Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Lisbeth Salander    06/11/2021    4 recensioni
Il primo problema che pone sempre una guerra è saperla riconoscere.
È soltanto nel vedere gli eventi per ciò che sono, che ci si può preparare a combatterla, a capire chi è il nemico da fronteggiare.
Si tratta di un principio essenziale, matematico, quasi asettico nella sua ovvietà ma di difficile applicazione.
La verità è che nessuno vuole riconoscere una guerra, prepararsi all’idea di combattere o rassegnarsi al fatto che tempi di pace e serenità sono conclusi e voltare la testa dall’altra parte è terribilmente semplice.
È la più naturale e normale delle tentazioni, il più primordiale degli istinti: conservare il proprio mondo intatto, preservarlo da forze esterne che arrivano a scuoterlo.
Nessuno ama stare in allerta e riconoscere i segni di una guerra, nessuno ama squarciare il velo e vederci attraverso ma alcuni sembrano destinati a farlo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alastor Moody, Albus Silente, Dorcas Meadowes, Ordine della Fenice
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4


1 gennaio 1971
Liverpool, Merseyside


L’atmosfera cupa di quel primo giorno dell’anno resiste persino al vociare senza sosta dei Babbani in festa. 
Caradoc continua a camminare all’esterno della Bombed Out Church, senza mai smettere di tenere gli occhi su Alastor ed Emmeline, timoroso di dimenticare il loro travestimento.
Non è certo di quel che lo ha portato ad accettare la proposta di Benjy, quando la cosa più giusta da fare sarebbe stato raggiungere la sua famiglia e sparire, senza lasciare alcuna traccia di sé. 
Nelle ultime notti non ha fatto che pensare ad oltranza a quella scelta, perennemente in bilico tra un desiderio di rivalsa, di vendetta, di combattere l’ingiustizia e la voglia di allontanarsi dalla Gran Bretagna e dimenticare ogni cosa, ricominciare altrove.
Ha deciso di non rivelare a nessuno, neanche a Benjy che gli ha offerto una stanza, un pasto, un tetto, il luogo in cui è nascosta la sua famiglia ma è sempre stato abituato a vivere eternamente sull’attenti, ad aspettarsi in ogni momento un attacco.
La sua diffidenza, contro ogni aspettativa, è piaciuta ad Alastor Moody e Dorcas Meadowes, attirandogli uno sguardo torvo da parte di Emmeline e un altro indecifrabile da parte di Silente.
Ad essere completamente onesto con se stesso, Dorcas non è sembrata estasiata non appena l’ha visto, borbottando qualcosa sul suo essere un ragazzino.
È stato soltanto quando Benjy ha iniziato a parlare e quando Caradoc ha rivelato lo stato delle sue ricerche che un lampo le ha attraversato gli occhi e le ha fatto fare un cenno inequivocabile con il capo.
Le ultime settimane di indagini e spostamenti sono state meno fruttuose di quanto avesse immaginato. Ha vagato, bussato a porte di vecchi compagni di scuole che si sono immediatamente richiuse, ha provato a fare domande fino a giungere alla tecnica più antica del mondo.
Del resto, suo nonno diceva sempre che non c’è miglior momento per scoprire un segreto di quando si ha un buon bicchiere di birra davanti. 
Babbani e Maghi non sono poi così diversi e ha battuto ogni pub magico nel tentativo di trovare le informazioni ricercate.
Essere un perfetto Signor Nessuno, come ha commentato Alastor al termine del suo racconto, ha grandi vantaggi e per Caradoc altro non è stato che un passpartout per i peggiori ritrovi della Gran Bretagna.
Al Paiolo Magico, quando ormai il locale iniziava a svuotarsi, aveva trovato una posizione strategica dove appostarsi per non essere disturbato né dal barista né dagli avventori. 
È stato lì che ha appreso come la strage di Wick non è stata altro che un regalo di fidanzamento per Theseus Nott1, promesso sposo di Evangeline Rosier, la secondogenita di Evan Rosier, e come Nott e il futuro suocero abbiano sperimentato un nuovo Incantesimo che corrode le vittime prima internamente e poi esternamente. 
Alla Testa di Porco, invece, aveva sentito Dolohov e Mulciber levare i calici a Radolphus Lestrange2 che aveva ufficialmente presentato il figlio al Signore Oscuro affinché si unisse ai Mangiamorte, elettrizzati all’idea di una nuova cerimonia di iniziazione.
Sempre lì, li aveva sentiti complimentarsi in absentia con Evan Rosier per la brillante idea di aver ricoperto di galeoni Marcus Darby affinché le disattenzioni commesse a Wick passassero inosservate.
Se qualche ora dopo aver ascoltato quella conversazione Benjy non avesse bussato alla sua porta, Caradoc sarebbe probabilmente andato via, nauseato ed impotente dinanzi alla mancanza di scrupoli e alla crudeltà dei Mangiamorte.
Invece, aveva deciso di restare, ipnotizzato dalla convinzione con cui quelle cinque persone erano convinte di poter ribaltare le sorti di una società ormai al collasso.
«Sono arrivati, state in guardia».
La voce di Alastor ha l’effetto di riportarlo immediatamente alla realtà e di spingerlo a cercare tra i mille volti tracce dei loro nemici.
Non è poi così difficile scorgerli dal momento che non hanno dismesso i loro abiti da Maghi e che camminano nascosti dalla maschera. La folla natalizia, il freddo e il cielo grigio fanno sì che la gente non si accorga di nulla. 
«Stanno entrando tutti. Credo che non resti nessuno qui fuori. Sicuri che non dobbiamo entrare?», chiede Caradoc, tradendo nervosismo.
«Attieniti al piano, Dearborn».
Le parole di Alastor sono immediatamente seguite da urla disperate dall’interno della chiesa.
È un secondo - neanche il tempo di incrociare gli occhi spaventati di Emmeline - prima di vedere le fiamme levarsi, insieme a delle timide scintille all’interno.
«Dall’ingresso principale, presto». 
Alastor, con il piglio e il pragmatismo di chi ogni giorno salva vite e affronta Maghi Oscuri, li trascina all’interno, in quello che è uno spettacolo terrificante di fuoco e lampi di luce di ogni colore, prima che le fiamme dell’incendio possano impedire l’ingresso.
Quando sono lì, abilmente nascosti tra le rovine di quella chiesa già lambita una volta dal fuoco, Caradoc sa che il piano è ufficialmente iniziato, che Emmeline ha eseguito l’Incantesimo, bloccando l’accesso dall’esterno. 
Grazie a Silente entro le mura della chiesa non ci si può né Materializzare né Smaterializzare. 
Una volta che avranno messo in salvo i Babbani e saranno usciti di lì, i Mangiamorte resteranno bloccati lì dentro in attesa che arrivino gli Auror con un biglietto di sola andata per Azkaban.
Questo è il piano e, come Moody non ha fatto altro che ripetere, deve funzionare.
Bloccati lì dentro mentre Emmeline si assicura della tenuta dell’Incantesimo, lui e Alastor tentano di domare le fiamme, di abbassarle per comprendere meglio cosa sta accadendo al centro della chiesa.
Il fuoco resiste in modo anormale e Caradoc quasi si sente prosciugato. Continua per una promessa a se stesso, perché non può abbandonare i compagni, non può lasciare che Benjy, l’uomo che lo ha cercato, trovato e voluto, possa essere inghiottito da quel fuoco.
Gocce di sudore imperlano anche la fronte liscia e appena visibile di Emmeline, unitasi anche lei ai compagni. 
«Che succede al fuoco? Avevi detto che sarebbe durato ore!».
Il vociare infastidito e rabbioso dei Mangiamorte arriva chiaro e forte alle loro orecchie.
«Non capisco. A Wick ha funzionato ed è durato per ore».
«Che c’importa, Dicky! Ormai sono qui e possiamo divertirci».
Emmeline si fa più vicina e in un sussurro rivela che, nonostante le maschere e il caos, è riuscita a distinguere uno dei Mangiamorte. Quello che si lamenta della scarsa tenuta del fuoco altri non è che Benedikt Mulciber, uomo dal temperamento rabbioso e dai violenti scatti d’ira.
Cosa i Mangiamorte si apprestano a fare è presto chiaro quando in coro urlano Imperio puntando le loro bacchette sulla folla impaurita, usando i Babbani come marionette.
«Dobbiamo agire. Adesso», ordina Alastor e senza esitare Schianta tre dei dieci Mangiamorte presenti.
È in quel preciso istante che Caradoc realizza le reali implicazioni del loro effetto sorpresa.
I Mangiamorte che non sono stati colpiti dallo Schiantesimo, aggrappati alle loro bacchette, cercano di scrutare in ogni direzione, tentando una controffensiva verso un nemico invisibile. 
Dall’altro lato della chiesa, proprio dove dovrebbero essere Dorcas e Benjy, arrivano altri lampi di luce rossa, pronti a travolgere altri Mangiamorte.
«Non fate saltare la copertura. Non osate farla saltare», intima Alastor a Caradoc ed Emmeline, dirottando il fuoco appiccato dai Mangiamorte per potersi spostare indisturbati e colpirli da un punto diverso.
Dallo spiraglio che sono riusciti aprire su un lato scoperto della chiesa, i Babbani cominciano a fuggire incitati da Benjy e Dorcas nascosti e camuffati tra la folla.
«Dobbiamo bloccarli qui dentro, ricordate. Devo tornare in vesti ufficiali».
«Alastor, ricordiamo perfettamente il piano. Al momento stiamo rischiando la pelle esattamente come te» sbotta Emmeline, mentre Caradoc respinge per un soffio uno Schiantesimo.
«Non vedo più né Dorcas, né Benjy. Saranno usciti» dice Caradoc, «I Mangiamorte sono impegnati a risvegliare gli Schiantati. È il momento».
Alastor annuisce e fa strada verso l’uscita di emergenza. Dall’altro lato della strada, in un vicolo riparato che hanno scovato nei giorni precedenti, intravedono la sagoma tremante di Benjy.
«Dov’è Dorcas?» urla Alastor.
«Non l’ho più vista, non l’ho più vista. Ho provato a tornare indietro ma non…».
Benjy scuote la testa con terrore, mentre fissa la chiesa ancora in fiamme.
Il fuoco dei Mangiamorte, ora che non c’è più nessuno a contrastarlo, riprende vigore sempre più velocemente.
Caradoc si avvicina a Benjy posando un braccio sulla sua spalla, mentre Emmeline trattiene a stento le urla.
«Io rimuovo l’incantesimo e torno dentro. Porta immediatamente Albus qui». 
Alastor si rivolge ad Emmeline, tornando a grandi falcate verso la chiesa e con la bacchetta alla mano. 
Il rumore della Smaterializzazione di Emmeline lascia Caradoc e Benjy sospesi, ormai assuefatti alle urla disperate dei Babbani. 
«È stata colpa mia, non sarei dovuto uscire» mormora Benjy.
«Hai seguito il piano. Non è stata colpa tua! Poteva capitare a chiunque… non è morto nessuno, Benjy, ascolta. Dorcas non morirà, lei è una tosta, vedrai».
Caradoc pensa a com’è finito lì, al fatto che è il 1 gennaio del millenovecentosettantuno e lui è fuori da una chiesa in fiamme e non a mangiare lo stufato di sua madre. Ha il braccio attorno ad un uomo che fino a due giorni prima era un perfetto sconosciuto ed oggi è la cosa più simile ad un padre che gli è rimasta.
Non sa quanto tempo sia passato, se un minuto, dieci o un’ora, prima che Emmeline e il Professor Silente riappaiano nel vicolo.
Nessuno parla, Caradoc intuisce che il Preside deve aver rimosso l’incantesimo dagli sguardi intensi che sembra lanciare incessantemente nei confronti della chiesa.
Emmeline, invece, tiene gli occhi bassi e le mani impigliate nel foulard che le avvolge la testa.
«Fanny è qui» sussurra Silente, aprendosi in un sorriso e muovendo un passo verso l’enorme fenice che viene verso di lui.
L’accarezza con dolcezza sussurrando parole che Caradoc non riesce a distinguere.
«Alastor e Dorcas stanno bene. Fanny è corsa in loro aiuto».
«Eccoli», li indica Benjy, avvicinandosi a loro.
Alastor trascina Dorcas verso il vicolo e Caradoc nota che sono entrambi coperti di cenere e graffi, più scossi e tremanti che mai.
Dorcas continua a parlare, scuote ripetutamente il braccio di Alastor e di tanto in tanto fa per tornare indietro, mentre lui la blocca e la riporta nella loro direzione.
«Non puoi tornare lì» afferma perentorio.
«È tutta colpa mia, Dorcas, non avrei dovuto lasciarti lì» si intromette Benjy, ancora disperato e in preda ai sensi di colpa.
«Non è colpa tua. Sei stato bravissimo, Benjy! Li abbiamo salvati tutti» continua lei sbrigativa e Caradoc non sa se Dorcas pensi davvero che non è stata colpa di Benjy o se sia semplicemente presa da altro.
«Non capisci? Devo tornare lì, devo andare di nuovo là dentro».
«Sei tu che non capisci!» sbotta Alastor, «Potevi morire! Sei, siamo vivi per miracolo! Ci sono sfuggiti ma potrebbero tornare. Anzi, molto probabilmente torneranno perché, grazie a tutti i Fondatori, nonostante tutto, la nostra copertura non è saltata e questo vuol dire che non sanno chi c’è dietro».
«Se non torno lo sapranno!» urla Dorcas disperata.
«Ma che cosa è successo? Perché vuoi tornare lì?» chiede Emmeline.
«Il mio anello, quello con lo stemma di famiglia, mi è scivolato e non riesco ad Appellarlo».
Dorcas si tocca in modo nevrotico e disperato l’anulare destro, spoglio di quell’anello che continuava a toccare ad ogni riunione.
«Posso provare a tornare io lì», propone Caradoc mentre Dorcas lo guarda speranzosa, «sono pur sempre un Signor Nessuno».
«Temo che Alastor abbia ragione. In questo momento, non possiamo tornare lì dentro».
Alle parole di Silente, Dorcas si accascia a terra, probabilmente sovraccarica delle emozioni appena vissute.
«Proverò a tornare io domani. Mi porto quale Auror per sicurezza, così nessuna delle nostre coperture salterà e cercherò di trovare questo dannato anello. Adesso andiamo via di qui o di questo millenovecentosettantuno non vedremo il secondo giorno».


16 gennaio 1971
Bath, Somerset


Sono quindici giorni che Benjy vede tutte le albe, quindici giorni che si sveglia con il cuore in gola, rivivendo gli attimi di terrore in cui, spinto dai Babbana in fuga, ha perso Dorcas di vista e ha temuto che morisse lì, tra i Mangiamorte, in quella vecchia chiesa in fiamme.
Quei quindici giorni sembrano averlo stravolto completamente. Sua moglie e le sue figlie continuano a domandargli ripetutamente quale sia il problema, che cosa sia accaduto, perché appaia così inquieto.
Sua moglie, Leela, cerca di scavargli l’anima con il solo sguardo, come ha sempre fatto da quando l’ha conosciuta, e lui sa che non riesce a comprendere, che arriverà un momento in cui sarà chiamato a spiegare cosa sta accadendo, che dovrà dare conto di quel ragazzino di ventitré anni che dorme nella stanza degli ospiti. 
Le ha soltanto detto che è il figlio di alcuni amici, che è in difficoltà e che è giusto che sia qui.
Non ha detto null’altro, perchè in questo momento non sapere, non essere consapevole è un lusso che sente di dover regalare all’amore della sua vita e alle figlie. 
È certo che quella spiegazione non basterà per sempre ma soltanto per un po’. Dopotutto, la loro casa è sempre stata un porto di mare e la stanza degli ospiti aperta ad amici provenienti da tutto il mondo.
Leela non si è mai stupita e li ha sempre accolti con un sorriso ma questa volta con Caradoc avverte una tensione ed una diffidenza che sono solitamente estranee a sua moglie.
In parte - ne è certo - non approva che in una casa in cui ci sono due ragazze appena uscite da Hogwarts viva un ragazzo scapolo e avvenente, con tutta l’aria di essere uno scavezzacollo. Persino lui, che è proverbialmente cieco dinanzi alle questioni di cuore, ha notato l’imbarazzo delle figlie nel ritrovarsi Caradoc in casa.
Dall’altro lato, c’è qualcosa di quel giovane che gli sfugge. Una parte di lui lo ha spinto, sin dal primo momento, a volerlo proteggere da una società che lo stava schiacciando, ma l’altra parte di lui non fa che rivedere quello che non esita a Schiantare se è in un momento di difficoltà.
Caradoc, qualsiasi sia la sua storia, ha fatto della diffidenza e del sospetto una seconda pelle. Si ha sempre la sensazione che sia attaccato alla bacchetta, che sia pronto ad attaccare per difendersi. 
Di sé ha raccontato pochissimo, soltanto che ha un padre Babbano ed una madre che ha scelto di usare il meno possibile la Magia, che è cresciuto nel Dorset, a Poole, dove suo padre lavorava in un cantiere navale. 
Qualche volta, in rarissimi momenti in cui abbassa di poco le difese, dice che forse un giorno salirà su una nave e sparirà senza lasciare tracce e che i Maghi non sanno cosa si perdono a non conoscere il mare.
Benjy ha sempre la sensazione che prima o poi si sveglierà e troverà la stanza degli ospiti vuota senza alcun tipo di spiegazione.
Poi, però, si concentra sulla passione che quel ragazzo sta mettendo nella loro missione, in uno spirito di abnegazione pari solo a quello di Dorcas. Caradoc sembra aver fatto di quella guerra silenziosa e sconosciuta al mondo uno scopo di vita, ferito dall’ingiustizia subita da Darby.
Non c’è giorno in cui dietro consiglio di Silente non continui a cercare notizie. In breve tempo, è diventato un abile conoscitore di ogni vicolo di Nocturn Alley.
Moody non fa altro che dirgli che non appena sbatteranno fuori Marcus Darby metterà una buona parola tra gli Auror per lui.
Grazie a Caradoc sono riusciti ad ottenere notizie apparentemente frivole e poco rilevanti ma che hanno consentito loro di avere un quadro sempre più completo del nemico che fronteggiano.
Dopo l’attacco qualcosa è scattato nei Mangiamorte, che, infatti, non hanno rivendicato quell’attacco con il loro marchio, ma soprattutto nel fantomatico Lord Voldemort.
Dal racconto sommesso che alcuni Mangiamorte hanno fatto alla Testa di Porco il loro Signore Oscuro era furioso per il piano fallito perché il fidanzamento di Theseus Nott non era l’unica ragione per la quale l’attacco alla Bombed Out Church era così rilevante.
È su quel piano non svelato del tutto neanche ai suoi seguaci che Benjy lavora da giorni, da cui non riesce a distogliere il pensiero.
Ne ha discusso a lungo con il Professor Silente e anche lui ha convenuto che non sia un caso, perché proprio come accaduto a Wick la terra non dimentica gli orrori ma li trattiene.
La storia Babbana racconta di un bombardamento che ha travolto e distrutto la chiesa nel 1941, ma c’è un’altra leggenda che racconta di un attacco di alcuni seguaci di Grindelwald e del sacrificio di una strega bulgara, Tatia Hristova.
Come spesso accade, nelle pieghe dei grandi eventi storici Babbana si annidano i conflitti dei Maghi3.
La lettera che durante la notte gli è stata consegnata viene da un suo vecchio amico in Bulgaria, Stoyan Kostadinov, uno storico della Magia, rifugiatosi a Bath quando Grindelwald seminava terrore.
Benjy legge e rilegge le righe alla ricerca di conferme, nel tentativo di rimettere insieme ogni pezzo e di anticipare mosse.


Mio caro amico,
 Ricordo bene gli eventi della chiesa di San Luca a Liverpool e il periodo di terrore che ne seguì. Come ricorderai, all’epoca ero in fuga da Grindelwald e dagli orrori del mio Paese ma anche qui non riuscii a trovare la pace sperata.
Non sono molti i dettagli che si conoscono di quell’evento. Un unico sopravvissuto ha raccontato i particolari di quella strage ma le reali ragioni del massacro sono chiuse in una cella di Nurmengard.
Tatia Hristova era una strega brillante, un’ex insegnante di Antiche Rune della Scuola di Durmstrang, aperta oppositrice di Grindelwald. La leggenda narra che lui volesse da lei informazioni necessarie alla sua ricerca del Bene Superiore e che Tatia abbia resistito.
L’unica fonte narra che l’intenzione di Grindelwald non fosse ucciderla ma solo torturarla per estorcerle le informazioni ma che tale fu la resistenza di Tatia che in un moto d’ira Grindelwald fece convergere le bombe Babbane sulla chiesa condannandola a morte.
Purtroppo, questa morte è passata sotto traccia, confondendosi insieme alle altre, ma credo che tu sia nel giusto quando dici che la chiesa ha conservato memoria. 
La Storia, amico mio, insegna che i Maghi Oscuri scelgono spesso luoghi che già conoscono massacri, che già conoscono una traccia di Oscurità per compiere nuovi rituali. La Magia Oscura è difficile da eliminare, resiste al tempo e a qualsiasi intemperie, ma è semplice da risvegliare.
Alcuni storici ritengono che, quando un mago o una strega vengono assassinati, il luogo dell’omicidio trattiene la loro Magia e che il compimento di altri omicidi nello stesso luogo rafforzi la potenza dei Maghi che li commettono.
Nulla è stato provato. È una branca della Magia difficile e che non oso studiare. Troppe sono state le morti e troppo oscure e ignote ne sono le conseguenze.
Quanto allo strano incantesimo del fuoco di cui mi hai domandato, temo di non poterti essere di alcuna utilità. Incantesimi di questo genere sono qui all’ordine del giorno, eternamente in balìa di gruppi di nostalgici che sfuggono alle autorità.
Concludo dicendoti che conosco solo di nome Antonin Dolohov e me ne rallegro. La parte della sua famiglia che vive qui è circondata da un’aura oscura; alcuni di loro sono a Nurmengard, ex seguaci di Grindelwald. Tutto ciò che posso dirti è che l’ultima volta che è stato qui era sempre in compagnia di un suo ex compagno di scuola e che sono stati coinvolti in uno scontro acceso. 
Con la speranza di esserti stato utile,
Stoyan


I timori che aveva covato sin dall’inizio si stanno progressivamente rivelando fondati: in questo momento, la tortura e gli omicidi non sono soltanto un semplice divertimento ma anche un canale per rinforzare la Magia.
Quanto i vari Nott, Mulciber, Dolohov sappiano di essere uno strumento nelle mani di Lord Voldemort è difficile da dire ma Benjy è pronto a scommettere che quell’uomo non abbia fatto altro che usare l’atavico odio che alcuni Purosangue covano nei confronti dei Babbani per piegarlo ai propri scopi.
In questo momento, secondo le ricostruzioni fatte da lui e dal resto del gruppo, Voldemort si sta muovendo su due fronti: utilizzo quasi incontrollato della Magia e ricerca di nuove reclute, per creare un esercito ancora più forte.
La politica fallimentare del Ministro Jenkins, sorda a qualsiasi richiesta, rende giorno dopo giorno più semplice e più ghiotta la scelta di unirsi ai Mangiamorte, che promettono impunità e privilegi. 
Lui ed Alastor, occhi attenti e vigili all’interno del Ministero, assistono impotenti a quella disfatta annunciata, vedono aumentare il malcontento, persino tra i colleghi, con la consapevolezza che, quando il momento verrà, nessuno sarà davvero pronto.
«Anche tu sveglio».
La voce di Caradoc lo scuote dai suoi stessi pensieri, cogliendolo di sorpresa.
«Non riuscivo a riaddormentarmi e mi è arrivata questa da un vecchio amico», dice Benjy porgendogli la lettera.
Caradoc muove le labbra in quello che sembra quasi un sorriso.
«Sei pieno di vecchi amici».
«Sono vecchio e ho tanti amici».
«Non hai ancora cinquant’anni, Benjy! Silente è vecchio, tu sei soltanto un tipo con molti amici» sghignazza prima di lanciarsi nella lettura della lettera.
«Che ne pensi?».
«Dobbiamo scoprire chi è questo ex compagno di scuola», commenta sbrigativo Caradoc.
«Sì, ci sarebbe utile per capire se anche lì ci sono Mangiamorte o se vogliono agire soltanto qui».
«Per quanto riguarda la Magia, invece, è difficile».
«Questo Lord Voldemort non è esattamente prevedibile».
«Possiamo cercare tutti i luoghi delle stragi nel Regno Unito da…».
«Sarebbe un buco nell’acqua, non abbiamo le risorse per coprirle tutte. Tra l’altro, ho la sensazione che queste stragi, questi massacri non servano a lui ma a cementare il rapporto con i suoi seguaci. Lui non partecipa mai».
«E quindi?», chiede disorientato Caradoc.
«Non è lui ad incanalare la Magia, sono i Mangiamorte o come si fanno chiamare loro. Io credo che lui abbia creato qualcosa che li tenga molto, molto uniti».
«Pensi che li abbia legati a sé con la Magia?».
«Onestamente, mi stupirei se non lo avesse fatto».


18 febbraio 1971
Downing Street, Londra


L’enorme appartamento di Emmeline Vance nel cuore della Londra Babbana non potrebbe rappresentarla di più ma probabilmente quello è un pensiero da ex professore impiccione.
Emmeline non ha battuto ciglio quando se lo è ritrovata sulla porta di casa, come se il suo arrivo non l’avesse colta per niente impreparata.
Del resto, Albus ricorda bene il piglio da studentessa che odiava essere colta in fallo. Di quella adolescente dai lunghi capelli biondi ricorda soprattutto l’attenzione profusa nell’autocontrollo.
Mai una volta che sia riuscito a vederla scomposta. 
Anche adesso, mentre gli versa il tè, Emmeline gli appare misurata in ogni gesto ed è per questa ragione che ha deciso di presentarsi a casa sua, perché è l’unica talmente abituata a nascondere i propri pensieri e le proprie emozioni a cui poter chiedere di fare un passo in più.
«È successo qualcosa Professore?», chiede Emmeline con la sua schietta gentilezza di sempre.
«Mia cara, se fosse successo qualcosa, non avrei aspettato il tè».
Emmeline sorride, anche se in questo sorriso cortese Albus rintraccia facilmente il fastidio derivante dal non capire le ragioni della sua visita.
«Volevo parlarti in privato. So che è Dorcas che si occupa di coordinarvi e che voi due siete molto in sintonia ma credo che ci siano aspetti che non avete considerato».
Il discorso che sta per fare ad Emmeline è scomodo, scivoloso e probabilmente gli procurerà infiniti grattacapi con Dorcas ed Alastor ma è un’occasione unica e necessaria e in guerra c’è poco spazio per i moralismi e gli scrupoli.
Emmeline aggrotta la fronte mentre sorseggia la tazza di tè, disorientata dalle sue parole. 
Fino a quel momento ogni decisione è stata rimessa a Dorcas ed Alastor, i migliori quanto ad intuizione e strategia, ma Albus ha sempre saputo che ci sono dei limiti anche per loro.
Se l’Auror semplicemente non si figura certi scenari, Dorcas ne è radicalmente contraria. 
«Il tuo lavoro con Dolohov è stato esemplare, Emmeline. Hai dimostrato coraggio, tempra morale, lucidità ed anche alla chiesa hai dato prova di grande sangue freddo».
«Forse oggi il Cappello Parlante sceglierebbe diversamente per me».
«Oh, sai, non credo. Penso che tu sia la perfetta incarnazione dei Corvonero perché la tua prima arma, Emmeline, è sempre la mente e questo è un dono».
Emmeline si apre in un sorriso gentile ma ancora enigmatico ed Albus le legge sul volto lo scetticismo che la anima.
«Sono sempre stata benissimo tra i Corvonero, gli anni di Hogwarts sono stati magnifici».
«Eri una studentessa modello, brillante e sono contento di leggere tuoi articoli spesso e volentieri».
«Ho sempre amato gli Incantesimi e mi piace continuare a studiare».
«Sono contento che tu non abbia sposato Antonin Dolohov. Quel genere di matrimonio ti avrebbe spenta».
L’effetto delle parole di Albus è immediato perché per la prima volta Emmeline trema un po’ e la tazza di porcellana italiana insieme a lei.
«Credo che il principale problema fossero le sue tendenze da torturatore e da omicida, Professore, e non soltanto la mia vitalità».
«Ottimo argomento, Emmeline, ottimo argomento. È proprio di questo che vorrei parlarti, in verità».
«Delle ragioni per cui non ho sposato Dolohov?».
«Oh, no, quelle penso siano validissime ma del vostro legame, che credo esista ancora».
Emmeline si alza di scatto, prima di iniziare a passeggiare nervosamente lungo il salotto.
«È un uomo che ho amato profondamente, Professore, questo non si può cancellare».
«Neanche il più potente Incantesimo di Memoria potrebbe farlo», annuisce Albus studiando ogni movimento della sua ex allieva.
«Mi rendo conto che il fatto che io sia stata legata sentimentalmente ad uno dei nostri nemici possa rendermi maggiormente esposta ma, Professore, come ho detto a Dorcas sin dal primo momento, non aspettavo altro che cambiare le cose, che combattere il senso di impotenza che mi è piombato addosso per due anni. Io le posso giurare, in nome di Corinna e tutti i Fondatori, che mai potrei tradire la nostra causa e collaborare con Antonin Dolohov».
Le guance di Emmeline sono rosee come mai prima, infervorata com’è dal discorso appena fatto. Lei, disorientata da se stessa, sembra faticare a ritrovare il suo proverbiale autocontrollo ed è soltanto quando Albus le porge nuovamente la tazza di tè che torna a sedersi e sembra riacquistare pienamente padronanza di se stessa.
«Non ho mai dubitato di te, Emmeline, e sono rammaricato che tu lo creda possibile», la conforta Albus.
«La ringrazio, Professore».
«La relazione che hai avuto con Dolohov, proprio per la sua intensità, può essere un ottimo strumento nelle nostre mani e di questo ne abbiamo già avuto la prova. Se non fosse stato per te…».
«E per Dorcas», lo interrompe Emmeline.
«Se non fosse stato per te e per Dorcas, naturalmente, decine di Babbani sarebbero morte poco più di un mese fa».
«Era il minimo che potessi fare, mi spiace soltanto non poter fare di più e non avere più un vantaggio».
Albus le sorride enigmaticamente, conscio del fatto che stanno finalmente per arrivare alla vera ragione della sua vita.
«Non ne sarei così sicuro».
«Non credo di poter giocare ancora con la memoria di Antonin. È un uomo più scaltro di quel che appare».
«Non devi giocare con la sua memoria».
Albus si alza lentamente, sotto gli occhi vigili della padrona di casa, e comincia a percorrere senza sosta il salotto, conscio dell’attesa che ha generato in Emmeline.
«Voi due non siete stati semplicemente fidanzati, giusto?».
Emmeline, arrossita nuovamente, annuisce.
«Soltanto due amanti, due persone che si sono amate e conosciute nel profondo, potrebbero avere questo legame così resistente al tempo, non certo gli amori organizzati dei Purosangue».
Quanto davvero lei sia turbata, Albus non è in grado di dirlo con esattezza. Sa di aver catturato la sua attenzione e di averla colpita su un tasto ancora dolente, usando tutta la sua personale esperienza, consapevole che un certo tipo di amore, un certo tipo di affetto resiste anche agli orrori.
«Non credo che lui abbia avuto quel genere di intimità soltanto con me».
«Oh, Emmeline, al momento credo di sì. Non che lui non abbia altre relazioni ma credo che tu abbia toccato il cuore di Dolohov come nessun altro prima e questo genere di cose lascia il segno».
Albus le poggia una mano sulla spalla, in un moto di affetto e conforto per quella donna della quale sente di poter comprendere le tempeste emotive.
A ben pensarci, Emmeline è molto più solida, più decisa e più convinta di quanto non lo sia mai stato lui, lui che ha atteso anni e anni prima di riuscire ad affrontare l’uomo che amava apertamente.
«Professore, lei vuole che torni ad essere l’amante di Dolohov?», chiede Emmeline a bruciapelo, mentre Albus reprime a stento un sorriso soddisfatto.
«Non posso chiederti una cosa del genere, Emmeline» le dice con convinzione mentre si siede accanto a lei, «ma ti chiedo di pensare con attenzione a quel che potresti fare».
«Non posso sposare quell’uomo».
«Non credo sarebbe sicuro per te».
«Lei non capisce», sbotta Emmeline, «io non sono sicura di poter fingere ancora con Antonin che non so. Come potrei parlare tranquillamente con lui quando so che potrebbe aver torturato e ucciso poco prima?».
Il tono sconvolto di Emmeline è una variabile che Albus ha messo in conto dal momento in cui ha deciso che quella strada doveva essere percorsa.
«Emmeline, quel che è accaduto a Liverpool è soltanto un assaggio di ciò che ci troveremo ad affrontare prossimamente. Il nostro intervento li ha rallentati, li ha messi sul chi va là, perché ora sanno che c’è qualcuno che sta mettendo loro i bastoni tra le ruote. Solo tu sai ciò che sei in grado di fare, quanto la tua mente ed il tuo corpo possono sopportare. Quel che ti chiedo è di pensare attentamente e di riflettere. Se pensi che sia impossibile arrivare ad altri segreti di Antonin, se credi che il canale di comunicazione tra di voi sia del tutto interrotto, considera questa conversazione come mai avvenuta. Se, invece, in cuor tuo credi che il vostro rapporto possa essere usato per fermare altre morti inutili, altre torture, altre barbarie, ti chiedo di valutare, anche non nell’immediato, un modo di utilizzarlo».
Emmeline annuisce, con lo sguardo perso nel vuoto, senza rispondere ed Albus è consapevole di aver smosso qualcosa, di aver toccato le giuste corde. È certo che non oggi e forse neanche domani ma in futuro Emmeline Vance riuscirà ad ingannare ancora Antonin Dolohov.
«Emmeline, tu sei una risorsa fondamentale per questo gruppo. Sei una donna pratica, sveglia, conosci esattamente le insidie di questo mondo e riesci non solo a vederle prima che arrivino ma a sfruttarle sempre a tuo vantaggio e, soprattutto, sai domare i tuoi malumori. Non lasci mai che siano i tuoi pensieri a domare te, hai sempre uno scudo tra te e il resto del mondo e questa, ragazza mia, è sempre stata la tua più grande risorsa. Mentre Dorcas viene travolta da qualsiasi sentimento, tu sei impenetrabile e sono certo che non esista al mondo un uomo in grado di trarti in inganno. Non aver paura di usare le redini. Le hai sempre avute tu».


15 marzo 1971
Pendennis, Cornovaglia


Quando due famiglie Purosangue come i Black e i Lestrange si uniscono, tutta la società magica non può che riunirsi attorno a loro, pronta ad ossequiare quella che sembra essere l’unione del secolo.
Dorcas non ha neanche osato pensare di mancare, perché un matrimonio come quello è un’occasione unica per tutti.
Gli ospiti sono stati indirizzati nell’immenso giardino della tenuta dei Lestrange in Cornovaglia: dal ramo francese della famiglia Lestrange ai più importanti funzionari ministeriali, tra cui Marcus Darby, non manca nessuno.
Riconosce diverse file più indietro, tra coloro che hanno il sangue puro ma non troppo, la chioma bionda di Emmeline stranamente abbassata. Sono settimane che sembra sfuggirle e che ha l’aria di essere eternamente pensierosa, avvolta da una nube di tristezza che Dorcas non riesce a decifrare.
«Non credo di essere pronto a fare niente del genere per i nostri figli» commenta Christopher, indicando gli addobbi della sala, ammiccando con aria complice.
«Credo che ci disconoscerebbero seduta stante» conviene osservando con attenzione Walburga ed Orion Black con i due figli maschi poco più avanti.
Quando si imbatte nei Black, c’è sempre uno strano brivido che le percorre la schiena, quasi potesse percepire una possibile vita che le è sfuggita.
In alcuni momenti si è chiesta quanto diversa sarebbe stata la sua vita se suo padre non avesse deciso di troncare le trattative matrimoniali con Arcturus Black, padre di Orion.
È certa che nessun altro marito avrebbe tollerato il suo ruolo di Consigliera al Ministero, perché nessuno dei Capofamiglia Purosangue ama essere eclissato da sua moglie.
Christopher, invece, era stato diverso e, contrariamente a quanto il padre di Dorcas aveva immaginato e sperato, l’aveva lasciata libera di essere chi voleva, non ostacolando mai la sua passione politica.
Non le aveva mai detto «te l’avevo detto», anche quando le sue parole erano state profetiche. Era stato lui il primo a farle notare il cambiamento di atteggiamento di Eugenia, il modo in cui aveva smesso di essere sua alleata e sua amica e si era trasformata in un’avversaria.
Il loro matrimonio aveva rappresentato per Dorcas l’unica vera certezza, senza che nemmeno se ne rendesse conto, e a distanza di anni si era trovata a ringraziare suo marito per aver sempre lasciato cadere le sue provocazioni, provando a smussare i tratti più spigolosi del suo carattere.
«Dov’è finito il tuo anello?» le chiede Christopher improvvisamente, cogliendola di sorpresa, «È un po’ che non te lo vedo al dito».
Dorcas corre rapida a stringere l’anulare che le sembra così innaturalmente nudo, prima di decidere cosa rispondere.
«Non lo trovo più. Deve essermi scivolato». 
Christopher assottiglia gli occhi, senza dire nulla, e Dorcas quasi crede che la ramanzina che il figlio dodicenne di Orion e Walburga sta ricevendo a pochi minuti dal matrimonio della più grande delle sue cugine sia un argomento che attiri di più l’attenzione di suo marito.
«Non so cosa tu stia combinando» le sussurra, invece, infrangendo il silenzio, «ma sta’ attenta alle persone che frequenti. Non sono bei tempi».
Dorcas si irrigidisce immediatamente, perché, se le sue idee politiche sono sempre state chiare, quelle di suo marito, invece, le sono sempre apparse grigie. 
«Di che cosa stai parlando, Christopher?».
«So che stai lavorando a qualcosa. Siamo sposati da ventitré anni, Dorcas. Percepisco sempre quando sei coinvolta in qualcosa».
«E da chi dovrei stare in guardia?».
«Lo sai».
«Se te lo sto chiedendo, evidentemente no».
«Non offendere la mia intelligenza, Dor. Ultimamente c’è più di una fuga di gas e capitano strani incendi nel mondo Babbano».
«Credi che c’entri io?», chiede piccata.
«Sei mia moglie».
«Questa non è una risposta».
«È l’unica che avrai, perché credo di averti dimostrato a sufficienza quanto ti stimi e ti rispetti ma la mia stima e il mio rispetto sono sempre stati condizionati all’essere sposato con una brava persona. Non condividerei il mio letto con un’assassina».
Il tono di Christopher è un bisbiglio mentre Dorcas incassa le parole amare di quel marito che in quei lunghissimi ventitré anni ha sottoposto ad innumerevoli prove.
«Scusami. Non so cosa mi è preso», gli dice toccandogli la mano in un gesto di pace.
Christopher si rilassa immediatamente e le stringe la mano, annuendo, ancora assorto, spostando spesso lo sguardo sui volti dei presenti.
«Sta’ attenta. Tutto qui», le sussurra poco prima che l’orchestra cominci a suonare.
Le sorelle della sposa, avvolte in eleganti vestiti verdi, precedono l’ingresso di Bellatrix, elegantissima e splendida nel vestito bianco e argento, e di suo Cygnus Black.
l’espressione della sposa continua a sembrarle indecifrabile e sfuggente. Le poche volte che Dorcas l’ha scrutata con attenzione vi ha sempre letto un’inquietudine profonda, che ha avuto il potere di farla tremare.
Ha sentito alcuni invitati malignare ed affermare che i Black odiano sempre l’idea di legare il proprio cognome a quello di altri, che Bellatrix Black avrebbe reagito negativamente all’idea di divenire Lady Lestrange. 
Eppure, Dorcas è convinta che ci sia qualcos’altro a scuotere la giovane.
Il volto di Bellatrix non tradisce un’emozione, persino durante il rito prescelto, mentre ciascun membro della famiglia trattiene le fedi nuziali augurando prosperità e lunga vita alla coppia4.
Se il viso di Druella trasuda gioia e soddisfazione da ogni poro per l’unione appena celebrata, quello della primogenita le appare imperturbabile anche una volta iniziati i festeggiamenti.
Tra i volti degli invitati arrivati dopo la celebrazione, Dorcas rintraccia presto molti dei Mangiamorte, un elemento in più per corroborare le voci che Caradoc ha raccolto.
Rodolphus, molto più gioviale della consorte, viene presto raggiunto da Dolohov e Nott e, pur non riuscendo a cogliere le parole che questi gli rivolgono, Dorcas riesce a cogliere un’espressione compiaciuta e soddisfatta.
Se non fosse stata così attenta a scrutare ogni gesto, ogni dettaglio di quella conversazione, probabilmente si sarebbe accorta della sedia che suo marito ha momentaneamente abbandonato, ora occupata da Evan Rosier.
«Lady Meadowes», le dice con tono cordiale.
«Signor Rosier, anche lei qui». 
«Ero dall’altro lato della sala. Druella è mia cugina» spiega rapidamente, come a voler giustificare la collocazione in postazioni differenti.
«Splendida cerimonia. La cara Druella è imbattibile in questo genere di feste».
«Sono certo che ne sarà compiaciuta e, poi, ne è valsa la pena, no?» chiede, con fare retorico, ammiccando in direzione di Rodolphus.
«Immagino di sì».
«Notavo che osservava con attenzione lo sposo».
«È pur sempre il suo giorno e ho perso di vista la sposa» replica prontamente Dorcas.
«Naturalmente. Altrimenti, mia cugina non sarebbe contenta di sapere che quel prezioso vestito passa inosservato».
«Mi preoccuperò di dire a Druella che il vestito di Bellatrix è incantevole, Signor Rosier, ma le lezioni di buone maniere sono finite molti anni fa per me».
Evan Rosier ghigna nel rintracciare il nervosismo di Dorcas e l’unica cosa che lei riesce a pensare è che, mentre lei scrutava Rodolphus, Rosier scrutava lei.
«Mi sembra di ricordare che questo appartenga a te, Dorcas», le dice improvvisamente più serio, più duro, fissandola negli occhi e poggiando sul tavolo l’anello con lo stemma di famiglia dei Meadowes.
Delle strade percorribili in quel preciso istante, Dorcas decide di seguire quella della più spudorata diplomazia.
«Ti ringrazio, Evan», ribatte con una glaciale e costruita cortesia, «Devo averlo smarrito durante una delle riunioni del Consiglio. Erano settimane che lo cercavo».
Rosier la scruta attentamente, nel tentativo di cogliere qualsiasi espressione che possa farla cadere, che possa metterla a rischio più di quanto non sia già.
«Sono lieto di esserti stato d’aiuto, allora».
«Esattamente quand’è che siamo passati a darci del tu?», chiede Dorcas nel tentativo di rimettere una maggiore distanza tra lei e il suo interlocutore.
«Credo che tutto ciò sia avvenuto nel momento in cui hai sabotato il mio, il nostro piano, perché, no, tu questo anello non lo hai semplicemente smarrito, soprattutto non lo hai smarrito al Consiglio. Entrambi sappiamo perfettamente dove hai perso questo anello e che non eri lì per caso».
Dorcas deglutisce, spiazzata dalla schiettezza di Rosier e alla disperata ricerca di argomenti che possano respingerlo ma riesce a pensare soltanto a chiudersi, a barricarsi in un silenzio e nella più totale negazione degli eventi.
«Non so di cosa tu stia parlando».
Rosier scoppia a ridere riuscendo ad irritarla e colpirla nell’orgoglio ancora di più.
«Facciamo così, Dorcas. Non so come tu sia arrivata lì ma, per essere la donna che ha sussurrato alle orecchie di una totale incapace come Eugenia Jenkins al punto da renderla Ministro della Magia, ho sempre saputo di avere davanti una strega di enorme talento».
Dorcas si irrigidisce e i suoi occhi corrono dall’altro lato della sala dove siede il Ministro Jenkins, circondata dal suo nuovo entourage, intenta a fumare uno dei sigari che lei tanto detesta. 
Le parole di Rosier non sono altro che un’eco della sua ultima litigata con Eugenia e di quelle venute prima.
Dal momento in cui si è seduta sul seggio, Eugenia ha avvertito tutto il peso di una consigliera ingombrante come lei, così poco abituata ad essere contraddetta e comandare, così scomoda nelle retrovie. 
Più di ogni altra cosa, una volta arrivata in cima, ha sentito il bisogno di non condividere il suo successo con nessuno, di non essere più, come l’avevano definita più volte i suoi avversari, un «fantoccio nelle mani di Dorcas Meadowes» e ha reciso tutti i suoi rapporti con lei.
«Non credo di capire il punto, Signor Rosier, ma la pregherei di essere breve perché vorrei andare a cercare mio marito».
«Il punto, Dorcas, è che potresti unirti a noi».
Dorcas sbatte le ciglia, impreparata a quella proposta.
«A voi chi?».
«A Lord Voldemort. Potresti avere finalmente il posto che ti spetta e mostrare a quell’inetta filo-Babbana della Jenkins com’è che si governa una comunità magica».
«Non credevo avessi ambizioni politiche, Evan».
«Non ne ho, infatti, ma tu sì».
«Se le avessi avute, le avrei coltivate prima».
«Sappiamo bene entrambi che Philodemus non te lo avrebbe mai permesso ma non è questo quel che volevo dirti. Puoi fare qualsiasi cosa tu voglia, puoi eliminare qualsiasi tipo di ostacolo di questa società, puoi piegare questa società ai tuoi scopi».
«Temo di non essere interessata, Signor Rosier. Non amo le carneficine» incalza Dorcas, abbandonando finalmente la strada della diplomazia.
«Siamo Maghi. Dobbiamo usare la Magia», ghigna Rosier.
«Non per uccidere e torturare, non per essere degli assassini».
«Credo che la legge magica sia più complicata di così e in fin dei conti…sono solo Babbani, no?».
«Anche voi siete solo Maghi».
«Non hai idea di che tipo di Mago sono».
«Oh, no, Evan. Dall’inizio della nostra conversazione è questo che ti sfugge: io so perfettamente che razza di Mago sei, so perfettamente quel che sei disposto a fare e quali sono le tue risorse. Tu, invece, temo sia in alto mare perché, se solo avessi avuto la vaga percezione della Strega che sono, non avrei mai e poi mai osato chiedermi una cosa del genere».
Rosier si alza di scatto, finalmente irritato ed infastidito, serrando le mani in un pugno per seppellire la rabbia.
«Non ho intenzione di sprecare sangue magico, ma sono sicuro che un giorno riconsidererai la mia offerta» le dice prima di andarsene.
«Credo che per allora l’inferno sarà gelato».
La mente di Dorcas corre veloce a quello strano modus operandi di Rosier, a mille interrogativi che avrebbe potuto porgli, cercando di capire se la sua sia stata un’iniziativa isolata o se quella proposta di reclutamento sia arrivata dal Signore Oscuro in persona.
In entrambi i casi, questo conferma solo i suoi timori: i Mangiamorte sono alla costante ricerca di nuove forze nella prospettiva di nuovi e più efferati attacchi. 
Il punto finale di quel piano non può che essere avere un Ministero al loro servizio, giorno dopo giorno, pronto ad autorizzare e a chiudere gli occhi dinanzi ai loro orrori.
Di quel che le sembra un quadro piuttosto chiaro, le sfugge ancora il momento in cui Lord Voldemort deciderà chiaramente e dichiaratamente di iniziare a seminare il terrore tra i Maghi.
Per il momento è soltanto una leggenda, un uomo che si muove nell’ombra e di cui nessuno sa nulla, ragione per la quale comprendere cosa voglia è una vera e propria impresa.
Il suo storico motto «Conosci il tuo nemico» le sembra inapplicabile in questa guerra, come se stesse giocando a scacchi con un uomo senza volto.
Muovendosi per la sala, nel tentativo di ritrovare Christopher, scruta ogni volto nel timore che qualcosa sia per accadere ma la festa sembra uguale a tante altre e non c’è nulla di diverso se non il suo evidente turbamento.
Quando rintraccia finalmente la sagoma di suo marito, legge sui suoi occhi un’ombra nera e una furia che non gli ha mai visto.
Nei loro ventitré anni di matrimonio, suo marito è sempre stato la personificazione della calma, non lasciando mai a nulla il potere di scalfirlo. 
La raggiunge con pochi passi, noncurante delle persone urtate senza grazia.
«Dobbiamo andare via di qui. Immediatamente» dice perentorio.
«Che sta succedendo?».
Christopher si guarda intorno e trascina sua moglie fuori dalla sala lontana da occhi e orecchie indiscreti.
«È qui» le sussurra.
«Di chi stai parlando?».
«Lord Voldemort, il Signore Oscuro. È qui» le ripete non smettendo di stringerla in un moto di goffa protezione.
Dorcas realizza finalmente le ragioni di quel terrore e si stupisce nel sentirsi più vicina che mai a suo marito.
«Vuole attaccare…».
«No, Dor, non vuole attaccare. È un ospite, anche d’onore a giudicare da com’è circondato. Credo che i Lestrange abbiano deciso di seguirlo, alla fine» spiega frettolosamente.
«Che intendi con ‘alla fine’?» chiede Dorcas sospettosa.
Christopher scuote la testa e sospira, sempre accorto a non essere ascoltato, attraendo sempre più a sé la moglie.
«È successo un paio d’anni fa. Tu lavoravi ancora con Eugenia e sospetto che sia stato questo il motivo principale per cui sono stato invitato. Rosier aveva organizzato un incontro, proponendoci di affiliarci a questo gruppo per ‘scoprire nuovi orizzonti della Magia e riportare il giusto ordine nella società’. Sono andato via quasi subito, insieme ad Orion Black, ma molti erano attratti, soprattutto Lestrange… Merlino, Rodolphus avrà ventidue anni…».
Nel tentativo di elaborare le informazioni apprese da suo marito, Dorcas si impone una calma innaturale. Dopotutto, ha la possibilità di incontrare finalmente quel nemico invisibile, di vedere il suo volto e di scrutare, anche se solo per poco il suo modo di agire.
«Chris, ascoltami. Non possiamo lasciare il ricevimento così, facendo un’offesa a Cygnus e Druella. Diremo che ho avuto un malore e che è meglio rientrare. Va’ a cercare Cygnus, io ti raggiungo tra pochi istanti. Devo trovare Emmeline e andare via».
«Da quando tu sei amica di Emmeline Vance?».
«In questo momento non è rilevante. Arrivo tra pochissimo» lo esorta Dorcas, prima di sgaiattolare nuovamente all’interno.
Scruta la sala velocemente, scartando angolo dopo angolo il luogo in cui trovare Lord Voldemort in persona.
Trascina via Emmeline dalla chiacchierata con la sorella minore della sposa, senza spiegarle nulla, muovendosi a tentoni senza realmente vedere chi cerca di fermarla, chi rivolge loro uno sguardo scettico e chi si lamenta dell’andatura brusca.
«Mi spieghi che sta succedendo?», chiede Emmeline disorientata.
«È qui, Lord Voldemort è qui», dice Dorcas sbrigativa mentre l’amica si irrigidisce immediatamente.
È solo alla fine di un corridoio che ha visto percorrere da Theseus Nott che finalmente trovano l’ospite d’onore. 
«L’onore che avete fatto a mio figlio è grande, Signore», biascica  Radolphus Lestrange con un tono reverenziale che stride con la sua personalità autoritaria e boriosa.
«Sono certo che Rodolphus si rivelerà una grande risorsa per i nostri scopi».
Lord Voldemort sembra quasi a disagio in quella grande sala, nascosto ed eternamente protetto da alcuni dei suoi seguaci.
«Andiamo via. Non si sente nulla», dice Emmeline, visibilmente scossa.
Dorcas annuisce, voltandosi più volte mentre torna verso la sala, con addosso la sensazione pulsante di dover fare di più, persa a cercare un modo, uno solo, per poter bloccare quel gruppo di assassini chiusi in quella sala.
Ha appena rimesso piede nel salone quando si sente stringere il braccio con violenza da Evan Rosier che la osserva con l’aria più seria e minacciosa che mai.
«Glielo ripeto con congruo anticipo, Lady Meadowes. O con noi o contro di noi» sussurra prima di scomparire nel corridoio, verso il Signore Oscuro.

Theseus Nott, padre di Theodore. Ho scelto io il nome.
Radolphus Lestrange, padre di Rodolphus e Rabastan Lestrange.

3 La stessa JKR ha dichiarato che eventi magici e babbani tendono a sovrapporsi.
Il riferimento è al rito del Ring-Warming, rito anglosassone in cui le fedi passano di mano in mano. Ho immaginato che nel loro caso passassero con degli Incantesimi benauguranti.

Note: questo capitolo, in realtà, era pronto da fine Settembre. Ho atteso a pubblicarlo un po' per il Writober, un po' perchè speravo di aggiungervi altre tre scene. Ho provato e riprovato ma alla fine mi sono resa conto che stridevano e ho deciso di rielaborare diversamente.
Questo capitolo è un po' più corposo dei precedenti mentre il prossimo sarà l'ultimo conclusivo di questa prima parte della Prima Guerra Magica (almeno nella mia testa e salvi cambiamenti di programmi).
I dati sulla Bombed Out Church sono tutti controllati, mentre ovviamente la storia della strega bulgara è inventata di sana pianta. 
Sperando che vi sia piaciuto e ringraziandovi per l'attenzione,
Un abbraccio
Fede

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Lisbeth Salander