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Autore: Old Fashioned    01/04/2021    9 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cari lettori, care lettrici,
ecco un altro (mezzo) capitolo tutto per voi, spero che lo troverete interessante.
Come sempre grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo, che mi hanno messo in qualche lista o che sono stati così adorabili da lasciarmi un commento.
Spero di poter dire: enjoy^^





Capitolo 6

Carico di soldati all'inverosimile, il treno arrancava sbuffando come un vecchio ronzino. Von Knobelsdorff sedeva tra un finestrino opaco e un enorme caporale britannico che faceva del suo meglio per non pesargli troppo addosso, e aveva l’angosciante sensazione di essere un gatto in mezzo a una muta di cani. Per qualche motivo essi erano ignari della sua natura di felino, ma per quanto tempo lo sarebbero rimasti?
In realtà, era così esausto che anche la paura stava lasciando il posto a una specie di blanda rassegnazione. Sollevò una mano per spostarsi il rigido collarino bianco, forse la cosa peggiore di tutta quell'assurda mascherata, e così facendo incontrò lo sguardo acuto dell'agente segreto, che sedeva di fronte a lui con un breviario aperto fra le mani.
Qualcosa non va?” domandò questi in francese.
Il tenente scosse la testa e come da istruzioni rispose: “È tutto a posto, padre Jacques.”
L'altro annuì e tornò a leggere. A far finta di leggere, per la verità, perché quello sguardo apparentemente concentrato sulle Scritture stava invece sondando l'ambiente con scientifica precisione.
Il giovane si chiese come riuscisse a non mostrare alcun segno della stanchezza che obiettivamente doveva provare. Tentò di muovere le spalle e gli parve di avere al posto di muscoli e ossa un polveroso sacco di ghiaia. Aveva male alle mani, alle braccia, alla schiena, alla testa e in generale a tutto ciò che in un corpo umano può dolere. Si sarebbe addormentato lì dov'era, in braccio a quel caporale che senza fatica avrebbe potuto sollevarlo come un coniglio, ma per quanto prostrato, per quanto stremato, sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio.
Giunse le mani in grembo, poi di nuovo fissò l'agente segreto, incontrando il suo sguardo tagliente. Si chiese se oltre a vedere al buio come i gatti riuscisse anche a leggere il pensiero. Accennò a un lieve sorriso e l'altro in francese gli suggerì: “Dorma un po', padre François. Sarà un lungo viaggio.”
Il tenente non replicò, chiedendosi se la sua stanchezza fosse così evidente o se davvero quella specie di demonio fosse anche telepatico.
Lo fissò di nuovo, ma l'altro mantenne lo sguardo sulla pagina che stava fingendo di leggere.
Eppure era certo che se ne fosse accorto.
Forse non voleva far trapelare troppa familiarità fra loro, voleva dare l'impressione di qualcosa come colleghi di lavoro, in buoni rapporti ma fondamentalmente estranei l'uno all'altro.
Forse se si fosse concentrato su di lui avrebbe perso la panoramica sulla carrozza e sui soldati che l'affollavano.
Una bottiglia gli comparve davanti alla faccia con tale repentinità da provocargli un sussulto. In tono di rimprovero, qualcuno che si trovava al di fuori del suo campo visivo disse in inglese: “Ecco! L'hai fatto spaventare.” Poi, in un francese fortemente accentato. “Scusi, padre. Vuole?”
Il tenente fissò la bottiglia, priva di ogni etichetta e piena di un liquido trasparente, poi si girò verso la provenienza della voce e chiese: “Che cos'è?”
Roba tedesca,” fu la risposta.
Schnaps,” precisò l'enorme caporale al suo fianco.
Von Knobelsdorff si sentì attraversare da un brivido. Cosa significava quell'offerta? Era forse una trappola, per vedere se si sarebbe tradito? Rivolse di nuovo lo sguardo all'agente segreto, che però appariva totalmente immerso nella lettura.
Io... non bevo,” balbettò, passandosi un dito nervoso sotto la fascetta. Deglutì e ripeté: “Grazie, ma non bevo.”
La bottiglia si allontanò riluttante, per qualche secondo gli parve che il generale chiacchiericcio si fosse affievolito e tutti gli occhi fossero puntati su di lui.
Infine udì qualcuno che a bassa voce, di nuovo in inglese, diceva: “Cosa ti viene in mente? Non si offre da bere a un prete.”
Nonostante la reprimenda, lo Schnaps venne presentato anche all’agente segreto, che a differenza sua prese la bottiglia e ne bevve con disinvoltura un sorso. “Grazie,” disse poi, in un inglese al quale era riuscito a dare un pesante accento francese.
A quel punto uno dei soldati abbandonò lo zaino su cui stava seduto, li raggiunse facendosi largo tra i commilitoni e chiese: “Dove state andando, padre?”
Di nuovo von Knobelsdorff si irrigidì. Cos’era quella curiosità, tutt’a un tratto? Era qualcosa che aveva a che fare con l’offerta di acquavite tedesca? Avevano capito chi erano veramente e volevano spingerli a tradirsi in qualche modo?
Dardeggiò un’occhiata tesa al compagno, che però sembrava perfettamente tranquillo e a suo agio. Lo vide anzi tendere la mano verso la bottiglia e bere un’altra generosa sorsata. “Andiamo dove c'è molto bisogno della nostra opera,” rispose poi, assumendo un'espressione devota.
Sarebbe a dire?”
L'uomo emise un sospiro. “Al fronte, figliolo. Io e il mio vicario porteremo il conforto della parola di Dio nelle trincee.”
Ma siete francesi,” fu lo sconcertato commento. Poi chi aveva parlato protestò: “E smettila di darmi gomitate!”
Un altro soldato, evidentemente quello che aveva colpito il primo, si affrettò a specificare: “Non se la prenda padre. John voleva dire che è stupito perché voi siete francesi, mentre qui noialtri siamo tutti inglesi.”
L'agente segreto annuì grave, quindi rispose: “Capisco, figliolo. Dio provvederà.” Annuì di nuovo, con l'aria di chi è perfettamente certo che le cose si sistemeranno nel migliore dei modi.
I soldati si scambiarono sguardi perplessi, serpeggiò qualche bisbiglio, poi l'ultimo che aveva parlato chiese: “Ecco... in che senso, padre?”
Dio ci indicherà dove prestare la nostra opera. Non temiamo la sofferenza, perché essa avvicina al Signore.”
Immobile, i muscoli tesi come corde, von Knobelsdorff osservava l'agente segreto addentrarsi con disinvoltura in una palude sempre più infida. Quanto sarebbe riuscito a sostenere la parte? Quanto tempo sarebbe passato prima che i soldati cominciassero a sospettare qualcosa?
Non era credibile la faccenda dei preti che andavano in prima linea, anche un bambino se ne sarebbe accorto, ma l'uomo riusciva a spiegare quello che avrebbero fatto con tale pacatezza, con tale affettuosa sollecitudine che tutti, lo vedeva bene, ne erano soggiogati.
Il caporale gli porse nuovamente la bottiglia, egli bevve e gliela restituì con un sorriso.
Von Knobelsdorff deglutì a fatica e si sforzò di rimanere immobile, ma il cuore gli batteva talmente forte che sembrava volergli uscire dal petto. Aveva rischiato la vita innumerevoli volte, aveva schivato proiettili e sciabolate, aveva volato attraverso nubi temporalesche, aveva domato cavalli imbizzarriti. In quei frangenti, l'azione soppiantava il pensiero, affrancandolo da paura e preoccupazioni, facendolo sentire addirittura vivo, libero e forte.
Quell'immobilità invece lo stava facendo precipitare in un abisso di angoscia. Cercava di figurarsi cosa sarebbe accaduto e si accorgeva di non esserne in grado. Immaginava, più che altro, e ogni scenario che gli compariva davanti agli occhi era peggiore del precedente.
Percepì una goccia di sudore scendergli lentamente lungo la tempia, se la terse cercando di dare al gesto una connotazione casuale.
In tono di sollecitudine, qualcuno gli chiese: “Non sta bene, padre?”
Egli fece guizzare lo sguardo intorno a sé. Tentò di nuovo di deglutire, ma aveva la bocca talmente asciutta che la lingua gli si incollò al palato.
Agire. Doveva agire.
Si alzò in piedi tentennando, istintivamente i soldati che affollavano i sedili si fecero indietro per lasciargli spazio. “Devo uscire un momento,” si limitò ad annunciare, quindi prese a farsi strada verso il fondo della carrozza.
Si trovò ad arrancare in un mare di uniformi khaki. Colse su di sé sguardi stupiti, percepì qualche commento. Uno si fece il segno della croce.
Continuò ad avanzare, scavalcando zaini, facendo del suo meglio per muoversi con disinvoltura nonostante la sottana lunga fino ai piedi. La porta in fondo alla carrozza era stata aperta, forse per far entrare più aria, c'era qualche soldato che fumava appoggiato alla balaustra della piattaforma di salita.
Si tenne a una cappelliera per mantenere l'equilibrio durante uno scossone particolarmente violento, continuò caparbiamente ad avanzare. Non aveva un'idea precisa di cosa avrebbe fatto, per la verità. Prendere un po' d'aria, magari, farsi offrire una sigaretta, posto che un prete con la sigaretta non risultasse troppo strano.
In ogni caso gli era chiaro che non sarebbe riuscito a rimanere immobile un secondo di più.
Una mano sulla spalla lo fece sussultare, una ben nota voce gli chiese: “Non si sente bene, padre François?”
In quel momento, dietro di loro qualcuno gridò: “Fermateli!”

Egli si girò di scatto e nella distesa di uniformi colse la macchia scura di un uomo in abiti borghesi. Indovinò, piuttosto che vedere chiaramente, una capigliatura nera e un volto pallido. Colse il gelo di uno sguardo tagliente.
Poi la presa sulla sua spalla si fece ferrea ed egli si sentì spingere da parte. Udì una detonazione lontana, una cacofonia di grida e subito dopo due detonazioni vicinissime. Il frastuono lo stordì, nel fumo degli spari vide due corpi accasciarsi mentre l'uomo in borghese con un guizzo saltava al coperto.
Il nugolo di uniformi stava montando come una marea, pochi passi e l'uscita del vagone sarebbe stata sbarrata. L'agente segreto sparò altre due volte e altrettanti uomini crollarono.
Von Knobelsdorff fece per estrarre la pistola a sua volta, ma la tonaca lo impacciava troppo. Agguantò un fucile e prese a rotearlo come una clava. Percepì contro l'arma l'impatto di qualcosa di duro, poi udì un gemito soffocato. Non fece in tempo a vedere chi aveva colpito, perché l'agente segreto sparò altre due volte, poi catapultò se stesso e lui all'esterno, sulla piattaforma dove poco prima i soldati erano appoggiati a fumare.
Salti!” urlò.
Il tenente fissò sgomento il suolo, che la velocità del treno trasformava in un magma indistinto. “Cosa?”
Giù!”
Un attimo dopo, una poderosa spinta lo scaraventò nel vuoto. Egli annaspò sbracciando e atterrò malamente sui sassi aguzzi della massicciata, rotolò per un tempo che gli parve infinito, graffiandosi e ammaccandosi ovunque, infine si fermò nel folto di un cespuglio. Per qualche secondo rimase immobile, cercando di capire se era ancora tutto intero, poi si rialzò ansante su mani e ginocchia. Sbatté gli occhi, faticando per mettere a fuoco quello che lo circondava. Percepì un crepitio irregolare, al quale si sovrappose un lungo stridere metallico.
L'agente segreto comparve nel suo campo visivo come un'enorme ala di corvo. “Si muova!” ordinò asciutto, “il treno si sta fermando, tra un po' avremo alle calcagna mezzo battaglione.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Oltre a the Bishop, ovviamente.”
Chi?” mormorò il tenente, ancora frastornato dalla caduta.
Quello che ci ha sparato contro. E ora si muova, abbiamo già perso anche troppo tempo.”

I primi passi von Knobelsdorff li mosse come in trance, senza praticamente vedere nulla se non macchie di colore, il verde di un rado sottobosco, il giallo dei campi mietuti, l'azzurro pallido del cielo ormai pomeridiano. Tutto era come ovattato. L’unica cosa che percepiva con decisione era la presa solida dell’uomo sul suo braccio.
Alle loro spalle, quasi coperto dal tonfare rapido della loro corsa e dal frusciare delle pesanti tonache, il crepitio si era fatto più rado e si udiva qua e là l’eco fioca di ordini gridati.
Tutto gli sembrava una girandola, un vortice, dove le sensazioni si sovrapponevano le une alle altre. Gli pareva di essere a bordo di un aereo che precipitava in vite e al tempo stesso di essere su una barca preda di furenti marosi.
Si accorse che stavano entrando nella vegetazione, più che altro dal cambio della luce e dai rami incolti che lo sferzavano come fruste.
Scrollò la testa, la visione divenne più nitida ed egli riuscì a riconoscere un frutteto lasciato a se stesso e inselvatichito. Meli e peri, non potati da anni, si ergevano altissimi. Qualche rado frutto penzolava dai rami, masse di rampicanti davano l'assalto ai tronchi. Malfermo com’era, correre tra le erbe che arrivavano fino alla cintura, trattenuto a ogni passo da tenaci rovi, si rivelò ben presto impossibile. Nonostante l’uomo lo tirasse vigorosamente per il braccio, non riusciva a mantenere la sua andatura.
Dovettero rassegnarsi al passo.
L'agente segreto continuava a guardarsi alle spalle. “Stanno guadagnando terreno,” disse dopo un po'. Si fermò ai piedi di un pero alto quanto un giovane tiglio e prese a sbottonarsi l'abito talare. “Danno troppo nell'occhio,” spiegò asciutto, “intralciano.”
Appese la veste a un ramo, in modo che da lontano sembrasse uno di loro due in piedi.
Von Knobelsdorff tentò di imitarlo, ma si sentiva come ubriaco e i suoi gesti erano maldestri e imprecisi. L’uomo dovette intervenire per aiutarlo. “Si sente bene?” gli chiese, lasciando cadere la veste sull’erba.
Il tenente si accorse che lo stava fissando preoccupato. “Sì, bene,” rispose incerto.
Sicuro?”
Sì.”
Comunque muoviamoci,” disse poco convinto l’agente segreto, “se rimaniamo qui ci saranno addosso fra poco.”
Riprese a tirarselo dietro per un braccio.
Dal frutteto passarono a una vigna abbandonata, dove edera e vitalba avevano coperto a tal punto le poche viti rimaste che tra i filari si riusciva a passare solo in fila indiana.
Alle loro spalle echeggiarono alcune detonazioni.
Il tenente si girò di scatto, l'altro disse: “Hanno trovato le tonache.” Poi, dopo una pausa: “Fanno sul serio, come può notare.”
Nonostante l’ottundimento, l'ufficiale replicò: “Non ho mai pensato che scherzassero.”
Si muova.”
Proseguirono facendosi largo fra le liane che serpeggiavano ovunque.
Sbucarono in un'aia invasa dalle erbacce, al centro della quale sorgeva una casa diroccata. Il tetto, forse originariamente di paglia, era ormai scomparso e uno dei muri era crollato. Spezzoni di travi spuntavano dal rudere.
Altri spari echeggiarono nella vegetazione, molto più vicini. A poca distanza da loro, un proiettile sollevò da terra una manciata di foglie secche.
Von Knobelsdorff si passò una mano sulla fronte, ritirandola sporca di sangue. Forse si era ferito nel saltare giù dal treno. “Cosa facciamo?” ansò.
La presa sul suo braccio si fece più salda. “Intanto mettiamoci al coperto,” disse l'uomo.
Si spostarono all'interno della casa pericolante. Il pavimento del piano superiore aveva qua e là ceduto, e macchie di sole screziavano quel che rimaneva di antiche piastrelle decorate. Travi corrose e vecchie pietre costellavano le stanze.
Al loro ingresso, piovve dall'alto uno spolverio biancastro e i vecchi muri tremarono lasciando cadere frammenti d'intonaco.
Qui crolla tutto!” esclamò preoccupato il tenente, rinculando d'istinto verso il varco da cui erano entrati.
Si muova,” sibilò l'altro per tutta risposta. Lo spinse avanti, serpeggiando con destrezza nelle aree più integre.
Von Knobelsdorff lo vide guardare in alto come alla ricerca di qualcosa. “Cosa vuole fare?” gli chiese, insospettito dallo strano atteggiamento.
Stia zitto!”
Io non...” cominciò il giovane, ma altri spari all'esterno – molto più vicini dei precedenti – lo spinsero a tacere.
L'uomo nel frattempo aveva individuato un trave maestro caduto dal tetto, che attraverso un largo buco del soffitto arrivava fino al pavimento. Si fermò a osservare l’antico legno, fece qualche passo per cercare di vedere cosa c'era nella stanza di sopra, poi abbandonò la presa sul suo braccio e gli fece cenno di tacere.
Cominciò ad arrampicarsi, silenzioso e rapido come un gatto.
Quando ebbe raggiunto il piano superiore, dall'alto gli fece segno di raggiungerlo.
Von Knobelsdorff obbedì, ma forse la precaria struttura era già stata sollecitata eccessivamente: una larga porzione di soffitto rovinò a terra in una nube di polvere e il trave cadde, costringendolo a fare un salto indietro per non rimanere schiacciato.
All'esterno si udirono voci concitate e qualche sparo, seguiti da un frenetico tonfare di passi. Il tenente si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga, ma già innumerevoli uniformi khaki stavano sciamando all'interno del rudere.
Prima ancora di poter pensare a come raggiungere l'agente segreto, si trovò un fucile puntato contro il petto. Non gli rimase che alzare le mani, mentre altri militari inglesi lo circondavano.

§

Immobile, von Knobelsdorff faceva scorrere lo sguardo dall’uno all’altro dei soldati che lo circondavano, cercando anche di farsi un’idea di cosa ci fosse al di là del cerchio di uomini armati.
Si chiese dove fosse l’agente segreto. Ovviamente sarebbe stato impensabile che cercasse di liberarlo in qualche modo: gli inglesi erano in troppi. E poi, realisticamente, avrebbe avuto senso farlo?
Più volte l’uomo aveva ripetuto che i dati in suo possesso erano di valore inestimabile ai fini della condotta bellica. La vita di un singolo combattente era forse più importante di informazioni che avrebbero potuto avvantaggiare l’intero fronte?
Ovviamente non lo era.
Fissò il soldato che si trovava proprio di fronte a lui. Un tizio di altezza media, con la faccia larga, il naso un po’ schiacciato e gli occhi castani. Dava l’idea di essere un buon diavolo, dopotutto.
Il suo Enfield era un po’ rovinato da una parte. Aveva una tasca sbottonata, dalla quale spuntava qualcosa di chiaro, forse una lettera frettolosamente messa via quando era arrivato l’ordine di smontare dal treno.
Si mosse appena e lo sguardo del soldato si fece ostile. L’Enfield fu imbracciato più strettamente, l’indice si appoggiò sul grilletto.
Von Knobelsdorff si immobilizzò di nuovo. Da dietro le sue spalle, una voce disse in inglese: “Portatelo fuori di qui.”
Fu afferrato per le braccia e, sempre sotto la minaccia delle armi, fu spinto all’esterno.
A quel punto, entrò nel suo campo visivo l’uomo in borghese che aveva intravisto sul treno. Questi lo squadrò in silenzio per qualche secondo, poi, in un tedesco perfetto, appena ammorbidito da un vago accento inglese, gli domandò: “Dov’è il Werwolf?”
Il tenente lo fissò, genuinamente stupefatto. “Chi?”
L’altro aggrottò le sopracciglia e gli rivolse uno sguardo tagliente. “Il Werwolf,” ripeté con minacciosa calma. “Mi dica dov’è andato.”
L’ufficiale strinse le labbra. Distolse lo sguardo, facendo ben attenzione a non rivolgerlo verso la casa. L’agente tedesco – ora aveva scoperto che il suo nome in codice era Lupo Mannaro – era riuscito a scappare, altrimenti quell’uomo non gli avrebbe chiesto di lui. “Non lo so,” rispose asciutto.
Il suo interlocutore sollevò un sopracciglio con aria di degnazione. “Non lo sa?” fece eco.
No.”
Mi perdona se dubito della sua affermazione, non è vero?”
Impegnato in una rapida analisi della situazione, il tenente non rispose. La faccenda era piuttosto chiara, per quanto certamente non semplice: l’agente tedesco era effettivamente riuscito a far perdere le proprie tracce. Come avesse fatto gli era del tutto ignoto, dal momento che l’ultima volta che l’aveva visto era al piano superiore di una casa pericolante e circondata da soldati inglesi, fatto sta che era sparito.
Sicuramente si stava già dirigendo verso le linee tedesche, per portare a destinazione le preziose informazioni in suo possesso. Suo dovere, a quel punto, era rallentare al massimo, o sviare, se possibile, l’inseguimento che senza dubbio gli inglesi avrebbero messo in atto.
Fissò l’uomo con aria di sfida e replicò: “Dubito ergo sum, diceva Sant’Agostino.”
L’altro non parve scomporsi troppo. Annuì un paio di volte, assumendo l’espressione di chi sta vedendo un adolescente fare qualcosa di molto avventato e molto stupido, quindi disse: “Ma bravo, abbiamo qui un dottore in teologia, che bella cosa. Spero che sappia anche pregare, giovanotto, perché ne avrà bisogno.” Poi a voce più alta, in inglese: “Riportatelo al treno.”


   
 
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