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Autore: Razaghena    15/04/2022    3 recensioni
Settembre 3019, a un mese dall'incoronazione di Re Éomer, notizie di incursioni da parte dei Sudroni raggiungono il Mark. A 288 miglia di distanza da Edoras, a Dol Amroth, l'introversa principessa Lothíriel apprende che la sua mano è stata concessa a uno dei nobili della città, un uomo che è poco più di uno sconosciuto per lei. Sarà proprio la spedizione militare congiunta tra Gondor e Rohan a mettere in pausa i progetti di matrimonio e a stravolgere le vite della Principessa e del Re.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eomer, Lothirìel
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 ottobre 3019, Terza Era
Baia del Principe, Dol Amroth, Gondor

288 miglia a sud
                                        L a corrente calda che ogni autunno scivolava morbida lungo le coste gondoriane fino ad insenarsi nella Baia di Belfalas si stava quel giorno ribellando. Gorgogliava insolitamente bellicosa, facendo cozzare tra di loro le imbarcazioni attraccate nel pontile poco distante da dove Lothíriel stava nuotando. Aveva da poco iniziato a sentire le spalle intorpidirsi, stanche di lottare contro quel mare imbizzarrito. Si riempì d’aria i polmoni e sparì sotto la superficie dell’acqua. Riemerse quando percepì il familiare innalzamento del fondale sotto di sé; aveva raggiunto la colonna che giaceva stesa nella Baia del Principe, ultima reduce di chissà quale disastro commerciale. Arenata in un banco di sabbia, si trovava alla profondità ideale per permette a chi vi si appoggiava di mantenere il busto sopra il pelo dell’acqua. E così fece Lothíriel, mentre, con un sospiro, lasciava vagare lo sguardo verso l’orizzonte, intenta a placare quel senso di oppressione che da giorni la stava tormentando.

Il ritorno di suo padre, tanto agognato e tanto sofferto, non le aveva restituito l’auspicata pace. Poche erano state le occasioni che avevano avuto per stare insieme. Il Palazzo si era trasformato in un quartier generale, crocevia di alti ufficiali, consiglieri, signori provenienti dalle più disparate città del Dor-en-Ernil. Suo padre e i suoi fratelli passavo gran parte delle loro giornate chiusi nella Sala del Consiglio, intenti a discutere di questioni delle quali a lei non era dato sapere. Malgrado avesse imparato sin da quando era piccola di non torturarsi per faccende in cui non aveva voce, le risultava ancora difficile scrollarsi di dosso l’angoscia che si era annidata nel suo stomaco. Passò forse una manciata di minuti prima che giungesse a lei il suono di irregolari bracciate. Si voltò e vide la sua dama di compagnia annasparle incontro.


«Immergervi e sparire sotto le onde», Thïria iniziò a rimproverarla non appena fu a portata di orecchio, brontolando e sputacchiando acqua salata ad ogni frase, «Come se non sapeste che non posso perdervi di vista, specialmente qui, in mare». Lothíriel tese le mani per aiutarla a salire sul fusto della colonna. «Non pensate alla mia testa, Principessa? Al mio collo? Se la risacca vi dovesse cogliere di sorpresa…».


«Io penso sempre al tuo collo, Thïria. Guarda le creste bianche delle onde, non c’è risacca qui. Non c’era bisogno che mi raggiungessi». La Principessa rivolse un sorriso rassicurante alla sua dama e ricevette una smorfia in risposta. Le loro braccia si intrecciavano sott’acqua alla ricerca di maggiore stabilità contro le onde.


«Ugh…», Thïria rabbrividì visibilmente. Il vento mordeva impietoso i loro visi. «Mi vedo costretta a dover protestare, Principessa, e insistere che questo sia la vostra ultima nuotata. Il tempo non è più sufficientemente clemente».


«Hai ragione, Thïria. Ti chiedo scusa».


«Il riscaldamento delle vasche della Residenza è stato attivato, Principessa. Perché non nuotare a Palazzo?».


«Io-», Lothíriel esitò. Sapeva che quello che la stava opprimendo non era alleviabile semplicemente confidandosi. «Un’ultima nuotata prima dell’arrivo dell’inverno. Tutto qui. Ma ora suona… Piuttosto sciocco, non è così?», strofinò energicamente le spalle della sua dama di compagnia, cercando di riscaldarla. «Prima che il vento e l’acqua abbiano la meglio su di noi, potresti parlarmi di ciò che si dice in città? Thïria… Ti prego?». Informazioni. L’avere informazioni l’avrebbe alleviata.


«Torniamo a riva, Principessa. Vi racconterò tutto ciò che ho appreso in questi giorni».


«N-no. Restiamo…». Il modo in cui le parole avevano lasciato la bocca della ragazza ricordava molto una supplica.


Lo sguardo di Thïria mutò. «Principessa… So che alcuni dei servitori a corte rispondono al Principe Erede, ma questa cautela è… È eccessiva, non credete?».


«Considerando coloro che riferiscono a mio fratello, a mio padre e con ogni probabilità persino al Comandante…».


«Oh, quello sciocco garzone deve essere allontanato», Thïria intervenne con poco velata disapprovazione.


«Ci sono troppe orecchie orientate su chi si muove a Palazzo»
, continuò Lothíriel, «Thïria, io vorrei solo-… Vorrei poter avere qualche conversazione che non mi venisse restituita la sera a cena. E non voglio allarmare nessuno con le mie domande».


«Che cosa vorreste sapere?».


La Principessa si aprì in un sorriso riconoscente, prima di schiarirsi la gola. «Si sta parlando di nuovo di guerra, non è così?».


«Nondimeno, Principessa, nondimeno. Ci sono voci che circolano nelle botteghe e nei porti. Si parla di una minaccia proveniente da Sud. Si parla di ritrovamenti…», abbassò sensibilmente la voce, «Cadaveri…», esalò la parola senza quasi emettere suono, «Trasportati dall’Anduin. E l’urgenza con cui vostro padre, il Principe, ha inviato messaggeri per tutto il Dor-en-Ernil non ha che confermato molti dei sospetti della gente».


«Difficile non notare che il Consiglio è stato convocato. Tuttavia avevo sperato che fosse per tirare le somme della guerra passata, non per prepararne una ventura».


«Il Terzogenito non vi ha davvero confidato nulla?», azzardò cautamente Thïria.


La Principessa scosse la testa. «No. Ho chiesto, certo che ho chiesto. Ma Amrothos segue l’esempio di mio padre. Sembra che potrei sgretolarmi in un cumulo di polvere e ossa se mi venisse riferita una brutta notizia».


«Principessa…».


«Non dirmelo, Thïria, ne sono consapevole», la ragazza sospirò appena, «È per tutelarmi. È per il mio bene». Gli occhi azzurri della Principessa rifuggirono quelli della sua dama e andarono a riposare sulle bianche mura che si elevavano al di sopra delle navi che ondeggiavano nel porto. «D’altronde… Perché dovrebbero dirmelo? Che ci sia un’altra guerra o meno, il mio compito è rimanere qui, dentro le nostre mura, ad aspettare. Soltanto… Soltanto… Cielo, sono appena tornati…». Fu grata che l’incessante sciabordio delle onde avesse coperto l’incrinatura che aveva preso la sua voce. Si schiarì la gola. «Hai idea di quando partiranno?».


«No, Principessa. Ma non lontano da qui, alla Locanda delle Corporazioni che si affaccia sulla Baia», Thïria fece un cenno in direzione della città, «Giungono notizie dalla Capitale. Non so se lo sapete, ma lì stazionano i mercanti in arrivo da Minas Tirith. E parlano, parlano, chiacchierano. Sembra che il nuovo Re stia chiamando a raccolta i suoi uomini con straordinaria rapidità. Temo che questa non sarà una guerra di primavera*¹».


«Oh». Lothíriel rimase in silenzio, sovrappensiero. «Chi partirà?», riportò gli occhi su Thïria, «Lo sai?».


«Non ne sono sicura, Principessa».


«Chi?», ripeté appena udibile, «A me-… Thïria, a me sai che non lo diranno».


«A detta del garzone del fabbro», Thïria iniziò piano, «Sono in riparazione le armature di vostro padre e del Secondogenito. Ma i rifornimenti in arrivo alle Scuderie raccontano un’altra storia. Sembra che anche il cavallo del Principe Erede stia ricevendo la sua bardatura da guerra».


«El- Elphir? Chi reggerà il principato se dovesse partire anche Elphir?». La mente di Lothíriel correva. Amrothos era da poco stato riconfermato Capo della Guarnigione cittadina e il suo disinteresse per la politica lo aveva palesato sin dalla gioventù. Era sicura che suo padre fosse sceso a patti con quella decisione da tempo. Questa decisione le sembrava così discordante.


«Non lo immaginate, Principessa?».


Lothíriel guardò Thïria confusa. «Elphir ha guidato il principato in assenza di mio padre da quando- Non so, da quando aveva la mia età, credo. Dieci anni? Dodici, persino? Ha le sue alleanze in Consiglio, i suoi sostenitori, una fazione. Ha leggi a suo nome. Non c’è nessuno altro in Consiglio, oltre mio padre, inteso, di cui si possa dire lo stesso. Se non-». Lothíriel si bloccò. L’espressione di Thïria le suggerì che era approdata alla giusta conclusione. «No».


«Temo di sì».


«No».


«Temo proprio di sì».


«No…», pigolò sconsolata mentre si lasciava andare all’indietro nell’acqua. Il Comandante. Il Comandante Sîrfalas*² era l’unico nobile che vantava un adeguato peso politico in città. E suo padre stava consegnando nelle sue mani ulteriore potere e prestigio che sarebbero i gran lunga sopravvissuti alla provvisorietà del suo incarico da Governatore.


«Ora rientriamo, Principessa, vi prego. Questo vento… Uff- Ugh, questo vento non è affatto gentile con noi».


«Thïria, precedimi. Io vorrei… Cre-credo che rimarrò qui ancora per un po’. Solo per un po’…».


Sentì una mano chiudersi attorno la sua caviglia, Thïria la stava afferrando. «Il mio collo, Principessa!».




6 ottobre 3019, Terza Era
Edoras, Rohan
288 miglia a nord


                                        Il suono della birra versata nel boccale era qualcosa che un uomo riusciva ad apprezzare in una maniera del tutto diversa la sera, al termine di una giornata penosamente lunga. Éomer distese le gambe sotto il tavolo e si appoggiò allo schienale, gustandosi ogni sorso della bevanda schiumosa. Il suo boccale aveva a malapena toccato il legno del tavolo che Rowan si stava già alzando per riempirglielo di nuovo.

«Ecco a voi, sire. Bevete».


«Rowan». Éomer si sforzò di sorriderle di rimando.


«E tu mangia più lentamente», la donna rimproverò il marito, completamente chino sulla sua ciotola, quasi a volerci entrare con tutta la faccia.


«Donna», la replica di Brandwine arrivò biascicata tra un boccone e l’altro, «Hai idea di quanto tempo passerà prima che io possa mangiare di nuovo del capriolo in umido? Éomer! Éomer, devi ascoltarmi», l’amico sventolò il suo tozzo di pane per aria, «Dovremmo portarci dietro Gárbald. Sì, sì. Portiamocelo dietro, che ne dici?».


«No. Per la quinta volta questa sera, no», gli rispose con calma.


«Ma, MMHPH~», emise il più sentito dei rantoli di piacere. Qualche testa si girò verso il loro tavolo, Rowan nascose il viso dietro una mano. «Non hai notato come il suo stufato migliori di anno in anno? Quando penso che non riuscirà più a stupirmi, bam! Mette qualche erbetta, o qualcosa nel suo sughetto, o… O… O, non saprei, mette una grattata di qualcosa sopra… E io… Ah! Aaah~! Insomma, io non credo di poter rinunciare a Gárbald, Éomer. Non credo di riuscirci».


«Brandwine. Il taverniere rimarrà qui, alla sua taverna».


«E non pensi al morale dei tuoi uomini? Al mio di morale? Sei Re adesso, dovresti pensare al mio morale».


«Darò istruzioni ai nostri cuochi di campo di mettere qualche erbetta o qualcosa nel sugo o grattare qualcosa sopra ai tuoi pasti. Non ti preoccupare, Brandwine. In qualche modo sopravvivrai».


«Ma-».


Rowan ficcò dritto nella bocca aperta del marito il pezzo di pane che aveva fino ad allora agitato davanti alle loro facce, soffocando l’arringa appassionata che, a giudicare dal luccichio nei suoi occhi, si stava preparando a fare. «Mangia, léofa*³. Mangia e risparmiaci».


Éomer sentì emergere l’impulso di ridere, che però sembrò non riuscire a concretizzare. Il suo pessimo umore gli pesava addosso. Lo sentiva sulle spalle, nella punta delle dita, sul volto. Le notti prima di una partenza lo rendevano cupo e irrequieto, più silenzioso di quanto già non fosse incline ad essere di natura. Assorbito dai suoi pensieri, si sentiva insolitamente emotivo, consapevole che ogni istante della serata sarebbe diventato un nostalgico ricordo per i mesi a venire.


In quel momento si udì un brindisi in onore del Re provenire da un tavolo occupato da un gruppo di soldati. La bassa saletta in cui si trovavano Éomer e Brandwine non era del tutto isolata dagli altri locali della taverna; gli fu facile individuare i boccali che si elevavano alla sua salute. Si alzò in piedi a ringraziare i presenti con cenni del capo. Quello era stato il settimo brindisi della serata ed Éomer si lasciò cadere pesantemente sulla panca, esausto di aspettare il sorgere del sole e la partenza.


«Non mangiate più? Sono sicura di aver visto una torta al miele dietro al bancone, ve ne porto una fetta se non gradite più lo stufato», lo interrogò Rowan, facendo già per alzarsi.


«Non ho appetito, Rowan. Ma ti ringrazio».


Evocato da quelle parole, Brandwine riemerse dal suo piatto. «Quelle…», gli occhi puntati sulle sue patate, «non le mangi?». Éomer avvicinò semplicemente il piatto a quello del compagno che si tuffò sul cibo con eccessivo entusiasmo, finendo inevitabilmente per strozzarsi con un boccone. Iniziò a tossire convulsamente.


Rowan sospirò. «Se decidessi di ignorarlo?», si rivolse al Re.


Éomer si strinse nelle spalle. «Non te ne farei una colpa…», osservò come le sopracciglia di Brandwine andavano incontrandosi, mentre le vene sul suo collo avevano preso a ingrossarsi ad ogni colpo di tosse, «La mia offerta di annullamento di matrimonio è ancora sul tavolo, Rowan. Quando sarai pronta, firmo il decreto e torni ad essere una donna libera. Lascia che io usi la mia corona per fare del bene».


«Uhm», gli angoli della bocca della donna fluttuarono nello sforzo di non curvarsi verso l’altro, «La vostra offerta si fa ogni giorno che passa più allettante, mio signore». Nonostante le sue parole, iniziò ad impartire vigorose pacche alla schiena del marito fino a quando quest’ultimo non riuscì a prendere nuovamente respiro. «Per adesso respingo la vostra offerta, ma vi prego fortemente di continuare a ripropormela».


«Sarà fatto».


«Tu», il volto di Brandwine aveva appena riacquistato un colorito normale, «Insolente», tirò bruscamente la moglie a sé circondandole la vita con un braccio. «Tuo marito soffoca e tu tergiversi».


«Ti avevo detto di mangiare più lentamente».


«Questo- Questo è del tutto irrilevante ora, donna».


«Donna?», la voce di Rowan oscillava pericolosamente tra l’irritazione e il divertimento, «Brandwine, continua a chiamarmi così e ci penso io a stroz-».


«Ssh», l’uomo la zittì, il sorriso evidente sulla sua bocca, «Silenzio, do- don-… Moglie?». Le impresse a raffica una serie di baci tra viso e collo a cui Rowan oppose giocosamente resistenza.


Éomer distolse lo sguardo dalla coppia. Era abituato al loro battibeccare, ma alle loro smancerie – specialmente quando si consumavano a un braccio di distanza – si sarebbe volentieri sottratto. Si stiracchiò e lasciò vagare lo sguardo per la taverna. Incontrò sull’uscio un paio di freddi occhi verdi che non si sarebbe aspettato di trovare. Si studiarono inespressivi per qualche secondo, poi il contatto terminò. Éomer tornò al suo boccale mentre la donna si abbassò il cappuccio sulle spalle ed attraversò il salone centrale, fermandosi al tavolo del Re. Non porse i saluti. Al petto teneva stretto un fagottino che continuava ad agitarsi; braccia paffutelle spuntavano e sparivano ripetutamente da sotto la coperta di lana in cui era avvolto.


«Rowan, il bimbo ha fame».


L’interessata spinse via il marito e si affrettò ad accogliere il neonato tra le braccia. «Ti ringrazio, Heruwyn*⁴», strinse affettuosamente una mano dell’amica, «Ti ringrazio per questo tempo. Me ne ricorderò».


«Il piccolo ha dormito tutta la notte, non ci sono stati problemi se non fino a poco fa».


«Sono lieta di sentirlo. Brandwine…», assestò un colpo sulla nuca del marito che era tornato come se nulla fosse a rivolgere l’attenzione al cibo, «Alzati, andiamo a casa a mettere a letto tuo figlio».


L’uomo si sollevò dedicando un’ultima, torbida occhiata alla sua ciotola di stufato e andò a sorridere al rumoroso fagotto che strepitava in braccio alla moglie. Era comicamente alto rispetto alla donna e si dovette curvare di molto per poter lasciare un bacio sulla guancia del figlio che, di rimando, afferrò a due mani la sua barba ramata, urlando di gioia. Éomer sorrise inconsapevolmente.


«Ecco fatto! Ora ci vorrà un bel po' per dividervi!». Rowan cercò inutilmente di aprire la morsa ferrea del neonato. Heruwyn approfittò della chiassosa esibizione del bambino per defilarsi silenziosamente. Éomer fu l’unico ad accorgersi della sua uscita e condivise con lei un ultimo sguardo prima che prendesse la porta.


«Éomer allora io- Ah… Argh-», un Brandwine leggermente dolorante tentò di sollevare la testa verso l’amico senza portarsi dietro un intero neonato gioiosamente scalcitante, «Io aspetto la partenza a casa, d’accordo? Il Piccolo Girasole chiama, e il fabbro non dovrebbe finire prima dell'alba con le ultime spade».


«Va' pure. Ti mando a chiamare quando dobbiamo partire».


Brandwine lo interrogò nuovamente con lo sguardo e lasciò la taverna dopo aver ricevuto un secondo cenno di conferma. Il grande tavolo divenne d’un tratto desolatamente vuoto e per il resto della notte non si sentirono più battibecchi, stoviglie che cozzavano o risate in quell'angolo del locale. Éomer finì in silenzio un terzo boccale di birra e decise di stendere le gambe sulla panca. Passare la notte alla taverna era il suo antidoto all’angosciante attesa e il rumore dei commensali non lo disturbava, al contrario, era esattamente ciò di cui sentiva di avere bisogno. Non si accorse di essersi addormentato fino a qualche ora più tardi, quando fu svegliato da un ragazzino dal volto sporco di ditate di fuliggine.


«Mio-… Mio Re. Vengo dalle fucine. Il Mastro Fabbro vi comunica che l'ordine è stato portato a termine». Il giovane garzone sembrava terribilmente a disagio per aver dovuto disturbare il suo sonno.


Éomer si alzò in piedi, sgranchiendosi le gambe. Mise una mano sulla testa del giovane, «Le spade sono già state trasportate nelle armerie dei Cancelli?».


«Sono stato mandato ad avvertirvi non appena la prima cassa è stata chiusa. Il trasporto sta avvenendo in questo momento».


«Molto bene. Qual è il tuo nome, ragazzo?».


«M-mi chiamo Folca, mio signore», balbettò incerto il giovane, gli occhi puntati sui propri stivali.


Éomer lo afferrò per le spalle e chiamò a sé l'attenzione dell'oste, intento a spillare due boccali di birra dietro il bancone. «Gárbald! Da' da mangiare a questo ragazzo, Folca. Ha lavorato tutta la notte. E quando avrà finito rispediscilo alle fucine con cibo anche per il fabbro e gli altri aiutanti».


Il locandiere agitò vigorosamente la testa, pozzanghere di birra andavano formandosi ai suoi piedi. «Già fatto, sire. Lo consideri già fatto».


Qualche minuto dopo Éomer era all'esterno a dare disposizioni al suo scudiero. Si avvicinava il momento della partenza. L’aria pungente dell’ora prima dell’alba stava dissipando la tensione accumulata, mentre andava facendosi spazio in lui l’eccitazione. Decise di andare di persona ad avvertire Brandwine e s’incamminò cercando voracemente di assorbire il proprio circondario con gli occhi. La via principale, la piazza inferiore, i porticati, le familiari facciate delle botteghe. Fissare ogni polveroso dettaglio di Edoras nella sua memoria gli sembrò d’un tratto cruciale. Arrivato a poche decine di passi dalla sua méta, notò una figura avvolta nel mantello appoggiata a una delle colonne di legno di un portico. Riconobbe all'istante la chioma dorata.


«Cosa succede, Heruwyn?», la apostrofò affiancandosi a lei.


La donna si strinse verso la colonna, sottraendosi al contatto tra le loro spalle. «Stavo andando ad aiutare al forno quando li ho visti».


Éomer seguì il suo sguardo e vide che sotto la finestra della casa antistante sedeva Brandwine con in braccio la moglie, entrambi profondamente addormentati. La corporatura minuta di Rowan la faceva apparire una bambina sulle ginocchia del marito. I capelli ramati dell'uomo scendevano a mescolarsi a quelli biondi della moglie, che riposava sotto al suo mento, avvolta dalle sue lunghe braccia. Éomer non si accorse di stare nuovamente sorridendo. «Dici che sono riusciti a mettere al sicuro il bambino o dovrei ripercorrere la strada verso la taverna?».


«È dentro casa. Credo siano solo usciti a-».


«A litigare. Immagino sia così. Non mi stupirebbe…». Il silenzio si annidò tra i due. Era già qualche anno che non vi erano più molte parole che avrebbero potuto essere dette. In momenti come questi ne erano entrambi penosamente consci.


«Le partenze vi rendono ancora irrequieto, sire?». La voce carezzevole di Heruwyn si insinuò tra i suoi pensieri.


«Non credo che questo cambierà mai», sollevò gli occhi in quelli di lei, «Ma non mi piace essere così».


«Una volta pensavate fossero premonizioni. Credevate non avreste più fatto ritorno dalla battaglia».


Éomer sospirò, reminiscente. «Uhm, è così… Quante notti sprecate a pensare che fossero le ultime».


«Sprecate?», la risposta giunse in un sussurro, «Io me le ricordo tutte, quelle notti». Sentì le dita di lei tracciargli esitanti il profilo delle nocche. Rimase immobile, non ritrasse la mano nemmeno quando il contatto si trasformò in una lenta carezza. Voleva mettere alla prova l’effetto di quel tocco. «Sapevamo come esorcizzare la vostra irrequietezza…», continuò lei. Gli sembrò che gli occhi di lei tremassero nella penombra del portico, intanto che attorno a loro i primi raggi del sole iniziavano gradualmente ad illuminare i tetti delle case. Con la luce li raggiunse anche una folata di vento, che mulinò per qualche istante tra i pilastri del portico.


Éomer si riscosse, «Heruwyn…», allontanò lentamente la mano. C’era stato un tempo in cui aveva desiderato ricambiare quegli occhi vulnerabili, quegli acerbi sentimenti. Ma il mondo era cambiato da allora e lui era cambiato con esso.


Guardò la donna stringersi nuovamente verso la colonna. «Lo so», la voce bruscamente asciutta, la bocca rigida, gli occhi altrove, «Lo so».


«Se ti stai aggrappando al pensiero che un giorno, o una notte, io cambi idea... Questo non accadrà-
».

«Lo so», Heruwyn si voltò verso l’uomo in un palese moto di irritazione. Gli occhi freddi e vibranti. «Lo so, mio re. Siete stato inequivocabile. La maggior parte delle volte, quanto meno», sputò fuori prima di allontanarsi giù per il portico. Mentre guardava come i capelli color del grano le ondeggiavano sulla schiena, Éomer si rese conto che la sofferenza di lei lo feriva meno del previsto. Se ne vergognò.


I vagiti di un neonato rimbombarono sulle facciate delle abitazioni di quel vicolo di Edoras. Éomer si voltò verso la casa di Brandwine e vide Rowan scattare in piedi, allarmata, e sparire dietro la porta d’ingresso. Il marito si agitò brevemente sulla panca per poi sistemarsi in una posizione più comoda. Intanto che il pianto del bambino cessava, Éomer attraversò il piazzale. Spintonò con lo stivale il piede dell’amico, riscuotendolo dal sonno. «È giunto il momento della partenza, Brandwine. Va’, saluta Rowan e tuo figlio».




7 ottobre 3019, Terza Era
Palazzo del Cigno d’Argento, Dol Amroth, Gondor
253 miglia a sud


                                        L’occasionale tintinnio tra le posate e il bordo del piatto era l’unica interruzione al silenzio che gravava sulla sala da pranzo. La cena a Palazzo, specialmente quando circoscritta ai soli membri della famiglia, non era mai stato un momento particolarmente concitato, ma era l’unico pasto della giornata a cui tutti partecipavano devotamente, sottraendosi indistintamente da riunioni di Consiglio, colloqui o visite.

La cena di quella sera era in linea con quelle recentemente svolte: il pasto veniva consumato quasi in silenzio e con un certa fretta. Di tanto in tanto, quando aveva sollevato gli occhi dal piatto, Lothíriel aveva incrociato lo sguardo di Erchion o Amrothos, con i quali aveva scambiato un veloce sorriso. L’atmosfera era troppo plumbea per iniziare una conversazione, specialmente se frivola. E di ciò che non era frivolo, a lei, non era dato sapere. Era evidente sul volto di suo padre e dei suoi fratelli che le loro menti fossero rivolte altrove, verso incombenze che non potevano essere discusse a tavola. Non con lei presente.


Quando Erchion si schiarì la gola, Lothíriel – assorbita nel risultare meno rumorosa possibile e nell’occupare meno spazio possibile – quasi trasalì sul posto. «Padre, credi che siano già partiti? I nostri amici di Rohan, intendo».


«È quasi passato un mese, suppongo che sia così. Sono un popolo affidabile, alleati affidabili. Sì, dovrebbero già aver lasciato Edoras. Avranno sicuramente stimato i tempi di spostamento dei loro uo- delle-», Imrahil si interruppe e a Lothíriel non servì sollevare gli occhi dal piatto per immaginare lo scambio di sguardi che gli uomini stavano avendo.


«I tempi di viaggio», la voce fredda e controllata di Elphir ovviò all’impiccio.


«I tempi di viaggio, esatto».


L’ingresso in sala di uno dei servitori riorientò l’attenzione dei commensali. Si avvicinò al tavolo e presentò con un inchino un vassoio con sopra una lettera al Principe Imrahil, il quale la scorse velocemente con gli occhi. Gli altri uomini rimasero in attesa, le posate a mezz’aria. Le interruzioni erano ormai all’ordine del giorno, raramente i Principi rimanevano a tavola da inizio a fine pasto.


«Oh», Lothíriel percepì su di sé lo sguardo stupito del padre. «Iriel, sembra che il Comandante Sîrfalas ti stia invitando a pranzo. Domani, alla sua tenuta». I suoi fratelli ripresero a mangiare, le loro spalle si rilassarono. Eccezion fatta per quelle di Amrothos.


«Per quale occasione?», inquisì bieco il Terzogenito, dando inconsapevolmente voce ai pensieri della sorella.


«Non lo dice», Imrahil tornò a rileggere l’invito, «Non menziona alcun evento particolare. Credo… Credo sia un semplice pranzo». Il tono del Principe mal celava la sua approvazione, la ruga tra le sue sopracciglia risultava quasi scomparsa. «Mi è stato riferito che è venuto spesso a cena, nei mesi passati. Con ogni probabilità vorrà ricambiare la cortesia».


Amrothos si mosse sulla propria seduta, le labbra premute in una linea. Stava indubbiamente fremendo per aggiungere qualcosa alla conversazione. In termini puramente statistici, nulla di costruttivo. «Allora avrebbe dovuto invitare a pranzo Elphir. Fratello, perché non accetti tu l’invito del Comandante?». Amrothos aveva combattuto e aveva perso, e, soprattutto, aveva accettato la sua sconfitta con un sorrisetto soddisfatto.


Lothíriel sgranò appena gli occhi. «Amrothos…», Erchion e Imrahil fecero eco l’uno all’altro. Elphir proseguì a mangiare, imperturbabile.


«Non ho forse detto il vero? Non è di certo stata lei a proporgli di trattenersi a cena tutte quelle volte. Iriel riesce a malapena a rivolgergli la parola».


«Questo… È…», la Principessa aprì bocca per controbattere, «È piuttosto aderente alla realtà».


«Mi era stato detto che avevate approfondito la vostra conoscenza», suo padre la scrutò con aria interrogativa. «Ho inteso male?», la domanda era rivolta al maggiore dei suoi figli.


«Il Comandante ha presenziato a quindici cene negli ultimi sei mesi. La conversazione è stata ricca durante ognuna di esse».


Amrothos e la sorella si scambiarono una rapida occhiata che Erchion intercettò. «Ricca…? È così, Iriel? Definiresti come ricche le vostre conversazioni?», le domandò quest’ultimo, una nota spiccatamente scettica nella voce.


Elphir poggiò il calice da cui aveva appena bevuto sulla tavola, puntando gli occhi inespressivi in quelli della sorella. L’avere l’attenzione del fratello su di sé fu sufficiente per metterla in soggezione. «Da parte sua, il Comandante è-… È indubbiamente un ottimo conversatore. Questo io-… Io non lo nego-».


«Le ha dato in dono alcuni libri», con una naturalezza derivabile solo dall’esercizio, Elphir si sovrappose alle parole delle sorella, interrompendola.


«Oh. Dei libri…», il viso del padre si schiarì, «Vedo che ha imparato a conoscere i tuoi passatempi, Iriel. Questo mi rasserena. Il Comandante dispone di una ricchissima biblioteca nella sua tenuta. Una raccolta sorprendentemente varia e di pregio. Hai già avuto modo di visitarla?».


Erchion si portò il calice alle labbra, «Una ricca biblioteca per fare ricche conversazioni», mormorò contro il cristallo. Amrothos, che lo aveva udito, sbuffò dal naso.


«No, padre. Se non in occasione del Ballo, non sono mai stata alla sua tenuta».


«Ah sì? Non sei davvero stata…?». Imrahil aveva spostato gli occhi sul Primogenito. Per quanto vano, Lothíriel non riuscì a fare meno di essere attraversata da un impercettibile fremito di frustrazione. Soffriva di come le domande che il padre rivolgeva a lei a parole, le indirizzasse al fratello maggiore con lo sguardo.


«In tua assenza, padre, il Comandante non ha ritenuto opportuno incontrare Iriel all’esterno del Palazzo. Io ho condiviso questa decisione», spiegò Elphir. Alle orecchie di Lothíriel quest’informazione suonò del tutto nuova. Mentre si sforzava di metabolizzare ancora un’altra conversazione che era avvenuta a porte chiuse, sentì lo stomaco stringersi. Deglutì a vuoto.


«Inappuntabile. Ma non mi sarei aspettato di meno da Sîrfalas», Imrahil tornò alla figlia, «Domani. Domani devi necessariamente domandargli di mostrarti la biblioteca. Io ne ero rimasto molto colpito. E sono passati anni dall’ultima volta che sono stato alla Tenuta del Giglio. Immagino che da allora il Comandante abbia ampliato la sua raccolta».


«È già deciso, dunque?». La voce della Principessa suonò più risentita di quanto avrebbe voluto. Dietro ai denti aveva trattenute troppe parole.


Suo padre la guardò con le sopracciglia sollevate. «Per rifiutare un invito, Iriel cara, bisogna avere delle valide motivazioni», precisò con calma, «O avere degli impegni pregressi da far valere. Se invece-… Se sei esitante a causa della tua timidezza, naturalmente sai che non sarai sola. Verrai accompagnata». Imrahil indicò in direzione del figlio minore che si limitò a tirare le labbra in un sorriso poco entusiasta. «Il consiglio che avanzo è di non respingere un invito senza solide ragioni. In particolar modo non in questa fase. Potrebbe aprire la via a fraintendimenti».


«Quale fase, padre? In quale fase mi trovo?».


Imrahil sembrò del tutto disorientato. «Conoscitiva… Sì, la chiamerei così. Non che abbia un vero nome, inteso, ma tu e il Comandante vi state conoscendo».


La ragazza sentiva gli occhi dei presenti addosso. Curiosi, confusi, alcuni ostili. Il bisogno di sottrarsi a quegli sguardi era martellante, ma un’ulteriore contorsione dello stomaco la spinse a continuare a parlare. «Padre, il Comandante è per me… Uno sconosciuto». Come poteva non capirlo, non vederlo?


«Iriel. No. Il Comandante è il tuo promesso. Non è uno sconosciuto». Il tono candido di suo padre la spiazzò. Iriel, no. Si ripeté le parole nella testa. Non è uno sconosciuto. La pungente, per quanto familiare, sensazione di non essere stata considerata le pizzicò sotto le palpebre. «Non ti sto capendo». L’apprensione evidente sulla fronte dell’uomo.


Nemmeno io, sussurrò una voce dentro la sua testa, tuttavia le sue labbra non si mossero. Se lo avessero fatto, sarebbe scivolata via da lei la già sfuggente presa che aveva sulle sue lacrime. E non avrebbe mai più pianto di fronte ad Elphir. Se lo era ripromesso.

Fu incidentalmente assistita dall’arrivo di un secondo messaggio indirizzato al Principe. Questa volta più gli occhi di suo padre scendevano sulla carta, più il suo volto si induriva e fu chiaro che la conversazione, unitamente alla cena, fosse conclusa. Erchion e Amrothos si erano alzati dalle sedie ancora prima che il padre terminasse di riferir loro il contenuto della lettera. «Elphir, Erchion, Amrothos. Mi avvisano che siamo attesi alle Porte. Iriel, se ci vuoi scusare. Dovrai terminare la cena senza di noi».


La ragazza li salutò con inchini del capo, troppo insicura della stabilità della sua voce per potervi fare affidamento. Il Principe Erede era l’ultimo degli uomini ad essere ancora seduto al tavolo, Erchion lo apostrofò dalla porta, «Elphir, non vieni?».


Il maggiore sollevò semplicemente il suo calice, mezzo pieno. «Termino. Sarò dietro di voi».


Lothíriel percepì l’esitazione del Secondogenito. L’aria rarefatta della sala non doveva essergli sfuggita. «Ti aspetto».


«Sarò dietro di voi». Questa volta Elphir scandì maggiormente le sue parole. Le repliche non erano in quel caso ammesse.


«Affrettati», così dicendo, e con un ultimo sguardo alla sorella, anche Erchion lasciò la sala.


Lothíriel smise di spostare da una parte all’altra del piatto il boccone che aveva continuato a tormentare nell’ultima mezz’ora. Era superfluo fingere che avrebbe mangiato altro. Si portò le mani in grembo, stringendole a pugno, trovando ogni secondo che passava più soffocante del precedente. Le pesava addosso lo sguardo scrutatore Elphir, che però si limitò a svuotare placidamente il calice. Giunto all’ultimo sorso, fece roteare il cristallo tra le dita. Sorrise appena. «Mi stavo chiedendo, sorella, quanto arrogante tu debba essere per pensare di poter trascorrere i tuoi anni senza adempiere ai tuoi doveri. Come principessa. Come figlia. Non c’è che dire, una vita invidiabile».


Il rumore di lenti passi che si allontanavano sul marmo riempì gli istanti successivi.



Note dell’autrice
Grazie a chi mi da un prezioso feedback e grazie anche a voi, lettori silenziosi. I vostri Seguiti e Preferiti non passano inosservati. Ho fiducia che se qualcosa dovesse colpire il vostro occhio, favorevolmente o negativamente che sia, troverete il modo di comunicarmelo. Ora vi saluto, ho un pranzo da organizzare e un cavallo da far recapitare. A presto!
   
        *¹ Guerra di primavera, detto medioevale riferito all’usanza dei feudatari di prediligere la primavera alle stagioni fredde per intraprendere campagne militari, al fine di scongiurare carestie.

            Sîrfalas, dall’Ovestron saer (amaro) + phalas (sguardo); origine Sindarin. Personaggio originale, nobile di alto rango di Dol Amroth di retaggio militare, promesso sposo di Lothíriel.
            Léofa, dal Rohirric léof (amore) + a (desinenza maschile che aggettiva i sostantivi o i verbi a cui è unito). Léofa si traduce con l’epiteto “amato”.
            *⁴ Heruwyn, dal Rohirric herû (spada) + wyn (desinenza femminile che significa "gioia"). Personaggio originale, amica d’infanzia di Rowan, Brandwine ed Éomer; con quest’ultimo, in età post-adolescenziale, ha condiviso più di un’amicizia.
Razaghena
Riassunto Capitolo 3 Inizio ottobre 3019. Nel Palazzo di Dol Amroth sono in corso i preparativi per la campagna congiunta, di cui Lothíriel è tenuta scrupolosamente all’oscuro. La Principessa apprende dalla sua dama di compagnia i dettagli della partenza: il padre, Elphir e Erchion saranno alla guida dei cavalieri inviati dal principato. Amrothos sarà l’unico dei fratelli a rimanere in città, la cui guida verrà provvisoriamente affidata al Comandante Sîrfalas, corteggiatore della Principessa. Le iniziative del Comandante non tardano ad arrivare e Lothíriel viene invitata a pranzare alla sua tenuta.
A Edoras i preparativi per la guerra sono terminati. Éomer e Brandwine trascorrono la notte prima della partenza nella taverna. Quando l’amico è chiamato ad adempiere ai suoi doveri di padre, Éomer condivide un momento di reminiscenza con una donna del suo passato, Heruwyn, che culminerà con il suo rifiuto di rivivere tali ricordi.
  
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