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Autore: WillofD_04    14/08/2022    3 recensioni
Piccolo avvertimento: è fortemente consigliato aver letto almeno "Lost girl" prima di leggere questa storia.
Terzo e (si spera) ultimo capitolo dell'avventura di Cami!
Adesso che la ragazza ha deciso di rimanere nell'universo di One Piece ancora per un po', sarà chiamata a far fronte a molte insidie. Ma a motivarla ci saranno i suoi compagni, con cui condividerà gioie e dolori, e il suo sogno di diventare un grande chirurgo.
La aspetta un altro viaggio lungo e faticoso, ricco di emozioni e colpi di scena, alla scoperta di nuovi sentimenti e alla ricerca del proprio posto nel mondo. Tra vecchi amici, nuovi nemici, folli avventure e crudeli battaglie, nessuno è realmente al sicuro. Camilla riuscirà a sopravvivere in un universo popolato da mostri di potenza? Riuscirà a tornare sana e salva dalla sua famiglia? Riuscirà a superare le difficoltà e a coronare i suoi sogni prima che tutto finisca?
Solo lei ce lo potrà dire.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Spiegami perché dobbiamo indossare qualcosa che non abbiamo deciso di indossare anche in un giorno in cui il Capitano ci ha dato il permesso di non mettere la divisa,» disse Shachi da dietro la tenda del camerino. Ci trovavamo da un sarto, sull’isola Malzen, sulla quale ci eravamo fermati già da due giorni.
«Io oltretutto odio il rosso,» gli fece eco Penguin. «Il blu mi dona molto di più.»
Alzai gli occhi al cielo. Si lamentavano più di Bepo quando approdavamo su un’isola estiva. «Perché Maya ha deciso che voi due idioti la accompagnerete all’altare, e desidera che chi la accompagna sia vestito di rosso, che per lei è il colore dell’amore. E noi non vogliamo contraddirla, vero? Non vogliamo che si stressi e si metta a fare scenate isteriche, no?»
Il giorno seguente Maya e Omen si sarebbero sposati. Li avevo convinti a cogliere l’occasione al volo e suggellare il loro amore. Però non volevano rinunciare ad avere il matrimonio dei loro sogni, e spettava a me organizzarlo. Non credevo che sarei mai arrivata a pensarlo, ma preferivo di gran lunga fare autopsie al pianificare matrimoni. Almeno i cadaveri non avevano pretese: niente vestito perfetto, niente fiori, niente location, niente di niente. Pensavo di aver avuto una buona idea nel convincere i due piccioncini ad anticipare il matrimonio, invece mi sbagliavo. Era estenuante. C’erano un sacco di cose a cui pensare e se queste non venivano fatte come voleva Maya – che di solito era la più calma ed equilibrata della ciurma – diventava isterica. Mia zia diceva che il matrimonio cambiava le persone, ma non avevo capito che intendesse anche il giorno del matrimonio. La cosa positiva era che alla mia amica piaceva quel posto, sosteneva che fosse pittoresco, memorabile e quindi perfetto per sposarsi. Anche a Law e al resto dell’alleanza andava bene. Dopo che Maya e Omen avevano comunicato la notizia, tutti avevano acconsentito a rimanere ancorati al porto. Era comunque nei piani che sbarcassimo per fare rifornimento, un paio di giorni in più di permanenza non avrebbero stravolto la nostra tabella di marcia. Avevamo avuto fortuna.
La tendina si scostò e la testa dell’Orca fece capolino. «Non è lei il nostro Capitano, quindi non capisco perché devo assecondare le sue richieste.»
«Perché domani mi sposerò. Ora, il matrimonio è un evento unico, che ricorderò per il resto dei miei giorni. Per anni sono stata la sola donna sul sottomarino e voi avete reso la mia esistenza un inferno. Ho sopportato in silenzio e non ho detto nulla perché vi voglio bene, ma c’è stato più di un momento in cui ho pensato di uccidervi tutti, alcuni anche in modi dolorosi. Ho pulito i vostri bagni, ho resistito ai vostri odori sgradevoli, non ho replicato ai vostri commenti sessisti, ho cucinato per tutti quando ancora non avevamo un cuoco, ho aiutato i medici a prendermi cura di voi quando stavate male e vi ho salvato il sederino in battaglia innumerevoli volte. Ho sempre saputo che siete un branco di ingrati, ma in questi due giorni non vi è concesso esserlo. Perché domani mi sposo e voglio che voi indossiate un completo rosso. Camicia rossa, pantaloni rossi e giacca rossa. Se non lo farete, mi assicurerò che i vostri indumenti si tingano del rosso del vostro sangue.» Maya era comparsa dietro di noi dal nulla. L’avevo lasciata dal fioraio, per ritirare i fiori, era stata più rapida di quanto pensassi. Anche se non aveva avuto un tono aggressivo e non aveva alzato la voce, era stata comunque minacciosa e il suo messaggio era arrivato forte e chiaro. Persino il sarto si era andato a nascondere.
«Brava!» Applaudii al suo discorso mentre i due mammiferi si rintanavano nei loro camerini. Era ora che qualcuno gliene cantasse quattro. Io volevo bene a tutti, ma a volte la convivenza con loro non era affatto facile, avrebbero messo a dura prova chiunque.
La mia amica, senza dire una parola, venne verso di me. La sua aura era terrificante, tanto che anche io mi sarei voluta rifugiare in un camerino, sigillarlo e rimanere lì fino a che non si fosse sposata. E forse pure dopo.
«Il mio vestito è pronto?» domandò al titolare del negozio.
«Deve chiedere alla mia collega.» Indicò un punto dietro di sé. Era ancora intimorito da Maya, che mi trascinò dall’altra parte della stanza, nel settore femminile.
La donna che il giorno prima ci aveva preso le misure ci riconobbe e ci accolse con un sorriso, poi ci fece cenno di accomodarci nei camerini e andò a prendere i nostri vestiti, senza che ci fosse bisogno di dirle niente. Quando mi consegnò il mio, me lo provai e mi osservai allo specchio. Al contrario di tutto il resto, era sobrio. Era in chiffon – o qualcosa di simile – e mi arrivava fino alle caviglie. Era monospalla, senza maniche e mi fasciava in vita. Poiché aveva optato per un bouquet di rose arancione chiaro e rosa pallido e io avrei dovuto tenerle i fiori durante la cerimonia, Maya aveva deciso che il mio vestito si sarebbe dovuto abbinare al mazzo, perciò l’aveva scelto color pesca. La mia amica aveva sempre avuto gusti esotici e audaci, che io non condividevo tutte le volte, però alla fine era venuta fuori una bella combinazione. Innovativa ma elegante. Mi piaceva, avrei indossato quel vestito con gioia. L’unica pecca era che la cerniera coincideva proprio con il taglio che avevo sul fianco e mi dava un po’ fastidio, ma era sopportabile. Per fortuna almeno la cintura – che tenevo sotto l’abito – non si vedeva.
«Camilla, vieni qui.» mi chiamò Maya dal camerino accanto.
«Oddio...» sussurrai tra me e me, nel panico. Il fatto che avesse usato un tono solenne e che mi avesse chiamato con il mio nome per intero non faceva presagire nulla di buono. Non volevo morire a causa di un dannato matrimonio.
Mi schiarii la voce. «Posso entrare?»
La mia amica non rispose, si limitò a scostare di poco la tendina. Quando le fui di fronte notai che era ancora in abiti normali, non si era nemmeno provata il vestito. Non aveva più un’aria minacciosa, quanto piuttosto spaesata.
Non ci fu nemmeno bisogno che le chiedessi quale fosse il problema, perché fu lei a parlare: «Me la sto facendo sotto.»
Boccheggiai per un attimo. Non ero preparata a questo, né sapevo come arginare il problema, non ero mai stata sul punto di sposarmi! Per un nanosecondo mi passò per il cervello di chiamare il Capitano e far sbrogliare la situazione a lui. Il tatto e la delicatezza non erano sue prerogative, ma sapeva essere convincente. Poi però realizzai che aveva già fatto la sua parte offrendosi di pagare di tasca sua il matrimonio e che non era il caso di infastidirlo ulteriormente. Nel suo cuore c’era spazio per un’opera buona alla volta. Anzi, eravamo rimasti tutti stupiti dal suo gesto. Ma chi lo conosceva davvero sapeva che non era una cosa tanto eclatante come poteva sembrare: era un bravo Capitano, e in fondo – molto in fondo – era anche una brava persona.
«Ok,» dissi infine.
«Ok?» Maya corrugò le sopracciglia.
«Io... credo che sia normale farsela sotto il giorno prima del matrimonio.» Mi strinsi nelle spalle. Dovevo stare molto attenta a ciò che avrei detto. «Non è che stai andando a comprare un cartone di latte. Ti stai legando per la vita a un’altra persona.»
Nel sentire le mie parole la mia amica assunse un’espressione terrorizzata e io maledissi me stessa. Dovevo rimediare.
Presi un respiro profondo. «Se non ti vuoi più sposare, va bene. Di certo io non ti costringerò a farlo. Però devi mettere in conto che, se annullassi il matrimonio perché hai paura, oltre ai problemi, alle liti e ai compromessi che ti aspettano, rinunceresti anche all’amore, alla felicità, alla bellezza dell’amare e dell’essere amata. E conosci bene Omen, sai quanto amore potrebbe darti. Non ti tratterrò se vuoi dartela a gambe, se è questo che vuoi. Anzi, potrei distrarre il tuo fidanzato mentre scappi, in fondo è colpa mia che ti ho sollecitata ad anticipare il matrimonio se ti stanno venendo dei dubbi. Ma, ti prego, accetta il consiglio di una persona che per tanto tempo si è lasciata scivolare dalle mani le cose belle della vita perché aveva paura: non rinunciare a quello che può renderti davvero felice perché sei spaventata da ciò che potrebbe accadere di brutto.»
Non pensai a ciò che dissi, le parole vennero fuori da sole. Furono sincere. E sentite. E anche un po’ romanzate, ma l’importante era che convincessero Maya. A quanto pare fecero effetto, perché si calmò. Aspettò un po’ prima di parlare, però.
«Sei una brava persona e una brava amica, Cami-chan.» Incastonò le sue iridi alle mie. Erano tornate limpide, con mio grande sollievo. «E per la cronaca, tu non hai colpe. Ho solo avuto un momento di sbandamento.»
«Capita a tutte le spose!» gridò la sarta dall’altra parte della tenda. A quanto pareva aveva origliato tutta la nostra conversazione. Non gliene facevo una colpa.
«È che mi sono lasciata trasportare dai brutti pensieri. Ma sono felice di sposarmi e di farlo domani, in realtà. Non avrebbe senso aspettare oltre, Omen è la persona più...» Cercò la parola giusta da usare per elogiarlo, senza riuscirci. Annuii sapientemente, per non perdere altro tempo. Avevo capito cosa intendesse dire, a volte delle semplici parole non potevano spiegarlo.
«Vuoi che ti aiuti a provare il vestito?» Sperai di non aver fatto l’ennesimo passo falso, però mi sembrava che si fosse tranquillizzata.
Scosse la testa e sorrise. «Mi vedrai domani con il vestito addosso, come tutti gli altri.»
«D’accordo.» Le sorrisi anche io. «Ma per qualsiasi cosa...»
«Puoi stare tranquilla. Ora va’.» Mi fece l’occhiolino. Era tornata in sé, non c’era da preoccuparsi.
Quando uscii dal camerino della mia amica mi ritrovai di fronte i due microcefali con il completo rosso. Mi osservarono dalla testa ai piedi e poi fecero un’espressione estasiata. Quasi mi parve di vederli sbavare. Erano peggio di Sanji.
«Oh, Cami...»
«Come stai bene vestita così!»
«Sei divina!»
«No!» esclamai, dirigendomi a passo svelto verso di loro. Piazzai gli indici sotto alle loro narici. «Nessuno avrà un’epistassi con indosso i vestiti del matrimonio. Dovranno rimanere immacolati, sia oggi che domani. Se una sola goccia di sangue o di qualsiasi altra sostanza macchierà questi vestiti, vi garantisco che vi pentirete di avermi conosciuto.»
Prima di andare a cambiarmi, mi assicurai che avessero capito l’antifona facendo cozzare le loro teste l’una con l’altra. Anche se i completi erano rossi, ero sicura che il sangue non avesse la stessa gradazione dei vestiti, e a quel punto Maya sarebbe stata incontenibile. Avevo appena scongiurato una crisi, non ne avrei retta un’altra.
 
***
 
Una delle cose che più odiavo al mondo era il dover indossare i tacchi. L’idea di averli ai piedi non mi dispiaceva, mi sentivo bene quando li mettevo, ma oltrepassati i dieci minuti di tempo diventava una tortura. A questo pensavo mentre stavo in piedi ad aspettare che Maya facesse il suo ingresso. Qualche metro più in là, Omen era un fascio di nervi. Kenji, che era il suo testimone, stava cercando di tranquillizzarlo. Non c’era persona più adatta a farlo. Law invece, che in quanto Capitano aveva l’autorità per congiungerli in matrimonio, era infastidito. Era già riluttante all’idea di dover celebrare la cerimonia, farlo aspettare non era saggio. Ma sapevo che non avrebbe brontolato, due dei suoi sottoposti stavano per sposarsi, era un bel momento.
Mi guardai intorno. Ci trovavamo su un prato in cima a una scogliera, da lì potevamo vedere tutta Malzen. Era una bella isola, molto pittoresca e memorabile, come diceva Maya. Alla nostra sinistra c’era il villaggio, che era moderno e animato. Ogni edificio aveva un colore diverso, le tinte calde primeggiavano. A destra invece spiccavano le montagne, alte, ricoperte di verde e a punta. A dividere la parte montuosa dalla valle c’era un fiume sulle cui rive vi erano ormeggiate tante barchette. Era un paesaggio che a me metteva allegria, un ottimo luogo per sposarsi. Anche il tempo era ottimale, era un’isola dal clima primaverile-estivo: il sole illuminava e scaldava la radura, ma la lieve brezza che soffiava impediva che ci squagliassimo.
«Stai benissimo. Questa pettinatura ti dona molto.» Una voce timida mi riportò alla realtà. Era Kenji. Mi stupì che volesse parlarmi, ma accettai il complimento. Era stata Nami ad acconciarmi i capelli: me li aveva raccolti in uno chignon basso e lasciato due ciocche libere sulle tempie.
«Grazie. Anche tu stai benissimo.» Gli sorrisi, poi distolsi lo sguardo. Non sapevo ancora bene come comportarmi con lui. Se fosse dipeso da me saremmo tornati alla normalità fingendo che quel bacio non ci fosse mai stato, però per il rosso non era lo stesso. Lui sembrava incapace di dimenticare, forse non pensava che saremmo stati in grado di recuperare la nostra amicizia.
Brook, a cui avevo dato l’incarico di pensare alla musica, iniziò a suonare una melodia lenta e armoniosa con il violino. Ci voltammo tutti e rimanemmo senza fiato. A una trentina di metri da noi, tra Shachi e Penguin, c’era Maya, pronta per camminare fino a Omen. Il suo volto, quando la vide, si illuminò, non avevo mai visto un’espressione del genere. Era... puro amore. Mi chiesi se un giorno qualcuno avrebbe guardato così anche me. Il mio sguardo ritornò su Kenji per una frazione di secondo, poi di nuovo sulla sposa. Era bellissima. Il vestito era esattamente come l’aveva disegnato lei, e addosso le stava ancora meglio di quanto avessi immaginato. I sarti avevano fatto un ottimo lavoro ed erano stati anche celerissimi. I suoi ricci erano meno spumosi e più definiti e a tenerli in ordine non c’era la solita bandana gialla, ma un sottile velo bianco calato sul viso. Sotto di esso riuscivo a vedere quanto fosse emozionata. Era strano, lei non era per niente emotiva, né il tipo di persona che avrebbe voluto un matrimonio principesco. Supponevo che lo ritenesse il metodo migliore per celebrare l’immenso sentimento che legava lei e Omen. Oppure era semplicemente andata fuori di testa. A volte l’amore faceva questo effetto.
Nel tempo che ci misi ad ammirarla arrivò fino a noi e con mani tremanti mi consegnò il bouquet. La cerimonia poteva iniziare.
 
La celebrazione durò poco, Law non era uno di troppe parole, per fortuna dei miei piedi doloranti. Perciò, dopo aver detto un classico e riluttante “Oggi siamo qui riuniti per celebrare l’amore tra Omen e Maya”, aveva lasciato che Bepo portasse le fedi. Poi era arrivato il tempo delle promesse.
Entrambi gli sposini erano emozionatissimi. E anche alcuni dei Pirati Heart non erano da meno: Kenji, il Visone e Ryu avevano già gli occhi lucidi. Chi l’avrebbe mai detto che quel burbero del cuoco si sarebbe commosso per un matrimonio.
«Non sono mai stato bravo ad esprimere i miei sentimenti, tu lo sai bene,» iniziò lo sposo dopo aver preso un respiro profondo. Aveva la salivazione a zero e dovette deglutire più volte prima di continuare. Mi piaceva molto di più senza la maschera che gli copriva il volto, lo rendeva più umano. «Ma oggi, per te, mi sono sforzato di farlo. E... beh, non ho trovato le parole per comunicarti ciò che provo per te. Non credo nemmeno che esistano delle parole giuste, in effetti. So solo che ti amo, e che tutto il resto non conta. Tu mi fai sentire una persona migliore, una persona degna di essere amata.»
Nel sentire quelle parole un brivido mi percorse la schiena e mi ritrovai a guardare Law, che stava ascoltando impassibile. Mi chiesi se anche noi due, un giorno, ci saremmo sentiti degni di essere amati da qualcuno. Distolsi lo sguardo quando mi accorsi che mi stava fissando. Realizzai che anche Kenji mi stava osservando e lasciai che i miei occhi vagassero imbarazzati fino a Rufy, che stava sorridendo. Accanto a lui c’era Zoro, che aveva puntato i barili di rum sul tavolo del rinfresco, poco più in là. Non ero l’unica che desiderava che la cerimonia si concludesse presto.
«E io ti prometto che sarò sempre al tuo fianco, nei momenti felici e in quelli infelici, fino a che non ti sarai stancata di me. E prometto che ti supporterò e sopporterò anche quando le cose si faranno difficili,» continuò Omen, riportandomi alla realtà. «Non posso prometterti che ti amerò fino alla fine dei miei giorni, però, perché so già che sarà così.»
Lei gli accarezzò una guancia con il dorso della mano e sorrise con l’espressione più innamorata che avessi mai visto, poi si schiarì la voce.
«Come sai, provengo da un’isola in cui vige l’antico preconcetto che il ruolo delle donne sia quello di essere brave mogli e nient’altro. Fin da piccole ci viene insegnato a cucinare, a cucire, a fare il bucato, a occuparci della casa. Ci dicono che il nostro destino è quello di legarci a un uomo, sposarci presto e fare figli.» Fece una pausa, forse per dare il tempo a tutti i presenti di metabolizzare. Io conoscevo già la sua storia, me l’aveva raccontata. Questo spiegava perché sapeva cucire e lavare così bene – al contrario di me – ma era comunque molto triste che sulla sua isola insegnassero alle donne a vivere in funzione di altre persone e non per se stesse. Conoscevo quella sensazione, ci ero passata, era terribile. «Io non volevo questo. Non ho mai voluto questo. Sapevo fin da bambina che non mi sarei sposata e non avrei avuto figli. Ecco perché quando avevo sedici anni ho preso il mare e non mi sono più voltata indietro.» Diede una rapida occhiata a Law, che era il suo salvatore. Era il salvatore di tutti noi. «Desideravo essere libera e indipendente, fare baldoria, darmi al saccheggio occasionale e vedere il mondo, senza rimpianti e senza legami. Ma tu, Omen, tu... mi fai desiderare di avere tutto quello che non avrei mai pensato di volere: un marito, una casa tutta nostra, una famiglia.»
Mentre Maya prendeva un respiro profondo prima di continuare, assottigliai gli occhi per capire se Omen stesse piangendo o meno. Secondo me stava lottando con tutte le sue forze per non farlo.
«Ti prometto che sarò una brava moglie. E, se decideremo di allargare la famiglia, ti prometto che sarò una brava madre. Non perché è il mio dovere in quanto donna, ma perché voglio esserlo, perché meriti che io sia la migliore versione di me stessa, sempre.»
Qualcuno dei miei compagni era diventato una fontana. Anche Franky. Io mi limitai a sorridere a trentadue denti. Anche se non stavo piangendo, ero molto commossa. I pirati non erano molto romantici, ma la maggior parte di noi desiderava avere quello che avevano Maya e Omen. Le loro parole avrebbero scaldato il cuore a chiunque. Con la coda dell’occhio vidi che anche l’espressione del chirurgo si era ammorbidita. Nemmeno lui era immune alla potenza del vero amore, a quanto pareva. E pensare che non voleva neanche celebrare il matrimonio.
«Per il potere conferitomi dalle leggi del mare, in quanto Capitano dei Pirati Heart, vi dichiaro marito e moglie. Potete baciarvi,» disse sogghignando appena dopo che si furono scambiati le fedi. Aveva evitato di chiedere loro se volessero diventare l’uno il marito dell’altra e viceversa: sapevamo tutti che non c’era bisogno che glielo domandasse. Anzi, gli ero grata per essersi sbrigato, così potevo togliermi le scarpe e darmi all’alcol.
Nel momento in cui gli sposi congiunsero le loro labbra per scambiarsi un bacio appassionato, ci fu un boato. Applaudimmo, fischiammo e gridammo tutti. Quasi tutti, Law si limitò a fare un cenno d’intesa. Almeno stava sorridendo.
 
La cosa che più mi piaceva dell’essere pirati e, in questo caso, dei matrimoni tra pirati, era che non c’erano norme sociali da rispettare. Certo, nessuno si sarebbe spogliato e messo a correre nudo per l’isola, ma non dovevamo morire di fame o di sete mentre aspettavamo gli sposi. Non dovevamo metterci seduti a dei tavoli prestabiliti e attendere che i camerieri ci portassero i piatti. Non dovevamo neanche fingere di socializzare tra noi. Ma soprattutto non dovevamo avere per forza le scarpe ai piedi. Dovevamo solo avventarci sulla montagna di cibo e alcol che Ryu aveva preparato per noi, senza convenevoli e senza complimenti. Questo era il tipo di libertà che mi piaceva.
«Allora? Com’è? Vi piace?» volle sapere il cuoco, impaziente. Aveva preparato tutta quella caterva di pietanze da solo. Sanji si era offerto di aiutarlo, ma lui aveva rifiutato, voleva che quello fosse il suo regalo di nozze per Omen e Maya. Era stato bravo, era riuscito a fare tutto in tre giorni. Ovviamente se l’era presa con me per il poco preavviso che aveva avuto, ma si era calmato quando si era ricordato che gli avevo salvato la vita.
Mi limitai a sollevare un pollice: era maleducazione parlare con la bocca piena.
«È buoniffimo! Ti fei veramente fuperato!» esclamò Shachi, che invece non era educato quanto me.
«E smettila di sputacchiare pezzi di cibo addosso a me!» lo redarguì uno dei medici poco più in là.
Il diverbio, però, iniziò e finì lì. Eravamo tutti troppo impegnati a cercare di accaparrarci i piatti migliori per metterci a litigare. Era vero, avevamo la libertà di scegliere quanto, quando e cosa mangiare, ma questo stava a significare che dovevamo darci una mossa se non volevamo rimanere a bocca asciutta. Soprattutto perché c’era Rufy “l’aspiratutto” in giro. Nemmeno l’alcol era al sicuro con Zoro. Fu con questo pensiero in testa che, dopo aver fatto scorpacciata di antipasti, raggiunsi lo spadaccino al tavolo delle bevande. Jean Bart aveva avuto una buona idea nell’allestire più tavoli.
Presi il primo bicchiere pulito che trovai e ci versai dentro una cospicua quantità di vino.
«Da domani, se per te va bene, possiamo riprendere ad allenarci,» dissi allo spadaccino, accanto a me. Annuì mentre tracannava mezza bottiglia di rum in un solo sorso. Avrei voluto avere la sua tolleranza all’alcol. E anche al dolore. In ogni caso ero contenta di tornare ad allenarmi con lui. In quei giorni, tra la ferita e il matrimonio da organizzare, non l’avevo fatto, ma ero decisa a riprendere senza risparmiarmi.
«Cami-chan! Amore mio! Come sei bella!» una voce stridula mi richiamò alla realtà e mi impedì di bere il mio nettare divino. Sanji stava venendo a gran velocità verso di me con espressione innamorata. Alzai gli occhi al cielo. Non avevo voglia di sorbirmi i suoi complimenti.
«Siete tutte splendide oggi!» squittì poi, continuando a macinare metri.
Guardai verso le altre ragazze. Nami aveva un vestito rosso attillato e provocante, mentre Robin aveva optato per una specie di tailleur azzurro pastello che si abbinava ai suoi occhi. Carrot aveva un vestito più innocente, verde lime. Tutti gli altri Mugiwara erano vestiti in giacca e cravatta. Supponevo che la cartografa ci avesse messo lo zampino, dopotutto non ci si poteva presentare a un matrimonio con una camicia hawaiana e degli slip. Chopper era molto tenero con indosso quegli indumenti. Tutti facevano la loro figura con i completi eleganti, perfino Penguin e Shachi, sebbene nessuno avesse rinunciato ai propri cappelli e altri accessori. Anche Law aveva deviato dai suoi soliti jeans maculati: si era messo una camicia bianca e un completo color antracite con cravatta abbinata. Nemmeno lui aveva abbandonato il suo fedele cappello, e un po’ mi dispiaceva, perché gli nascondeva le iridi ghiacciate, che con quell’abbigliamento risaltavano ancora di più. Ma era comunque bello. Sarebbe stato bello anche se avesse avuto addosso un sacco della spazzatura. La bellezza è soggettiva, ma nel suo caso era oggettiva.
Il tintinnio di un coltello su un calice mi salvò dalle avances del cuoco.
«Sappiamo che voi manigoldi volete solo abbuffarvi di cibo e trangugiare litri di alcol, ma dovrete fare una pausa, perché dobbiamo fare il brindisi.» Maya ci richiamò all’attenzione. A quel punto sapevamo tutti che dovevamo smettere di mangiare e fare come ci diceva la sposa se non volevamo che ci incenerisse.
«Prima di brindare, vorremmo che il Capitano e i nostri testimoni di nozze dicessero due parole,» aggiunse Omen, sorridendo speranzoso e stringendo a sé sua moglie. Fino a quell’istante erano rimasti un po’ in disparte per godersi il loro momento da novelli sposi. Non avevamo convenzioni sociali da rispettare, ma non ci eravamo liberati del brindisi.
Il Chirurgo della Morte non si premurò di nascondere il suo fastidio, ma alla fine, dopo che il resto dei pirati si fu disposto a semicerchio attorno ai consorti, fu il primo a raggiungerli e a parlare.
“Via il dente, via il dolore,” pensai, sghignazzando tra me e me.
«Siete i miei sottoposti, perciò vi auguro serenità e prosperità,» disse semplicemente, sollevando fiaccamente il calice e tornando dove stava prima.
Il resto dei suoi subordinati, dopo aver fatto un debole applauso, lo ringraziò con lo sguardo per essere stato tanto breve e conciso, volevamo tutti tornare a bere, mangiare e fare baldoria. Maya e Omen non sembravano delusi dal suo intervento, quanto piuttosto divertiti. Del resto, era stato coerente con se stesso: chiaro, asettico e restio a qualsiasi manifestazione d’affetto.
«Wow. Un discorso da Premio Nobel,» lo provocai dopo che mi fui avvicinata a lui. Non poteva aver capito il mio riferimento, ma questo non lo fermò dallo sfoggiare un sorrisetto infastidito.
«Non potresti fare di meglio.»                                                  
«Ascolta e impara.» Gli regalai un’occhiata maliziosa, poi raggiunsi il centro e presi un respiro profondo. Sapevo di dover fare un discorso, Maya mi aveva avvisato. Non era stato facile trovare le parole giuste, nei giorni precedenti più ci avevo pensato e meno mi erano venute idee, ma alla fine l’ispirazione mi era venuta mentre prendevo un sorso del liquido alcolico che tanto amavo.
«Io dico che l’amore è come un bicchiere di vino. Può essere rosso, come la passione che lega due persone; o bianco, come la purezza di un sentimento destinato a non estinguersi mai. Ti rende ebbro, felice, ti riempie di quel sentimento speciale che sai di non poter provare in un altro modo. Ti scalda l’anima, e ti lascia anche un po’ di amaro in bocca. A volte ti dà la nausea, a volte ti migliora l’umore. Ma, alla fine della giornata, sai di non poterne fare a meno. E poi, più invecchia e più diventa buono. Perciò, mi auguro che il vostro bicchiere dell’amore sia sempre pieno. Alla salute!» Sollevai energicamente il calice verso gli sposi. Maya sorrise fiera e Omen fece un piccolo inchino scherzoso.
«Sì!»
«Brava!»
I due marpioni mi applaudirono, e poco dopo si unirono tutti gli altri. Era bello avere dei riscontri del genere da parte di quei burberi dei miei compagni. Mi fece sentire ancora di più parte di quella strana famiglia, mi diede un senso di appartenenza e mi rese felice.
«Questo è un discorso come si deve,» canzonai il Capitano quando lo ebbi di nuovo raggiunto. Valutai l’ipotesi di dargli una pacca sulla spalla, ma rinunciai: non volevo perdere un arto. Mi limitai a ghignare vittoriosa.
«Mi chiedo da quale film tu l’abbia preso.» Anche lui si mise a sogghignare.
«È tutta farina del mio sacco!» Mi finsi offesa. Sapevo che mi stava solo provocando, in realtà lui conosceva le mie potenzialità meglio di tutti. «Anzi, vino della mia bottiglia,» scherzai, ridacchiando alla mia stessa battuta triste.
Prima che Law potesse replicare, però, fu il turno di Kenji.
«Non è facile parlare dopo quello che ha detto Cami,» iniziò, nervoso.
«Non farti problemi!» esclamò Ryu, come per incoraggiarlo. «Anzi, sbrigati ché la carne si fredda!» aggiunse poi, facendo scappare una risata a me e – strano ma vero – al chirurgo. Mi piaceva vederlo ridere.
«Io credo che l’amore sia la testimonianza che gli esseri umani sono in grado di produrre magia.» Al rosso tremava la voce, tanto che dovette fermarsi e schiarirsi la gola. La sua emozione faceva tenerezza.
«Sembra che ci sia qualcuno più bravo di te a fare discorsi,» mi sussurrò Law all’orecchio. Quando mi voltai a guardarlo notai che aveva un ghigno. Alzai gli occhi al cielo. Tutto pur di non darmela vinta.
«L’amore stesso è una magia. E voi due insieme producete una magia incredibile. Tanto potente quanto bella. Ma l’amore è anche un miracolo. Perché non tutti sono capaci di provarlo, non tutti lo cercano e non tutti vogliono provarlo.» Si fermò di nuovo e guardò verso di me. Sospirai e distolsi lo sguardo. Smisi anche di ascoltare. L’ultima cosa che volevo era passare quella bella giornata a torturarmi al pensiero che avevo ferito Kenji e rovinarmela.
Non colsi una parola di quello che disse nei successivi cinque minuti, sentii solo Ryu che imprecava sottovoce perché il medico ci stava mettendo troppo. Mi ridestai soltanto quando udii “Auguri agli sposi!” e vidi i miei compagni alzare per la terza volta i calici in direzione di Maya e Omen. Mi aggregai agli applausi che fecero al rosso – ma non agli strilli scimmieschi che emisero in seguito – e ingurgitai l’alcol nel mio bicchiere. Dopodiché tornammo tutti a concentrarci sul banchetto per prendere le pietanze migliori. Era come andare in guerra.
«Fermi,» ci intimò Law.
Ci bloccammo tutti, alcuni con i bocconi di cibo a mezz’aria.
«Maya, Omen.» Rivolse lo sguardo a loro. «Ci conosciamo da parecchio tempo. Vi ho visti crescere, sbagliare, maturare, trasformarvi nelle persone che siete oggi. So bene chi siete. So chi è Omen e so chi è Maya. Due belle persone. Ma ora siete un’unica entità, e quello che siete insieme è...» Fece una piccola pausa, poi sollevò di nuovo il calice, stavolta con più convinzione. «Alla vostra.»
Gli sposi lo abbracciarono. Contemporaneamente. Dapprima lo vidi irrigidirsi, poi però cedette e ricambiò l’abbraccio, sotto gli occhi increduli di tutti i Pirati Heart e dei Mugiwara.
“Ah, i matrimoni...” pensai ridendo nell’assistere alla scena, mentre gli altri esultavano ed applaudivano di nuovo.
«Questo sì che era un brindisi degno della tua fama. Lieta di averti ispirato,» dissi al chirurgo una volta che anche lui si fu avvicinato ai tavoli.
Non prestai attenzione alla sua risposta, perché proprio in quel momento uno dei miei compagni, nel tentativo di arraffare le ultime pizzette, mi diede una forte botta sul fianco sinistro. Emisi un lamento di dolore e poi imprecai a denti stretti.
Quando rialzai lo sguardo vidi le iridi di Law puntate su di me, d’un tratto interessate. Non volevo che scoprisse che avevo uno squarcio sull’anca.
«È che mi ha pestato un piede,» provai a giustificarmi con un sorriso sornione. Non sapevo neanche perché ci provavo. Era inutile, aveva capito tutto.
Si piazzò di fronte a me con un ghigno pericoloso stampato sulle labbra e mi fece scudo con il suo corpo per evitare che qualcun altro mi vedesse. Prima che potesse fare qualcosa, però, gli afferrai un polso e lo fermai.
«L’ultima volta che è successa una cosa simile mi hanno additato come la tua amante e sono finita su tutti i giornali con una taglia sulla testa,» lo redarguii, cercando di allontanarlo da me.
Il suo ghigno si allargò. «Quindi ti ho portato fortuna.»
Non riuscii a replicare in tempo, perché con un gesto rapido ed esperto mi tirò giù la cerniera del vestito.
«Questo deve essere un regalo dello spadaccino,» commentò divertito. Osservò la ferita per un po’, senza tuttavia toccarla: non si era disinfettato le mani.
«Sì. Ma è stato un incidente. Non è una ferita grave, per questo non ti ho detto niente. Non mi fa neanche male. E poi, ero in buone mani,» mi discolpai, ma in lui non c’era neanche una punta di rabbia, c’era solo diletto. Continuava ad osservare la lesione con un guizzo negli occhi.
Sospirai ed evitai il suo sguardo. Ero leggermente imbarazzata. Senza contare che attorno a noi c’erano una trentina di persone che avrebbero potuto accorgersi della situazione e fraintendere. Pensavo in particolare a una certa Gatta Ladra. Per fortuna erano tutti troppo impegnati ad avventarsi sul cibo per prestare attenzione a noi. Sperai che in giro non ci fossero paparazzi o giornalisti di alcun tipo.
«Hai fatto bene ad usare questo tipo di sutura e a distanziare i punti. È stata una buona idea.»
Non riuscii a contenermi e feci un sorriso a trentadue denti. In realtà ero consapevole di aver avuto una buona idea, ma avevo bisogno di quel complimento, soprattutto se proveniva da lui, perché sapevo che era sincero. Non pensavo che sarei mai tornata a praticare la chirurgia, invece eccomi lì, con uno dei migliori chirurghi al mondo che mi aveva appena fatto i complimenti per il mio lavoro.
«Come facevi a sapere che sono stata io ad applicare i punti?» gli chiesi dopo essermi ritirata su la cerniera del vestito.
«Riconoscerei la tua mano anche ad occhi chiusi.» Sollevò un angolo della bocca e si allungò per prendere un oni giri.
Se possibile, sorrisi ancora di più.
 
Sospirai, lasciando che l’erba fresca mi solleticasse i piedi. Viaggiando sul Polar Tang, quella era una sensazione che mi mancava, come mi mancavano i tramonti. Quel giorno, però, potevo godermeli entrambi. I toni pastello del cielo facevano da sfondo ai Pirati Heart e ai Mugiwara mentre ridevano e scherzavano insieme. Brook aveva suonato fino a poco prima, poi si era preso una meritata pausa. Era stato ineccepibile, ci aveva deliziato le orecchie per cinque ore, era giusto che anche lui si godesse quel poco che rimaneva della giornata. Però non potevamo fare a meno della musica, perciò avevo chiesto una mano ad Usop, che ne sapeva una più del diavolo quando si trattava di strani aggeggi.
«Ehi, Cami,» mi richiamò, mentre sistemava il Dial amplificatore accanto al mio cellulare. «Hai fatto un bel discorso, prima. Non ti facevo così poetica. Né così alcolizzata.»
Scrollai le spalle e sorrisi. Ne erano cambiate di cose da quando ci eravamo separati, anche se all’apparenza era rimasto tutto uguale. «Si fa quel che si deve fare per sopravvivere.»
Sbuffò una risata. «Giusto. Il Dial è pronto, comunque. Devi solo mettere la canzone e premere il pulsante.»
Mi illustrò quello che dovevo fare, lo ringraziai e lo lasciai andare. Era stato geniale quando aveva deciso di portare con sé i Dial di Skypiea. Me ne aveva mostrati alcuni, ce n’erano di tutti i tipi ed erano utilissimi, tanto che mi aveva dato un’idea che avrei messo in pratica dopo le nozze. In quel caso la conchiglia avrebbe fatto da altoparlante per il mio telefono, il cui volume massimo era troppo basso perché la musica potesse arrivare a tutti.
Il giorno prima avevo fatto una playlist apposta per il matrimonio, nella quale avevo inserito le mie canzoni d’amore preferite tra quelle che avevo scaricato. Ero una brava wedding planner. Se con la chirurgia non fosse andata bene, avevo un’alternativa. Gli sposi qualche ora prima avevano passato dieci minuti buoni a ringraziarmi per averli aiutati. C’erano stati abbracci stretti, sorrisi e complimenti. L’unica cosa per cui mi dispiaceva era non essere riuscita ad organizzare gli addii al celibato e al nubilato. Non c’era stato né tempo né modo. Ma nessuno si era lamentato, e per il resto avevo fatto un ottimo lavoro.
Decisi di mettere una delle canzoni più significative, “Unconditionally” di Katy Perry. Io ero stanca ed ero rimasta appoggiata al tavolo – ormai privo di cibo – per gran parte del pomeriggio, ma era incredibile vedere come la maggior parte dei pirati avesse ancora le energie per ballare. Certo, i lenti non facevano per loro. Erano sgraziati, scoordinati e totalmente incapaci di tenere il ritmo e il tempo. Omen e Maya erano gli unici che sembravano aver capito come si ballassero.
«Che canzone lagnosa.» Law, riemerso da chissà dove, era venuto a prendere un bicchiere d’acqua. Il cibo era finito, ma le bevande per fortuna c’erano ancora. L’alcol non poteva mai mancare ai matrimoni.
Lo fissai contrariata. «Smettila, è bellissima. Ed è perfetta per noi.»
Spalancai gli occhi, stupita da me stessa e dalla mia affermazione. Mi era uscita così, senza volere e senza che mi rendessi conto di cosa stessi dicendo. Il Capitano mi guardò con leggera circospezione. Anche se non poteva capire l’inglese e quindi il contenuto della canzone, mi sentivo in dovere di correggermi. «Noi Pirati Heart, intendo. Tutti noi.»
Fortunatamente non mi chiese di cosa parlasse e per non fare altri danni mi versai del vino nel calice e lo bevvi lentamente. Mi persi ad osservare i miei compagni e la ciurma di Cappello di Paglia, illuminati dalla luce aranciata, e cercai di cogliere la loro essenza. I due sposini, neanche a dirlo, si stavano godendo la canzone ed erano stretti in un romantico abbraccio. Ryu stava dando disposizioni per riportare stoviglie e padelle sul Polar Tang a Jean Bart, al quale toccava fare da facchino come al solito. Bepo si stava scusando con Kenji per averlo urtato per sbaglio poco prima. Nami aveva appena dato un pugno per uno a Shachi e Penguin, che stavano tentando di farle delle squallide avances. Rufy stava tallonando Sanji perché aveva ancora fame, Usop e Chopper si erano scatenati in una strana danza tribale, guidati da Franky e Carrot, che dettavano il ritmo battendo le mani. Brook e Robin stavano parlando di qualcosa, il primo rideva mentre l’altra sorrideva con una mano sulla guancia. Zoro si trovava un po’ in disparte, seduto a gambe incrociate. Aveva portato con sé un barile di rum e alternava momenti in cui sonnecchiava a momenti in cui beveva. All’appello mancava solo Marco, poi ci saremmo stati tutti.
Mi voltai a guardare Law, anche lui stava osservando i suoi alleati e sottoposti. Sembrava assorto nei suoi pensieri. Sospirai. Chiedergli di ballare era come chiedere a me di farmi fare un prelievo sangue. Proprio in quel momento, la canzone cambiò e partì “A Thousand Years” di Christina Perri.
«Questa non è meglio,» commentò il chirurgo dopo un po’.
«Questa dice: “ti amerò per mille anni”,» lo istruii. Fece una faccia disgustata e io risi. Poi mi avvicinai al suo orecchio. «Non temere, Traffy. Io ti amerò per milledieci anni.»
Fece un’espressione ancora più schifata, non sapevo però se fosse perché lo avevo chiamato “Traffy” o perché l’idea che potessi amarlo lo ripugnava. Decisi di ignorare la sua espressione e continuai: «Devo utilizzare in qualche modo i dieci anni che mi hai ridato.»
«Non intendo passare i miei ad ascoltare le tue canzoni noiose,» mi avvisò sogghignando.
«Potremmo passarli giocando a Machiavelli. Sarebbero dieci anni gloriosi, per me.» Sollevai un sopracciglio in segno di sfida.
«Oppure potrei passarli a sperimentare nuove procedure mediche su di te.» Si avvicinò, fece scivolare un dito sulla mia giugulare e ghignò. Aveva assunto un’espressione da pazzo, gli occhi gli brillavano di malizia.
Rabbrividii all’idea e anche al suo tocco e decisi che sarebbe stato meglio cambiare argomento.
«Hai fatto la scelta giusta decidendo di farti ridare anche tu i dieci anni di vita,» gli dissi, ammorbidendo il tono di voce e guardandolo fiera. Sapevo che nel profondo pensava di non meritarsi di vivere quei dieci anni in più e che non potevo convincerlo che non era così, ma aveva preso la decisione giusta.
Incastonò le sue iridi alle mie e mi guardò serio, tanto che per un attimo mi preoccupai. «Doflamingo ha già avuto tredici anni della mia vita. Non avrà neanche un secondo di più.»
Sorrisi e annuii. Questo era il Trafalgar D. Water Law che mi piaceva.
«Sei libero. Goditi la tua libertà.» Gli appoggiai una mano sulla spalla. Stavolta non avevo paura di perdere l’arto, era la cosa giusta da fare.
Per qualche secondo rimanemmo a fissarci. Io stavo sorridendo, lui aveva un’espressione serena, un’espressione che era da tanto tempo che non gli vedevo sul volto. In quegli istanti fu come se a guardarsi non fossero più Camilla e Trafalgar Law. Eravamo due vecchi amici che avevano dovuto superare insieme tante difficoltà, che nel dolore si erano trovati. Erano caduti, ma aiutandosi l’uno con l’altra si erano rialzati, e ora si apprestavano a percorrere insieme un altro pezzo di vita. Di tutte le persone, ero contenta che fosse lui. Sì, a volte litigavamo e ci odiavamo e ci insultavamo, però quello che era stato in grado di darmi lui non poteva essere eguagliato da nessuno. Sperai che io potessi rappresentare per il chirurgo anche solo un decimo di quello che lui rappresentava per me.
«Ehi, Cami! Vieni a ballare!» mi gridò Maya, facendomi tornare alla realtà.
Misi una canzone più vivace e decisi di ignorare la stanchezza e raggiungerla. Non si poteva non ballare ad un matrimonio!
Continuammo a festeggiare, ridere, bere e danzare fino a notte fonda. Fu meraviglioso. Mi godetti ogni istante e non mi preoccupai di niente. Cantai a squarciagola, tracannai vino e mi feci anche insegnare la danza tribale da Usop e Chopper.
E quelli furono gli ultimi attimi di felicità e spensieratezza che vivemmo per parecchio tempo.
 
 
 
The book of love is long and boring,
No one can lift the damn thing.
It's full of charts and facts and figures
And instructions for dancing.

 
But I...
I love it when you read to me.
And you...
You can read me anything.

 
The book of love has music in it,
In fact that's where music comes from.
Some of it's just transcendental,
Some of it's just really dumb.

 
But I...
I love it when you sing to me.
And you...
You can sing me anything.

 
The book of love is long and boring,
And written very long ago.
It's full of flowers and heart-shaped boxes
And things we're all too young to know.

 
But I...
I love it when you give me things.
And you...
You ought to give me wedding rings.

 
And I...
I love it when you give me things.
And you...
You ought to give me wedding rings.

 
You ought to give me
Wedding rings.





Angolo autrice
Ciao a tutti! Come state? Sono tornata con un capitolo insolito, più leggero e (forse) romantico. Godetevelo, perché non sarò così buona con i prossimi, che saranno una montagna russa di emozioni e di angst... Siete stati avvisati. Intanto vi auguro di passare un Buon Ferragosto e, come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se vi va, fatemi sapere che ne pensate. :)
Alla prossima!

P.s. La canzone alla fine del capitolo è "The Book of Love" di Peter Gabriel.
   
 
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