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Autore: AlessandraCasciello    25/02/2021    0 recensioni
“Il mio cuore sei te, Olly. Sei sempre stata te, dalla prima settimana che ci siamo conosciuti. Lo sei ora, e lo sarai anche quando non mi vorrai seguire e dovrò salire su quell’aereo da solo. E forse è un discorso egoista ma io senza di te non sono più io. Perché non mi ricordo chi ero prima di te. E lo so che è una follia, che ci conosciamo da pochi mesi e che rispetto a una vita intera è il nulla cosmico, ma io mi sento potenziato dalla tua presenza. Mi basta averti accanto per essere più forte, più intelligente, più buono, più caritevole, più, più, più. E sento che anche per te è la stessa cosa. Quindi ti prego, ti scongiuro, ti supplico con il cuore in mano, non lasciarmi da solo, perché non so più come si faccia, e il pensiero di una vita senza di te, per ora, mi fa venire la nausea.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando avevo diciotto anni mi divertivo tantissimo a prepararmi di tutto punto per le feste. Era il periodo dei diciottesimi, dove ogni evento veniva preso con una serietà ed una solennità al pari di un debutto in società. Era vietato utilizzare lo stesso vestito per più di una festa – a meno che gli invitati erano diversi e non ci fossero foto pubblicate in giro – e non era pensabile non mettersi un tacco dodici.
Erano le serate dove succedeva per forza qualcosa di emozionante: baci rubati, ubriacature epiche, balli imbarazzanti.
All’età di venticinque anni, questa emozione non riuscivo più a trovarla. Probabilmente perché l’idea di inserirmi in un ambiente esclusivo, di una nazione a me ancora estranea, con persone sconosciute mi generava un senso di ansia non indifferente. All’improvviso, capisco perché Paolo mi abbia supplicato di venire con lui.
In questo momento di puro flusso di coscienza, mi trovo su un taxi insieme al mio amico – lo sento respirare pesantemente, quindi sarà emozionato – e mi concentro a guardare la pioggia cadere sul finestrino, creando scie di acqua che sembrano fare a gara tra di loro. C’è molto traffico per strada, e la destinazione sembra allontanarsi sempre di più.
“Mamma mia, sto esaltato ‘na cifra” sorrido a Paolo, felice del suo entusiasmo.
“Vorrei esserlo anche io, invece sono solo agitata”
“Vedrai che te diverti, Olivia”. Non fa in tempo a finire la frase, che il taxi finisce la sua corsa. Paghiamo, e Paolo mi apre la portiera. Scendo dall’autovettura mostrando le mie gambe nude, fasciate da un corto vestito verde. Fa un freddo tremendo e già mi fanno male i tacchi. Mi sposto i capelli lunghi su una spalla, agganciandomi a un braccio di Paolo.
“Sei ‘na bomba, Olivia”
“Sto congelando. Muoviamoci”.
Appena vedo davanti a me Mike Smith, capisco di che pasta è fatto: non deve avere più di trentacinque anni, il completo blu elettrico è impeccabile come i suoi capelli biondi portati a spazzola, e il suo sorriso deve venire da almeno un paio di sbiancamenti importanti. Persino il suo profumo – riesco a riconoscere un aroma tipico di Dior – risulta così forte da farmi girare la testa, e devo concentrarmi per non tossire. Le luci psichedeliche del club mi confondo sui suoi movimenti, che sembrano più scattosi di quanto in realtà siano. Capisco subito che è il principale di Paolo da come cambia atteggiamento nei suoi confronti: gonfia il petto, abbandona la sua cafonaggine romana e indossa il più bel fascino posh che potrebbe mai avere nel suo subconscio. Il suo inglese è fluido, sicuramente marcato dalle sue origini, e di colpo non dimostra più venticinque anni ma di più. Mi tiene un braccio dietro la schiena per assicurarsi che non mi perda nel caos generale, presentandomi a Mike. Sorrido cordiale, facendo finta di non sapere già il suo nome. Mi presento alzando la voce, cercando di superare il rumore della musica, senza però grandi risultati. Mike fa finta di aver capito, annuendo. Ci indica il buffet, il piano bar, i divanetti. Paolo annuisce, gli regala un ultimo cenno e mi sposta verso l’angolo alcolici.
“Primo scoglio superato”
“Tutto d’un pezzo, il tuo principale”. Paolo alza le sopracciglia, alzando una mano al barista per richiamare la sua attenzione. Ordina due Vodka Lemon, unico drink che riesco a bere, e ci mettiamo comodi sulle sedie di fronte al bancone.
“Bellissimo questo vestito”
“Grazie, ma è scomodo”, dico cercando di non far scoprire troppo le cosce da seduta. Paolo mi da due pacche amichevoli sulle ginocchia, passandomi il drink appena arrivato.
“Bisogna bere per scioglierci”
“Loro saranno sempre più ubriachi di noi”
“Tesò, gli inglesi so’ ubriachi dalle cinque di pomeriggio”. Rido, portando la testa all’indietro. Rido ancora di più quando mi accorgo che mi stavo sbilanciando dallo sgabello. Mi scuso con la ragazza alle mie spalle che ho colpito, e lei mi rassicura con un movimento di mano e un sorriso veloce.
“Che c’è, Paolo?” gli chiedo, notando il suo sguardo sotto shock.
“Olivia – mi bisbiglia, con il suo sguardo fisso dietro le mie spalle – sei appena andata a sbattere contro Rita Ora”. Cerco di girarmi, ma lui mi blocca.
“E chi è”
“Lascia stà, sei un caso perso”. Prendo un sorso dal mio drink, iniziando a studiare l’ambiente. Gli invitati al party sono decisamente su di giri per via dell’alcool, ma allo stesso tempo sembrano tenerci a mantenere un’immagine contenuta. Non sembra un’occasione per divertirsi, ma per farsi vedere divertiti. Che è ben diverso.
Paolo mi fa diversi nomi di personaggi illustri. Alcuni li conosco, altri meno. Mi fanno simpatia, però: dal vivo sembrano così comuni, così insulsi. Perdono quell’aura di intoccabilità che mostrano attraverso le televisioni, o i cellulari. Provo a captare i loro pensieri, ma la musica alta mi distrae.
“Aò, me stai a sentì?” Paolo mi richiama al pianeta Terra.
“Sì, scusami”
“Stai già ‘mbriaca? Comunque ti stavo dicendo che vado a salutare un collega che sta lì sui divanetti” mi indica con il dito l’angolo, assicurandosi che io lo stia vedendo con attenzione. “Mi raccomando, non ti allontanare e qualsiasi cosa, sai dove trovarmi”. Lo lascio andare, continuando il mio studio sociologico.
Mi sento un soprammobile. Non mi sto divertendo, e la Vodka Lemon ancora non mi ha sciolta abbastanza da poter iniziare una conversazione con qualcuno. Sto iniziando anche ad avere sonno, e uno sbadiglio mi tradisce. Ordino un altro bicchiere.
“Andiamoci piano però, signorina” mi giro alla mia destra, trovandomi Mike Smith. Ora riesco a sentire meglio la sua voce. Sorrido, facendo spallucce.
“Mi fermerò solamente al secondo bicchiere”
“Oh, allora mi dispiace se l’ho demotivata all’inizio”. Ride, ordinando uno scotch. Studio il suo profilo, e lo sguardo mi cade sulla sua fede al dito. Mi perdo nella mia immaginazione: avrà una moglie ricca e super curata, un figlio viziato ed una casa enorme. Chissà quante e quali macchine avrà, e perché ha deciso di lavorare in quell’ambiente artistico. Magari da giovane suonava.
“Allora, cosa ti ha portato a trasferirti a Londra?” mi chiede sorseggiando il suo bicchiere.
“Volevo cambiare ambiente, aria nuova. E poi, secondo Paolo trasferirmi avrebbe fatto bene alla mia solito confort zone. Non sono una grande amante dei cambiamenti”
“Capisco. Beh, alla fine la dinamica della grande città la conosci”
“Sì, sicuramente, ma vede, Roma è molto diversa da Londra. È più... rilassata. Nonostante i vari street di una metropoli così turistica. Londra sembra un orologio impazzito, a volte”, Mike sorride, annuendo.
“Hai fatto una bella similitudine accurata. Complimenti”
“Grazie – sussurro, muovendo la cannuccia nel mio bicchiere – deve essere la mia passione per la lettura”.
“Leggi?” mi accorgo di essermi fatta sentire. Annuisco, “Sì. E scrivo”
“Sei una scrittrice?”
“Sì. Cioè, no. Voglio dire, scrivo per me, ma non ho mai pubblicato un libro”.
“Però hai la base per farlo”. Rimango in silenzio, distogliendo lo sguardo. Trovo strano il fatto che voglia parlare con me, tra tutte le persone notevoli che occupano il locale. Forse vuole attaccare bottone, ma ha una fede. Mi sento a disagio e voglio andarmene, quindi cerco con lo sguardo Paolo. Non sta più su quel divanetto.
“Questo vestito verde ti sta divinamente”. Arrossisco, iniziando a sentirmi senza aria. Questa situazione mi mette in estrema difficoltà, e il fatto che non riesca a trovare Paolo mi mette nel panico. Non rispondo, posando il bicchiere ormai finito.
“Devo andare in bagno”, esclamo saltando dallo sgabellino. “E’ stato un piacere, davvero”, lo liquido dirigendomi verso il corridoio che porta alle toilettes. Spero di trovare Paolo, a cui sto riversando i miei peggiori insulti per essere sparito dal nulla.
E poi, e poi, e poi...
Lo vedo. Per la prima volta.
Sta appoggiato con le spalle al muro, di fronte la porta del bagno. Braccia conserte, piede incrociato sull’altro, capelli ricci che gli ricadono sulla fronte, sguardo accigliato. Non sembra arrabbiato, ma annoiato. Forse è seccato per l’attesa. Mi avvicino, fermandomi a qualche metro da lui.
“Fai la fila?” il ragazzo alza lo sguardo di scatto, facendo muovere i capelli. I suoi colori sono alterati dalle luci del club, quindi è totalmente sui toni del viola e del blu. Sicuramente ha gli occhi chiari, perché risultano limpidi.
“Sì, sto aspettando. Da circa dieci minuti”. È decisamente seccato. La sua voce è bassa e roca, a tratti graffiata. Sbuffa, va a bussare, torna alla sua postazione.
Ora che è in piedi diritto, noto che è molto alto e longilineo. La camicia attillata mette in risalto i muscoli, e i suoi jeans fasciano le sue gambe magre.
Quando la porta del bagno si apre, esce una ragazza a dir poco su di giri per via dell’alcool. Barcolla un pochino, accasciandosi addosso al ragazzo che la regge al volo. Ne approfitto per sgattaiolare in bagno prima di lui, saltando la fila.
Quando esco, lo ritrovo a braccia conserte. Mi guarda con un sopracciglio alzato, ma percepisco un ghigno giocoso.
“Non va bene saltare la fila, sai?”
“oh, davvero? Al mio paese è buona consuetudine”. Scappo via, ma sono sicura di sentire una risata alle mie spalle, e la porta del bagno chiudersi.
“Olivia!” Paolo mi afferra per un braccio, fissandomi negli occhi preoccupato. Sicuramente anche lui mi stava cercando da un bel po’, ma non avevo intenzione di intavolare una discussione proprio in quel momento.
“Scusami, stavo in bagno. Torniamo a casa?”.
 
 
 
“T’ho detto mille volte di non allontanarti, e sei riuscita a perdete in du’ minuti” mi sgrida Paolo appena rientrati a casa. Non rispondo, sia perché sono decisamente troppo stanca, sia perché la mia vena polemica non è in grado di sostenere un litigio. E poi, lo incenererei subito. Mi limito a sbuffare, lanciando i tacchi all’ingresso.
“Bella serata, non trovi?” cerco di cambiare argomento, sapendo che Paolo non può resistere ad una sana chiacchierata. Ci buttiamo entrambi sul letto, nonostante i vestiti ormai sgualciti. Il suo sguardo è subito più rilassato, mentre si sfila la giacca dalle spalle e la butta a terra.
“E’ stata ‘na serata esagerata. Certo, niente a che vedere con i festini che facevamo al liceo, però è un’occasione per conoscere gente. E che gente. Ma te rendi conto che sei andata addosso a Rita Ora? Assurdo.”
“Già”
“Poi sbaglio o ti sei messa a parlare con Mike?”
“E’ venuto lui da me, in realtà. poi sono dovuta andare in bagno, ma c’era fila”
“Chissà quali atti impuri stavano per essere consumati lì dentro”. Ridacchio, stendendomi vicino a lui e guardando il soffitto. Il bello della nostra amicizia è sempre stata la nostra confidenza, il nostro affetto senza malizia. Paolo era uno di quegli amici che, da sempre, era diventato ormai la mia coscienza. Siamo cresciuti insieme, incontrandoci alle medie. Mi ricordo ancora quando mi difendeva dai bulletti che mi prendevano in giro. in quel momento, in cui aveva urlato un “basta!”, fermando il gioco contro di me, ci siamo guardati negli occhi per più di due secondi, e ho sentito come un imprinting – o per lo meno penso sia così -. Non ci siamo più lasciati andare.
Mi rendeva felice sentirlo felice, soddisfatto. Non aveva studiato tanto per arrivare al suo lavoro da stagista presso la casa discografica, ma aveva sicuramente faticato e lottato. Come dice sempre, i libri gli sono serviti a capire qual era la sua strada perché, semplicemente, li ha rifiutati. Ha comprato un biglietto solo andata per Londra a diciannove anni e ha iniziato a proporsi nei vari posti di lavoro candidandosi per qualsiasi cosa. Aveva letto un giorno un annuncio sul giornale, dove la casa discografica Columbia Records richiedeva un tuttofare: ha alzato il telefono, ha chiamato – ha anche un po’ supplicato – e il giorno dopo stava in prova. “A Londra è tutto così veloce”, mi aveva spiegato.
“Te ti sei divertita, hai parlato con qualcuno?” guardo il soffitto, reggendomi la testa con le mani. Ho parlato con Mike, ma mi aveva trasmesso un’angoscia infinita, e poi avevo parlato con quel ragazzo sconosciuto davanti il bagno, e per un attimo mi sono ricordata del suo sguardo su di me, illuminato dalle luci viola e blu che in quel momento erano trasmesse nel locale. Cerco di ricordarmi i dettagli, ma il ricordo sfuma con la stanchezza. Magari Paolo lo conosce, e può dirmi di più.
No, non penso.
“Con nessuno”.






 
 
  
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