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Autore: Mockingjay_chan    09/04/2021    0 recensioni
Due pesche, una banana e un paio di libri. Nient’altro.
“Pessimo, per oggi dovrò accontentarmi”. Chiuse lo zaino e se lo mise in spalla, pronta per allontanarsi da centro del paese. Riprese a camminare a passo svelto lungo la strada lastricata, guardandosi in giro di tanto in tanto per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Erano quasi undici anni che viveva così: arrivava su un’isola, rubava quanto le serviva per sopravvivere, ogni tanto qualche vestito e quando il fato era particolarmente benevolo agguantava qualche libro che avrebbe restituito al legittimo proprietario una volta finito, prima di imbarcarsi di soppiatto su qualche nave e scroccare un passaggio fino alla prossima isola. Il tutto rigorosamente da sola.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pirati Heart
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Di nuovo in mezzo alla neve, in piedi, su quell’unica lastra nera larga poco meno di un metro per lato. Intorno a lei la bufera le copre la vista, tutto è bianco e appannato, nessun rumore e nessuna presenza, solo il freddo le fa compagnia. Si guarda le mani e le dita le fanno male, il freddo le ha raggiunto anche le ossa.


Bianco, tutto quello che riusciva a vedere era il bianco. Di nuovo, come in tutti i suoi sogni da qualche mese a questa parte. Era sdraiata, di questo era sicura, ma adesso poteva muoversi.

In meno di un secondo provò a fare mente locale. Si ricordava dei pirati, della corsa e della spiaggia, ma poi cos’era successo? L’ultima cosa che riusciva a ricordare erano il dolore alla gamba e poi il buio più totale e ora davanti a sé aveva una luce bianca accecante. Seguendo la logica la soluzione possibile era una sola.

Si stropicciò gli occhi confusa. Riuscì a mettere a fuoco alcuni dettagli della stanza: le pareti grigie, le lampade al neon e alcuni lettini disposti ordinatamente lungo le pareti. L’aldilà se l’era immaginato decisamente diverso.

«Buongiorno Morgan!» si voltò di scatto verso quella voce e la testa le vorticò pesantemente, facendole venire la nausea. Due figure stavano sedute a poca distanza da lei, in penombra. Non riuscì a metterle a fuco, ma la voce le suonò familiare.

Aveva la bocca impastata e la gola le faceva male, probabilmente per lo sforzo della corsa. «Sono morta?» si stupì, la voce le uscì molto più flebile di quanto aveva immaginato.

«Beh… se non fosse stato per noi lo saresti sicuramente» le due figure le si avvicinarono sogghignando. Adesso che si stavano avvicinando poteva metterli a fuoco decentemente. Le due tutone stupide, quei due tizi strani… Shachi e Penguin! Ci mise un attimo a riconoscerli, ma era certa fossero loro.

Ma se non era morta ed era insieme a quei due pirati, allora forse la risposta alla sua domanda era ben peggiore di quanto avesse immaginato. Ma non aveva senso! Quando aveva raggiunto la spiaggia non c’era nessuna nave all’orizzonte e sicuramente non erano tornati indietro apposta per cercare lei. Si mise a sedere a fatica, ad ogni movimento la nausea aumentava ma almeno i suoi occhi si erano abituati alla luce artificiale della stanza e adesso poteva scrutarne ogni particolare. «Se non sono morta… cos’è successo?» si guardò in torno, sia per curiosità che per cercare un’eventuale via di fuga. «Niente di che, ti abbiamo vista arrivare sulla spiaggia e cadere a terra, pensavamo fossi morta in realtà, ma ti abbiamo raccolta e il nostro capitano ti ha rimesso a posto!» Shachi le parlava sorridendo, come se quella fosse la cosa più normale del mondo «Ti abbiamo detto che eravamo in debito, tu hai salvato noi e noi abbiamo salvato te. Un pirata mantiene sempre le promesse» Penguin sembrò anche più allegro di Shachi.

I lettini erano separati da tendine bianche, ma non percepì nessuno nella stanza oltre ai due pirati e ne dedusse che fosse l’unica ospite. Sentì l’odore di disinfettante invaderle le narici e riuscì a stento a ricacciare indietro un conato di vomito. Si trovava sicuramente in un’infermeria, ma c’era comunque qualcosa di strano in quella stanza. Ci mise poco a capire cosa fosse, nonostante sopra ogni letto vi fosse un piccolo oblò circolare, non filtrava alcuna luce dall’esterno. Anzi, se non fosse stato per quelle fredde luci al neon la stanza sarebbe sprofondata nell’oscurità più totale. Sentì un nodo allo stomaco, non le erano mai piaciuti gli spazi chiusi.

Si voltò di scatto verso i due pirati «Dove siamo?» l’agitazione nella sua voce lasciava ben poco all’immaginazione. L’espressione divertita che si dipinse sul volto dei due la preoccupò, se possibile, ancora di più. «Sul Polar Tang ovviamente!» quel nome le diceva ben poco e i due se ne accorsero subito «Il sottomarino dei Pirati Heart!»

Sul… cosa? Ricadde con la schiena sul lettino, il nodo allo stomaco era diventato una vera e propria fitta. Non solo quella era una delle ciurme più temute del Nuovo Mondo, ma si trovava pure su un maledetto sottomarino! Le sue speranze di fuga erano totalmente andate in fumo. Se si fosse trovata su una nave normale avrebbe almeno potuto tentare di scappare, magari rubando una scialuppa, ma su un sottomarino era praticamente in trappola.

Sentì lo stomaco stringersi in una morsa. Si sporse dal lettino, dalla parte opposta dei due pirati e afferrò un secchio che qualcuno aveva saggiamente lasciato lì. Vomitò fino a svuotarsi completamente lo stomaco, a giudicare dal contenuto del secchio erano almeno i pasti degli ultimi due o tre giorni. Lo stomaco continuava a contrarsi e le lacrime ormai le solcavano il viso, sia per lo sforzo che per l’imbarazzo della situazione e il suo corpo aveva iniziato a tremare.

Sentì una mano toccarle piano la schiena ma non ebbe il coraggio di voltarsi. «Non preoccuparti, vuol dire che l’operazione è andata bene» ma quei due avevano sempre quel tono allegro? «Prendi questo» Penguin le allungò un fazzoletto da sopra la spalla. Morgan glielo strappò letteralmente dalle mani, odiava l’idea che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni. Si pulì la faccia alla bene e meglio, sollevandosi su un gomito per riprendere un po’ di fiato e gettò anche il fazzoletto nel secchio. In effetti si sentiva molto meglio, o perlomeno la testa aveva smesso di girare.

Si girò nuovamente, appoggiando la testa sul cuscino «Grazie… e scusate per il casino» disse con gli occhi chiusi, indicando in direzione del secchio. «Oh, non preoccuparti per quello, è normale.» Penguin aveva assunto un tono gentile «Se vuoi darti una sistemata c’è un bagno, puoi farti una doccia e infilarti dei vestiti puliti» disse indicando una porta in metallo, in fondo alla stanza.

Ci pensò un attimo, una doccia forse non era una cattiva idea. Si accorse di essere coperta di sudore e iniziava a sentire freddo, i capelli le si erano appiccicati alla fronte e vista da fuori in quelle condizioni non doveva certo essere un bel vedere, in più con la vita che faceva non è che i bagni caldi fossero proprio all’ordine del giorno. Fece per scostare il lenzuolo che la copriva e per alzarsi dal letto, ma notò un’altra cosa decisamente fuori posto. Non indossava i suoi vestiti. Al loro posto aveva un camice azzurro, decisamente leggero e decisamente troppo corto, che le copriva a malapena le cosce.

Quindi, facendo il punto della situazione, si trovava chissà dove, chiusa in un sottomarino, in mezzo ad una ciurma di pirati che quasi sicuramente l’aveva vista nuda. Peggio di così non poteva andare, no? Era già tutto fin troppo assurdo.

Si voltò verso i due pirati, lanciandogli uno dei suoi sguardi più minacciosi. I due si spaventarono, poteva sentirlo bene. «Uscite immediatamente da questa stanza.» il suo tono era grave non ammetteva repliche. Gentili o no importava poco, in quel momento li avrebbe maledetti entrambi nel peggiore dei modi, erano loro i fautori di quella pessima situazione.

«Ma non vuoi una mano a fare la doc… » Penguin non fece in tempo a finire la frase che un pugno lo colpì dritto sulla testa. «Ho detto di uscire!» I due si alzarono e passo svelto uscirono dalla stanza, Shachi scusandosi continuamente e Penguin reggendosi la testa nel punto in cui, presto, sarebbe spuntato un secondo bernoccolo.

Morgan rimase per un po’ seduta sul bordo del letto, aveva esagerato a tirargli un pugno? Concluse di no, d’altra parte mica glielo aveva tirato forte, non così tanto almeno.

Si alzò dal letto, ora che era da sola la tensione stava lasciando il passo alla curiosità. Si mise a girare per la stanza prima di infilarsi nella doccia. Passò in rassegna i letti, una quindicina in totale, disposti con una precisione maniacale lungo tre delle pareti della stanza e separati da tendina bianca immacolata. La parete restante era occupata al centro dalla porta che i due pirati avevano usato per uscire, anch’essa in metallo grigio mentre il resto era tappezzata da armadietti, alcuni pieni di strumenti di cui non avrebbe neanche saputo pronunciare il nome, altri occupati da barattoli e provette pieni di liquidi non meglio identificati. Provò ad aprire un armadietto, attirata da tutti quegli strumenti, ma si rese conto che era chiuso a chiave, probabilmente sia per tenere lontano i curiosi che per evitare che alla prima corrente tutto il contenuto si rovesciasse malamente a terra.

Tutta la stanza aveva un’aria inquietante, era fredda e odorava di disinfettante, l’atmosfera era asettica e claustrofobica. Un brivido freddo le percorse la schiena, non le piaceva affatto.

Decise di entrare in bagno, una doccia calda le avrebbe sicuramente lavato via la tensione di dosso. Aprì la porta e la vista la stupì. Il bagno non aveva niente a che fare col resto della stanza. Non era grande, ma era arredato in maniera accogliente, con una vasca da bagno con tanto di doccino su un lato e sull’altro una coppia di lavandini, sormontati da uno specchio enorme.

Si guardò allo specchio, dire che faceva schifo sarebbe stato un eufemismo. I capelli le ricadevano disordinati sul viso, era pallide e aveva le occhiaie di una persona che non dormiva da giorni. Si sfilò il camice e aprì l’acqua della vasca, avrebbe potuto farsi una doccia, certo, ma perché non approfittarne?

Un brivido la scosse quando l’acqua bollente le toccò la pelle fredda. Si sdraiò e chiuse gli occhi. Non è che non le piacessero i pirati, non erano certo la cosa peggiore in quella situazione. La cosa che la turbava di più era il fatto di essere rinchiusa, con altre persone per di più! Ecco, quello poteva rappresentare un problema. In effetti nel corso della sua vita in un modo o nell’altro era sempre riuscita a tenersi lontana dalla gente. I suoi contatti con le persone si limitavano solo a situazioni di estrema necessità e si assicurava bene che fossero il più breve possibile. Ma adesso come avrebbe fatto? Non poteva fisicamente allontanarsi e nemmeno rifugiarsi in qualche angolo sperduto. Oltretutto non aveva la minima idea di quanto sarebbe durata quella situazione. Sicuramente fino alla prossima isola, ma quanto ci sarebbe voluto? Una settimana, un mese forse. E poi, chi poteva assicurarle che una volta raggiunta la terraferma l’avrebbero lasciata andare? Sempre se non l’avessero uccisa prima ancora di vederla la terraferma, ovviamente.

Però Shachi e Penguin erano stati gentili con lei e non le avevano fatto niente di male, a parte spogliarla probabilmente. Forse avrebbe potuto farseli amici dopotutto, almeno fino alla fine del viaggio.

Ma il pensiero che più di tutti la tormentava era lui, “Il Chirurgo della Morte”, Trafalgar Law. Ignorava il suo aspetto, tutto quello che sapeva su di lui erano le storie che i marinai ubriachi si raccontavano nelle bettole. Ma se bastavano delle storie per spaventare uomini che avevano passato la loro vita in mare, di cos’era realmente capace quell’uomo? E soprattutto, una persona del genere avrebbe mai potuto risparmiarla?

Sbuffò mettendosi a sere, avrebbe voluto rimanere in quella vasca per il resto dei suoi giorni. Allungò la mano per prendere una spugna e del sapone e notò che il vapore aveva invaso la stanza. Si passò la spugna su tutto il corpo, se la passò delicatamente sul collo, sulle braccia e sul seno, ma quando giunse alle gambe si rese conto di una cosa. La ferita era sparita. Non guarita, era letteralmente sparita senza lasciare traccia! Nessuna cicatrice, nessuna sutura, nessun segno che fino a poche ore prima la setticemia la stesse per uccidere. Quella non era certo l’opera di un medico normale. Si passò la mano più volte sulla caviglia, non le faceva neanche male. Assolutamente niente, come se non ci fosse mai stata. Questo era ancora più assurdo di tutto il resto.

Aprì lo scarico della vasca di fretta, non ce la faceva più a restare lì, non ne poteva già più di quella situazione. Prese un accappatoio e uscì dalla vasca sgocciolando a terra, si guardò in torno, in cerca dei fantomatici “vestiti puliti” di cui le avevano accennato. Fortunatamente li trovò su una sedia appoggiata accanto ai lavandini.

Una tutona, come quella indossata da Shachi e Penguin, ma nera. Quindi non doveva trattarsi di una pessima scelta stilistica, ma di un marchio distintivo della ciurma. Poco male, sempre meglio che girare per i corridori con un camice inguinale. Si infilò quello strano indumento e si guardò allo specchio, le andava grande ma tutto sommato non era così male, almeno era comoda. Notò il petto marchiato con il Jolly Roger della ciurma, vederlo su di sé la fece sentire strana, era la prima volta che portava un segno distintivo addosso. Se l’avesse vista un Marine l’avrebbe scambiata senza dubbio per una dei Pirati Hearts.

Le uniche cose che mancavano all’appello erano il suo zaino scarlatto e la spada, a pensarci bene non gli aveva visti neanche nella stanza. Si appuntò mentalmente di chiedere ai due pirati notizie a riguardo… o eventualmente di lanciarsi alla loro ricerca appena avesse recuperato un minimo le energie.

Si asciugò alla buona i capelli e tornò nella stanza coi letti. Avvicinandosi al suo si accorse subito che il secchio era sparito, mentre era in bagno qualcuno doveva essere passato per pulire. La cosa la inquietò, in uno spazio chiuso la privacy sarebbe sicuramente stata un optional.

Il bagno caldo aveva eliminato ogni traccia di stanchezza dal suo corpo, ma lo stomaco iniziò a brontolarle rumorosamente. Non sapeva per quanto tempo era rimasta incosciente, ma tra la fuga e la giornata intensa la fame iniziava a farsi sentire. Si guardò intorno in cerca di un orologio, voleva andare a cercare una cucina ma non sapeva neanche se forse giorno o notte. “Strano...” come si fa a vivere in un sottomarino immerso nel buio degli abissi senza avere nemmeno un’indicazione dell’orario? “Una persona normale impazzirebbe in una situazione del genere” conosceva abbastanza bene la mente umana per sapere che una condizione del genere avrebbe potuto far impazzire anche la persona più stabile del mondo.

Lo stomaco continuava a brontolarle incessantemente e la fame ebbe il sopravvento sulla paura di svegliare qualche pirata. Uscì dalla stanza in punta di piedi, le avevano dato delle scarpe ma aveva preferito non indossarle per ridurre al minimo i rumori. Fuori dalla stanza trovò un corridoio semplice, anch’esso con le pareti grigie in metallo intervallate da porte dotate di oblò. Fortunatamente per i suoi piedi nudi il pavimento era in legno e come la stanza anche il corridoio era illuminato solo da luci al neon, ma queste davano l’impressione di essere leggermente più calde. Non sapeva da che parte andare, l’atmosfera era fredda e tetra, ma non abbastanza da frenare la sua ricerca di cibo. Da entrambe le parti non riusciva a scorgere la fine del cunicolo quindi puntò tutto sulla fortuna e si incamminò nella via alla sua destra.

Procedeva a passo lento, il più silenziosamente possibile. Si sentiva una ladra ad agire in quel modo, ma per quanto scarso il suo istinto di autoconservazione funzionava ancora abbastanza bene. Man mano che procedeva si rese conto che ogni porta era dotata di un piccolo oblò, alcuni coperti da una tendina bianca e altri scoperti, ma pur sempre bui. Ogni volta che passava di fianco ad una porta cercava di percepire se al suo interno ci fosse qualcuno, ma l’intero sottomarino sembrava deserto. L’ unica cosa che sentiva distintamente era il cigolio delle parti metalliche dell’imbarcazione spinte contro le correnti sottomarine e il ronzio delle lampade al neon. E la cosa non la tranquillizzava affatto.

Camminò per circa dieci minuti stando all’erta, quando in intravide la fine del corridoio. Una porta come le altre, l’unica differenza era che l’oblò era illuminato e proiettava un cono di luce nella sua direzione. Si fermò ad ascoltare. Dall’interno provenivano una serie di voci, attutite dalle pareti stagne, che si accavallavano l’una sull’altra impedendole di distinguere chiaramente cosa si stessero dicendo. Si avvicinò alla porta fermandosi a poco più di un metro di distanza, concentrandosi sulle presenze all’interno della stanza. A prima impressione dovevano essere circa cinque o sei persone; eccitazione e gioia erano le uniche emozioni che riuscì a percepire.

Decise di entrare, a prima impressione non le sembrò una situazione così preoccupante. Se fosse entrata con la dovuta cautela probabilmente avrebbe portato a casa la pelle e magari anche qualcosa da mettere sotto i denti.

Portò la mano sulla maniglia cercando di scacciare dalla testa le ultime remore. Sentì il metallo freddo sul palmo e si stupì di come tutto, in quel sotto marino fosse così freddo e atono. “Ecco perché si chiama POLAR Tang” pensò, sorridendo alla sua stessa, pessima, battuta. Quello di fare della pessima ironia per sdrammatizzare nei momenti di tensione era sempre stato un suo vizio.

Aprì la pesante porta facendola cigolare e la situazione che si trovò davanti le fece gelare il sangue.

Tutti i commensali la guardarono confusi. Cinque pirati vestiti di bianco e… era un orso quello? Li guardò, più confusa di loro. Perché mai un orso stava seduto ad un tavolo con dei pirati? E per di più facendo baldoria, a giudicare dalla pinta di rum che reggeva nella zampa.

«MorgMorg? Penguin si alzò facendo cadere lo sgabello per correrle incontro barcollando. «Pensavamo non ci avresti mai raggiunti!» aveva gli occhi lucidi e un sorriso sornione stampato in volto, come se la persona che stava di fronte a lui non fosse la stessa che gli aveva procurato un paio di bernoccoli. L’alcool alle volte può fare miracoli.

Penguin la prese per la manica della tuta e la trascinò verso il tavolo. Non sapeva cosa fare, i pirati ricominciarono a far festa alzando i boccali e gridando frasi semi incomprensibili. Se quella non era una ciurma di pazzi sicuramente era una delle cose più rumorose che avesse mai incontrato. Penguin la fece sedere a capotavola, allungandole un boccale pieno di rum. «Stasera sei l’ospite d’onore!» tutti brindarono ridendo e gridando. Guardò il liquido nel bicchiere, se avesse bevuto adesso sarebbe sicuramente finita ubriaca e svenuta da qualche pare. Lo stomaco le brontolò di nuovo.

«Ecco in realtà… io avrei una certa fame» disse con un filo di voce, quasi vergognandosi. «Nessun problema!» Shachi tirò un pugno sulla spalla dell’uomo seduto accanto a lui «Jean-Bart, prepara qualcosa per la signora» l’uomo, o meglio l’armadio, lo guardò di sottecchi grugnendo prima di alzarsi di malavoglia. Passò dietro a Shachi e afferrò una gamba del suo sgabello, in meno di un secondo il pirata si ritrovò sdraiato sul pavimento, non troppo sicuro di quello che fosse appena successo. «Va bene, ma non darmi ordini» Jean-Bart scoppiò a ridere seguito da tutta la ciurma.

Scoppiò a ridere, trasportata dalle risate di quei bizzarri personaggi. L’ unico che seppur a fatica si stava trattenendo era l’enorme orso bianco vestito di arancione.

Poco dopo si trovò seduta davanti ad un piatto di carne cucinata di tutto punto. Ci si tuffò sopra con avidità, come se non vedesse cibo da giorni. Gli altri la guardarono come se fosse un animale selvatico. Ma quel cibo era maledettamente buono, non poteva certo rischiare che andasse sprecato.

Quando finì di ripulire il piatto si appoggiò sgraziatamente coi gomiti sul tavolo. A pancia piena era decisamente più tranquilla e poi quei tizi non sembravano affatto minacciosi, anzi, sembravano anche simpatici. Sicuramente era gente che aveva voglia di fare festa.

Prese coraggio, probabilmente il rum che aveva trangugiato durante il pasto iniziava a farsi sentire. «Comunque piacere, Morgan» alzò la mano in un gesto di saluto. Shachi le presentò l’equipaggio uno per uno elencando nomi e ruoli sulla nave. Apprese ben presto che l’unico membro della ciurma ad avere un ruolo stabile era proprio il taciturno orso bianco Bepo, o meglio, il vicecapitano Bepo.

«Ma… se siete tutti qui dov’è il vostro capitano?» la domanda le sorse spontanea, da quello che aveva visto fino ad allora difficilmente un capitano lasciava i suoi sottoposti a far festa senza di lui. «Beh ecco...» Shachi si voltò verso Bepo, impassibile, in cerca di approvazione «diciamo che non è proprio un tipo socievole». In effetti poteva immaginarselo, non aveva neanche percepito la sua presenza. Ma forse era meglio così, se lui non era un tipo troppo socievole magari avrebbe potuto evitare di incontrarlo almeno fino a… esatto! Fino a quando? «Beh ragazzi, non voglio sembrarvi scortese, ma quando raggiungeremo la prossima isola? Nel senso… non ho motivo di rimanere con voi per troppo tempo» aveva parlato senza pesare le parole, ma infondo era vero no? I pirati avevano saldato il loro debito, in teoria non erano più legati in alcun modo.

Penguin fece un sorriso fin troppo allegro «Dovremmo raggiungere la prossima isola tra due o tre settimane, se tutto va bene»

Morgan si alzò in piedi battendo le mani sul tavolo «Come se tutto va bene?!» due settimane erano già troppo per i suoi gusti. «Sì sai, siamo pur sempre dei pirati, potrebbe davvero succedere di tutto mentre stiamo in mare aperto… anche se siamo un sottomarino non è impossibile trovarci» la tranquillità nel tono in cui lo disse era disarmante. Almeno due settimane di prigionia in una gabbia di ferro sul fondo dell’oceano. Non era per niente una buona idea.

Si lasciò cadere sullo sgabello, appoggiando la testa sul tavolo. Sentì qualcuno appoggiarle una mano sulla spalla e il calore le invase la schiena, era calda e soffice. Bebo stette in silenzio per un po’, in piedi alle sue spalle. Non era la prima volta che vedeva una scena del genere, lui stesso spesso soffriva dell’atmosfera claustrofobica del sottomarino e vi era a bordo da anni. Non gli risultò difficile immaginare il motivo dello sconforto della giovane. «B-Beh… visto che sei a bordo, tanto vale dirci che sai fare, no?» la sua voce entrò nella testa di Morgan come se fosse la cosa più soffice che avesse mai sentito. Non seppe spiegare quella sensazione ma l’orso le apparve improvvisamente come la cosa più confortante al mondo.

Esitò per qualche istante, non sapeva se dire o meno alla ciurma quali fossero le sue reali capacità ma se l’avessero gettata in mare per un qualsiasi motivo se ne sarebbero resi comunque conto. Tanto valeva vuotare il sacco, se avessero voluto farla sparire almeno lo avrebbero fatto subito. L’alcool, la stanchezza e l’aura morbida di Bepo le impedivano di pensare a mente totalmente lucida

Alzò la testa e guardò gli altri con la zampa di Bepo ancora appoggiata sulla sua spalla. «Io ho...» non era del tutto sicura di quello che stava per dire, ma prese coraggio «mangiato un Frutto del Diavolo.» Gli altri non si scomposero e anzi, con suo grande stupore sembravano totalmente indifferenti alla cosa. Non le era mai capitato di incontrare qualcuno di simile. Sulle isole che aveva visitato e soprattutto nella sua isola natale era sempre stata considerata come un mostro da temere e da eliminare.

Shachi la guardò interessato prima di chiederle quale frutto fosse e cosa fosse in grado di fare esattamente. «Ho mangiato il frutto mind-mind. Mi permette di entrare in contatto con la mente delle persone o meglio, posso leggerne i pensieri e le emozioni, se mi impegno riesco anche a modificarle ma richiede parecchio sforzo. In ogni caso sono cose che non faccio quasi mai, sono abilità utili quando fuggi e quando vuoi essere sicuro che non ci siano pericoli nei paraggi, ma in combattimento non… » la frase le morì in gola.

Avvertì qualcosa nel corridoio e sentì freddo, tanto freddo. Per una frazione di secondo provò la stessa sensazione che ogni notte provava nel suo sogno, non riusciva a muoversi. Un misto di rabbia e dolore le attraversò la schiena.

La porta di metallo si aprì alle sue spalle e i festeggiamenti della ciurma cessarono immediatamente. Bepo si staccò da lei immediatamente «C-capitano!» si mise in posizione eretta portandosi una mano alla fronte in un gesto di saluto quasi reverenziale, mentre gli altri rimasero composti ai loro posti.

Morgan avvertì chiaramente la presenza alle sue spalle. Era lui, Trafalgar Law. Si voltò con cautela e le sembrò che la temperatura della stanza fosse scesa di parecchi gradi.

L’uomo stava sulla soglia della porta appoggiato allo stipite con aria non curante. Era alto e il suo fisico asciutto era messo in risalto da un paio di pantaloni aderenti e da una maglia gialla e nera. Poteva distinguere il colore ambrato della sua pelle ma il volto era in parte coperto dal cappello, lasciando intravedere solo un pizzetto nero e la bocca serrata in una linea inespressiva. Se avesse immaginato il diavolo, ora ne era sicura, lo avrebbe immaginato così. Non era tanto l’aspetto in sé, se l’avesse incontrato in un’altra circostanza avrebbe potuto perfino definirlo un bell’uomo, ma l’aura che emanava avrebbe fatto fuggire anche il più temerario dei marinai.

Rimasero tutti in silenzio per un tempo che le parve infinito. Law si scostò leggermente il cappello dal viso e fece un passo verso di lei. Gli occhi di ghiaccio del capitano trafissero i suoi con una forza inaudita. Ora ne era certa, le storie che si raccontavano nelle bettole non potevano essere false. Si irrigidì sotto il peso dello sguardo del moro mentre un sorriso ferino anche se appena accennato gli incurvava le labbra.

«Quindi tu sei la nostra ospite?» la sua voce era calda e profonda, ma strafottente «da domani lavorerai con noi. Cerca di non darmi un buon motivo per ucciderti»

«Aspetta! Cosa?!» le parole le uscirono di bocca senza che potesse fermarle. Se ne pentì immediatamente. Law fece un altro passo verso di lei, il ghigno aveva lasciato il posto ad un’espressione indecifrabile. Morgan sentì la rabbia dell’uomo ma anche la preoccupazione di Bepo che fece un passo di lato. Il moro le portò una mano sotto il mento alzandoglielo per poterla guardare dritta negli occhi. Era chino su di lei con il viso a pochi centimetri dal suo e lo sguardo ghiacciato piantato nel suo. Il cuore le martellava nel petto. Da quella distanza poteva sentirne l’odore, disinfettante. Il panico le attraversò lo stomaco ma non era quello il problema principale. Non riusciva a pensare lucidamente.

«Hai salvato i miei uomini e loro ti hanno portata da me, saldando il debito. Io ti ho salvato la vita, ora sei in debito con me.» per un istante le si annebbiò la vista.

Law spostò la mano e si voltò di nuovo verso l’ingresso «E voi andate a dormire, domani abbiamo del lavoro da fare.»

Quel giorno Morgan aveva rischiato la vita due volte. Si toccò la gamba “Dannati pirati, avrei preferito la setticemia”

  
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