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Autore: Signorina Granger    05/02/2022    6 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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E dopo eoni rieccomi anche qui, scusate il ritardo T.T
Due parole veloci per comunicarvi che anche Renée non farà più parte della storia, salvo nominarla per esigenze di trama.
Buona lettura (spero)
Irene
 
 

Capitolo 13 – Non mi stupirebbe se l’avesse uccisa lei

 
 
Delilah Yaxley era praticamente sotto shock mentre attraversava i vagoni in compagnia di Prospero, che le camminava accanto tenendole gentilmente una mano sulla spalla, un po’ per pilotarla verso le cabine e un po’, probabilmente, per impedirle di darsi alla fuga.
Eppure la strega quasi non la percepiva, la stretta della mano dell’amico, troppo occupata a ripensare alla recente telefonata del fratello e a ciò che Cecil le aveva detto.
 
Prospero era stato a Londra prima di salire sul treno?
Prospero aveva parlato con Alexandra?
Prospero aveva ucciso Alexandra?
 
Delilah sollevò la testa per guardare l’amico, sbattendo ripetutamente le palpebre mentre l’immagine di Ro che ammazzava la Panterona prendeva forma nella sua mente.   Per qualche motivo, e la cosa non le fece piacere, immaginare Ro che uccideva qualcuno non le risultò poi così arduo. Si sentì persino in colpa per questo, e scosse la testa con un movimento appena percettibile mentre si rifiutava categoricamente di credere alle insinuazioni del gemello.
No, era assurdo, Cecil doveva aver detto una valanga di stronzate.
Ro non avrebbe mai fatto fuori la Panterona.
Eppure, era indubbio che le avesse mentito.
Ro era stato a Londra senza farle visita e soprattutto senza dirle nulla. Ed era andato da Alexandra senza fargliene mai parola in tutto il tempo che avevano trascorso insieme sul treno.  Perché?
All’improvviso, prendendo atto che il suo più caro e vecchio amico, quello che considerava da sempre alla stregua di un fratello, le aveva mentito spudoratamente per giorni su una cosa così importante, Delilah sentì la rabbia montare dentro di sé, e quando si voltò nuovamente verso Prospero lo fece guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure e la mano destra pronta ad assestargli un deciso colpo sulla collottola.
Era ridicolo anche solo pensare di aver paura di Prospero. Lei non aveva paura di Prospero. Lei avrebbe ucciso Prospero, se davvero aveva avuto la brillante idea di uccidere a sua volta la ex di suo fratello in un treno brulicante di Auror.
Brutto coglione, se davvero l’hai fatta fuori tu ti prendo e ti attorciglio quelle gambette e ci faccio un fiocco prima ancora che gli Auror ti prendano!”
“Ma che… Ma che ti prende adesso?! Vieni dentro e smettila di urlare.”
Piuttosto destabilizzato dal cambiamento repentino e dall’”aggressione” dell’amica, Prospero spalancò la porta della sua cabina e ci spinse dentro Delilah mentre la strega continuava, imperterrita, a schiamazzare minacce e di come invece di aiutarlo ad evadere da Azkaban gli avrebbe fatto visita in cella solo per prenderlo a ceffoni.
Come ti permetti di far fuori avvocati stronze e bionde e non solo di non dirmi nulla, ma di farti indagare per omicidio?! E io da chi vado in vacanza in Italia, se ti arrestano, ehh?!”
Sospirando rumorosamente Prosperò si voltò per chiudere la porta della cabina, ma Delilah ne approfittò per rendergli nota la sua ira colpendolo a ripetizione sulla schiena. Non sapeva se sentirsi più tradita per le sue bugie, terrorizzata all’idea che avesse potuto uccidere qualcuno, o furiosa perché rischiava di perdere il suo migliore amico.
“Ci hai pensato al fatto che se ti arrestano io resterò senza il mio migliore amico?! Ti rendi conto, dovrò fare lo shopping del Black Friday con Cecil! E lui ha un gusto di merda!”
Prospero stava iniziando a spazientirsi e quando si voltò di nuovo verso di lei aveva intenzione di intimare seccamente all’amica di sedersi, fare silenzio e ascoltarlo, ma si ritrovò a vacillare e ad addolcirsi quando scorse i grandi occhi lucidi di Delilah fissi su di lui, quasi implorandolo di dirle che le aveva mentito per un buon motivo e che non aveva ucciso nessuno.
Si era detto che non condividere con l’amica la sua visita ad Alexandra fosse la cosa migliore fin da quando l’aveva incontrata per caso sul treno, ma all’improvviso il senso di colpa che covava da giorni affiorò. Accennato un sorriso di scuse, Prospero fece l’ultima cosa che Delilah si aspettava: si chinò verso di lei e la strinse in un abbraccio, tornando ad essere per lei lo stesso amico rassicurante di sempre mentre la strega, spiazzata, se ne stava rigida con gli occhi spalancati dalla sorpresa e la guancia premuta contro il petto dell’amico.
“Delilah, ti prometto che non andrò ad Azkaban, ma adesso ci calmiamo, che ne dici? Ti siedi e parliamo.”
Liberatasi delicatamente dalla stretta dell’amico Delilah annuì, sollevando seria lo sguardo sul suo viso eternamente rilassato – ma forse solo all’apparenza – per rivolgergli un’occhiata gelida:
“Ok. Ma Ro, sii convincente e non dirmi stronzate, perché se mi menti e l’hai uccisa ti rado i capelli nel sonno.”
“Ti dirò le cose come stanno, a patto che lo faccia anche tu. So che non mi hai detto la verità nemmeno tu, quando ti ho chiesto che cosa avessi fatto a Berlino. Penso sia arrivato il momento di essere sinceri, Fogliolina.”
Con quelle parole Ro si voltò e si chinò sul pavimento per aprire la sua valigia, armeggiando brevemente nell’infinità di cose che era solito portarsi appresso mentre Laila, alle sue spalle, gli chiedeva accigliata che cosa stesse cercando.
“L’essenziale per fare due chiacchiere, ovviamente.”
Più serio che mai, Prospero ruotò su se stesso e tornò a rivolgersi all’amica tenendo in mano un fornello da campeggio, una moka enorme e due tazze. Stava cercando anche il sacchetto del caffè dopo aver sistemato il tutto su una sorta di tavolo pieghevole quando Delilah, gli occhi e le labbra spalancati in un misto di stupore e di indignazione, parlò assumendo lo stesso tono minaccioso di poco prima:
Porco Salazar… Hai avuto una moka e il caffè per tutto il tempo e non me hai mai offerto uno?! Ma non ti vergogni neanche un po’?! Non hai una coscienza?”
“Io porto sempre la moka con me, pensi davvero che uno nato e cresciuto in Italia possa sopravvivere a lungo all’estero bevendo brodaglia? Per chi mi hai preso?!”

 
*

 
Se qualcuno, chiunque, avesse messo piede nel vagone ristorante di sicuro sarebbe ammutolito di fronte al caos che aveva preso possesso dell’ambiente. E nessuno dei tre Auror che aveva occupato il vagone per dedicarsi con calma alle indagini avrebbe potuto dargli torto.
“Qui sembra che sia esplosa una bomba… Qualcuno vuole altro tè?”
Seduta di fronte a James al tavolo che erano soliti occupare per i pasti, Clodagh prese il lucido bollitore nero e lo sollevò con un sospiro, chiedendosi quando quell’eterno viaggio avrebbe trovato una fine. Nel versarsi l’ennesima tazza di tè, l’unica cosa che le consentiva di andare avanti nella lettura dei fascicoli sui passeggeri e sui membri dello staff, la strega gettò un’occhiata dubbiosa in direzione dei suoi due colleghi: James si stava dedicando all’attenta lettura di tutti i resoconti degli interrogatori, confrontandoli tra loro per accertarsi che le dichiarazioni collimassero, mentre Asriel si stava prendendo una pausa tenendo Zorba stretto tra le braccia.
La piccola testa nera appoggiata sull’incavo del gomito del padrone e gli occhi chiusi, il micio si stava godendo appieno le coccole mentre Asriel gli accarezzava gentilmente il capo con due dita, guardandolo adorante e mormorando frasi melense:
Chi è il gattino più dolce e buono del mondo?”
“Asriel, o dai una mano o prendi una stanza per te e per Zorba!”
Quanto sei carino… Sono in pausa caffè, non vedi?! E il caffè è la mia linfa vitale quando c’è un caso, dovresti saperlo meglio di chiunque altro.”
Seccato, l’Auror tornò rapidamente in modalità Brontolo e riportò lo sguardo sulla collega prima di indicare torvo la tazza di caffè che aveva davanti: quando Clodagh aveva chiesto ad un cameriere di portarle un bollitore pieno d’acqua, Asriel ne aveva approfittato per procurarsi il caffè che agognava da circa mezza giornata.
L’unica nota positiva di quella situazione, dopotutto, era avere tutto quello staff a disposizione.
“Si dia il caso che io lo sappia, dimentichi chi ti ha regalato quella tazza?”
Come si permetteva Brontolo di mettere in dubbio le sue capacitò mnemoniche quando si parlava delle abitudini del suo scorbutico partner? Offesa, Clodagh indicò la tazza da caffè bianca – che riportava la scritta “Leave me alone! I’m only speaking to my kitty today” – che il collega aveva davanti mentre James, distolta a sua volta la propria attenzione dal lavoro, annuiva serio:
“È assolutamente il regalo più adatto a te che si possa immaginare, Asriel.”
Sì, adoro questa tazza. Ma ciò non toglie che la pausa caffè sia sacra.”
“Pf, la usi come scusa per coccolare Zorba. Lo so che è carino, ma abbiamo bisogno di Asriel Concentrato, non Asriel Tenerone!”
“Hai ragione, ma è così adorabile… Va bene, scusa piccolo, ma devo lavorare e il tuo musino mi distrae.”
Sospirando, Asriel si vide suo malgrado costretto a prendere il micino e a lasciarlo delicatamente sul pavimento, pregandolo silenziosamente di perdonarlo con un’occhiata piena d’affetto mentre Zorba, dopo essersi leccato brevemente una zampa, trotterellava via per dedicarsi ad un’attenta esplorazione del vagone.
Soddisfatta, Clodagh allungò al collega un voluminoso pacco di fogli, resoconto dei casi in tribunale più recenti di Alexandra, e lo incaricò allegra di passarli in rassegna tutti mentre James, che nel frattempo era tornato a concentrarsi sulla lettura, rileggeva dubbioso la prima parte dell’interrogatorio di Delilah Yaxley.
 
Delilah aveva affermato di aver cenato tardi, la sera dell’omicidio, e di non essersi attardata a parlare con nessuno. Conosceva soltanto Prospero De Aureo sul treno, ma lo aveva incontrato solo il mattino seguente, prima di apprendere della morte di Alexandra.
Aveva cenato tardi, da sola, quando il vagone ristorante era deserto. L’unica persona che aveva visto, prima di tornare nella sua cabina, era stata Corinne Leroux.
 
James rilesse le frasi che lui stesso aveva scritto un paio di volte, mentre una piccola ruga faceva capolino nello spazio tra le sue sopracciglia: qualcosa non gli tornava. Le affermazioni della strega erano chiare, ma c’era qualcosa in quelle righe che non riusciva a convincerlo del tutto.
Dubbioso, il giovane Auror sfogliò irrequieto i resoconti degli interrogatori degli altri passeggeri finchè non ebbe tra le mani quello della stessa Corinne, rileggendone le prime righe come aveva appena fatto con quello di Delilah.
La ruga sparì dalla fronte di James, ma in compenso gli occhi azzurri gli finirono quasi fuori dalle orbite mentre spostava lo sguardo da un foglio all’altro, incredulo. Come aveva fatto a non farci caso prima?
“Porca miseria! Siamo stati degli idioti! … Non tu Asriel, scusa, tu sei fantastico.”
“Smettila di arruffianartelo, di che cosa parli JJ?”
Sbuffando, Clodagh liquidò rapidamente le moine di James con un gesto sbrigativo della mano, puntando seria gli occhi chiari sul collega più giovane senza più degnare di uno sguardo i fogli che aveva davanti. Cercando di reprimere un sorriso soddisfatto – avere l’attenzione di entrambi i colleghi lo riempiva di orgoglio, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere – James sollevò le dichiarazioni di Delilah, indicando la prima parte del foglio mentre Asriel e Clodagh lo studiavano con attenzione:
“Delilah Yaxley ha detto di non aver parlato con nessuno la prima sera, di non aver mai visto la vittima sul treno, ma in compenso ha detto di aver visto Corinne Leroux. E allora perché Corinne ha detto di non essere mai, mai uscita dalla sua cabina, quella sera?!”

 
*

 
“Che cosa ti ha detto Cecil?”
“Che sei stato da lei pochi giorni prima di salire sul treno. Quindi tutta la storia del viaggio era falsa?”
“No, ho solo fatto una… breve sosta a Londra. Davvero molto breve, sono semplicemente andato da lei, per questo non te l’ho detto. Ricordi quando mi hai scritto raccontandomi di tutta la storia di Cecil e del negozio?”
Delilah annuì mentre allungava la tazza che teneva in mano verso Prospero, guardando l’amico versarle una generosa dose di caffè prima di versarsene un po’ a sua volta. Considerata la sua nota semi dipendenza per quella bevanda era probabile che Prospero gliela stesse rifilando solo per rabbonirla, ma ne aveva così bisogno che decise di lasciarlo fare senza però mai smettere di fissarlo, dubbiosa.
“Certo.”
“È per questo che sono andato da lei, quel giorno. Le ho detto di lasciar perdere te e tuo fratello.”
“E me lo puoi dimostrare?”
“No. Temo che dovrà bastarti la mia parola, perché la nostra amica Alexandra non è più qui per fare altrettanto. Non l’ho uccisa, Laila.”
Prospero accennò un sorriso gentile prima di portarsi la tazza alle labbra e bere un sorso di caffè, riprendendo a parlare in tutta calma mentre faceva dondolare lentamente un piede e si guardava attorno con fare distratto:
“Credo che nessuno mi conosca meglio di te. Pensi che se l’avessi uccisa sarei stato così stupido da andare da lei solo pochi giorni fa? Sicuramente qualche Auror è già andato nel suo studio per farsi dare il registro delle visite, quindi a breve lo sapranno anche Garvey, Morgenstern e Hampton.”
“Te la vedrai brutta, quando lo scopriranno.”
“Non preoccuparti, me la caverò, come sempre. Mi interessa di più quello che pensi tu, al momento.”
Di nuovo, Prospero le sorrise senza smettere di stringere la tazza tra le lunghe dita pallide e affusolate, dondolare il piede e osservarla con gentilezza, in attesa di una sua reazione. Delilah lo osservò di rimando per qualche lungo istante, conscia che l’amico avesse ragione: se proprio doveva pensare a Prospero che uccideva qualcuno, era da escludere che potesse fare una mossa così stupida, del resto lo reputava da sempre la persona più intelligente che avesse mai conosciuto.
Alla fine, forse spinta anche dall’affetto smisurato che nutriva nei suoi confronti, la strega decise di credergli, mormorando qualcosa a bassa voce senza smettere di fissarlo attentamente di rimando:
“Non sei un idiota. Non saresti andato da lei, se avessi avuto intenzione di ucciderla. Ma che cosa le hai detto?”
“Scendere nei dettagli non è di nessuna utilità, ma potrei essere stato vagamente imperativo. Solo un po’.”
“Non dirmi che l’hai minacciata!”
“Mh, minacciare è una parola grossa. E comunque, a quanto sembra aveva nemici ben più agguerriti di me.”

 
*

 
“Una delle due deve aver mentito per forza. Ma perché la Yaxley dovrebbe inventarsi di averla vista? Che ci risulta, non si conoscono neanche.”
“Delilah non pronunciò il suo nome, disse di aver visto “la francese, quella bionda”, quindi per forza parlava di lei… ma se non sapeva nemmeno come si chiamasse, perché mentire sul suo conto?”
James indicò il punto dove aveva annotato le precise parole della fotografa, che aveva parlato come se non avesse idea di chi fosse Corinne Leroux. Aggrottando dubbioso le sopracciglia, Asriel si fece passare il foglio dal collega per studiarlo a sua volta mentre Clodagh incrociava le braccia al petto e si appoggiava allo schienale imbottito della panca dove era seduta, parlando con una scrollata di spalle:
“Forse sapeva benissimo di chi si trattava, invece. Corinne è famosa, no? Se Delilah ha ucciso Alexandra, può averlo detto per far ricadere i sospetti su di lei… Forse non solo sapeva benissimo chi fosse, ma anche della sua relazione con la vittima. Il coniuge, amante o partner che sia è sempre il primo sospettato… anche nel caso di un ex.”
“Parliamo con entrambe, una alla volta. Vado a chiamare la Yaxley.”
Asriel si alzò prima di dare il tempo ai colleghi di avanzare rimostranze, dirigendosi a passo di marcia verso l’uscita del vagone mentre Clodagh e James lo seguivano con lo sguardo, la prima del tutto rilassata e il secondo invece piuttosto scettico. Erano appena rimasti solo quando Clodagh, stiracchiandosi sollevando le braccia sopra la testa, sorrise con un luccichio divertito nei brillanti e arguti occhi chiari:
“Oh, beh, almeno siamo sicuri che verrà di corsa.”

 
*

 
Quando aveva bussato alla porta di Delilah Yaxley nessuno aveva risposto, e nessun rumore proveniente dall’interno della cabina aveva fatto intendere che la strega si trovasse effettivamente lì. Ciononostante Asriel, piuttosto determinato a parlarle, non si era fatto scoraggiare e si era rivolto senza esitare alla porta accanto, ovvero quella della cabina di Prospero De Aureo.
Dove altro poteva trovarsi la fotografa, se non dal suo amichetto del cuore?
 
Non a caso Asriel non si stupì affatto quando udì chiaramente delle voci, una maschile e una femminile, provenire da dietro la porta; voci che cessarono all’improvviso dopo che ebbe bussato.
“Signor De Aureo, avrei bisogno di parlare con la Signorina Yaxley. È con lei?”
Armatosi di pazienza, l’Auror sospirò e allacciò le mani dietro la schiena mentre udiva chiaramente Delilah rivolgersi all’amico con fare concitato. Non riuscì a decifrare le sue parole, ma udì una curiosa serie di tonfi e imprecazioni soffocate, come se qualcuno avesse rischiato di rovesciare qualcosa più di una volta.
 
“Ah, vuole parlare con me, non con te!”
Al suono della voce di Asriel Delilah era saltata in piedi – quasi fosse stata dotata di molle invisibili –, rischiando di rovesciare caffè, moka, fornello e tavolo pieghevole. Eppure, mentre Prospero si prodigava per salvare la cabina dal disastro, il sorriso esultante si congelò sul viso pallido della strega fino a sparire e cedere il posto ad un’espressione puramente allarmata:
“Per tutti i rullini, vuole parlare con me?! Perché vuole parlare con me?! Ro, che faccio?!”
“Laila, stai calma. Non hai ucciso Alexandra, andrà tutto bene, ok? Ora va’, sii fantastica e rendimi fiero.”
 
Delilah stava per pigolare che non era pronta, che era impossibile, che non si era nemmeno incipriata il naso, ma Ro la spinse verso la porta prima di spalancarla a tradimento, figurare davanti ad Asriel con un sorriso smagliante e stringendo le spalle dell’amica con un braccio:
“Salve! Eccola, è qui, tutta per lei.”
Delilah deglutì a fatica, chiedendosi dove fosse finita la sua saliva mentre lo sguardo gelido di Asriel la trapassava da parte a parte, scrutandola mortalmente serio.
“Mi segua per favore, Signorina Yaxley.”
Senza aggiungere altro l’Auror girò sui tacchi e si allontanò con Delilah al seguito dopo che Ro ebbe quasi spinto l’amica dietro all’ex Corvonero, al quale non risparmiò un ultimo commento zuccheroso:
“Mi raccomando, me la riporti tutta intera.”
 
Prospero e Delilah, dopo setti anni passati a darsi suggerimenti durante test ed esami vari, avevano sviluppato un’abilità nella lettura del labiale senza precedenti. Per questo, quando l’amica si voltò verso di lui, il mago riuscì chiaramente a decifrare la sua implorante e semi disperata richiesta di aiuto.
Per tutta risposta Ro si strinse nelle spalle sollevando le mani, come a chiederle che cosa avrebbe potuto fare prima di ripeterle silenziosamente di stare tranquilla. Delilah sbuffò prima di voltarsi e seguire Asriel verso la I classe, borbottando che per lui era facile parlare.
La colpa, ovviamente, come sempre era tutta di Cecil. Lui e i suoi gusti di merda in fatto di donne.

 
*

 
“Signorina Yaxley, sarò chiaro. C’è qualcosa nelle sue dichiarazioni che non collima con quelle di un altro passeggero.”


Merda, qualcuno sa di Cecil e della Panterona. Stupido Cecil. Dovevo eliminarlo quando potevo, nella culla.
 
“Ha dichiarato di aver scorto la Signorina Corinne Leroux la prima sera, prima dell’omicidio. È corretto?”
Delilah si aspettava domande su suo fratello, sul perché fosse sul treno, non certo su un’altra passeggera di cui sapeva poco e nulla. Visibilmente interdetta, la strega spostò perplessa lo sguardo da Asriel, che le sedeva di fronte, a Clodagh fino a James – tutti con gli occhi fissi su di lei –  prima di annuire senza capire il motivo di quel quesito:
“Io… Sì. Credo di averlo detto. È la verità, l’ho vista.”
“Prima o dopo aver cenato? È importante che sia precisa.”
“Dopo. Stavo tornando nella mia cabina e l’ho vista in I classe, devo passare da lì per forza per andare nella II dal vagone ristorante.”
“Che ora era?”
“Non lo so di preciso, le dieci passate o qualcosa del genere. Perché me lo chiedete?”
 
“Perché la Signorina Leroux afferma di non essere mai uscita dalla sua cabina, quella sera. Ne dedurrà che c’è un problema e che evidentemente una di voi due mente, Signorina Yaxley.”
 
Sempre più confusa, Delilah spostò attonita lo sguardo da un Auror all’altro mentre i suoi dubbi non facevano che duplicarsi: quando Asriel l’aveva cercata si era detta che di certo avevano scoperto che aveva mentito, ma di sicuro non si aspettava che l’accusassero di aver inventato storie su una passeggera che nemmeno conosceva.
“Cosa? Io… Io non conosco Corinne Leroux. Perché dovrei aver mentito su di lei?!”
Delilah non sapeva un bel niente di Corinne Leroux, solo che come Cecil era una sventurata ex della vittima.
 
Ehy, ma quella aveva il fetish per i gemelli o cosa?
 
“Se l’ha uccisa lei sarebbe comodo affermare di averla vista in giro.”
Alle parole di Clodagh Delilah si sentì avvampare e aprì la bocca senza emettere un suono, scandalizzata, sforzandosi di parlare mentre i suoi peggiori timori prendevano rapidamente forma.
“Io non ho ucciso nessuno! Chiedete alla francese che cosa ci faceva in I classe, se ha affermato il contrario!”
“Non si preoccupi, è quello che faremo. Ma prima… sa descrivermi qualcosa della Signorina Leroux relativamente a quella sera?”
“L’ho vista di sfuggita, non sono stata lì a fissarla…”
Delilah strinse nervosamente le braccia al petto e si abbandonò contro lo schienale della panca, sospirando mentre Clodagh, sorridendole gentilmente, le allungava un foglio e una delle penne a tema natalizio di James:
“Ma lei è una fotografata, sono sicura che sia attenta ai dettagli. Scriva quello che le viene in mente, per favore.”
 
Dopo una breve esitazione Delilah annuì, mormorando un assenso prima di prendere carta e penna. Mentre cercava di ricordare qualche dettaglio dell’aspetto dell’ex fantina, che aveva solo incrociato di sfuggita nel vagone della I classe, la fotografa scorse Clodagh avvicinarsi leggermente ad Asriel e mormorargli qualcosa all’orecchio. Lui annuì, serio, e Delilah deglutì prima di tornare a fissare con insistenza il pezzo di carta che aveva davanti.
Pensa Laila, pensa.

 
*

 
“Signorina Leroux, considerando che ha avuto una relazione con la vittima penso che non serva che io le ricordi quanto sia difficile la sua posizione. È pregata di dirci la verità.”
“Non vi ho mentito. Ho ammesso i miei trascorsi con Alexandra e ho detto la verità sulla rottura e sul perché mi trovo su questo treno. Tutto quello che ho detto su di lei è vero.”
“Forse, ma qualcuno afferma di averla vista la sera dell’omicidio. In I classe. Lei alloggia lì, e non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che lei, Signorina, ha affermato di non aver lasciato la cabina. C’è un testimone oculare, intende forse negare?”
 
Merde
 
Chi poteva averla vista? Corinne esitò, gli occhi chiari fissi su Asriel e le labbra serrate. Non avrebbe mai glissato sulla sua visita ad Alexandra se avesse immaginato che qualcuno l’aveva vista. Quella bugia non faceva altro che metterla in una posizione ancora più difficile.
“Chi è il testimone?”
“Le domande non le fa lei, qui.”
“Io… sono andata da lei. Ma non… Non l’ho uccisa, lo giuro. Non l’ho detto perché mi avreste accusata senza nemmeno darmi il tempo di spiegare, so benissimo che sono l’assassina più plausibile, qui. Vi dirò che cosa è successo ma voglio sapere chi mi ha vista.”
“La persona con cui abbiamo parlato afferma di averla vista nel vagone della I classe mentre faceva ritorno dal vagone ristorante. Pare che le sia letteralmente passata davanti.”
“Come?”
Improvvisamente Corinne parve non capire, e spostò confusa lo sguardo da un Auror all’altro mentre Asriel, sedutole di fronte, la guardava torvo.
 
Ecco, vedi a fidarsi dei francesi!
 
“Le è passata davanti, Signorina Leroux, quindi è difficile immaginare che non l’abbia riconosciuta o confusa con qualche altra passeggera, vero?”
“Lei non capisce, Monsieur Morgenstern. Non c’era nessuno. Né quando sono uscita dalla cabina di Alexandra, né quando sono uscita dalla mia per bussare alla sua porta. Se qualcuno mi fosse passato davanti sarebbe stato impossibile per me non vederlo, non le pare?”
“Sta mentendo.”
Rifiutandosi categoricamente di accettare che le parole di Corinne corrispondessero al vero, Asriel parlò stringendo i bordi del tavolo con tanta intensità da farsi sbiancare le nocche, la voce resa tremante dalla rabbia. Corinne però non si scompose, come sempre, e si limitò a guardarlo torva mentre inarcava un sopracciglio biondo e perfettamente curato:
“Che motivo avrei? Ho ammesso di essere andata da Alexandra. Perché dovrei mentire su questo? Non c’era nessuno nel vagone, lo giuro.”
Disgraziatamente Corinne aveva ragione, non aveva senso mentire. Chiedendosi perché quel caso diventasse sempre più assurdo, Asriel fece del suo meglio per trattenere un’imprecazione mentre Clodagh si alzava improvvisamente in piedi senza dire nulla, il foglio che poco prima aveva dato a Delilah in mano.
“Torno subito, scusatemi.”
“Dove stai andando Clo?”
“Devo parlare con una persona, non ci metterò molto. Lei resti qui, Signorina.”
Senza dare ulteriori spiegazioni Clodagh uscì decisa dal vagone ristorante, gli sguardi perplessi dei colleghi e di Corinne puntati addosso. Tuttavia, pur non sapendo che cosa avesse in mente Clodagh – né con chi volesse parlare – Asriel decise di affidarsi alla collega prima di tornare a rivolgersi, glaciale, alla francese:
“Ci dica perché è andata da lei. E che cosa è successo. Non si azzardi a mentire ancora, o avrò modo di vedermi in modalità sgradevole e le assicuro non le piacerà per niente.”
Chissà perché, Corinne non ebbe alcun dubbio sulla veridicità delle parole dell’Auror.

 
*

 
Dopo aver bussato Clodagh aspettò pazientemente sulla soglia, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre sperava che i suoi dubbi si rivelassero fondati. Quando la porta si aprì l’irlandese sorrise, rivolgendosi gentilmente alla bella ragazza dai grandi occhi castani che aveva davanti:
“Mi dispiace molto disturbarla, Signorina Picard. Avrei bisogno del suo aiuto, le dispiace se le rubo un momento?”
“Oh, no. Vuole entrare?”
“Grazie.”
Sorridendo, Clodagh accettò l’invito e superò la francese per entrare nella cabina mentre Clara, confusa e preoccupata, le chiudeva lentamente la porta alle spalle.
Quella novità delle “visite a domicilio” non le piacque nemmeno un po’, ma si rilassò quando l’Auror le porse il foglio piegato a metà che teneva in mano:
“Questa è una descrizione sommaria che ci è stata fatta della sua amica, la Signorina Corinne. Lei la conosce bene, no?”
Oui, direi molto bene.”
“Fantastico. Può dirmi se pensa che sia appropriata? Se c’è qualcosa che non la convince me lo dica, per favore. Ci pensi bene. E me lo dica se non capisce qualcosa.”
Clara annuì, aprendo il foglio per leggerne il contenuto sotto lo sguardo attento e speranzoso di Clodagh, che prese a tormentarsi le mani durante l’attesa.
Fortunatamente non era passato che un minuto quando Clara, accennando un debole sorriso, riportò gli occhi su di lei scuotendo il capo:
“Posso sapere chi ha scritto queste cose?”
“Perché?”
“Beh, non è molto… fedele, come descrizione. O meglio, forse dovrei dire verosimile. Non mi convince del tutto.”
Clara sventolò leggermente il foglio chiedendosi perché fosse tanto importante e soprattutto chi avesse descritto quel particolare ritratto della sua amica. Dall’espressione dell’Auror però, che mosse un passo verso di lei senza smettere di guardarla con impazienza, intuì che fosse molto importante.
“Sotto quale aspetto?”
“Oh, è una sciocchezza. Vede, qui c’è scritto che Corinne indossava un vestito con dei collant… Il fatto è che lei non porta mai le calze, da sempre, l’ho sempre presa in giro dicendo che un giorno si sarebbe presa la polmonite.”
Clodagh esitò mentre i suoi occhi chiari saettavano pensierosi sul foglio che Clara teneva in mano. Si sforzò di ricordare se le fosse mai capitato di vedere la francese indossare un vestito con delle calze, ma ben presto si rese conto che Clara aveva ragione: le era persino capitato di indugiare con lo sguardo sulle gambe nude dell’ex fantina e domandarsi come potesse resistere al freddo in quel modo.
“Venga con me, Signorina Picard.”

 
*

 
“Perché ha deciso di andare da Alexandra?”
“Non sapevo che si trovasse sul treno quando sono salita, su questo voglio sia chiaro che non ho mentito. Ma quando uno dei facchini ha preso i miei bagagli per portarli nella cabina l’ho sentito parlare con un altro ragazzo… Gli ha detto qualcosa sui bagagli della “Signorina Sutton”. Ho pensato ad un caso di omonimia, ovviamente, anche se ero già certa che fosse lei considerando che ha – aveva, scusate – una casa a Nizza, come sapete… ma poi ho visto la valigia. Era inequivocabilmente la sua.”
“Come ne era così sicura? È una valigia comune, seppur costosa, se ne vedono diverse in giro.”
Corinne non rispose subito, guardandosi distrattamente le unghie curate delle mani mentre ripensava al momento in cui aveva posato lo sguardo sulla valigia di Alexandra, riconoscendola all’istante.
“Perché quella valigia glie l’ho regalata io. Avete notato le iniziali vicino al manico? L’avevo fatta personalizzare perché era il genere di cosa che lei adorava… l’idea che quello che possedeva fosse unico. Quindi ho capito che si trovava sul treno, come me, e ho sentito il numero della cabina. Ci ho pensato parecchio, ma alla fine ho deciso di farle visita.”
“Perché?”
Conscia che a quel punto mentire non avesse senso, Corinne sospirò e decise di dire la verità mentre sollevava seria lo sguardo su Asriel, osservandolo impassibile e senza che nessuna emozione particolare trasparisse dal suo volto:
“Perché ero arrabbiata, Monsieur Morgernstern. Vi ho detto che cosa ha fatto a me alla mia famiglia, dopo che l’ho lasciata. Non l’avevo più vista, volevo che mi guardasse in faccia e mi chiedesse scusa. Naturalmente non l’ha fatto, non chiedeva mai scusa. Ma ribadisco, non l’ho uccisa. Era viva quando sono uscita.”
Rammentando lo stato in cui versava la cabina della vittima quando vi avevano messo piede, James si accostò leggermente al collega per suggerirgli con un filo di voce di chiedere a Corinne qualcosa a riguardo. Per un istante il ragazzo temette che il collega lo mandasse a quel paese, ma Asriel si limitò ad annuire continuando a tenere gli occhi fissi su Corinne prima di chiederglielo.
 
“Le tende erano strappate, lo specchio rotto… è stato a causa sua?”
A giudicare dalla reazione della strega, sembrò che Corinne non avesse sinceramente idea di che cosa stessero parlando: aggrottò entrambe le sopracciglia, osservando dubbiosa l’Auror prima di scuotere il capo con decisione, senza esitare.

“Assolutamente no. Abbiamo discusso, o meglio, io mi sono infuriata e lei mi guardava annoiata con una sigaretta in mano, ma non ho tirato fuori la bacchetta e non ho rotto niente. Lo giuro.”

 
“Perché vuoi che ti chieda scusa? Ho iniziato a rappresentare il vostro competitor, e allora? La Francia è un Paese libero, no? Devo chiederti il permesso prima di accettare un cliente, forse?”
Comodamente seduta sul divanetto dell’enorme e lussuosa cabina, Alexandra si versò un goccio di whisky dalla bottiglia di cristallo che le era stata fatta trovare su un vassoio tenendo mollemente la sigaretta appena accesa tra le labbra e senza degnare Corinne di uno sguardo.
La francese, che stava in piedi davanti a lei con le braccia strette al petto in una morsa ferrea, la scrutò
“Non parlo solo di quello e lo sai benissimo. Come sai benissimo quanto tu abbia danneggiato pubblicamente me e l’Haras di famiglia spifferando della nostra relazione ai quattro venti! Potevi anche risparmiartelo!”
“Beh, visto che era finita ho pensato che non fosse più un segreto. Ho fatto male?”
Alexandra riuscì a fatica a celare un sorriso mentre spalancava teatralmente i grandi occhi chiari, la sigaretta che le penzolava dalle labbra mentre guardava Corinne con innocente stupore. Infine, accennando un sorriso, l’ex Grifondoro afferrò la sigaretta con due dita prima di muoverla distrattamente verso Corinne, osservandola inclinando la testa e con un’espressione divertita che tante volte la francese le aveva visto in faccia prima di decidersi a lasciala.
“Ti vedo agitata, sicura di non volere una sigaretta?”
Corinne rifiutò la sigaretta, limitandosi a mandarla al diavolo nella sua lingua madre prima di voltarsi, aprire la porta della cabina e andarsene con il fastidioso eco della risata divertita della sua ex alle spalle.

 
 
“Signorina Leroux?”
Riscossasi, Corinne tornò a fissare Asriel sbattendo ripetutamente le palpebre, cercando di arginare i ricordi mentre cercava di rammentare, invano, che cosa l’Auror le avesse chiesto.
“Mi scusi. Può ripetere la domanda, Monsieur?”
“Le ho chiesto come le è sembrata. Se era agitata, o nervosa, o se ha accennato di star aspettando qualcuno.”
“Non era agitata, tutt’altro. Non so se aspettasse qualcuno, mi è solo sembrata sorpresa di vedermi, quando ha aperto la porta. Però…”
All’improvviso un dettaglio rimasto sopito riaffiorò nella memoria di Corinne, che aggrottò brevemente la fronte mentre i tre Auror la guardavano, speranzosi e in attesa, e Asriel si allungava appena verso di lei senza smettere di stringere il bordo del tavolo:
“Però cosa?”
“… Teneva la bacchetta in mano, quando mi ha aperto. Poi l’ha appoggiata sul tavolo, ma quando mi ha aperto la teneva in mano.”

 
*

 
“Tutto questo non ha il benchè minimo senso. Una afferma di averla vista, l’altra ammette di essere andata dalla vittima ma che non ci fosse nessuno nel vagone. Perché la Leroux dovrebbe negare di essere stata vista se ha ammesso di essere andata da lei? Non ha senso.”
“Forse l’ha uccisa lei e, emh, cerca di mettere in dubbio la credibilità di Delilah per farci sospettare di lei? In effetti è molto contorto…”
Piuttosto dubbioso, James parlò sbattendo nervosamente le palpebre mentre ripensava, accigliato, ai colloqui appena avuti con le due streghe, dove ognuna affermava cose diverse creando un quadro totalmente insensato.
Asriel, seduto accanto a lui mentre aspettavano che Clodagh tornasse, sospirò rumorosamente mentre fissava, torvo, il tavolo ingombro:
“Le possibilità sono tre. Primo, la Yaxley si è inventata tutto per mettere in cattiva luce la Leroux, ma per un’assurda coincidenza ci ha preso e lei è davvero uscita dalla sua cabina, quella sera. Secondo, la Yaxley ha le allucinazioni, ma sempre per un’assurda coincidenza la Leroux si è davvero trovata nel vagone della I classe, ad un certo punto. Terzo, la Leroux nega l’evidenza per far perdere credibilità all’altra. Perché diamine non ci sono telecamere, su questi treni?! Non ci sono altri testimoni, non possiamo confutare una delle due versioni!”
“Peccato che non ci sia un Legilimens, sarebbe davvero facile scoprire la verità… Non possiamo scoprire chi mente con un incantesimo? Il Veritaserum è illegale, ma si può utilizzare la Legilimanzia per le indagini, no? Ti ho visto farlo solo qualche mese fa, con quel tizio che usava la Maledizione Imperius per costringere i Babbani a dargli soldi o cose gratis…”
“Solo se ci sono prove schiaccianti e non è questo il caso, non possiamo usare la Legilimanzia su quelle due, ci potrebbero dare una sospensione. Dove è finita Clodagh? Forse è meglio se vado a cercarla.”
Sperando che la collega non si fosse cacciata nei guai e chiedendosi che cosa fosse andata a fare con tanta fretta Asriel fece per alzarsi e lasciare il vagone ristorante quando la porta si aprì e Clodagh, sorridendo, fece la sua provvidenziale apparizione sull’ingresso:
“Scusate ragazzi, mi era venuta in mente una cosa e pare che io dopotutto abbia ragione. Venga Clara, si sieda.”
“Perché sei andata dalla Signorina Picard?”
Mentre Clodagh li raggiungeva con una Clara visibilmente confusa tanto quanto loro al seguito, James spostò perplesso lo sguardo da una strega all’altra mentre Asriel, accanto a lui, bofonchiava qualcosa sui francesi.
Dopo aver invitato con un cenno gentile Clara a prendere il posto precedentemente occupato prima da Delilah e poi da Corinne Clodagh sfoggiò un sorriso allegro, rivolgendosi ai colleghi con aria visibilmente soddisfatta:
“Ho mostrato alla Signorina Picard quello che ha scritto Delilah, lei conosce particolarmente bene Corinne… e secondo lei, questa descrizione ha qualcosa di strano.”
“Davvero? Riguardo a che cosa?”
Tornando serio e dimenticando momentaneamente le sue rimostranze sulle origini della strega Asriel si mise improvvisamente dritto sulla sedia e catalizzò tutta la sua attenzione su Clara, che indugiò brevemente con lo sguardo su Clodagh prima di rispondere in sincro con l’Auror:
“I collant.”
Non era esattamente la risposta che Asriel si aspettava. Lui e James si scambiarono un’occhiata stralunata, dopodiché l’ex Corvonero tornò lentamente a guardare Clara e poi Clodagh, indeciso se infuriarsi, scoppiare a ridere o prendere il tavolo a testate. E perché Clodagh sorrideva? Forse stavano tutti perdendo definitivamente il senno.
“… Cioè tutto questo… dipende da un paio di calze?!”
“Beh, sai come si dice, no? Il diavolo sta nei dettagli.”
Forse doveva prendere in considerazione il ritiro dalla carriera, dopotutto.

 
*

 
“Io non capisco proprio… Mi hanno chiesto di Corinne Leroux. Quando mi hanno interrogata ho detto di averla vista in I classe, la prima sera, ma lei aveva affermato di non essere mai uscita dalla sua cabina. Mentiva, ovviamente, e pare che adesso abbia ammesso di essere andata dalla Panterona, ma afferma anche che io non posso averla vista perché nel vagone non c’era nessuno quando lei è uscita! Non ha assolutamente senso, Ro!”
Delilah stava misurando nervosamente a grandi passi la sua cabina, facendo avanti e indietro mentre Prospero la osservava dal letto dell’amica, seduto con Kiki in braccio e gli attenti occhi scuri fissi su di lei mentre cercava a sua volta di comprendere la situazione:
“Ma tu l’hai vista, Laila?”
“Certo che l’ho vista, perché dovrei mentire su questo? È lei che sta mentendo! Non mi stupirebbe se l’avesse uccisa lei.”
Delilah si fermò per sbattere nervosamente un piede sul pavimento, chiedendosi perché la francese negasse l’evidenza. Ro prese ad accarezzare il soffice pelo maculato di Kiki mentre fissava assorto il finestrino della cabina dell’amica, mormorando che naturalmente le credeva:
“Sono sicuro che tu l’abbia vista, Laila… Forse vuole metterti in cattiva luce. Considerando che è la ex della vittima, se gli Auror credono a lei potrebbero pensare che tu l’abbia uccisa per poi indirizzarli sulla colpevole più plausibile.”
“Ma non possono pensare che sia stata io! Cioè, io non posso andare ad Azkaban! No, no, io non ci vado, vedi di aiutarmi a fuggire in Messico se le cose dovessero mettersi male.”
“Non ce ne sarà bisogno, credimi.”
 
Sentendosi più che mai vicina ad una crisi di nervi, Delilah si passò le mani tra i capelli color pece mormorando che, una volta scesa da quel treno, avrebbe categoricamente smesso di festeggiare il Natale. Non solo, non sarebbe mai più salita su un treno, né tantomeno avrebbe mai messo più piede a Berlino.
“La cosa peggiore è che Cecil me lo ha detto, di non farlo. Mi ha detto di non seguirla. Perché non ho ascoltato Cecil l’unica volta in 29 anni in cui ha detto una cosa sensata, Ro?!”
“Perché sei testarda come un mulo, e perché gli vuoi bene. Come gliene voglio io… forse ho sbagliato anche io, ad andare da lei. E soprattutto a non dirtelo. Ma ormai non ha senso rimuginare, l’importante è uscire da questa situazione.”
Chiedendosi come facesse l’amico a restare così calmo, Delilah stava per domandargli cosa sapesse del clima messicano quando qualcuno bussò insistentemente alla porta, facendo raggelare la strega.
“Signorina Yaxley? Dobbiamo parlare con lei.”
“Ancora? Merda, mi vorranno accusare? Mi sta per venire un attacco cardiaco, me lo sento, ho male al braccio sinistro…”
Sospirando, Ro si alzò e intimò con un sussurro all’amica di stare tranquilla prima di stamparsi un sorriso sulle labbra, attraversare la distanza con la porta con due sole, lunghe falcate e infine aprirla trovandosi Clodagh davanti.
“Salve. Senta, non è che per caso potrei venire con Delilah?”
“Scusi Signor De Aureo, non è il caso. Venga Signorina, dobbiamo chiarire una cosa con lei.”
Imprecando con un filo di voce, Delilah seguì l’Auror fuori dalla cabina e si allontanò dopo essersi voltata verso l’amico per sillabare la parola “MESSICO”, facendolo sospirare. Prospero guardò le due allontanarsi prima di chinare lo sguardo sul suo gatto, sospirando rumorosamente:
“Possibile che quella strega ci crei così tanti problemi anche da morta, Kiki? Forse sarebbe stata una minor seccatura da viva, dopotutto.”
 

 
*

 
“Signorina Yaxley, a quanto pare è pressoché impossibile che lei abbia realmente visto Corinne Leroux fuori dalla sua cabina.”
“Come scusi?! Mi sta prendendo in giro?! Ha ammesso di essere uscita!”
“Sì, ma la sua descrizione non è molto realistica… ha detto che indossava delle calze?”
“Sì, avevano una fantasia strana, me le ricordo per questo. Ho pensato che non le avrei mai acquistate perché detesto le calze con la fantasia. Che c’è di strano nelle calze?”
Che cosa gliene fregava agli Auror delle calze?! La situazione si stava facendo quasi tragicomica, se doveva discutere di collant col Manzo Apocalittico a proposito della morte della Panterona, ma Asriel sembrava mortalmente serio, come se la questione fosse di particolare rilevanza.
“Pare che la Signorina non porti le calze. Mai. Nessuno di noi l’ha mai vista con quelle addosso da quando siamo sul treno, e lo conferma anche la sua amica.”
“E vi affidate alle parole della sua amica? Molto comodo.”
“Abbiamo controllato il bagaglio e la cabina della Signorina. Niente calze. Zero. Potrebbe averle gettate via, ma non ne abbiamo trovato traccia nemmeno tra i rifiuti. Non può averle bruciate, né fatte sparire con la magia. E ha detto che il suo vestito era rosso, vero?”
“Sì.”
Delilah annuì, le mani strette nervosamente sui bordi della banca mentre ripensava, senza capire, all’incontro fugace che aveva avuto con la strega. Non stava mentendo né inventando nulla, ma perché ciò che aveva visto sembrava non coincidere con la realtà?
“Non abbiamo trovato nemmeno quello. Ora, a meno che non ci sia una sorella gemella di Corinne Leroux che è andata a zonzo per il treno con abiti che non appartengono a Corinne Leroux e che non abbiamo trovato, ci viene da pensare che lei non stia dicendo la verità, Delilah.”
 
Delilah aprì la bocca per abbaiare ad Asriel che non stava mentendo e che non le importava un bel niente dei vestiti della francese bionda, sapeva quello che aveva visto. Tuttavia le parole dell’Auror, seppur evidentemente sarcastiche, le fecero venire in mente qualcosa. La strega serrò lentamente le labbra e fissò le parole che lei stessa aveva impresso su quel foglio di carta mentre una possibilità che non aveva ancora considerato di faceva rapidamente strada nella sua mente.
“Ecco… ci sarebbe un’altra possibilità che spiegherebbe tutto, a dire il vero.”
“Di che cosa parla?”
“Io ho della… Pozione Polisucco, in valigia. Se qualcuno l’avesse presa potrebbe aver preso le sembianze di Corinne. Non sto mentendo, ma forse non lo sta facendo nemmeno lei.”
Mentre i tre la guardavano increduli Delilah chinò il capo, a disagio, evitando di ricambiare i loro sguardo prima che Asriel, superato lo sbigottimento iniziale, prendesse a parlare scandendo le parole in maniera preoccupantemente lenta:
“Delilah Yaxley. Lei ha… della Pozione Polisucco in valigia e non ha mai pensato di dircelo? Non ha pensato che forse avremmo dovuto sequestrarla dopo un omicidio? Restate qui, io vado a cercarla.”
Ormai deciso a darsi all’apicultura una volta tornato in Inghilterra e aver sistemato il responsabile di quel casino, Asriel si alzò e uscì deciso dal vagone sibilando imprecazioni metà in tedesco e metà in inglese. Rimasti soli con Delilah, Clodagh e James si scambiarono un’occhiata inquieta – entrambi sperando che il collega non devastasse il treno – prima che l’irlandese tornasse a rivolgersi a Delilah con un basso sospiro:
“Qualcuno sapeva della Polisucco, Delilah?”
“No.”
“Nemmeno Prospero De Aureo?”
“Non l’ho detto neanche a lui, no. Nessuno dovrebbe saperlo.”
“L’ha usata?”
“No.”
“Perché l’ha portata con sé? È andata a Berlino per lavoro, no?”
“Può servire, nel mio lavoro.”
Delilah si strinse nelle spalle, evitando di guardare Clodagh mentre ripensava all’esatto momento in cui aveva messo la fialetta in valigia. Non si poteva mai sapere.
L’Auror invece sospirò mentre osservava l’ex Serpeverde, per qualche motivo certa che non avesse a che fare con l’omicidio.
“Delilah, sa che è illegale, vero?”
“… Lo so. Ma non potete provare che l’abbia prodotta io.”
Delilah sollevò il capo per ricambiare lo sguardo dell’Auror, che dopo una breve esitazione accennò un debole sorriso e annuì. Era certa che l’avesse realizzata lei, ma in fin dei conti la fotografa aveva ragione, non potevano provarlo.
“Ma non l’ho bevuta. E ne ho portata davvero poca, se qualcuno l’ha presa per assumere le sembianze di Corinne non ne sarebbe rimasta per me. E viceversa, se l’avessi usata a scopi personali prima di salire sul treno, non ne sarebbe rimasta per chi ha preso il posto di Corinne.”
 
Mentre aspettavano che Asriel facesse ritorno James e Clodagh si allontanarono dal tavolo per discutere della situazione lontano dalle orecchie di Delilah e James, avvicinatosi all’amica, accennò in direzione della fotografa prima di parlare con tono dubbioso:
“Dovremmo arrestarla per la Polisucco?”
“Ha ragione, non possiamo provare che l’abbia realizzata lei, e se davvero non l’ha bevuta tecnicamente non ha infranto la legge… Forse, considerando che ci sta aiutando con la questione dell’omicidio, potremmo anche chiudere un occhio.”
“Ma bisognerà convincere Asriel, non sarà facile.”
“A Brontolo penso io.”
 
 
Una decina di eterni minuti dopo – che Delilah trascorse a tormentarsi le mani pallide e James ad accarezzare Zorba, commosso dal fatto che finalmente un gatto gli dimostrasse affetto abituato com’era ad Alpine – Asriel fece finalmente ritorno nel vagone ristorante, a mani vuote e con l’espressione peggiore che Clodagh gli avesse mai visto sulla faccia da diverso tempo a quella parte.
Cavolo, ha la stessa faccia di quando finirono i brezel al chiosco… Non promette bene. Trovato qualcosa, caro?”
“Niente. Niente Polisucco. O la qui presente signorina l’ha usata, oppure se ne è liberata. Potrebbe anche averla messa in qualche altra cabina per indirizzare i sospetti altrove.”
“Che cosa?! Oh, insomma, ma mi avete presa per Cercei Lannister?! Mi si sta friggendo il cervello con tutti questi sotterfugi assurdi!”
“Chi è costei?!”
Asriel parlò aggrottando le sopracciglia, chiedendosi di chi stessero parlando mentre Clodagh e James sospiravano rumorosamente, alzando gli occhi al cielo e manifestando la loro incredulità di fronte all’ignoranza del collega:
“Oh, Dio Asriel, è quella del Trono di Spade, ma insomma!”
“Non ho tempo di spiegare, è una serie che guarda Ro, ma non sono così machiavellica, posso assicuralo. Sentite, so che avrei dovuto dire di averla, ma è una pozione illegale e volevo evitarmi i guai. Ma se qualcuno ha preso le sembianze di Corinne deve averci avuto a che fare in qualche modo, altrimenti non avrebbe potuto usarla. Cercate qualcuno che abbia parlato con lei o che le si sia avvicinato prima che la Panterona morisse!”
“Ha ragione, dobbiamo parlare con Corinne. Ehy, mi piace Panterona, ci sta bene!”
Clodagh si volò verso Delilah con un sorriso allegro, decidendo di adottare a sua volta l’appellativo mentre Asriel sospirava e Delilah, invece, annuiva e giocherellava con una ciocca di capelli neri con fare sostenuto:
“Grazie, sono molto brava coi soprannomi, modestamente…”
“Va bene, non abbiamo tempo per le chiacchiere. James, tu parli con Corinne, torchiala finchè non ti dice qualcosa di utile. Clodagh, voglio che tu metta a rovescio ogni angolo di questo cazzo di treno per cercare tracce di quella dannata Pozione. E quanto a lei…”
Dopo aver snocciolato ordini Asriel puntò gli occhi su Delilah, che sorrise e si mise improvvisamente dritta sulla sedia mentre lo guardava speranzosa:
“Io vengo con lei?”
“No. Lei se ne va nella sua cabina, si chiude dentro e se ne sta lì mentre io deciderò se denunciare o meno la sua maledetta Polisucco. Pensa che lei e il suo amico possiate riuscire a stare fuori dai casini per qualche ora?”
“Beh, faremo il possibile.”
“Bene. Io faccio uscire tutti dalle cabine e cerco quel fantomatico vestito rosso. Da qualche parte deve pur essere.”
 

 
*

 
“Ma sei sicura di non aver visto Delilah Yaxley nel vagone, prima o dopo essere andata da lei?”
Clara e Corinne aspettavano insieme fuori dal vagone ristorante, la mora seduta su una panca con le gambe accavallate e la bionda, invece, impegnata a fare avanti e indietro davanti all’amica, incapace di stare ferma. Alla domanda di Clara Corinne sbuffò esasperata, annuendo con vigore mentre agitava una mano con fare infastidito: se qualcuno le avesse fatto di nuovo quella domanda sarebbe stata perfettamente in grado di defenestrarlo dal treno.
“Ti dico di sì, se mi fosse passata davanti attraversando il vagone come avrei potuto non accorgermi di lei? Se mi fossi resa conto che qualcuno mi aveva vista non avrei mentito agli Auror, non sono una stupida. Non capisco che cosa sia successo, quella sera.”
Clara si prese qualche istante per osservare l’amica, guardandola fare avanti e indietro davanti a lei. Il fatto che Corinne avesse mentito anche a lei, soprassedendo sulla sua visita ad Alexandra prima che morisse, la infastidiva non poco, ma decise di mettere da parte i suoi sentimenti e di concentrarsi, invece, sulla situazione spinosa dell’amica:
“Ho letto quello che la fotografa ha scritto di ricordare su di te, e francamente non mi è sembrato un quadro realistico. Non porti mai le calze… e ha detto che indossavi quelque chose de rouge.”
Rouge? Non ho praticamente niente di quel colore in valigia!”
“Allora il mistero si infittisce.”
Accigliata, Clara prese ad osservare pensierosa fuori dal finestrino a lei più vicino mentre Corinne riprendeva a fare avanti e indietro nello spazio ristretto a sua disposizione, borbottando in francese. Lei e Clara avevano cercato di intercettare Asriel per capire che cosa stesse succedendo quando l’Auror era uscito dal vagone, ma lui le aveva superate senza battere ciglio, visibilmente seccato e limitandosi ad intimare alle due di aspettare prima di sparire verso la I classe.
Quando finalmente la porta del vagone ristorante si aprì nuovamente Corinne smise di camminare e Clara volse lo sguardo sulla porta aperta, osservando con impazienza Asriel e Clodagh, seguiti da Delilah, uscire dal vagone.
“Allora?! Ci dite che cosa succede?”
“Signorina Leroux, il mio collega le deve parlare, per favore torni dentro. Signorina Picard, lei venga con me. Clo, fai uscire tutti, per favore. E lei faccia quello che le ho detto, tanto la sua cabina l’ho già controllata io.”
Mentre Clodagh, dopo aver rivolto un cenno di muto assenso al collega, si allontanava per spostarsi verso le cabine e far uscire tutti i passeggeri, Delilah sbuffò debolmente e seguì l’Auror per tornare nella sua cabina tenendo le braccia esili strette al petto e borbottando che sperava quantomeno che Asriel non avesse devastato le sue cose.
Clara e Corinne non accolsero con particolare entusiasmo l’idea di dividersi, ma si limitarono a scambiarsi un’occhiata dubbiosa prima che Clara si alzasse per seguire Asriel e Corinne, invece, rientrasse nel vagone ristorante. Ad aspettarla c’era James, che le sorrise allegro e le chiese gentilmente di sedersi mentre la bionda, sbuffando, si chiudeva la porta alle spalle:
“Spero che sia l’ultima volta, oggi, questa situazione inizia a diventare ridicule.”
“Lo capisco Signorina, ma crediamo di aver capito che cosa è successo. È assai probabile che qualcuno abbia preso le sue sembianze con la Pozione Polisucco e che la Signorina Yaxley non abbia visto lei, ma qualcuno che l’ha… impersonata. Sa come funziona la Pozione Polisucco?”
Conscio di aver catturato la completa attenzione della strega, James guardò Corinne sederglisi di fronte e scrutarlo con attenzione di rimando prima di annuire, dubbiosa:
“Vagamente. Non è illegale?”
“Sì, ma abbiamo appena scoperto che quando il treno è partito ce n’era una fiala a bordo… e adesso è sparita, quindi immaginiamo che le cose siano andate così. Per prendere le sue sembianze c’era bisogno di avere il suo DNA, come un capello o cose del genere… Ha idea di chi possa essere stato? Qualcuno che deve averle parlato, o esserle stato vicino, prima dell’omicidio.”
“Non mi viene in mente nessuno in particolare, dei passeggeri.”
“Nemmeno la sua amica?”
La domanda di James, seppur posta nel modo più gentile possibile, sembrò far irrigidire Corinne, che strinse le labbra prima di rispondere con fermezza, senza esitazioni:
“Ho visto Clara la mattina dopo, a colazione, quando il treno si era fermato. Non sapevo fosse a bordo, come vi ho già detto, prima di quel momento.”
“Non deve proteggerla, Signorina Leroux.”
“Non lo faccio. Non l’ho vista prima che Alexandra morisse, di conseguenza non può essermi stata vicino. E se fosse stata lei, che motivo avrebbe avuto di instillarvi il dubbio che quella che la Signorina Yaxley ha visto non ero io? Avrebbe avuto più senso confermare, no?”
Il ragionamento della strega non faceva una piega, e James la guardò accigliato mentre lei, impassibile, ricambiava il suo sguardo senza battere ciglio. Era un vero peccato buona parte delle persone che si ritrovava ad interrogare non fossero intelligenti tanto quanto quella strega, gli avrebbero immensamente facilitato il lavoro.
“Allora, ammettendo che non abbia avuto nessun contatto con Clara Picard prima della mattina seguente… è sicura di non aver parlato con nessun passeggero, quella sera?”
Oui. Ho cenato nella mia cabina, non ho visto nessun altro. Di sicuro qualche facchino ha toccato il mio bagaglio per spostarlo, ma non ho parlato con nessuno.”
“Ne è sicura?”
“Sicurissima.”
Dubbioso, James osservò brevemente la strega prima di appuntarsi sbrigativamente le sue risposte, certo che non sarebbero piaciute affatto ai suoi colleghi dal momento che non contribuivano affatto a fare chiarezza sul mistero della “sosia” di Corinne.

 
*

 
“Asriel, perché dobbiamo restare qui? Polly, fai la brava!”
Dopo aver ricevuto inviti più o meno gentili da parte di Clodagh e Asriel a lasciare le proprie cabine per permettere ai due Auror di fare le proprie ricerche senza essere disturbati, quasi tutti i passeggeri si erano radunati in uno dei vagoni. Mentre seguiva May Hennings e Elaine Fawley-Selwyn all’interno, Lenox indugiò sull’ingresso per rivolgersi ad Asriel senza smettere di stringere tra le braccia la sua cagnolina, che stava abbaiando in direzione del grosso Maine Coon della cantante lirica.
L’ammonizione e la distratta carezza che il padrone le rivolse fecero zittire Polly, che sollevò la testa verso Lenox per osservarlo con la lingua di fuori e senza smettere di scodinzolare, quasi morisse dalla voglia di tornare sul pavimento, libera di correre in giro e giocare. Lenox però non badò alla sua amata cagnolina, rimanendo invece concentrato sull’ex compagno di scuola che si rigirava la bacchetta tra le dita e controllava torvo che tutti entrassero nel vagone.
“Dobbiamo perlustrare le vostre cabine, non so quanto ci vorrà e preferisco che restiate quasi tutti nello stesso posto per facilitarmi le cose. Il tuo gatto dov’è?”
“Non lo so, penso che si sia infilato da qualche parte a curiosare… fammi sapere se lo trovi. Polly, smettila di dimenarti!”
L’espressione tesa di Asriel parve rasserenarsi magicamente nel sentire nominare il gatto di Lenox, e assicurò all’ex Tassorosso che in caso l’avesse trovato glielo avrebbe riportato mentre Polly continuava ad agitarsi per poter andare ad elemosinare carezze dagli altri passeggeri.
Arreso, Lenox si chinò per rimettere la cagnolina sul pavimento, seguendola all’interno del vagone dopo aver salutato Asriel. Mentre la cagnolina schizzava verso May, che aveva occupato un sedile insieme ad Elaine, Lenox si lasciò scivolare sul posto davanti alle due streghe rivolgendo un impacciato sorriso di scuse alla bionda:
“Scusi, è una gran ruffiana, oltre che viziata e giocherellona. Polly, lasciala stare!”
Conscio di parlare a vuoto ma abbastanza testardo da volerci provare ad oltranza, Lenox si rivolse alla cagnolina con un sospiro esasperato, pur non riuscendo a risparmiarle un’occhiata adorante mentre May, sorridendo allegra, si allungava per riempire Polly di carezze e permetterle di leccarle la mano.
“Non c’è problema, adoro i cani, e il mio è grande circa cinque volte lei, quindi sono abituata ad assalti di gran lunga peggiori… Ciao bella signorina!”
“Dillo, che speravi che venisse qui… Ailuros, fai il bravo.”
Elaine, dopo essersi sistemata il grosso gatto nero sulle ginocchia, gettò un’occhiata in tralice alla cagnolina mentre Ailuros si agitava nervosamente tra le braccia della padrona senza smettere di fissare Polly con attenzione, guardingo.
“Non si preoccupi, è abituata ai gatti, ne ho uno anche io. Anche se non so dove sia finito…”
Accigliato, Lenox si domandò con sincera preoccupazione dove si fosse cacciato Scottish – sperando che non fosse riuscito a sgusciare fuori dal treno per farsi un giretto in mezzo ai metri di neve che li circondavano – mentre Elaine, posati i grandi e seri occhi verdi su di lui, lo guardava continuando imperterrita a stringere il gatto e senza battere ciglio:
“Si figuri, non sono preoccupata per Ailuros, al massimo mi preoccupo per il suo cane. May tende ad innamorarsi a prima vista di tutti i cani che incontra, fossi in lei la terrei d’occhio che non rischiare che cerchi di rubarla.”
“Nel, come osi darmi della ladra di cani? Stavo scherzando quella volta in cui ti proposi di aiutarmi a rubare quel golden retriever! Non ruberei mai un cane!”
Terrorizzata all’idea che Lenox potesse additarla come “ladra di cagnolini”, May si affrettò a rassicurarlo posando i preoccupati occhi chiari su di lui, ma l’ex Tassorosso la rassicurò con un sorriso – la ragazza che faceva la maglia non aveva proprio l’aria della criminale – mentre Elaine, alzati gli occhi al cielo, si adagiava contro lo schienale del sedile prima di spostare pigramente lo sguardo sul finestrino.
“Certo. Come no. Pensate che staremo qui a lungo? A saperlo avrei portato le carte, avremmo almeno potuto fare una partita a bridge…”
“E io ho lasciato la lana e i ferri in cabina, cavolo!”
May si accasciò affranta contro lo schienale del sedile mentre Lenox, cercando di non sorridere, infilava una mano nella tasca interna della giacca per estrarre un paio di Cioccorane che porse gentilmente alle due streghe.
I dolci occhi scuri di Polly vennero scossi da un guizzo alla vista dei dolci, e subito la cagnolina prese ad uggiolare e a cercare di afferrarli mentre il padrone, impassibile e ormai abituato agli “attacchi” della cagnolina, scansava abilmente i suoi tentativi.
“Ohh, Cioccorane… da quanto non ne mangio una. Posso?”
Quasi emozionata da quella generosa offerta, May guardò incredula prima i dolci che non comprava mai – in teoria per non cariare i denti di Pearl, in pratica perché altrimenti avrebbe preso a rotolare per casa – e poi Lenox con gli occhi chiari praticamente colmi di commozione, quasi le avesse offerto il migliore dei regali. Per tutta risposta il mago le sorrise, divertito, annuendo mentre Elaine si allungava per prendere una delle due scatole blu e oro.

“Certo.”
“Cioccolato. Lo tiene sempre in tasca?”
“Diciamo di sì.”
Mentre scartava il dolce – che ovviamente sua madre le aveva sempre negato, da piccola – Elaine annuì piano, osservando brevemente Lenox con sguardo pensieroso prima di rivolgersi serissima a May:
“Mi piace questo tipo. Dovremmo imitare la sua filosofia.”

 
*


Dopo essere stata congedata dagli Auror a Delilah non era rimasto che tornare nella sua cabina, trovandola a soqquadro dopo il passaggio di Asriel e con Ro impegnato a mettere a posto mentre Kiki lo guardava annoiato dall’angolo in cui si era acciambellato.
Il ragazzo stava cercando di chiudere la voluminosa valigia nera dell’amica – ma quante foto di Bolo si era portata?! Per di più incorniciate, e di foto con lui neanche mezza, che sciagurata – quando si rese conto che Delilah era tornata e che lo stava fissando stralunata dalla porta aperta della cabina. Voltatosi verso l’amica, Prospero si mise le mani sui fianchi assumendo quella che alla strega ricordò paurosamente la posa sfoggiata da sua madre quando lei e Cecil tornavano da una sessione di gioco all’aperto coperti di fango:
“Laila, mi dici che cosa stava cercando l’Auror più bello mai esistito?! Ho provato ad estorcerglielo, ma persino le mie fantastiche tecniche di persuasione hanno fallito, il che è tutto dire.”
“Cercava una fiala con della Polisucco, e ovviamente non l’ha trovata.”
Scavalcando l’abat-jour che era finita sul pavimento, Delilah si addentrò nella cabina rimpiangendo più che mai la sua bacchetta – le sarebbe toccato sistemare da sè come i Babbani, che orrore – mentre si guardava intorno e Prospero, invece, la guardava perplesso:
“Perché cercava… TU avevi della Polisucco?! E non me l’hai detto?!”
L’espressione dell’amico si fece sgomenta e offesa allo stesso tempo, indicandola come se si fosse macchiata del peggiore dei tradimenti, ma Delilah non fece particolare caso alla vena drammatica di Prospero e sbuffò mentre raccoglieva la lampada dal pavimento:
“Carino, non sei nella posizione di recriminarmi cose non dette, ti ricordo. Almeno si spiega la faccenda della Leroux… evidentemente quella che ho visto non era lei, ma qualcuno che mi ha preso la Polisucco.”
“Non ti sei accorta che era sparita prima di oggi?”
“No, non mi è mai servita e non mi è mai venuto in mente di controllare. Forse avrei dovuto, quando ho saputo che la Panterona era morta… sono stata stupida, Ro-Ro. E con ogni probabilità la persona che ho visto è la stessa che l’ha uccisa. Qualcuno deve essere entrato qui mentre cenavo…”


 
*

 
“Salve! Avrei bisogno di perlustrare la cucina, quindi se fosse così gentile da darmi le chiavi… Mi hanno detto che le ha lei e che la serratura è protetta con un incantesimo, quindi non posso aprirla da me.”
Clodagh si rivolse a Ruven con un sorriso cordiale e tutta la dose di gentilezza di cui era capace, cercando di non badare all’espressione puramente accigliata con cui lo chef stava ricambiando il suo sguardo. Aveva tutta l’aria che lei stessa assumeva quando sentiva Asriel parlare tedesco, ovvero quella di chi non sta capendo assolutamente niente.
“Ma perché hanno mandato lei?! Che cosa sono quei suoni che le escono dalla bocca? Tu hai capito che vuole?!”
Chiedendosi perché accidenti non fosse andato il suo collega mezzo crucco a parlare con lo chef tedesco, Clodagh guardò rassegnata Ruven rivolgersi al cameriere che stava in piedi alle sue spalle e che l’aveva accompagnata da lui – per fortuna “chef” era universale e farsi capire era stato sorprendentemente semplice – mentre il povero Hans, dietro di lei, balbettava sempre in tedesco che probabilmente “la donna Auror con l’accento strano” voleva andare in cucina.
Ruven, sentendo che Clodagh voleva profanare la sua amata cucina, tornò a rivolgersi alla strega asserendo, questa volta in inglese e con sguardo truce, che non se ne parlava. L’aria minacciosa del ragazzo entrava in netto contrasto con il bel gatto dagli occhi verdi e il pelo maculato che teneva in braccio ma Clodagh, abituata ad Asriel, quasi non ci fece caso. Sollevata di essere riuscita, in un modo o nell’altro, a farsi capire – aveva sinceramente temuto di dover fare ricorso a Geraldine la lavagna e fare un disegnino, o alla peggio chiamare Asriel con un fischio –  Clodagh sorrise soddisfatta prima di assumere l’aria più autoritaria di cui era capace, totalmente vanificata dal maglione natalizio che indossava:
“Stiamo facendo delle ricerche, Signor Schäfer, non è autorizzato a dirmi dove posso andare e dove no. Il treno non è di sua proprietà, e se anche fosse è in corso un’indagine. Mi dia la chiave, per favore. Prometto che avrò cura della sua cucina.”
In un modo piuttosto contorto, questa volta Ruven riuscì a comprendere parte del discorso della strega e capita l’antifona si vide costretto, seccato, ad alzarsi per recuperare il suo mazzo di chiavi e consegnarlo con reticenza all’Auror. Neko, il suo gatto, guardò curioso il padrone con i grandi occhi verdi mentre Clodagh accennava un sorriso soddisfatto:
“Grazie.”
Ruven non rispose, limitandosi a guardarla torvo mentre la strega, sorridendo, gli dava le spalle per lasciare il vagone dello staff e dirigersi in cucina. Non si era tuttavia allontanata a sufficienza per non udire il borbottio dello chef, che sibilò qualcosa tra i denti che non suonò particolarmente lusinghiero.
“Qualsiasi cosa abbia detto, chiederò la traduzione al mio collega. A dopo chef!”
 
“Hai idea di che cosa abbia detto, Hans?”
“No.”
“Grandioso. Magari ci ha chiesto le chiavi del bagno e le abbiamo dato quelle della cucina per niente.”

 
*

 
“Io… Io ho visto l’assassino. Io sono passata davanti all’assassino… Non posso crederci. Pensa se avessi sentito qualcosa! Pensa se… se fossi arrivata dieci minuti dopo! Forse sarei morta anche io! Mi sento male.”
Incapace di stare ferma, Delilah stava misurando ininterrottamente la sua cabina a grandi passi mentre Kiki, il gatto di Ro, la guardava annoiato dal pavimento. Il suo padrone, invece, sedeva sul letto dell’amica quando la prese per un braccio ed esercitò su di esso una lieve pressione per costringerla a raggiungerlo.
“Siediti.”
Delilah obbedì senza opporre la minima resistenza, troppo impegnata ad immaginare scenari catastrofici mentre allungava quasi istintivamente una mano pallida – se possibile ancora più del solito – verso la tazza e la moka che Ro le aveva portato per riprendersi dopo il colloquio con gli Auror. Prevedendo le sue intenzioni, tuttavia, il mago le prese saldamente la mano e la scansò dalla direzione del caffè, scuotendo serio il capo e parlandole con decisione:
“No, basta caffè. Vieni qui.”
Prospero l’abbracciò per la seconda volta nell’arco di un’ora, accarezzandole un braccio con fare rassicurante mentre l’amica appoggiava mesta il capo sulla sua spalla, mormorando di voler tornare a casa.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto. Forse non sono sempre sincero al 100%, ma mantengo sempre le promesse.”
 

 
*

 
“Come procedono le ricerche?”
Clodagh si fermò sulla soglia della cabina di Alexandra mentre guardava Asriel ribaltare il letto che la vittima non aveva nemmeno avuto modo di utilizzare dopo aver aperto e ispezionato tutti i cassetti. L’Auror sentendo la voce della collega non si voltò, gettando i cuscini sul pavimento per sollevare il materasso mentre un sonoro sbuffo amareggiato si librava dalle sue labbra:
“Male… Spero che a te vada meglio.”
“Temo di non aver trovato traccia della Polisucco o di una qualche fiala vuota… Ma direi che non ho cercato a vuoto, dopotutto.”
Asriel conosceva la sua partner così bene che riuscì a percepire la soddisfazione nella sua voce senza nemmeno guardarla, rinunciando momentaneamente ad ispezionare quello che avrebbe dovuto essere il letto di Alexandra per indirizzare tutta la sua attenzione verso Clodagh. Con sommo stupore Asriel appurò che la strega non si era presentata da lui a mani vuote, osservando allibito l’oggetto inequivocabilmente cremisi che Clodagh teneva in mano.
“Dove lo hai trovato?”
“In cucina. Nella cella frigorifera, per l’esattezza… Vuoi che chiami lo chef, immagino. Anzi, fallo tu, non capisce una parola di quello che dico e c’è il rischio che pensi che lo stia invitando a cena, probabilmente. Ammetto che non mi dispiacerebbe, se non fossimo nel mezzo di un’indagine…”
 
Asriel non disse nulla, limitandosi ad attraversare la cabina per raggiungere la collega mentre alzava silenziosamente gli occhi al cielo. Dopodiché, assicuratosi di aver chiuso la porta e di aver sigillato la serratura con un incantesimo, fece cenno a Clodagh di seguirlo per andare a fare una rapida, o forse no, chiacchierata con lo chef.
 

 
*

 
Dopo non essere riuscito a ricavare nemmeno uno straccio di nome da Corinne, James aveva finito col congedare la francese per continuare a dedicarsi alla lettura di tutto ciò che i loro colleghi avevano mandato da Londra sui passeggeri e sullo staff del treno.
Era un lavoro incredibilmente noioso e l’ex Tassorosso avrebbe fatto carte false pur di fare a cambio con Clodagh o Asriel e impiegare il tempo a setacciare il treno, ma di lamentarsi con Brontolo non se lo sognava e aveva finito con l’adeguarsi al suo barboso e solitario compito.
Fuori dal finestrino si era fatto buio pesto quando James, sbadigliando, aprì l’ennesimo fascicolo sui membri dello staff tenendo una penna in mano, pronto a sottolineare o ad appuntarsi le informazioni più importanti. Stava leggendo le – poche – informazioni sul passato di Ruven Schafer, lo chef, quando un nome attirò la sua attenzione. Inizialmente incredulo, il giovane Auror s’irrigidì e rilesse le stesse righe per più di tre volte prima di afferrare l’articolo di giornale e correre fuori dal vagone ristorante.
Qualcosa gli diceva che i suoi colleghi avrebbero trovato particolarmente interessante ciò che aveva da mostrargli.
 




 
   
 
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