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Autore: ferao    06/11/2021    3 recensioni
Prima di diventare Lucretia Prewett, Lucretia Black era fortemente contraria al matrimonio.
Scritta per l'iniziativa "Caffè sospeso" del gruppo "L'angolo di Madama Rosmerta"
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Molly Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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Qualcosa in cui sei brava


Capitolo 2



 

«Circe e Morgana.» Melania inforcò gli occhialini che riservava alle grandi occasioni e osservò per bene il nuovo arrivato. «La cugina non esagerava.»

Per la prima volta da quando aveva raggiunto lo status di signorina, Lucretia dovette concordare con sua madre. Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech era… notevole, e non solo per la sua sfacciata prestanza fisica o la robustezza delle sue braccia, che già lo ponevano diverse spanne al di sopra di chiunque avesse mai incontrato in vita sua.

Era più basso di tutti gli uomini nella stanza, eccetto il signor Burke; il portamento e i modi impeccabili con cui salutava ciascuno dei presenti parlavano di una perfetta educazione, non dissimile da quella che lei e Orion avevano ricevuto — e nettamente migliore di quella che i Burke dovevano aver imposto alle loro ridacchianti figlie — al contempo però i suoi movimenti tradivano la presenza di qualcos’altro al di sotto di quella superficie, un’energia nascosta e a malapena contenuta che lo distingueva ulteriormente dagli altri. Vederlo aggirarsi per il salotto era come vedere un leone che si sforzava di costringersi nella pelle di un gatto.

E più lo guardava, più Lucretia avrebbe voluto guardarlo.

Una solenne gomitata nelle costole la riscosse, inducendola a seguire l’esempio di Melania e alzarsi. Callidora aveva preso Prewett sottobraccio e lo stava trascinando lontano dalle Burke madre e figlie — cosa di cui l’uomo non pareva affatto dispiaciuto — per condurlo verso di loro.

«Melania Black, la moglie di Arcturus, e la figlia Lucretia,» le presentò Callidora, coi suoi soliti modi gentili e sbrigativi. «Il nostro vicino, Ignatius Prewett.» 

«Mie signore.» 

Il saluto era cortese, tuttavia Lucretia vi percepì una vibrazione ironica che dovette del tutto sfuggire a Madre, troppo impegnata ad arrossire e fingere compostezza mentre Ignatius eseguiva il baciamano di rigore. La sensazione fu confermata quando toccò a lei ricevere la riverenza.

«Spero che il vostro soggiorno non vi risulti troppo scomodo.» Il mago si portò la mano di lei alle labbra, senza baciarla, prima di riprendere a parlare col suo pesante accento gallese. «Mi dicono che Londra sia piuttosto diversa dalla nostra campagna, immagino che adattarsi a questi luoghi selvaggi non sia facile per delle… cittadine come voi.»

Una risatina vuota di Melania rese noto che o non aveva colto la provocazione, o non intendeva darle seguito. Da brava figlia, Lucretia avrebbe dovuto prenderlo come il segnale che doveva mordersi la lingua, sorridere con grazia e rintanarsi nel consueto silenzio tanto caro ai membri della loro società, ma l’espressione sardonica di Ignatius la spinse a contravvenire a quell’ordine implicito senza nemmeno porsi il dubbio.

«Non sottovaluti noi streghe di città, signor Prewett,» ribatté, alzando il mento. «Siamo abituate ad affrontare cose ben peggiori di quelle cui siete avvezzi qui in campagna.»

Lui non doveva aspettarsi una replica, perché alzò un sopracciglio in segno di sorpresa. «Davvero, signorina Black? E quali, ad esempio?»

«Ad esempio, le altre streghe di città.» 

Un versetto strangolato alla sua sinistra le disse che Madre, tanto per cambiare, non aveva accolto con favore il suo sfoggio di arguzia. Prewett, da parte sua, si limitò a osservarla in silenzio per un paio di secondi prima di increspare le labbra in un sorriso piccolo ma genuino, che gli rischiarò il volto e costrinse Lucretia a osservarlo ancora meglio di quanto già non avesse fatto.

Notevole, davvero notevole. La folta criniera rossa e la fitta barba gli conferivano un’aria selvatica subito ingentilita dagli abiti curati e dalla luce cordiale nello sguardo — uno sguardo molto, molto verde, che oltretutto si trovava solo tre o quattro centimetri al di sopra di quello di lei. Per Salazar, cosa avevano da blaterare le sue amiche e conoscenti sui pregi degli uomini alti? Lei sarebbe stata perfettamente contenta di accompagnarsi a un mago che poteva guardare negli occhi senza incrinarsi ogni volta le vertebre del collo.

Se avesse mai avuto intenzione di accompagnarsi a qualcuno. Il che rimaneva una remotissima possibilità, grazie tante.

«Oh! E questi virgulti sono i suoi figli, signor Prewett?» 

Alla domanda di Melania, Ignatius sbatté le palpebre e lasciò la mano di Lucretia. «Oh, sì.» Si voltò e fece un cenno col capo. «La mia progenie al completo.»

Alle sue spalle, guardandosi attorno con aria timida, erano apparsi due ragazzini di circa undici o dodici anni. La somiglianza col padre era evidente nei tratti e nella corporatura robusta, ma i capelli erano di un bel biondo cenere e gli occhi erano marroni. Uno dei due portava gli occhiali e teneva per mano la terza componente del gruppo: una bimba sugli otto o nove anni, bassina e dal viso tondo, con la stessa chioma rossa e ribelle del padre. 

«I miei primogeniti, Fabian e Gideon,» Ignatius indicò rispettivamente il gemello con gli occhiali e quello senza, poi guardò la bambina e si illuminò tutto. «E la mia figlia preferita, Molly.»

Qualcosa fece una giravolta dentro Lucretia. Le occasioni in cui aveva visto un uomo dimostrare in pubblico un qualche affetto verso i figli, maschi o femmine che fossero, erano rare se non inesistenti; di certo Padre non l’aveva mai fatto, e nemmeno i Longbottom, nonostante i loro modi relativamente rilassati. Ignatius Prewett invece lo faceva con la stessa naturalezza con cui avrebbe eseguito un Wingardium Leviosa, incurante delle reazioni che avrebbe potuto scatenare in chi vi assisteva.

Il pensiero le diede una strana sensazione, e per distrarsi osservò meglio Molly la quale, sotto lo sguardo caloroso di Ignatius, era arrossita e aveva aumentato la presa sulla mano di Fabian. La sua gran massa di ricci indomabili era abbellita da un fiocchetto di velluto azzurro in tinta con l’abitino che indossava, lungo fino a sotto il ginocchio e spiegazzato verso l’orlo; i piedi erano infilati in un paio di scarpette di vernice nera sporche di terra in più punti, e una delle calze bianche era ammucchiata alla caviglia come se fosse stata arrotolata male o di fretta. La mano che teneva stretta a pugno lungo il fianco era macchiata di colore o inchiostro, segno che era stata impegnata a disegnare fino a qualche minuto prima.

Aveva un che di familiare, e appena Lucretia realizzò cosa fosse dovette reprimere una risata: Molly Prewett era identica alla Cattiva Signorina. Quando aveva sette anni, nonna Hesper le aveva fatto dono di un libro di buone maniere corredato da illustrazioni particolareggiate, una delle quali metteva a confronto la Brava Signorina — linda, pinta e ben pettinata, le spalle diritte e le mani giunte dinanzi a sé — con la Cattiva Signorina — scarmigliata, con gli abiti in disordine e le mani sporche — in un sottinteso monito a diventare come la prima e rifuggere la seconda.

Segretamente, Lucretia aveva sempre nutrito una profonda simpatia per la Cattiva Signorina.

«Che splendidi nomi.» Melania sorrise — Madre che sorrideva a dei bambini? Cosa caspita c’era nell’aria del Galles? — e si rivolse a Molly. «Tu però non dovresti usare un diminutivo, ormai sei grande ed è opportuno che ti presenti agli adulti in modo corretto. Qual è il tuo vero nome? Mary? Oppure Margareth?» 

La bimba sgranò gli occhi, marroni come quelli dei fratelli, e rimase muta.  Per un istante Lucretia vide Ignatius serrare le labbra in una microscopica smorfia, ma quando rispose a Melania la sua voce non aveva perso di gentilezza. 

«Non è un diminutivo, signora Black. Molly è il suo nome completo.»

Il sorriso di Madre si ridusse di mezzo millimetro, e per l’occhio allenato di Lucretia fu come se avesse spalancato la bocca nell’espressione più sbalordita possibile. «Oh. È… poco tradizionale, per una strega di buona famiglia.» 

«Lo ha scelto mia moglie. Diceva che era un nome dolce per una bambina dolce, e io non potrei essere più d’accordo, tradizioni o meno.» 

Melania ripeté il suo «Oh» per nulla convinto, mentre lo stomaco di Lucretia rifaceva lo stesso buffo movimento di poco prima. Un nome dolce. In un mondo di genitori che si ispiravano ai greci e ai latini, ai fiori e alle stelle per rinvenire i nomi più ricercati e significativi possibile, esisteva qualcuno in grado di lasciarsi guidare nella scelta dalla pura e semplice tenerezza.

O… era esistito, quantomeno.

«Un’idea così originale era proprio tipica di Euterpe.» Callidora strinse brevemente il braccio di Ignatius in un gesto di solidarietà. «Una donna rimarchevole. Ci manca molto. Bene,» soggiunse dopo una pausa, «credo che siamo pronti per metterci a tavola. Andiamo?» 

Sedersi a tavola non era un’operazione complessa di per sé, quella sera però fu resa tale dalle cinque sorelle Burke le quali, oltre a una scarsissima tolleranza agli alcolici e un’allegria per nulla contagiosa, disponevano anche di un palese sprezzo delle norme sociali di base: Harfang aveva appena fatto in tempo a indicare i posti di Melania e Arcturus che le fanciulle si erano accomodate senza attendere il loro segnale, occupando sedie a caso tra cui quelle spettanti a Lucretia e Callidora, nella suprema indifferenza dei genitori. Le labbra di Callidora erano diventate bianche da quanto la donna le aveva strette, di certo per impedirsi di pronunciare le aspre parole che i suoi occhi dardeggianti lasciavano immaginare; dopo un rapidissimo scambio di sguardi con Harfang, i padroni di casa avevano deciso di soprassedere all’insulto e indirizzare gli altri ospiti verso i posti rimanenti. Così Lucretia si era ritrovata a diverse Burke di distanza dai propri genitori, tra il giovane Greengrass e il giovanissimo Fabian, e con Molly e Gideon Prewett di fronte.

Non un adulto in vista. E no, le Burke di diciassette e diciotto anni non contavano.

Sospirò e riportò l’attenzione sul piatto, o quantomeno ci provò. Era sin troppo facile distrarsi, tra il garrulo chiacchiericcio di Cressida e Greengrass e i discorsi di politica che avvenivano dall’altra parte del tavolo. Di quando in quando le giungeva qualche frase, ma non era abbastanza per farle cogliere il senso di quanto stessero dicendo, valendo solo a incuriosirla e farle desiderare che la cugina Callidora avesse scudisciato verbalmente le Burke per aver usurpato il suo posto.

«…e come pensa di risolverlo? Allevando Dissennatori!» sentì dire a un tratto da Harfang, a un volume più alto di prima. Doveva star commentando l’ultimo discorso del Ministro Tuft. «Sia chiaro, non dico che sia sbagliato di per sé fare un po’ di ordine nelle strade, ma il vecchio Ignatius dovrebbe stare attento a fare certe dichiarazioni quando ha uno come Leach che gli tiene il fiato sul collo in attesa di un suo passo falso.»

«E perché mai il Ministro della Magia dovrebbe curarsi di Nobby Leach?» domandò la voce sprezzante della signora Burke. «Un Sanguemarcio entrato all’Applicazione della Legge Magica per nulla più che il buon cuore della defunta Wilhelmina e una generosa donazione al San Mungo — e chissà da dove ha preso tutti quei soldi! Uno come lui non è certo un pericolo per Tuft, vero, Orestes?»  

«Vero, Berenice.» 

«L’ultima volta che ho letto la sezione politica del Profeta, Leach era piuttosto popolare tra i non Purosangue e alcuni Purosangue esterni alle Sacre Ventotto,» commentò Prewett senza alzare gli occhi dal piatto. Sembrava impegnato tanto a mangiare quanto a evitare di guardare la Burke maggiore seduta alla propria destra, una diciannovenne dal seno prosperoso che dall’inizio della cena non faceva che sbattere le ciglia verso di lui. «Il mio omonimo farebbe bene a guardarsi le spalle, giusto per sicurezza.» 

«Pfff! Sciocchezze. L’opinione dei Sanguemarcio fuori dal Ministero non conta nulla, e quella dei Sanguemarcio nel Ministero conta persino meno.» 

«Possibile, ma la storia insegna che l’estremismo ha sempre vita breve. E l’idea di allevare Dissennatori per metterli a pattugliare le città in cui convivono maghi e Babbani è abbastanza estremista da fargli rischiare il posto.» 

«Estremista?! Quindi voler proteggere la nostra gente è estremista? Ti rendi conto di cosa devo sentire, Orestes?»

«Sì, Berenice.»

«Ammetto che anch’io sarei maggiormente a mio agio con una posizione meno… rigorosa.» Seduto dinanzi a Madre, Arcturus si nettò la bocca col tovagliolo. «L’ordine si può mantenere benissimo senza mettere a repentaglio chi non lo merita, id est la popolazione magica.»

«Pfff! I Dissennatori sono tutto tranne un pericolo per i veri maghi!»

«Mh, credo che gli ospiti di Azkaban dissentirebbero,» mormorò Ignatius, e Lucretia avrebbe potuto giurare che sotto la barba nascondeva un sorrisetto. Anche la signora Burke dovette percepirlo, perché il suo bel viso altero si contrasse dal disappunto.

«Ebbene, signor Prewett, allora proponga lei una soluzione! Come dovremmo proteggere noi stessi e la nostra comunità, secondo lei?!»

Il mago sollevò il capo. «Oh, signora Burke, sono l’ultima persona a cui dovrebbe chiederlo. Non pretendo di capirne qualcosa di politica, e piuttosto che dire stupidaggini preferisco tacere e lasciare che se ne occupi chi è più esperto di me.»

E sorrise con finto candore, causando alla signora Burke un ingrigimento delle gote e a Melania un grugnito di divertimento subito camuffato da colpo di tosse. Prima che la discussione potesse riprendere, Harfang disse qualcosa sottovoce ad Arcturus facendolo ridacchiare; Callidora ne approfittò per cambiare discorso e la conversazione ritornò amichevole per tutti i commensali tranne Berenice Burke, la quale riprese a mangiare con aria sdegnata e il naso in alto. Ignatius levò il calice nella sua direzione in quello che poteva essere un gesto molto galante o molto impertinente, dopodiché riprese a mangiare come se nulla fosse stato.

Da parte sua, Lucretia si ritrovò ancora una volta a osservarlo. Più passavano i minuti più trovava quell’uomo interessante, e non soltanto per quei capelli che imploravano di avere delle dita che vi affondassero in mezzo, o quegli occhi così verdi — che costituivano comunque un’attrattiva non indifferente. No, era più il suo spirito che la intrigava, quell’energia che già aveva intuito al suo arrivo e che era emersa durante lo scambio verbale. Per Salazar, se non fosse stato per le Burke forse avrebbe avuto un’occasione di discorrere con lui. E magari avrebbe capito se quell’improvvisa e inedita attrazione per un uomo avesse o meno una base concreta su cui fondarsi.

Sbatté le palpebre. Circe e Morgana, stava guardando apertamente Ignatius da almeno un minuto, proprio come quella svampita della Burke maggiore. La realizzazione le incendiò le guance e le fece chinare subito gli occhi sul piatto, mentre nella sua testa la voce di nonna Hesper strillava le brave signorine non fissano la gente, Cretia! 

Si morse la lingua e applicò la sua tattica di distrazione preferita: concentrare tutte le proprie forze mentali sul romanzo che l’attendeva sul comodino in camera sua. La preparazione per la cena l’aveva costretta a interrompersi in un punto cruciale — l’Auror Smith aveva scoperto un passaggio segreto che conduceva dritto al nascondiglio dei Sette Ghoul e aveva deciso di entrarvi nonostante le accorate preghiere della sua partner, la bella e coraggiosa Auror Wesson — e Lucretia fremeva per riprendere la lettura. Cosa sarebbe accaduto? Smith sarebbe stato sopraffatto? La pozione di Mastro Browning l’avrebbe davvero reso invincibile, o era un’astuta trappola per indebolirlo e renderlo facile preda degli avversari? E i Sette Ghoul erano davvero ghoul o, come sospettava Wesson, solo un gruppo di umani che usavano quella facciata per i loro atroci delitti? Così tante domande, così poche pagine mancanti all’epilogo, e lei era bloccata lì a piluccare brandelli di discorsi interessanti mentre ignorava il tubare di Cressida e Greengrass e l’intera esistenza delle Burke… 

Assorta com’era, non si accorse subito del dito che le picchiettava senza sosta sulla spalla sinistra, e quando lo fece sussultò leggermente. «Eh? Sì?» chiese, girandosi per trovarsi faccia a faccia con Fabian Prewett.

Il ragazzino non rispose subito, limitandosi a squadrarla con un’espressione indecifrabile. Dall’inizio della cena lui e i fratelli non avevano aperto bocca, limitandosi a mangiare tutto quello che compariva loro davanti senza fiatare o lamentarsi; c’era stata una brevissima lite al momento di sedersi a tavola, durante la quale lui e il gemello si erano accapigliati per chi dovesse occupare il posto accanto a Molly, ma Ignatius aveva abbaiato qualcosa in gallese e la commozione era cessata all’istante. Lo sguardo di Fabian si spostò sul padre, poi su di lei.

«Tu vivi a Londra?» chiese sottovoce.

A sentirsi apostrofare in modo così poco forbito, Lucretia sollevò in automatico un sopracciglio. Il suo primissimo istinto fu quello di rimproverare il giovanotto per le sue maniere, tuttavia esso ebbe vita breve: ormai aveva imparato che certe formalità ritenute fondamentali a casa sua avevano poca o zero rilevanza in quel luogo, e pretenderle da un bambino a malapena in età da Hogwarts sarebbe stato ingiusto. Decise perciò di adeguarsi.

«Esatto, abito a Londra,» rispose con un sorriso.

Fabian tacque di nuovo, l’aria seria resa ancora più grave dai grossi occhiali. Guardò un’altra volta verso il padre, e quando parlò la sua voce era così bassa che Lucretia dovette sporgersi per sentirlo.

«È vero che… che c’è un mostro sotto al Parlamento Babbano?»

La sorpresa fu tale che per un attimo Lucretia pensò di aver frainteso. Scrutò Fabian con attenzione prima di concludere che aveva capito bene: il giovane Prewett si stava riferendo proprio alla sua leggenda metropolitana preferita.

«Intendi dire… l’uomo-Acromantula che vive sotto il Big Ben?» chiese abbassando a propria volta la voce.

Gli occhi di Fabian diventarono enormi dietro le lenti, facendolo somigliare a un curioso insetto biondo. Il ragazzino spalancò la bocca, ma invece di rispondere a Lucretia si girò e puntò un dito davanti a sé. 

«Ah!» esclamò. «Vedi che è vero?! Avevo ragione io!»  

Anche Lucretia si voltò e si accorse per la prima volta che Molly e Gideon la stavano guardando. Quest’ultimo spalancò la bocca in modo identico al fratello, poi roteò gli occhi.

«Sì, come no,» sbuffò.

«È vero! Lo ha detto lei!»

Gideon scosse il capo, poi rivolse a Lucretia un sorriso che eguagliava in impertinenza quello di Ignatius. «Le chiedo scusa per mio fratello, signorina. Legge troppe riviste e confonde realtà e fantasia.»

«Non è fantasia!» Il volto di Fabian si fece paonazzo. «Ci sono un sacco di avvistamenti e di testimonianze, ha aggredito decine di persone! E poi lei è di Londra e lo conosce, e questa è una prova inconfutabile!»

«Una prova inconfutabile,» lo scimmiottò Gideon. «Sei proprio stupido, Fab.» 

«Tu sei stupido, Gid!» 

«No, tu!»

«No, tu!» 

«No, tu!»

«No, tu!»  

«No, t…»  

«Ehi!» tuonò Ignatius. «Che sta succedendo?» 

I gemelli tacquero e si scambiarono una rapida occhiata. «Niente, padre,» risposero in coro.

Dal modo in cui il mago inarcò le sopracciglia, era chiaro che non ci credesse affatto. Qualsiasi rimprovero volesse pronunciare fu però stroncato da un «Pfff!» della signora Burke.

«Che le dicevo, signora Black?» disse poi lei chinandosi verso Melania, in un tono di voce che voleva sembrare sussurrato senza esserlo davvero. «Ecco cosa succede a portare dei mocciosi alle serate tra adulti.» 

All’udire quelle parole, Ignatius avvampò e tutto il suo corpo si irrigidì. Fu quella reazione, o forse il veleno ingiustificato di Berenice Burke, a spingere Lucretia a parlare ancora una volta senza pensarci su.

«Le chiedo scusa, signor Prewett. Sono io la responsabile di questa confusione.» 

Gli occhi dell’intera tavolata furono puntati su di lei. Comprensibile. Doveva essere la prima volta che apriva bocca spontaneamente durante un pasto a casa Longbottom. 

«Vede,» riprese, «i suoi figli mi hanno coinvolta in una disquisizione su uno dei miei argomenti preferiti, e temo di essermi lasciata… trasportare dall’entusiasmo. Loro non hanno colpa, glielo assicuro.» 

Ignorò il solito versetto strozzato di Madre e si concentrò solo su Ignatius, il quale la guardava come se gli fosse Materializzata davanti all’improvviso. Dopo qualche secondo, l’uomo prese fiato e le sue spalle si rilassarono.

«Oh… Certo, capisco. Grazie di avermelo detto, signorina Black.»

Aggiunse un cenno del capo, cui lei replicò con un piccolo sorriso. Prima che potesse tornare alla sua cena e ai suoi pensieri, un tossicchiare fintamente discreto la richiamò all’ordine.

«E quale sarebbe questo argomento così interessante, signorina Black?» Se fosse stato possibile dare un aspetto a una voce, quella della signora Burke avrebbe avuto tre teste, dodici corna e un numero indefinito di zanne. «Condivida con gli altri commensali, prego.» 

«Oh… ecco…»

«Avanti, non sia timida. Vogliamo sapere cosa possa scatenare una reazione tanto eccessiva nei nostri rampolli, vero, Orestes?»

«Vero, Berenice.» 

Lucretia deglutì. Che doveva fare? Mentire, naturalmente; tirar fuori un tema qualunque e sperare che Berenice non insistesse con i suoi tentativi di umiliare chi le stava attorno, o che Callidora e Madre capissero al volo e venissero in suo aiuto così come lei aveva aiutato i piccoli Prewett. Mentre temporeggiava, fece vagare lo sguardo prima verso Gideon, poi verso Fabian: sui loro visi si leggeva un’emozione strana, un miscuglio di timore e aspettativa, e di colpo un’idea si fece strada nella mente di Lucretia.

Le brave signorine non turbano i commensali con racconti macabri e fantasticherie da due zellini. E nemmeno i bravi signorini. I Purosangue di campagna potevano avere maniere e abitudini diverse da quelli di città, ma su una cosa concordavano, ed era che nelle occasioni sociali o si aveva qualcosa di opportuno da dire, o si doveva tacere. Avere interessi peculiari o diversi dai soliti argomenti mondani conduceva solo a essere bollati come strambi e tenuti alla larga dagli ambienti migliori, perciò il silenzio era l’alternativa preferibile se non l’unica. 

Questa era sempre stata la vita di Lucretia e, a quanto pareva, era anche la vita dei gemelli Prewett. Ma se lei ormai ci era talmente abituata da considerarlo una condizione normale della propria esistenza, il pensiero che quei bambini — e il loro padre — dovessero affrontare la stessa cosa le apparve d’un tratto intollerabile.

Si schiarì la voce e si chinò in avanti per vedere bene Berenice. «Stavamo dibattendo sull’esistenza o meno dell’uomo-Acromantula che vive sotto il Big Ben.» 

Sorpresa forse più dal tono schietto che dalle parole in sé, Berenice perse l’aria boriosa e spalancò gli occhi all’inverosimile. Le sue figlie si guardarono tra loro confuse, Cressida e Greengrass soffocarono una risatina, Melania infine si passò una mano sulla fronte e sussurrò un «Oh, Cretia».

«Uomo-Acromantula?» chiese invece Ignatius. Poggiò i gomiti sul tavolo — evitando con cura ogni contatto con la Burke maggiore — e si sporse verso di lei. «Non credo di averne mai sentito parlare.» 

C’era di nuovo quella sottile vena ironica nella sua voce, ma Lucretia non avrebbe saputo dire se fosse rivolta a lei o ad altri. Nel dubbio, decise di ignorarla e continuare come si era prefissa.

«Oh, è una delle leggende metropolitane più note di Londra. Di recente se ne sono occupate ben due riviste specializzate in fatti misteriosi, che suppongo siano la ragione per cui i suoi figli ne sono così ben informati,» accennò con la mano a Fabian, girandosi in tempo per vederlo annuire con convinzione. «Alcuni ritengono si tratti del frutto di un esperimento condotto dall’Ufficio Misteri che sarebbe fuggito dal Ministero per insediarsi nei sotterranei segreti del Parlamento Babbano, altri invece propendono per l’ipotesi che sia un ibrido di… diversa natura.» Non sapeva quanto accurata fosse la conoscenza di Fabian, ma era sicuramente meglio non menzionare accoppiamenti tra umani e bestie magiche davanti ai piccoli Prewett.

«Secondo altri invece si tratta di una creatura aliena proveniente da un’altra dimensione,» aggiunse Fabian tutto sussiegoso, mentre Gideon roteava gli occhi e sbuffava ancora una volta.

«La sua effettiva esistenza è dubbia, ed è su questo che si stava concentrando il nostro dibattito. Fabian,» Lucretia guardò il bambino e soffocò un sorriso nel vederlo sgranare gli occhi, «ha fatto notare che le prove a favore sono numerosissime e concrete, tra testimoni oculari, resoconti di attacchi e via dicendo, perciò si dovrebbe propendere per il sì; tuttavia, Gideon ha argutamente sottolineato che spesso e volentieri i giornali tendono a esagerare o addirittura inventare i fatti, creando confusione tra realtà e fantasia in chi legge, perciò non si può dare nulla per scontato a priori.»

«Mh-mh. Mh-mh.» Ignatius si lisciò la barba con aria assorta. «Capisco. E… qual è la sua opinione in merito, signorina Black?» 

Proprio come aveva fatto Fabian nel sentirsi nominare inaspettatamente, Lucretia sgranò gli occhi. «P-prego?»

«Lei cosa ne pensa? Bisognerebbe dare credito alle prove concrete, o approcciarsi alla questione in maniera più scettica?»

L’attenzione tornò tutta su di lei. Beh. Questo era inaspettato. Di norma chi la sentiva parlare di quegli argomenti faceva in modo di chiudere la conversazione il prima possibile, non la invitava a proseguire chiedendole pareri in merito. D’istinto cercò gli occhi di Madre, ma lei stava abilmente fingendo di non conoscerla fissando il proprio piatto come se contenesse il senso della vita.

«Ecco… io… io sono per la via di mezzo.» Fece una pausa, giusto per sincerarsi che Ignatius volesse davvero la sua risposta, e quando lo vide annuire riprese. «Che testimoni e giornalisti possano errare è un dato oggettivo e suffragato da numerosi precedenti, perciò sarebbe sciocco non tenerne conto.»

«Ecco, grazie,» borbottò Gideon.

«Tuttavia, fintanto che non disponiamo di prove certe, non penso ci sia alcunché di male nel credere all’esistenza di una misteriosa creatura che abita il sottosuolo londinese. Voglio dire, qualcosa deve pur aver causato le aggressioni e gli avvistamenti documentati, e perché mai non dovrebbe trattarsi di un ibrido uomo-Acromantula fuggito dall’Ufficio Misteri?»

«O proveniente da un’altra dimensione,» puntualizzò Fabian.

«Per quanto mi riguarda, insomma, preferisco credere e mantenere una mente aperta fino a prova contraria. E stare attenta a non farmi aggredire da mostri a otto o dieci zampe quando passeggio vicino al Parlamento Babbano.»

Si volse verso Fabian e ammiccò, ricevendo in cambio un gran sorriso. Gideon roteò gli occhi per la terza volta, ma anche lui sembrava rasserenato dall’essersi sentito dare in parte ragione. Bene, crisi evitata. Fosse stato così facile far smettere di litigare lei e Orion quando erano bambini… 

«È cattivo?»

La vocina era così flebile che Lucretia ebbe difficoltà a capire chi avesse parlato. Comprese che si trattava di Molly Prewett solo perché i gemelli si volsero di scatto verso di lei. «È cattivo, l’uomo-Acromantula?» ripeté la bambina, rossa d’imbarazzo ma guardandola dritta negli occhi. «Visto che aggredisce le persone?»

Se lo sguardo acceso di Ignatius aveva catturato la sua attenzione, quello dolce e insicuro di Molly fece sì che ogni singola fibra fisica e morale di Lucretia diventasse molle come il burro sciolto. Per Salazar, non c’era da stupirsi che Prewett fosse così disponibile alle dimostrazioni d’affetto nei suoi confronti: se si inteneriva lei dopo una minima interazione, figurarsi lui.

«Oh, io penso sia semplicemente molto solo,» rispose con un sorriso. «Dev’essere dura vivere in quel modo, sottoterra e senza amici, e la solitudine può far fare cose molto brutte sia alle persone che alle creature. Non credi?»

Molly non rispose, ma annuì e riabbassò gli occhi sul piatto. A Lucretia giunse un altro «Mh-mh» da parte di Ignatius, poi un suo sospiro.

«Ebbene, signora Burke, ritengo che abbiamo soddisfatto la sua curiosità.» Non serviva guardarlo per sapere che stava di nuovo sorridendo in quella sua maniera sfrontatamente innocente. «Sembra che da quella parte del tavolo stiano affrontando discorsi filosofici di un certo livello.»

La signora Burke lo fissò spaesata per qualche istante, prima di recuperare il contegno altezzoso. «Filosofici? Pfff! Frottole e fandonie, ecco a cosa si dedicano i giovani d’oggi!» sbottò, e dal modo in cui pronunciò la parola “giovani” non v’era dubbio che includesse anche Lucretia. «Non c’è da stupirsi se la nostra società va verso il baratro! Fossero i miei figli non permetterei che…»

«I suoi figli devono essere degli ottimi conversatori, signor Prewett.» La voce di Arcturus era pacata e inattesa e fece sussultare più di un commensale. «Non è facile catturare l’interesse della mia Lucretia. E in completa onestà, non conosco molti maghi adulti in grado di parlare del rapporto tra cronaca e invenzione senza scaldarsi molto più di quanto non abbiamo fatto questi giovani maghi, il che va tutto a loro merito.»           

E stirò appena le labbra, nel sorriso più cortese e amichevole che un uomo distaccato come lui avrebbe mai potuto rivolgere a un estraneo. Lucretia sarebbe rimasta sconvolta da quell’atteggiamento e dalla lode nei confronti dei piccoli Prewett, se non avesse avuto la certezza che il reale scopo di Padre fosse mettere in imbarazzo la signora Burke: cosa che accadde, come dimostrarono l’incupirsi della strega e il successivo silenzio in cui rimase per il resto della cena. 

Che avesse o meno compreso quella sottigliezza, Ignatius accolse le parole di Arcturus con un solenne cenno del capo. Subito dopo Harfang disse qualcosa a proposito delle corse di Abraxan del giorno prima, e la conversazione si spostò pian piano verso luoghi più ameni. Lucretia avrebbe potuto approfittarne per richiudersi nelle sue riflessioni, invece si soffermò di nuovo a osservare Ignatius che discorreva coi suoi parenti.

Il suo cipiglio era sempre gentile e ironico, al contempo però appariva più rilassato di prima, come se una nube invisibile ma palpabile si fosse dissolta attorno a lui. Di quando in quando lanciava un’occhiata ai figli, i quali quasi sempre se ne accorgevano e rispondevano con minuscoli ammiccamenti che dovevano costituire un linguaggio segreto tutto loro; a un tratto, mentre gli elfi erano impegnati a portar via i piatti per far posto al dessert, Ignatius alzò i suoi occhi incredibilmente verdi su Lucretia e le rivolse quel sorriso piccolo e sincero che tanto l’aveva attratta a inizio serata.

Per Salazar. Forse era davvero colpa dell’aria del Galles. In quei pochi giorni di villeggiatura Madre era diventata ridanciana, Padre era divenuto socievole, e lei… lei all’improvviso non ricordava più perché fosse così contraria all’idea di sposarsi. Il senso di inadeguatezza, la consapevolezza di non sapersi occupare di una famiglia, il non voler dipendere da un uomo che fosse sgradevole come quelli che aveva conosciuto in più di venti anni di vita, tutte le sue argomentazioni preferite sembravano di colpo risibili, irrilevanti, trascurabili. Sopravviveva giusto il non volere figli, ma non era comunque sufficiente a convincere la sua mente a distogliersi da quell’uomo, dal suo sguardo acceso e dal suo spirito impetuoso. 

E diverse ore più tardi, quando la notte passata a rigirarsi nel letto confluì in un’alba sonnacchiosa e appena prima che i pensieri divenissero dita che affondavano in una criniera rosso cupo, un’idea folle si affacciò alla mente di Lucretia: per Ignatius Prewett avrebbe persino imparato a ricamarsi le iniziali sulle lenzuola.






Note:

Lo so, lo so, avevo detto che sarebbero stati solo tre capitoli, ma scrivere di questi personaggi mi sta dando così tanta soddisfazione che ho deciso di dedicare un po' più di spazio al loro avvicinamento, e così quello che doveva essere l'unico capitolo centrale si è moltiplicato in due. Confermo comunque che resteremo nella MINI long. Giuro. Giurissimo.

Il dialogo su Ignatius Tuft, il suo programma di allevamento di Dissennatori e il contrasto con Nobby Leach è ispirato alle informazioni prese dal fu Pottermore sui Ministri della Magia: https://www.wizardingworld.com/writing-by-jk-rowling/ministers-for-magic. Nella fattispecie: dal 1959 il Ministro è Ignatius Tuft, figlio della precedente Ministra Wilhelmina Tuft, il quale nel 1962 verrà costretto a dimettersi per via delle sue posizioni estremiste (tra cui la proposta di creare un allevamento di Dissennatori) e sarà sostituito Nobby Leach, il primo Ministro Nato Babbano della storia - per lo scorno della vecchia guardia purosanguista.

Nelle prossime settimane conto di aggiornare Omne Trinum, perciò vi consiglio di mettervi comodə per l'attesa del capitolo 3 perché potrebbe volerci fino a un mesetto. Nel frattempo, grazie di essere ancora qui! :D
 

   
 
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