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Autore: Ciuscream    31/10/2022    5 recensioni
Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.
Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.
Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

[Lucius/Pansy – Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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EPILOGO

[#writober, 31 ott. - bad decisions make good stories]

 

Ci sono anni che sono giorni e minuti che sono ere; Lucius li ha vissuti entrambi ed entrambi hanno portato, faticosamente, fino a lì. Non è uomo da sentimentalismi – non più, almeno – però vedere lo sguardo di Scorpius, le crepe enormi che ha scavate nelle pupille, ancora un po’ gli affatica il passo. Astoria se n’è andata e suo nipote sta ritto per qualche magia a lui sconosciuta. Lucius lo ama ma non riesce a non pensare che forse sarebbe stato altro, con un’altra madre a mettergli dentro del sangue buono. Madre che non se ne sarebbe andata via tanto presto, che sarebbe rimasta a vegliarlo ancora; madre che non gli avrebbe insegnato tanto giovane qual è il sapore amaro del dolore.

Forse, Lucius pensa però, che sia quasi meglio scoprirlo quando gli anni sono pochi e il cuore è ancora malleabile, pronto ad assorbire ogni urto – non quando si è indurito per colpa della vita e ogni botta lo scheggia con poca premura, lo riduce.

Forse, Lucius pensa, è meglio non pensare.

 

Il binario nove e tre quarti è tutto uno sbuffo di sogno e vapore che sfuma i tratti; sente una piccola fitta, un doloretto che stuzzica il cuore, a pensare quanto tempo prima lì sopra stava suo figlio, quello che adesso gli cammina a fianco curvo, il peso della vita a fiaccargli le spalle. Lucius lo osserva, gli passeggia accanto con il bastone in mano, la testa di serpente stretta nella morsa delle sue dita bianche. Salazar, se vorrebbe dargli un colpo in quella schiena piegata! Nessun Malfoy ha mai chinato tanto il capo – solo se stesso, anni prima, al cospetto del Signore Oscuro e il ricordo ancora gli buca lo stomaco di bile solida.

Per questo vorrebbe dirgli che nessun Male farà più tanto male – è quello che si è ripetuto spesso, negli ultimi anni, come una mantra, una nenia, qualcosa che lo cullasse quando il buio si affacciava agli angoli degli occhi e minacciava di mangiarsi – di inghiottire – tutto il resto.

Non dice nulla, invece; gli ha sempre detto troppo poco, di tutto. Per questo, ciò che li separa non sono solo manciate di decine di centimetri; sono anni di silenzi, incomprensioni, bugie e desideri taciuti. Sono anni passati a far pagare ad un figlio colpe che non possedeva – tra cui quella di non poter avere lei, di averla fatta sempre rimanere sua, di non avergliela mai lasciata davvero.

 

Draco poteva avere Pansy – lei gli si era offerta come mai, mai!, aveva fatto con lui, schiusa, sbocciata, pronta. E suo figlio, quell'ingrato e scellerato figlio, ha sempre rifiutato quel dono, quella grazia, con la stessa leggerezza con cui si scacciano le cose di poco conto.

 

Lucius lo guarda – piegato, piagato dal dolore – e non riesce a dispiacersi quanto dovrebbe. Sicuramente, non quanto vorrebbe.

 

*

 

Ci sono giorni che sono anni ed ere che sono minuti; Pansy li ha vissuti entrambi ed entrambi hanno portato, faticosamente, fino a lì. Mentre l'Hogwarts Express l'avvolge con la sua coltre di fumo candido, i suoi pensieri sono molto più ovattati di quell'aria satura. Era certa che mettere di nuovo piede lì – i ricordi ad ingombrarle il passo – sarebbe stato come vedersi presentato il conto; degli anni passati dall'ultima volta che ha calcato le stesse mattonelle – attenta a non toccarne le fughe, in quel solito gioco infantile che nascondeva a tutti – ha solo qualche ammasso di ricordo muffito, come se, davvero, avesse salvato solo manciate di attimi, quelli che gli sono rimasti impressi negli occhi, bassorilievi nelle pupille che non riesce a cancellare. Molti di questi non li confesserebbe mai; perché confessare vuol dire cedere, vuol dire ammettersi che ci sono decisioni sbagliate che sono state molto più giuste di quelle che tutti definirebbero tali. Se l'è chiesto, se ha fatto bene a lasciare che il suo orgoglio vincesse: che te ne fai, poi, dell'orgoglio? Non ha mani e non ha bocca, non ha un profumo, non è caldo di un calore antico, del calore ancora più marcato di chi ha sempre i polpastrelli gelidi, di chi li scalda solo al tuo tocco.

Molte domande, risposte meno di una manciata; si aggrappa all'avambraccio di Belmont, gli chiede silenziosamente che la sorregga, come ha fatto molte volte. Lui ha sempre detto di sì: spesso vuoto (svuotato) dal dolore di chi sa che, il suo amore, ha cuore occhi e labbra destinati altrove, che glieli concede soltanto perché manca il destinatario originale.

 

Pansy trema appena; non sa se sia perché Parigi ha rubato a Londra il sole e le ha lasciato, in cambio, solo una coltre grigiastra e umida. O perché, nemmeno dopo più di una decade passata altrove, ha avuto il coraggio di negare Hogwarts a due piccole, meravigliose, mani da strega. Fatto sta che non c'è un nervo che non sia tirato, che non sia teso come corda di cuore di drago – quelle della sua bacchetta, di cui ancora ricorda anche il più minimo dettaglio.

 

*

 

I ricordi – fautori dei peggiori scherzi, delle più pericolose trappole.

 

Questo pensa Lucius mentre la nebbia, traditrice, gli mostra qualcosa che non esiste davvero, qualcosa che ritrova solo nell'indulgente sapore del passato, nelle sere in cui il sonno non arriva a prenderlo prepotente ma lo lusinga con parole dolci e minuti lunghi, con le difese abbassate e il cuore privo di protezione alcuna.

I ricordi – che invenzione buffa, che arma velenosa. Tante volte ha visto il suo profilo altrove, tante volte ha sentito un simile modo di sospirare, tante volte volte ha riconosciuto un sentore di gelsomino nell'aria – tante volte. Questa è soltanto una di quelle, si dice, una di quelle in cui la distrazione è complice di un dolore mai definitivamente chetato.

 

Eppure, eppure...

 

Lo riconosce, quel passo: breve, preciso e allo stesso tempo fluido, liquido; lo riconosce, quel profilo: il naso dritto, una piccola ed impercettibile cicatrice a segnare il mento di una fossetta breve; lo riconosce, quello sguardo: pozzi di pece su uno scudo pallido, gli zigomi a sporgere timidi oltre la pelle sporcata da sparute e sottili rughe.

 

La riconosce. Molto più bella di come ricordava, di come il cervello gliela figurava, proteggendolo; molto meno sola di come sperava l'avrebbe mai rivista, consolato nel pensiero che nemmeno lei avrebbe mai più amato, lontano dalle sue mani, che nemmeno lei avrebbe più avuto il coraggio di tuffare il cuore in altri petti.

 

Le riconosce, quelle mani: immancabilmente laccate di rosso, aggrappate ad un braccio che non è il suo, screziate all'anulare da uno smeraldo che brilla spavaldo anche sotto la tiepida luce di inizio settembre, con il cielo velato – come i suoi occhi.

 

Il cuore si ferma, poi accelera, poi si ferma ancora.

C'è qualcosa che si apre, sopra lo sterno: una voragine, uno squarcio, una crepa che dà sull'ignoto. Ogni notte passata a pensare, ad immaginare, che trema dentro di lui come terra che poggia su magma vischioso, incontrollato e incontrollabile. Magma che lo trascina, che lo disperde, che lo getta in un mare infuocato di nulla.

Il cuore accelera, poi si ferma, poi accelera ancora.

 

Lo vede un attimo dopo, qualcosa che entra come una meteora nel suo campo visivo e ruba la scena anche a lei. Una ragazzina corre nella loro direzione, sorpassandoli veloce, ignorandoli: ha un basco verde calcato sulla testa e una gonna che svolazza lieve ad ogni movimento delle gambe lunghe e bianche. Ha i capelli che frusciano, di un biondo chiarissimo che sfuma nell'argento e occhi neri e scintillanti, profondi di una vita tutta da scrivere, di un orgoglio tutto da sporcare.

Una voce – quella voce – si alza leggera e Lucius si accorge che proprio a quella bambina è destinata.

 

“Suzanne, non ti allontanare!”

 

E mentre Pansy alza gli occhi a cercarla, i loro sguardi si incontrano: ad un millimetro dalla fine, dall'inizio, dal punto che avvia e chiude il cerchio. A metà tra due vite, tra due sgomenti, tra i non detti e i non fatti anestetizzati dal tempo e dall'incuria di un amore che non ha mai avuto coraggio di essere.

 

Insieme, soli – come sono sempre stati.


 



Note: È FINITA. ANDIAMO A PARIGI BEPPE (?)
È con il cuore un po' stretto e con un capitolo scritto in fretta e furia che termino questo mio viaggio e questo mio Writober. Devo tanto a questa storia – ci ho messo molto più di me di quanto dovrebbe essere concesso. Lucius e Pansy mi hanno rubato il cuore, Parigi prima di loro, e scrivere di questa combinazione invece mi ha dato molto di più di quello che mi aspettassi. Grazie delle bellissime parole che avete speso per questa storia, ognuna è stata un motivo in più per mettersi al pc nonostante le palpebre cadenti. Non l'ho dato per scontato nemmeno per un secondo ed ogni ringraziamento non sarebbe davvero sufficiente.

Vi mando un abbraccio grande, vi voglio bene!

 

   
 
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