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Autore: Eevaa    25/04/2021    8 recensioni
L'aura di Kakaroth si era dissolta lentamente nel nulla. Non da un momento all'altro - il che avrebbe potuto farne presagire la morte - ma lentamente. Sempre più flebile, sempre più lontana, fino a che Vegeta non l'aveva più percepita. Mai più.
«Cosa hai capito di tutto quello che ti ho detto?» urlò Vegeta. Poi il prigioniero sbuffò, annoiato.
«Che in cinquant'anni hai stipulato un'alleanza bizzarra con gli abitanti di questo pianeta, che avete sconfitto nemici dai nomi improbabili, che non solo esiste il leggendario Super Saiyan, ma ne esistono con diverse tinte per capelli; che ti sei riprodotto e, per tutte le galassie, se ce l'ha fatta uno come te persino Dodoria avrebbe avuto delle speranze; che siete invecchiati terribilmente mentre io sono un fiore, e che ora dobbiamo salire su quel catorcio di astronave per andare in giro per dodici universi alla ricerca dello squinternato che se l'è data a gambe dieci anni fa e che, con tutta la probabilità, ora è solo un mucchio d'ossa o polvere interstellare ma oh, guai a dirlo, perché mi pare che siate molto amici».
Inaccurato, ma tutto vero.

[Post-Dragon Ball Super] [Slowburn]
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Across the universe - La serie'
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I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.



 


- ACROSS THE UNIVERSE -


Capitolo 3
La traccia

 
 

Un ultimo sguardo è tutto ciò che rimane, un lascito. Il respiro trattenuto. Poi si porta due dita in fronte e chiude gli occhi.
«Bravo! Bravo, scappa! Codardo. È tutto quello che sai fare!» urla Vegeta, ma Kakaroth non c'è già più. Solo polvere e un completo elegante sul pavimento.

«Codardo! VIGLIACCO!»



Vegeta si svegliò di soprassalto. L'ennesima volta, con un insulto a fior di labbra e il sudore sulla fronte. Non il solito sudore freddo, non quella volta.
Completamente madido e appiccicoso si mise a sedere, la schiena graffiata dal tronco di quell'albero sul quale si era appoggiato per riposare.
Si guardò intorno, la giungla era fitta e oscura. Radish russava come un ghiro, a pochi metri di distanza, appisolato in una posizione innaturale per un essere umano, accasciato contro una pietra perpendicolare al terreno.
Si erano addormentati come mocciosi, complice il caldo sfiancante e i suoni surreali di quella foresta umida.
Quantomeno la notte era calata. Aveva portato consiglio? Neanche per idea.
Vegeta si alzò a fatica, i muscoli rattrappiti e la netta sensazione di essere stato gettato in una vasca di acqua bollente. Puzzava da fare schifo ma, beh, quantomeno non profumava più di fiori.
Cercò con lo sguardo qualsiasi indizio di essere perlomeno nella giusta ubicazione ma non trovò niente, se non l'oramai fuori moda albero a forma di luna crescente a sette passi da loro.
Niente che lasciasse presagire indizi.
Forse era davvero il caso di tornare indietro e lasciare una volta per tutte quell'Inferno di pianeta ma, non appena si avvicinò al compagno di viaggio per svegliarlo con un calcio nelle costole, qualcosa gli saltò all'occhio: appena sotto al corpo malamente coricato di Radish, un simbolo brillava di bagliore lunare. L'indizio.
Vegeta non si astenette dal tirare comunque il calcio.
«SONO SVEGLIO, NAPPA, SONO SVEGLIO!» si destò con un grugnito, sebbene piuttosto confuso. Forse memore dei bei tempi in cui Nappa badava a loro, quando erano solo due scimmiette di Saiyan e li svegliava nel cuore della notte per conquistare pianeti. Radish aveva sempre fatto una gran fatica a svegliarsi. Più volte avevano dovuto ricorrere alla classica secchiata di acqua gelida. O un Ki-blast.
«Oh, ehi, Vegeta, che-» grugnì, massaggiandosi gli occhi con i pugni.
«Alzati, idiota! Muoviti!»
«Quanta fretta» si lagnò, alzandosi per sgranchirsi.
«Guarda, guarda qui». Vegeta si accovacciò dove poco prima si era appisolato Radish e, inciso nella pietra semi levigata, si poteva finalmente vedere per intero il simbolo dal bagliore lunare.
«Sembra una... freccia?» sussurrò Radish, con lo sguardo corrucciato.
«Già. Andiamo!»
Si incamminarono svelti nella direzione in cui puntava la freccia, facendosi strada tra le liane, i fiori oramai chiusi e piante attorcigliate.
Un altro simbolo, un'altra freccia apparve dopo una trentina di metri, intagliata sul tronco di una pianta bizzarra. La seguirono ancora, fino a trovarne una nuova.
Alla quarta freccia, in lontananza, il piacevole suono di acqua corrente giunse alle loro orecchie. Doveva esserci un ruscello, un fiume o qualcosa di simile.
Fu una vera fortuna che Radish fosse sufficientemente alto, o altrimenti a Vegeta sarebbe sfuggito lo strano simbolo semi-nascosto dal ramo di una pianta. Non avendo il potere di librarsi in volo, Sua Maestà fu costretto ad arrampicarsi per poter scostare le foglie e comprendere la corretta direzione da seguire.
Un vero peccato che, così facendo, aizzò contro di loro uno sciame di insetti a doppio pungiglione urticante.
«OH CAZZO, CAZZO, CAZZO!» urlò Radish, nel panico.
«CORRI A SINISTRA, A SINISTRA!» gridò Vegeta. Quantomeno aveva fatto in tempo a vedere la corretta direzione. Scapparono dallo sciame a gambe levate, nella speranza che quei dannati pungiglioni non possedessero un veleno mortale o chissà cosa. Quelle punture bruciavano come lava.
Corsero nella giungla e si fecero largo tra gli arbusti senza risultati: quei merda di insetti continuarono a inseguirli ma, per bilanciare alla sfortuna che li aveva colti, la tanta agognata fonte d'acqua apparve in lontananza. Un lago di un colore singolare, che virava in una strana sfumatura di ottanio, con una cascata di media altezza incastrata tra le rocce. Ma chi era Vegeta per giudicare il colore dell'acqua del pianeta? E, soprattutto, non era il momento di sindacare.
Corsero fino alla riva e ci si buttarono dentro senza indugio.
Una piacevole sensazione di fresco li avvolse dalla testa ai piedi, rinvigorente, nella lista delle cose più piacevoli che gli fossero capitate dall'inizio del loro viaggio. Persino le punture di quei maledetti insetti sembrarono smettere di bruciare, o almeno diminuire d'intensità.
Riemersero dopo pochi secondi con la piacevole scoperta che gli insetti avessero finalmente desistito dal volerseli divorare.
«Beh... è stato divertente» ansimò Radish, stendendosi a morto a pelo dell'acqua.
«Sul serio, mi dovrai spiegare il tuo concetto di divertimento» borbottò Vegeta, prendendo un lungo sospiro.
«Ti prego, non rovinarmi la festa. Mi manca solo un Rokk ghiacciato e una giovine donzella, poi sarebbe la pace dei sensi».
Effettivamente non aveva tutti i torti: dopo un giorno intero trascorso a grondare, quella era una manna dal cielo. Anche se di certo non si sarebbe azzardato a bere quell'acqua per idratarsi.
«Invece ti dovrai accontentare della mia presenza, pensa un po'» ghignò Sua Maestà, immergendosi ancora un poco nella frescura.
«Per quanto tu sia un uomo affascinante, Vegeta, non sei molto il mio tipo» disse, fingendosi dispiaciuto, con i lunghi capelli sparpagliati dappertutto sul filo dell'acqua.
«Oh, vado a struggermi di dolore in un angolo» ribatté quindi il Principe, cinico. Anche se non avrebbe mai capito a cosa corrispondesse la definizione di “tipo” di Radish, se non “qualunque essere vivente che respiri e abbia almeno un buco”. «Che poi, come diavolo fa a piacerti il Rokk?! Ma che razza di gusti hai?»
«Non capisci proprio un c-»
«Ehi, guarda là!» lo interruppe Vegeta.
In quella pausa piuttosto piacevole dalle ricerche si era per un secondo scordato il motivo per il quale fossero lì. Tuttavia vi era qualcosa di piuttosto evidente in grado di riportarlo con i piedi per terra, alla realtà.
Due nuovi simboli a forma di freccia convergevano ai lati della cascata, intagliati nella roccia. Una direzione piuttosto chiara che la loro via avrebbe dovuto proseguire lì dentro.
Si lanciarono un'occhiata dura e iniziarono a nuotare in direzione della cascata poi, una volta giunti sotto, si arrampicarono sulle rocce scivolose nel tentativo di issarsi. Inutile dire che scivolarono più volte in acqua e maledissero quell'inibizione del potere di volo a gran voce.
Quando finalmente furono entrambi ben arpionati alle rocce, scivolarono contro la parete per raggiungere l'entrata. Difficile, per Vegeta, resistere all'impulso di farsi esplodere o gettarsi di nuovo in acqua quando un allegro serpente orrendo si fece largo tra i suoi piedi per tornarsene in un buco. Nonostante il caldo, il suo volto assunse un pallore fuori dal normale.
«Non hai ancora superato il terrore delle cose che strisciano, mh?» ridacchiò Radish. «Come biasimarti, dopo che Nappa ha dovuto tirarti fuori dalla bocca di quel gigantesco serpentone sul pianeta 665. Traumi infantili non indifferenti!»
«Stai. Zitto» sibilò tra i denti Vegeta. Il solo ricordo di quel giorno era un affronto alla sua dignità e, soprattutto, gli veniva il vomito a pensarci.
Radish rise più forte, e Sua Maestà valutò seriamente l'opzione di gettarlo nel lago e affogarlo con le sue stesse mani, ma non era per quello che erano lì. Si fece scivolare lungo la parete e raggiunse la cascata.
Ci infilò un braccio e, senza alcuna sorpresa, trovò una cavità dietro l'acqua. Una grotta.
«Smettila di ridere e andiamo. Idiota» borbottò e, dopo aver preso un grosso respiro, ci si infilò dentro.



Contrariamente alle aspettative, la grotta era illuminata. Delle torce erano sistemate ai lati delle pareti, disposte ordinate, le quali fiamme sembravano resistere all'umidità e alle gocce d'acqua che cadevano dal soffitto.
Stalattiti e stalagmiti ai lati del vicolo, ma nessun odore sulfureo. La via era chiara, dritta, libera. Un chiaro invito a proseguire.
Camminarono per pochi minuti, fino a ritrovarsi di fronte a una tenda di liane e – che sorpresa! - fiori. Un forte odore di incenso con note di miele, candele sparse sul pavimento fin troppo vicine alle piante - per la gioia di un piromane.
Scostarono la tenda e si trovarono all'ingresso in quello che era uno spazio tondeggiante, colmo di cianfrusaglie in rame, decorazioni floreali dal dubbio gusto estetico, costellazioni di candele ovunque, statuette in pietra, vecchi cimeli di rappresentazioni di chissà quale religione. Insomma, un posto che aveva tutta l'aria di essere ciò che i terrestri sapientemente definivano “un covo di fricchettoni”.
L'odore di rame era intenso, ma ciò che più colpì Vegeta fu senza dubbio una figura piccola e affaccendata in quella che sembrava la preparazione di un pasto – o qualunque diavoleria fosse.
Malgrado non avessero prestato parecchia attenzione a utilizzare un passo felpato e silenzioso, essa non li degnò neanche di uno sguardo e continuò il movimento perpetuo e calmo di girare la sbobba nella pentola, ficcandoci dentro fiori e strane spezie.
I due Saiyan si lanciarono un'occhiata confusa, poi fecero un passo in avanti.
«Ehm... salve?» tossicchiò Radish, per richiamare l'attenzione.
La figura non li calcolò di striscio. Era bassa rispetto alla popolazione della città, con fattezze femminili, un mantello col cappuccio tirato fino alla fronte e il viso solcato da segni del tempo.
«Perfetto, è pure sorda» borbottò sottovoce Radish.
«Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire» la figura rispose.
«Ops».
Radish si portò una mano alla bocca, in preda al tentativo di non scoppiare a ridere come il demente che era. Ma, mentre Vegeta stava invece tentando di non strangolare il suo compagno di viaggio, la vecchia li degnò finalmente di uno sguardo.
«Non c'è peggior cieco chi non vuol vedere» disse e, con un gesto lento, si sfilò il cappuccio. Una costellazione di occhi di colori diversi le coprivano la fronte, dieci, forse di più.
Vegeta avvertì di nuovo la sensazione di intrusione, molto più amplificata, molto più intensa, tanto che quasi fece fatica a mantenere lo sguardo su di lei. Faceva quasi male.
«Mi hanno detto che lei può aiutarmi» disse quindi, pur di scacciare via la sensazione.
«Dipende se voi volete aiutarvi».
Criptica, naturalmente.
«In che senso?»
«Non c'è peggior ignorante di chi non vuol sapere» rispose lei. Con un gesto della mano spense il fuoco sotto la pentola. «Voi volete sapere. Volete sentire. Volete guardare, Principe dei Saiyan». Sua Maestà si irrigidì. Con tutti quegli occhi scrutatori, la vecchia avrebbe potuto leggergli persino i mitocondri. «Ma quello che non volete fare è accettare».
«Accettare cosa?»
La vecchia si avvicinò così tanto che Vegeta si ritrovò costretto ad abbassare lo sguardo. Era come se gli stesse prendendo il cervello e sbrogliando tutti i nodi.
«Il tassello».
Ancora il tassello, dannazione!
«Il vostro amico deve uscire» aggiunse lei.
Non è mio amico, Vegeta si trattenne dal dire. Forse perché era un po' una menzogna e lei l'avrebbe sicuramente captata.
«Ehi, un momento, perché devo uscire?» si lamentò Radish.
«Perché non è a voi che manca il tassello. Perché voi siete solo un accompagnatore, Radish, figlio di Bardack» spiegò lei, scrutando a fondo la mente di Radish. Probabilmente ci aveva appena visto il vuoto cosmico.
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Che noia».
«Vai a immergerti dov'eri prima, la pace dei sensi, quella roba lì» gli intimò Vegeta, stanco, e lui fece spallucce.
«Ok, mi hai convinto. Ma non drogarti. Non senza di me, intendo. Se dovesse offrirti qualche bizzarro intruglio o roba che profuma in modo str-»
«Radish. Sparisci» sibilò.
Questi se ne andò borbottando lamentele ridicole, con le mani intrecciate dietro la testa.

Vegeta tornò dunque con lo sguardo sull'anziana nativa. Prima o poi si sarebbe abituato a quella maledetta mania d'intrusione senza permesso. Sul serio, non ce l'avevano una legge sulla privacy in quell'Inferno di pianeta?
«Chi è lei?» domandò, nella speranza magari di apprendere qualcosa di più su colei che gli stava aprendo il cranio come una noce di cocco.
«Il mio nome è Nînyssi, oracolo di Dagrabàh, portatrice dei tredici occhi della mente» si presentò. La voce era calma, piatta come quella dell'Imperatrice e degli altri nativi. «Regna un grosso fardello su di voi» disse Nînyssi, dopo averlo squadrato a fondo.
Ma non mi dire, pensò Vegeta. Fardelli di qualsiasi ordine e grado avevano iniziato a regnare su di lui dal momento in cui era stato tolto dalle braccia di sua madre.
«Siete supponente».
Alla faccia di chi non sapeva leggere nel pensiero.
«Mi perdoni, ma non sono abituato a farmi leggere. Avrei solo bisogno di sapere come... come posso risolvere un problema. Devo trovare u-» Vegeta si interruppe all'avvertire di una stilettata proprio lì, nel lobo frontale. Un dolore acuto.
«Vedo molti problemi. Siete tormentato. Pentito. Eravate un assassino, Principe dei Saiyan, ma prima di tutto eravate uno schiavo. Qualcuno ha saputo perdonarvi. Vedo gratitudine, e difficoltà a dimostrarla. Vedo un grande, immenso amore. Vedo dei figli. Vedo le fiamme dell'Inferno. Voi siete stato lì».
Vegeta si sentì senza fiato, un mastodontico mal di testa stava montando su per la cervicale. Farsi invadere in quel modo era... pesante.
«Due volte» confermò però, a denti stretti. Poi di nuovo l'intrusione, ancora più profonda, ancora più dolorosa.
«Grandi battaglie. Vedo un grande periodo di pace, poi vedo sofferenza. Vedo emozioni celate. Lacrime trattenute. Una... due gravi perdite. Di diversa natura. A una di esse volete porre rimedio» concluse infine Nînyssi, e con le sue parole anche la tortura.
Perdite, aveva detto. Sicuramente la perdita di Bulma era stata fisiologica, non per questo meno dolorosa. Ma la perdita di Kakaroth, al contrario, non aveva senso di esistere. Non era così che sarebbe dovuta andare.
«È per questo che sono qui» sibilò Vegeta. Avvertì qualcosa di caldo colargli sulle labbra. Sangue. Nessuno l'aveva avvertito degli effetti collaterali di quelle intrusioni. Gli sarebbe scoppiato davvero il cervello?
«Io non posso aiutarvi a ritrovare quella persona,» parlò l'oracolo, e Vegeta percepì il desiderio di dare fuoco e fiamme a quello schifo di rifugio per fricchettoni, «ma voi potete farlo. Per farlo però voi dovete accettare».
Tutto quell'essere criptici in effetti gli faceva venire una gran voglia di accettare qualcuno, nel senso figurato del termine. «Cos'è che devo accettare?»
Nînyssi si avvicinò ancora un poco, quasi in punta di piedi per potergli parlare faccia a faccia. Non capiva se ciò che lo mettesse in soggezione fosse l'intrusione, i tredici occhi di colori diversi o semplicemente il volto scavato dal tempo dell'oracolo.
«Quello che risiede nell'angolo della vostra mente, quello che vi rifiutare di analizzate. Che vi siete sempre rifiutato di comprendere».
Vegeta si irrigidì.
«Non ha senso». Come del resto non aveva senso trovarsi su quel pianeta, in quella caverna dimenticata dagli Dei, con una sorta di vecchia strega.
«Allora voi non siete pronto a trovare il tassello».
Sarebbe esploso. Vegeta sarebbe esploso immediatamente, se lo sentiva. Avrebbe commesso una strage di candele, fiori e qualunque altro ninnolo presente in quel buco. Se mai avesse trovato quell'ipotetico tassello l'avrebbe accartocciato e gettato nella lava di un vulcano in eruzione. Sempre in via ipotetica.
«MA COSA CA-» fece appena in tempo a rendersi conto di aver perso la pazienza, quando si ricordò che fosse lì per un motivo e avrebbe dovuto sfruttare al meglio quella possibilità. Gli occhi dell'oracolo si strinsero, e lui prese un grosso respiro per potersi calmare. «La prego,» disse quindi, con la mandibola contratta e le labbra strette per riuscire a trattenere un ruggito, «mi aiuti a capire. Cosa diavolo sarebbe questo tassello?»
Nînyssi si voltò, diede un nuovo giro alla minestra di vattelappesca e ci ficcò dentro qualche fiore, tanto per gradire.
«Ciò che vi manca per comprendervi davvero» disse, di spalle.
«Si fidi, non riuscirò mai a comprendermi, neanche in un milione di anni. Io vorrei solo trovare quella persona. Io...» si interruppe. Dannato Kakaroth, l'avrebbe ucciso. Si stava facendo strizzare il cervello per lui, solo per trovarlo. Ma era disposto a continuare a farlo fino a che non avrebbe ottenuto una pista utile. «Io lo voglio davvero, io devo farlo. Devo trovarlo».
Quasi stentava a credere alla supplica insita nelle proprie parole. Non aveva mai supplicato in vita sua.
Nînyssi si voltò di nuovo e lo scrutò con pazienza.
«Voi avete bisogno di lui».

Forse era quello il motivo della sua supplica. Aveva bisogno di quello squinternato di Kakaroth. Ne aveva sempre avuto bisogno, per migliorare, per combattere, per avere un rivale. Anche se c'era stato un tempo in cui aveva creduto di odiarlo per davvero, anche a quel tempo aveva avuto bisogno di lui.
Era una costante. E quello che gli mancava era quella fastidiosa costante.
«Io... sì» ammise. Tanto sicuramente l'oracolo l'aveva già capito, a giudicare da quel prurito al lobo frontale.
Nînyssi annuì, l'ombra di un sorriso sulla linea nera e sottilissima delle labbra.
«È solo un piccolo passo, ma è già un passo» disse. «Non posso aiutarvi a trovare il tassello che manca, quello è vostro compito. Ma io ho visto qualcosa di insolito che potrebbe aiutarvi a ritrovare quella persona».
Il Principe sussultò. Quello sì che si poteva definire un passo in avanti.
«Come?»
«Io non so dove lui si trovi». L'oracolo si avvicinò, con tutti e tredici gli occhi che convergevano su di lui. Il sangue iniziò a sgorgare di nuovo dalle sue narici, tuttavia Vegeta si fece forza per resistere. «Ma c'è una parte di lui in voi. Una traccia. Voi due... eravate una cosa sola».
Una cosa sola? Quella era una frase bizzarra. Imbarazzante, perlopiù, di primo ascolto. Forse Nînyssi aveva frainteso il tipo di rapporto che incorreva tra lui e Kakaroth – anche se, a tutti gli effetti, c'erano stati dei momenti in cui era stato talmente tanto a contatto con quel deficiente che chiunque avrebbe potuto... fraintendere?

Ma poi Vegeta venne colto da una ispirante illuminazione, forse data dal mal di testa incessante. Nînyssi non aveva frainteso un bel niente, e la risposta era molto più semplice.
«La Fusione» sussurrò, più a se stesso che all'oracolo.
«La perspicacia non vi manca. Se solo foste più disposto...» convenne lei.
Se gli avesse suggerito di trovare il tassello le avrebbe cavato tutti e tredici gli occhi.
«Le prometto che mi impegnerò per trovare il dannatissimo tassello, una volta però che avrò riportato Kakaroth a casa. Mi dica come posso cercarlo» borbottò Vegeta, stremato dalla situazione, dalle continue intrusioni, dal sangue che continuava a sgorgargli dal naso e soprattutto da quell'odore di incenso dolce.
«Dovete seguire la traccia di lui che c'è in voi».
Vegeta corrucciò le sopracciglia.
«Ma...»
«Già è accaduto, più di una volta. L'avete sentito. Una sensazione insolita, vedo. Voi la ricordate».
Vegeta avvertì i sensi mancargli, la terra roteare sotto i piedi. Un dolore acuto alla base del cranio.


 


«Ah! Zeno santissimo, Kakaroth, cosa diamine stai facendo qui?» urlò silenziosamente, come un sibilo. Al piano di sopra stavano dormendo tutti e Kakaroth, in piedi di fronte a lui, gli aveva appena fatto sputare il bicchiere d'acqua che era andato a cercare in piena notte.
Questi si guardò intorno stralunato, poi tornò con lo sguardo su di lui.
«Cosa ci fai tu qui! Tu non dovresti essere qui. Tu eri...»
«Cosa diamine vai farneticando?!» ringhiò Vegeta. Gli era dato di volta il cervello?! «Questa è casa mia, per tutte le galassie! In che senso non dovrei essere qui?»
Kakaroth corrucciò la fronte, poi gli si avvicinò di un passo.

«Urcaaa! Ok, allora è successa una cosa strana: ero a casa mia, ti sentivo lì vicino ma non ti vedevo, pensavo volessi farmi uno scherzo. Allora ho attivato il teletrasporto per trovarti e mi sono ritrovato qui alla Capsule Corporation. Ma ti giuro che mi sembrava che tu fossi... ehm, nel mio letto?»
Vegeta spalancò la bocca. A parte il fatto che proprio non si spiegava come potesse balenargli nella mente l'idea che lui avesse voglia di fargli degli scherzi, in piena notte persino. Ma poi... che diamine?!
«Ok, sorvoliamo un attimo sulla parte bizzarra e imbarazzante della cosa. Da quanto sei qui?» domandò il Principe, sottecchi.
«Beh, mi hai visto arrivare. Sono arrivato ora» rispose Kakaroth, con tanto di spallucce.
Vegeta strinse le labbra. Allora era tutto vero: aveva provato la stessa identica cosa. Si sedette su uno sgabello da cucina e si portò la testa tra le mani.
«Ti sentivo. Ti sentivo qui intorno da ore, pensavo fossi vicino ad allenarti, che probabilmente i miei sensi fossero alterati dal sonno, per questo mi sono alzato per bere» ammise Sua Maestà.
Quello era strano. Anche Kakaroth si accigliò, poi si sedette sullo sgabello appena di fronte. Si guardarono straniti per qualche secondo.

«Che cosa sta succedendo?» gli domandò poi Kakaroth, confuso e stranamente serio per i suoi standard.
Magari era una sorta di condizionamento post-mortem? Era passato poco tempo da quando erano tornati in vita entrambi, dopo la battaglia contro Majin-Bu. Ma come poteva essere? Non aveva senso.
«Non ne ho idea».


 
••
 

Kakaroth aprì gli occhi e gli elargì un grosso sorriso da clown.
«Ti sento» trillò.
«Impossibile!» berciò Vegeta, completamente rosso in faccia. Aveva azzerato l'Aura, impossibile che lo sentisse.
«Te lo giuro» confermò questi, portandosi un braccio dietro la testa per grattarsi la nuca, abitudine sciocca. E decisamente da Kakaroth.
«Ok, chiudi gli occhi» gli intimò Vegeta, secco. «Aspetta un minuto e raggiungimi».
Non appena il cretino chiuse gli occhi, Sua Maestà sopperì la voglia di tirargli un pugno sul naso e partì alla volta del bosco per nascondersi.
Si appostò abbastanza lontano, vicino al tronco di una betulla. Dopo pochi secondi, però, l'imbranato apparve proprio di fronte, con una fragorosa risata.
«Ma, ehi! Io ho azzerato l'Aura!» urlò di nuovo Vegeta, spintonandolo con una mano. Goku barcollò un attimo e rise di nuovo.
«E invece sentivo la tua Aura – o qualcosa di simile, forse – vicino a me. Te lo giuro. Però, seguendola con il teletrasporto, mi ha fatto apparire qui» spiegò Kakaroth.
Vegeta si accigliò per un momento. Era già successa quella cosa, molti anni prima, dopo la battaglia contro Majin-Bu. Aveva pensato fosse un condizionamento post-mortem, ma in quel caso non aveva alcun senso. Non erano più morti. Avevano combattuto contro Zamasu e ne erano usciti vittoriosi grazie a...
«Un momento!» gracchiò Vegeta. Come aveva fatto a non pensarci? C'era qualcosa che accomunava quelle due battaglie, c'era una risposta abbastanza ovvia a tutto quello.
«Che c'è?»
«Kakaroth, la Fusione! Questo è uno strascico della Fusione!» gli disse, vittorioso.
«Urcaaaa! Che forza!»
«Ma che forza un tubo! C'è di buono che, come l'altra volta, dovrebbe svanire a breve. Non ne posso più di sentirti attorno».


 
•••
 

«È stata una battaglia epica, ma ora sono stanco morto» annunciò Kakaroth, con un sonoro sbadiglio talmente ampio che Vegeta gli avrebbe potuto scrutare anche l'esofago. «Comunque sei andato alla grande, la trasformazione in God ti dona parecchio. Eheh, facevi quasi paura!»
Sua Maestà non amava i complimenti fatti dagli altri, preferiva di gran lunga cantarsele da solo.
Ma sì, effettivamente in quella trasformazione era portentoso.
«Kakaroth, io sono stato progettato per fare paura. E se non ti fossi intromesso l'avrei battuto da solo, Broly».
«Ma non dire sciocchezze!» rise lui, stendendosi sulla battigia di quella spiaggia finissima. Il tramonto al mare era il miglior modo per distendere i muscoli dopo una battaglia. «Ci stava per ammazzare entrambi, per fortuna abbiamo fatto la Fusione».
Vegeta gli lanciò una manciata di sabbia in faccia.
«E adesso mi tornerà quella tremenda sensazione di averti sempre addosso».
Kakaroth sputacchiò granelli di sabbia e rispose al gesto con poca enfasi. Erano troppo stanchi per mettersi a litigare, o a far finta. Come loro solito.
«Sai, non è così spiacevole. Un peccato che svanisca in fretta, o potremmo sfruttare questa connessione nelle battaglie».
Non un punto di demerito, ma c'erano troppi contro in quella possibilità.
«Grazie, ma no grazie. Preferisco averti intorno solo fisicamente» ghignò Vegeta.
Kakaroth si alzò e lo degnò di un sorriso quasi intenerito.

«Aww!»
Ma che diamine aveva capito? Imbecille che non era altro. Non intendeva... argh!
«Non era un complimento! Come hai potuto prenderlo per un complimento?!» berciò Sua Maestà, rosso in volto.
«Perché lo so che alla fine ti sto simpatico» ammiccò Kakaroth, divertito.
Vegeta sospirò e roteò gli occhi, arrendevole.

«Sì, 'fanculo anche a te, Kakaroth».



Vegeta si aggrappò al tavolo in pietra al centro della stanza, facendo ribaltare tutti i cimeli in rame sopra esso. Il sangue gocciolò dal suo naso fino al pavimento.
Quell'intrusione era stata debilitante persino per il suo fisico, oltre che per la mente. Aveva sepolto nei meandri dell'inconscio quella sensazione, quella connessione che li aveva ingarbugliati dopo le tre volte che avevano utilizzato la Fusione.
Era qualcosa di strano, lontano. Eppure in quel momento gli sembrava quasi... malinconico? Sì, forse nostalgico, a pensarci bene. Il tempo in cui erano sereni. In cui trascorrevano le giornate ad allenarsi e le sere con le loro famiglie, riunite. Il tempo in cui non c'era neanche bisogno di parlarsi per intimarsi di scappare dalle cene in famiglia e andare a lottare, il tempo in cui andavano sul pianeta di Beerus e affrontavano nuove sfide.
Il tempo prima che il tempo smettesse di essere clemente.
Nînyssi rimase impassibile mentre Vegeta tentava di ricomporsi, poi parlò.
«Sì, voi avete capito di cosa sto parlando».
Il Principe si asciugò il sangue con il dorso della mano.
«Ma... ma non la sento più! Non sento più quella connessione da troppo. E poi io non so utilizzare la trasmissione istantanea, non posso teletrasportarmi da lui».
Maledetto il giorno in cui gli aveva detto di no alla proposta di farsi insegnare il teletrasporto.
«Se la cercate in fondo alla vostra mente, una traccia c'è. La vedo, la percepisco».
Beh, se lo diceva lei che aveva tredici occhi e oramai conosceva le sue vite, morti e miracoli, forse un fondo di verità c'era. Qualcosa di Kakaroth giaceva ancora in lui.
La Fusione li aveva connessi in modo irreparabile, così come del resto gli era stato prospettato la prima volta. Solo che, al posto di rimanere uniti nel fisico – e grazie al cielo non era avvenuto – erano rimasti uniti spiritualmente. O mentalmente, che dir si voglia.
Tutto ciò aveva un qualcosa di inquietante e profondo allo stesso tempo.
«Resta il fatto che non posso teletrasportarmi».
«Ma potete seguire la traccia» ripeté Nînyssi.
«Come posso fare?»
Non gli era ancora chiaro. Non avvertiva la traccia, ma a quello avrebbe potuto lavorarci. Tuttavia rimaneva comunque il problema che, qualora l'avesse scovata nei meandri di se stesso, avrebbe potuto percepire Kakaroth, ma non andare da lui. L'avrebbe sentito vicino, ma senza riuscire a identificare la reale provenienza della sua Aura, o qualunque cosa fosse.
O forse non ci era mai riuscito perché non ci aveva mai provato a fondo, e si era limitato a maledire quella sensazione e basta?
«L'uomo che chiamate Kakaroth, cosa rappresenta per voi?»
Vegeta divenne una statua di sale.
Cosa?
Cosa diavolo stava a significare quella domanda? E... un momento... quella era la prima domanda che gli era stata posta da quando era giunto su quel pianeta.
«Lei... lei non riesce a leggermelo nella mente?» balbettò Vegeta.
«Certi tipi di sentimenti, emozioni... sono indecifrabili persino per l'occhio scrutatore. Posso immaginarlo, posso dedurlo, ma non dirlo con certezza. Se volete trovare colui che vi manca, guardatevi dentro» suggerì Nînyssi.
Quella era la conversazione più bizzarra e fuori luogo a cui avesse mai preso parte. Vegeta fece per ribattere qualcosa su quanto quelle sciocchezze non confacevano al suo orgoglio da guerriero, o quanto niente di tutto quello lo stava aiutando a portare avanti la sua missione ma, infine, Nînyssi parlò di nuovo.
E il tarlo che gli aveva mangiucchiato la mente per dieci anni fu finalmente sazio.

«Pensate che quello che vi ha spinto a percorrere tutto l'universo sia un presentimento... e se fosse invece la traccia stessa?»




 
Continua...

Riferimenti:
-L'aneddoto su come Vegeta abbia sviluppato la fobia delle cose che strisciano me lo sono immaginato.
-Radish che dorme in posizioni innaturali è un po' un ispirazione a Berthold di Attack on Titan. 
-Il nome dell'oracolo Nînyssi ispirato alla mia gatta, Katniss, che spesso chiamo "Nissi" o anche "Ninissi". Sì, ho dei problemi.
-Il legame, la "traccia" post-fusione è qualcosa che mi è spesso piaciuto immaginare. Anche nella mia vecchia storia "After All" avevo scritto qualcosa di simile.


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, viaggiatori dello spazio! 
Un capitolo decisamente mistico, no? Finalmente i nostri avventurieri sono riusciti ad avere qualche indizio in più a Fricchettonilandia.
Abbiamo capito che Vegeta ha una traccia di Goku dentro di sé a causa della fusione e, se sfruttata in modo corretto, potrebbe condurlo fino a lui. E ciò che ha detto Nînyssi alla fine potrebbe essere interessante: magari sono già sulla strada giusta senza saperlo, inconsciamente. Il presentimento di "e se gli fosse accaduto qualcosa" potrebbe essere reale e dato dalla loro connessione. 
In più è tornata ridondante la questione del "tassello". Cos'è il fottuto tassello? Il tassello non è Kakaroth stesso, ovviamente, da quello che si evince. E allora cosa diavolo potrebbe essere? Teorie? Complotti?
Che dire... l'avventura continua domenica prossima, amici! 
Ringrazio come sempre tutti per il supporto e il sostegno che mi date, e soprattutto ringrazio Nemesis01 per l'aiuto con la traduzione in inglese di questa storia. 
Un abbraccio,
Eevaa

PS: voglio riprendere l'abitudine di fare una cosa che molti mi chiedevano nel fandom di Harry Potter: 


Nel prossimo capitolo!
«Oh, e dai! Tralasciando qualche incidente di percorso io mi sto anche divertendo, mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi!» ghignò Radish, d'improvviso più entusiasta. «Conquistare pianeti – con la differenza che siamo diventati bravi ragazzi e non uccidiamo nessuno, bere nelle peggiori taverne delle città in culo all'universo, belle ragazze di diverse razze che ci attendono. Meglio di così!»
«I vecchi tempi, per te, sono tipo sei mesi fa» puntualizzò Vegeta.
«Sì... beh, ok. Ma prendila come una vacanza, e quando troveremo mio fratello gli faremo pagare tutte le spese di viaggio» disse, con un sorriso beffardo. Poi si alzò dalla cuccetta e si diresse baldanzoso alla cabina di pilotaggio.
  
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