sarà girato e tutti noi torneremo! Ci prenderemo la nostra vendetta su questi sporchi traditori e sulla feccia che sta distruggendo il nostro mondo. Io, poi, mi riprenderò mia moglie e mio figlio, anche a costo di farvi sparire. Mi spiace per te, ma preparati a dire addio alla tua cara mammina…”

Il fantasma di Barty Crouch Jr, il residuo della sua anima, scoppiò a ridere e si dissolse davanti gli occhi sbarrati di Rodolphus. Sbatté le palpebre più volte e poi vide il fantasma del Barone Sanguinario andargli incontro. “Barone!” esclamò, “Lo ha visto, vero?”

“Chi, mio giovane e mortale amico?”

“Il fantasma di Barty Crouch Jr!” esclamò Rodolphus.

“Per Salazar! No, ma i sensi mi avvertono che una minaccia oscura incombe su questa scuola. Avverto strane presenze, spiriti sconosciuti che si aggirano tra queste mura…”

“Quindi non è l’unico?” domandò spaventato.

“Temo proprio di no!”

“Ma com’è possibile che siano tornati? Sono andati oltre! Lei mi aveva raccontato che non era possibile tornare indietro.”

“È così. Ci vuole qualcosa di molto forte e di molto oscuro per riaprire il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Forse l’avvicinarsi di Samhain aiuta questi riti.”

“Per Salazar! Barone, le confesso di essere molto preoccupato! Temo che io e i miei fratelli finiremo per essere accusati di essere gli autori se non scopriamo chi esegue questi rituali!”

“Corri ad avvertire i tuoi fratelli, mio amico mortale, non indugiare in paure. Concordate una strategia e rendetevi inattaccabili! Ricorda: vi serve un alibi. Sempre!”

“Grazie, Barone, per i suoi preziosi consigli. Buona notte!”

“Buona notte a te, Lestrange, io continuo il mio eterno peregrinare…”

Rodolphus corse in direzione della sala comune, sentì il Barone raccomandarsi di non correre e rallentò l’andatura continuando a camminare a passo svelto. Puntò la bacchetta verso i mattoni.

“Nido di vipera.”

L’accesso alla sala comune si rivelò lasciandogli vedere Rabastan seduto su una poltrona accanto il camino che si mangiava le unghie e Roland che camminava nervosamente avanti e indietro.

“Sei in ritardo,” gli disse Rabastan non appena lo vide comparire.

“Lo so, ma non avete idea di chi ho appena incontrato!” esclamò Rodolphus.

“Chi?” Roland si avvicinò al fratello ed entrambi si guardarono intorno nervosamente.

“Troviamo un posto riservato dove poterne parlare? Qui c’è troppa gente,” sussurrò Rodolphus al fratello. Roland annuì. “Andiamo nel dormitorio, gli altri saranno ancora in giro.”

Si infilarono nel dormitorio di Roland. Decisero di cambiarsi e indossare i pigiami, in modo da poter rimanere a lungo a parlare. Si sarebbero nascosti dietro le tende del baldacchino opportunamente silenziate. Chiunque sarebbe entrato in quel dormitorio avrebbe pensato che Roland fosse andato a dormire.

Al momento, i compagni di dormitorio di Roland erano impegnati con le rispettive fidanzate, mentre i compagni di Roddie giocavano a Sparaschiocco e quelli di Rabastan avevano il loro campionato di Quidditch dei modellini e c’erano commenti e discussioni infinite sul Fanta-Quidditch.

“Muffliato!” esclamò Roland.

Rodolphus agitò la bacchetta ed evocò delle pallide luci azzurrine perché non aveva voglia di parlare di quelle cose nella più totale oscurità. Rabastan e Roland erano seduti sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini e le ginocchia raccolte e abbracciate, il mento poggiato sulle ginocchia. Lui era seduto di fronte, ai piedi del letto, con le gambe incrociate e cercava di impedirsi di agitarle nervosamente.

“Allora, che cosa hai visto?” gli domandò Roland.

“Ho appena incontrato Barty, il papà di Orion!” disse, “mi ha detto che vuole tornare, realizzare la profezia e farci sparire tutti per riprendersi la mamma e Orion!”

“Cosa?” esclamò Rabastan, “ma Barty è morto!”

Rodolphus annuì: “Era una specie di fantasma, un po’ diverso rispetto al Barone Sanguinario. Era sfocato, mi ha detto che era quello che finiva nell’Aldilà dopo che l’anima veniva divorata dal Dissennatore.”

“Io ho incontrato Bellatrix e mi ha detto che siamo dei tonti come papà e che non saremmo mai dovuti nascere, che Delphini e Orion sono meglio di noi,” confessò Roland.

“Anche Barty mi ha detto che Orion è meglio di noi! Però mi ha detto che non abbiamo preso né da mamma né da papà!”

“Era questo che volevi raccontarci?” domandò Rabastan guardando Roland. Lo videro annuire e passarsi una mano tra i capelli scuri. Gli occhi marroni di Roland erano inquieti e si spostavano continuamente tra lui e Rabastan, aggiunse: “Oggi sono arrivato tardi a colazione perché sono andato in biblioteca a cercare dei libri sui fantasmi, gli spiriti e le creature spettrali, ma sono tutti scomparsi! Tutti!”

Rodolphus non fu sorpreso dalla notizia: “Il Barone Sanguinario mi ha detto che ha sentito altre presenze, che qualcosa di oscuro si sta aggirando tra le mura di questa scuola.”

“Roddie, sei un genio!” esclamò Roland, “come ho fatto a non pensarci? Avrei potuto chiedere ai fantasmi!”

“L’ho visto venirmi incontro dopo che Barty è svanito e mi sono fermato a parlarne con lui, lo sai che è molto esperto di queste faccende ed è sempre disponibile a parlarne.”

“Ehm… no, Roddie, veramente sei tu l’unico strambo che si ferma a parlare con i fantasmi,” disse Rabastan prendendolo in giro.

“Beh, si dia il caso che adesso questo strambo vi torna utile! Il Barone mi ha detto che serve qualcosa di molto oscuro e molto potente per aprire il confine tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Mi ha suggerito di fare attenzione e di avere sempre degli alibi pronti, perché potrebbero accusarci di essere gli autori di questi rituali oscuri.”

Roland si portò una mano sul viso annuendo. Scosse la testa con un’espressione colpevole: “Temo di aver fatto un guaio, allora! Oggi a lezione ho chiesto al professor Pucey delle informazioni sui fantasmi e gli spiriti. Insomma, gli ho chiesto se fosse possibile che gli spiriti di persone morte andassero in giro per il mondo. Mi ha detto che l’apertura del confine tra i mondi richiede rituali di magia oscura così avanzata che io non dovrei nemmeno sognarmi di fare quelle domande.”

“Gli hai fatto questa domanda dopo la lezione?” domandò Rabastan.

“No, l’ho fatta subito dopo che ci ha detto che la prossima lezione avremmo iniziato gli spiriti…” Roland si morse il labbro. Rabastan sospirò: “Prepariamoci al peggio, allora.”

“Con chi facevi lezione?” domandò Rodolphus.

“Corvonero.”

“Dai, tra tutti sono la Casa che forse sospetterà di meno, magari riescono a immaginare che sia una domanda accademica.”

“Beh, io gli ho detto che mi stavo solo domandando se i fantasmi potessero vedere i loro cari che erano andati oltre. Pucey mi ha guardato come se fossi un po’ matto, ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.”

“Dici che dovremmo parlarne con i professori?” domandò Rodolphus.

“E raccontare che lo spirito di Bellatrix e quello di Barty se ne vanno in giro per la scuola? No, grazie, non voglio passare per matto, più di quanto non avvenga normalmente,” disse Roland.

“Però abbiamo bisogno di aiuto. Dovremmo scoprire chi c’è dietro questo rituale oscuro, così non potranno incolpare noi!”

Rabastan aveva ragione. Si passava la mano tra i ricci castani incerto sul da farsi. A chi potevano chiedere aiuto?

“Scriviamo alla mamma?” propose Rodolphus, “Lei e il papà ne sanno abbastanza di queste cose, potrebbero darci una mano.”

“Vuoi davvero scrivere alla mamma e al papà che i fantasmi dei loro ex minacciano di far sparire i loro figli e che qualcuno ha aperto il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti con un qualche rituale oscuro? Forse per avverare la profezia? Sei per caso impazzito?” Roland lo fissava preoccupato. “Pensi che io non abbia pensato a quanti libri abbiamo a casa che potrebbero aiutarci a capire cosa sta succedendo e invece siamo confinati in questa scuola bigotta?” Si grattò la testa spazientito.

Rodolphus biascicò: “Scusa, non ci ho pensato. Hai ragione, è una pessima idea scrivere a mamma e papà.”

“Prometti su Salazar Serpeverde che non farai menzione di questa cosa in nessuna lettera con la mamma finché non l’avremo risolta. A Yule le racconteremo tutto, anche di come avremo brillantemente risolto questo mistero, ma prima di allora prometti di non farne parola. Anche tu Rabastan, promettilo!”

“Lo prometto,” esclamarono in coro. Si sorrisero come ogni volta che finivano per parlare in sincrono.

“Io ho un’idea,” disse Rabastan, “la mamma nell’ultima lettera ha detto che Delphini è ad Hogsmeade in attesa di partire per Durmstrang. Lei studia Arti Oscure e sta per iniziare l’ultimo anno, magari può darci una mano a capire.”

“Sì, però dobbiamo stare attenti. Non dobbiamo raccontarle che c’è di mezzo sua madre o che Barty ha menzionato la profezia. Insomma, non vorrei che attivassimo tutto il meccanismo delle profezie.”

“Ma la mamma dice sempre che il modo per mettere in moto una profezia è cercare di impedirne l’avverarsi. Se le nascondiamo della profezia, non rischiamo di attivarla?”

“La profezia non parla di fantasmi, però, non vedo perché dovremmo fare questo collegamento…”

“Però i fantasmi l’hanno menzionata.”

“Sì, ma noi dobbiamo solo scoprire chi li evoca e fermarlo. Non dobbiamo raccontare tutto! Stiamo attenti a Delphi, papà dice sempre di non fidarsi di lei.”

“Lo dice anche Orion.”

“E se scrivessimo ad Orion?” propose Rodolphus. Insomma, lui era il più grande. Era persino più grande di Delphini e lavorava all’Ufficio Misteri. Lì aveva raccontato che c’era un Arco che aveva il confine tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Forse lui aveva studiato quelle cose, le conosceva e poteva dar loro una mano!

“Così corre a dirlo alla mamma? Vuoi davvero dirgli che il papà che non ha mai conosciuto vuole tornare indietro per stare con lui e la mamma?” Rabastan alzò il sopracciglio scettico.

Rodolphus sbuffò: “Hai ragione, un’altra pessima idea.”

“Invece non è una pessima idea,” disse Roland guardando i fratelli, “Orion sta facendo di tutto per salvare questa linea temporale. Lui queste cose le ha studiate. Io so che ci vuole bene e so anche che non ci tradirebbe con la mamma se glielo chiediamo. Domani scriviamo ad Orion!” Roland sbirciò fuori dalla tenda del baldacchino e vide la stanza immersa nel buio. I suoi compagni di dormitorio erano tornati e stavano già russando. “È tardi,” disse.

“Io non voglio dormire da solo,” protestò Rodolphus. Se fosse stato a casa avrebbe chiesto alla mamma di fargli compagnia finché non si fosse addormentato, anche a costo di attirarsi gli sguardi di disappunto di suo padre e le prese in giro dei fratelli. Non aveva nessuna intenzione di tornare nel suo dormitorio attraversando un corridoio buio. E se avesse incontrato un altro fantasma? I Mangiamorte si facevano scrupoli nell’invadere i dormitori o no? Non voleva assolutamente rischiare.

“Ehm… Questa volta devo dare ragione a Roddie,” ammise Rabastan, “se vuoi rimanere da solo, io mi infilo nel letto di Roddie. Non voglio dormire da solo nemmeno io.”

Roland alzò gli occhi al cielo, li guardò con un sopracciglio alzato e disse: “Siete proprio due mocciosi! Non si direbbe che siate al terzo e al quarto anno! E siete anche i più grandi della classe! Uno nato a Mabon, l’altro a Samhain…”

“Possiamo dormire con te?” domandò Rodolphus per accertarsi di poter rimanere. Una mano era già pronta ad afferrare il piumone e infilarsi sotto le coperte.

“Sì, dai!” disse lanciandogli un cuscino mentre si sistemava ai piedi del letto.

Rabastan sorrise. Roland si girò di schiena e disse: “Mi raccomando, non vi muovete troppo! Voglio dormire!”

Rodolphus lo vide sorridere e si disse che, anche se Roland non l’avrebbe mai ammesso, sembrava proprio sollevato dal pensiero che loro due si fossero fermati a dormire nel suo letto. Ne era certo.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ciao a tutti!

Sono veramente sorpresa per l’accoglienza riservata a questa storia! Grazie di cuore!

In questo capitolo abbiamo scoperto chi ha preso i libri dalla biblioteca, qualcuno lo aveva intuito nelle recensioni e ci ha visto giusto.

Victoire ha incontrato Cedric che l’ha scambiata per Fleur e ne è rimasta turbata, mentre l’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr. è stato ben più terrificante. La Rowling non ci spiega cosa succede all’anima divorata da un Dissennatore, ho immaginato che una parte andasse comunque nell’Aldilà ma che fosse appunto una specie di scarto, un residuo e per questo appare sfocata e non riconoscibile. La minaccia di Barty, di portare via la mamma a Roddie, è quanto di più terrificante. Scommetto che preferirebbe il ritorno di Voldemort all’essere separato dalla sua amata mammina.

Nella lettera che ha ricevuto, la mamma gli dice di non voler essere più richiamata dalla scuola. L’episodio si collega al penultimo capitolo di Kintstugi, in cui Roland e Teddy si scontrano nei corridoi e tirano fuori le bacchette.

Vi riporto il racconto che Roland fa ai genitori di come sono andate le cose. Il pov è della mamma.

 

 

 

“La preside non vi ha detto nulla?” domandò Roland.

“La versione della preside fa acqua da tutte le parti e ti conosciamo troppo bene per pensare che tu sia impazzito in quel modo. Cosa è successo?” domandò Alexandra, “Non costringere tuo padre a usare la Legilimanzia.”

“No, non è il caso. Mi dispiace che siate venuti fin qua. Ho perso il controllo, tutto qui.” Si stringeva nelle spalle dispiaciuto. Sospirò e iniziò a raccontare: “Stavo uscendo dalla biblioteca e ho visto dei primini di Grifondoro travolgere Rabastan. Lui non li ha visti, stava camminando leggendo un tema di qualcosa quando è stato spinto via, il tema è volato ed è stato calpestato.”

Alexandra ricordò chiaramente alcuni episodi del genere che le erano accaduti ad Hogwarts, erano le solite zuffe tra Grifondoro e Serpeverde, come quando Sirius l’aveva inzuppata e Regulus era intervenuto.

Roland aggiunse: “L’hanno fatto apposta, mamma, ho visto come quel ragazzino ha guardato Rabastan e gli ha detto: Tornatene nelle fogne, Lestrange.

“La preside ci ha parlato del Caposcuola di Tassorosso,” intervenne Rodolphus.

“È arrivato dopo,” precisò, “Rabastan stava tirando fuori la bacchetta lamentandosi del tema rovinato e io sono intervenuto. Ho scoperto troppo tardi che i primini di Grifondoro che hanno rovinato il tema di Rabastan erano James Potter e Louis Weasley. Fino a quel momento, avevo detto che avrei tolto loro cinque punti a testa, perché non si corre nei corridoi e non si spingono gli studenti. Insomma, ho fatto il mio dovere da Prefetto.”

Alexandra annuì e continuò ad ascoltare la ricostruzione di Roland.

“Quel James mi ha guardato con aria di sfida e mi ha provocato domandandomi: Difendi il fratellino, Lestrange? È in quel momento che è intervenuto Lupin, il Caposcuola di Tassorosso, accusandomi di prendermela con i primini. Mi ha detto di smetterla di tormentare i Potter e i Weasley, che presto o tardi i figli di Mangiamorte come me e mio fratello sarebbero scomparsi. È qui che ho perso le staffe e gli ho detto di fare attenzione, perché, da figlio di Mangiamorte, potevo fargli fare la stessa fine dei suoi genitori.”

Alexandra alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: “Lo sai che quello è un argomento tabù.”

“Sì, lo so, ma sono anni che mi sento dire che finirò ad Azkaban, che sono un topo di fogna, che i figli di Mangiamorte come me spariranno. Grazie agli esercizi di papà riesco a controllare l’impulso di affatturarli tutti quanti, a difendermi quando esagerano, e ad essere inattaccabile, ma sentirmi dire che io e mio fratello spariremo, dopo quello che è successo l’estate scorsa… Ho perso le staffe.”

L’allusione alla profezia era fin troppo chiara.

“Tu hai esagerato e meriterai la punizione, ma chiederemo alla McGranitt di punire anche Lupin, che non si è rivelato migliore di te.”

“È inutile, papà. I professori sono molto indulgenti con i figli dei vincitori della guerra magica, mentre il nostro Direttore, il professor Pucey, non sempre riesce a riequilibrare le cose, ma non importa. Non voglio che per questa sciocchezza se la prendano con Roddie e Rab. È colpa mia, ho esagerato. Mamma al Ministero non avrebbe mai detto una cosa simile mentre tu eri ad Azkaban.”

“Sappi che sono estremamente orgogliosa di te,” gli disse Alexandra. Roland era identico a Rodolphus sotto un’infinità di punti di vista, anche l’autocontrollo e il suo istinto protettivo verso i fratelli erano i medesimi.

“Che punizione ti hanno dato?” domandò Rodolphus.

“Una settimana con il professor Pucey. Mi ha chiesto di aiutarlo a ordinare i libri di Difesa contro le Arti Oscure.”

“Non ti è andata male…” osservò Rodolphus sorpreso.

“Ho fatto vedere al mio Direttore come sono andate le cose, non volevo che il nome della Casa di Serpeverde andasse di mezzo. Ho tirato fuori il ricordo e gliel’ho mostrato nel suo Pensatoio. Ho spiegato anche perché non avevo intenzione di contrastare le accuse e che avrei preferito affrontare la punizione. Mamma mi ha insegnato che spesso la punizione è meglio della negoziazione.”

Alexandra scoppiò a ridere e abbracciò il figlio. “Ti imbarazza se ti do un bacio?” gli domandò.

“No, mamma, qui non c’è nessuno!”

 

 

Grazie ancora per tutti i commenti, gli scleri su Facebook, le letture silenziose e chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Mi state accompagnando in questo viaggio in un genere e una generazione del tutto nuova per me!

Ci rivediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo! Saremo già a metà storia!

Un abbraccio,

Sev

 

   
 
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