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Autore: ferao    10/12/2022    7 recensioni
C'è chi conosce un solo linguaggio dell'amore, e chi li parla tutti.
Raccolta partecipante all'iniziativa "Cinque fette di melassa" dell'Angolo di Madama Rosmerta
(La oneshot "Acts of service" partecipa ai 72 prompt in attesa del Natale indetti da Mari e Sofifi sul forum "Ferisce la penna", nonché agli Oscar della Penna)
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arthur Weasley, Audrey, Kingsley Shacklebolt, Percy Weasley, Poppy Chips | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Edax Rerum'
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Questa storia partecipa ai 72 prompt in attesa del Natale indetti da Mari e Sofifi sul forum "Ferisce la penna", con il prompt "cenere". E insomma, non è né natalizia né particolarmente allegra, ma in fondo cos'è il Natale senza un po' di angst? Dico bene?

Come al solito è ambientata nel mio personalissimo Feraverse e contiene collegamenti ad altre mie storie, nella fattispecie quelle della serie "Edax Rerum", ma è comprensibile anche a sé. Credo. Spero. Oh beh, se avete dubbi o domande scrivetemi pure, sono sempre felice di parlare delle mie fanfiction :D

Grazie a Mari e Sofifi per avermi dato l'input per proseguire questa raccolta, che languiva ormai da un po'. Alla prossima e buone festività invernali!


 


Acts of service
(prompt: alba)



 

È da poco passata l’alba quando il Ministro della Magia arriva al Ministero. L’edificio è ancora deserto, fatti salvi i maghi della sorveglianza che aspettano il cambio turno e quelli della Manutenzione Magica che iniziano ad arrivare a poco a poco; lo stridio dell’ascensore riecheggia nel corridoio vuoto del Primo Livello, i passi rimbombano nel silenzio che precede l’orario lavorativo.

Non c’è ragione di venire così presto, il Ministro lo sa, specialmente in una giornata come questa – fredda, grigia, anomala per il mese di giugno, una di quelle in cui il sole arranca a sbucare e getta ovunque una bieca luce color cenere. Difficile trovare le forze di andare in ufficio in un mattino del genere, eppure è necessario, e chi è il Ministro per non farlo? Chi è lui per infrangere la fiducia di tutti i maghi e le streghe che ogni giorno, nonostante tutto ciò che è successo negli ultimi mesi, nonostante abbiano perso amici e parenti e pezzi di vita, vengono comunque qui a svolgere il loro dovere consapevoli che lui lavora per loro? 

Così, anche se fa freddo e l’aria stessa sembra fatta di cenere – persino nel Ministero, dove il sole non ha modo di arrivare – e anche se pagherebbe qualsiasi prezzo pur di trovarsi da qualunque altra parte, anche quel giorno il Ministro si reca al Primo Livello. All’alba, perché qualcuno deve pur dare l’esempio – e perché l'alternativa è rigirarsi nel letto in cerca di un sonno che non giunge da settimane.

I suoi piedi sembrano fatti di piombo mentre percorre gli ultimi metri che lo separano dal suo ufficio. Perché, si chiede per la milionesima volta in un mese, perché proprio lui? Non è nato per fare il Ministro, tantomeno il leader: è un Auror, santo cielo, e se durante e dopo la guerra si è accollato un ruolo di comando è solo perché quelli a cui sarebbe spettato di più hanno avuto il buonsenso di morire prima che le cose degenerassero. 

Scusa, Albus, e scusa, Malocchio, ma lo sapete che è vero.

Il punto è che lui non dovrebbe essere lì, all’alba, a iniziare una giornata a base di leggi da rivedere, dipartimenti da risistemare, incalcolabili danni da riparare e stronzi che fino all’altro ieri lo consideravano un nemico pubblico e adesso fanno a gara a leccargli il culo; non dovrebbe essere costretto ogni giorno a venire in questo posto grigio come la cenere e altrettanto soffocante, quando invece Harry e i ragazzi della sua squadra di cacciatori rischiano la vita per cercare i Mangiamorte latitanti e Minerva ridona decoro e speranza a Hogwarts. No, lui dovrebbe essere con loro, a sporcarsi le mani, a combattere, a fare quello per cui è addestrato, non lì…

…e tuttavia deve. Troppa gente si fida di lui. Troppe persone hanno sacrificato troppo per portare il mondo magico lì dov’è ora e aiutarlo a progredire. Il minimo che lui possa fare è chiudere il becco e smettere di lamentarsi tutti i giorni delle stesse, identiche cazzate. 

Datti una regolata, Shacklebolt.

Sospira e, con un ultimo sforzo, gira la maniglia. L’anticamera è vuota, il traffico di impiegati non inizierà che tra un paio d’ore. Ecco, quella è una buona ragione per venirsene al Ministero in largo anticipo: niente segretari significa niente voci, niente rumore, niente buongiorno Ministro, come sta Ministro, gli impegni di oggi Ministro, niente incessante grattare di penne in sottofondo e, soprattutto, nessuna crisi di nervi pronta a scoppiare da un momento all’altro. Che cazzo. Ovviamente non biasima i suoi dipendenti – non è certo colpa loro se fino a qualche giorno fa vivevano nel terrore delle punizioni e col fiato dei Mangiamorte sul collo – ma certe volte gli piacerebbe non avere una segreteria piena di gente traumatizzata.

Da quando si è installato nell’ufficio del Ministro, assiste ai crolli mentali dei suoi dipendenti un giorno sì e l’altro anche. C’è chi sbotta a piangere leggendo un rapporto, chi ha un attacco di panico nel doversi recare in determinati posti del Ministero… amenità del genere. Ma di nuovo, non li biasima. Sarebbe ipocrita, dopo che lui stesso ha avuto un tracollo emotivo alla sua scrivania davanti alla lista completa dei caduti a Hogwarts. Però ecco, gli piace arrivare lì e trovare vuoto e silenzio.

Neanche a farlo apposta, appena finisce di formulare quel pensiero un leggero suono rompe l’aria. Un singhiozzo trattenuto, che nella quiete dell’anticamera deserta fa l’effetto di una minuscola esplosione.

Kingsley si gira immediatamente in cerca della fonte. Ah. Allora c’è qualcuno. Occorrenza rarissima, ma a volte succede che qualche segretario con troppo lavoro da sbrigare si attardi la sera o venga al mattino presto, sebbene in genere gli unici con questa vena masochista siano lui e…

Ah.

Ah, cazzo.

Mordendosi la lingua per non imprecare, si dirige col passo più felpato possibile all’angolo più lontano dalla porta. Rannicchiato dietro una scrivania, invisibile se non per la chioma che spicca nell’aria grigia come una fiammella tra braci spente, Percy Weasley sta singhiozzando in maniera quasi impercettibile – quasi. Via via che si avvicina Kingsley ne distingue il sobbalzare delle spalle, le braccia strette attorno alle ginocchia, la testa nascosta tra di esse. Un animale ferito venuto a rintanarsi in un luogo familiare. Vederlo così sorprende Kingsley, e al contempo non lo fa.

Se c’è un essere vivente in quel maledetto posto che avrebbe davvero il diritto di crollare su base quotidiana, quello è Percy. Nessun altro ha visto, fatto o subìto quanto lui nell’ultimo anno, perciò Kingsley ha sempre saputo che prima o poi sarebbe toccato anche a lui; e tuttavia, nell’ultimo mese la sua è stata una presenza talmente stabile da far sembrare pressoché impossibile l’eventualità di vederlo in quelle condizioni. 

Di solito, quando uno dei suoi segretari – suoi, detto in quel tono protettivo che fa tanto Molly – mostra segni di cedimento, è Percy a occuparsene immediatamente o quasi. Raccoglie le pergamene cadute da mani tremolanti, dispensa tè a chi non riesce a smettere di piangere, accompagna in corridoio chi ha difficoltà a respirare là dentro, parla con voce confortante a chi magari ha rimproverato due minuti prima, fa in modo che il lavoro del giorno di chi è dovuto tornare a casa sia terminato e ordinatamente riposto. Il tutto mentre porta comunque avanti il proprio da fare, senza mai saltare una riunione o una consegna o altro. Kingsley non ha la più pallida idea di come faccia, eppure il capoufficio Weasley c’è sempre, onnipresente e solido come le mura stesse del Ministero – e lui in quanto Ministro non dovrebbe avere delle preferenze, lo sa, ma proprio non può fare a meno di essere schifosamente orgoglioso di lui.

Ebbene, ogni tanto anche le mura più solide franano.

Si ferma a due passi di distanza dal ragazzo, il quale non si è ancora accorto della sua presenza. Merlino, è così giovane. 

«Ehi.»

Percy sussulta e districa immediatamente le lunghe membra dal nodo in cui si è raccolto. Balza in piedi e volge le spalle a Kingsley mentre si netta gli occhi nelle maniche. «Oh… b-buongiorno. C-chiedo scusa, non…»

«Non preoccuparti.» Kingsley si sforza di sorridergli, ma quando vede gli occhi arrossati di Percy qualcosa dentro di lui si spezza. Così giovane, dannazione.

Rimane comunque in silenzio, lasciando al ragazzo il tempo di ricomporsi e schiarirsi la gola. «Che è successo?» chiede allora, accennando col mento alle carte sulla scrivania. «Hai trovato qualche refuso nei rapporti di Marvin?»

In un’altra circostanza la battuta gli scatenerebbe un grugnito di divertimento, ora invece Percy scuote la testa e si strofina di nuovo gli occhi. «No, uhm… niente, solo…»

Sposta il peso da un piede all’altro, guarda a terra e si mordicchia l’interno della guancia. Ogni volta che fa così, Kingsley si sente trasportato indietro di vent’anni e davanti al suo collega Fabian. «Sono, uhm… passato alla Tana stamattina.»

Mh, come sbagliarsi. Quando non è al Ministero a tenere in piedi il Primo Livello, Percy è dai suoi a cercare nuovi modi di rendersi utile. Kingsley si appunta mentalmente di trascinarlo fuori a bere una delle prossime sere, quantomeno per assicurarsi che si rilassi di quando in quando.

«È tutto a posto? I tuoi stanno bene?»

Sempre senza guardarlo, Percy annuisce. «Sì, uhm, credo di sì.» Si sposta di nuovo sui piedi. «Ho… ho visto George.»

Kingsley sgrana gli occhi. George? Il George che non lascia la propria camera da un mese, da quando è morto Fred? Beh, si direbbe una buona notizia, no?

«Oh. E… come sta?»

«Mh.» Percy scrolla le spalle, e finalmente alza la testa per rivolgergli un sorriso amarissimo. «Deluso che non sia morto io invece di Fred, a quanto pare.»

Ah. Ah. Il cuore di Kingsley si restringe di diverse misure. Cosa dovrebbe rispondere a un’affermazione del genere? Come si consola qualcuno da quello? L’esitazione nel trovare una risposta gli costa cara, perché Percy si affloscia di nuovo e si passa per l’ennesima volta la manica della veste sotto gli occhiali.

«Mi dispiace, davvero. Non mi sono accorto di che ore fossero. Vado subito a…»

«Perce.»

«…preparare il lavoro di oggi, dobbiamo…»

«Percy.»

Il tono un po’ più secco lo blocca all’istante. «Non devi preparare proprio nulla. Va’ a casa.»

«Cos… n-no, non…»

«Va’ a casa,» ripete. «È da quando abbiamo iniziato a lavorare qui che non ti prendi un giorno libero, direi che possiamo sopravvivere senza di te fino a domani, no?»

No, si risponde subito Kingsley, ma piuttosto che dirlo a voce alta si Crucerebbe da solo.

«No.» Percy scuote la testa più e più volte. «No, no, no, ci sono troppe cose da fare, oggi bisogna parlare con la commissione per l’annullamento delle adozioni forzate e dobbiamo rivedere l’intero fascicolo, e l’Archivio ci ha trasmesso i contratti di lavoro illegittimamente terminati da verificare, e i miei segretari non sono mai stati senza…»  

«La commissione posso gestirla io, i contratti vanno all’Ufficio Assunzioni e i tuoi segretari impareranno a fare a meno di te per una volta. Fidati, Perce, non sei in condizioni, è molto meglio se…»

«Per favore.» Il ragazzo lo guarda dritto negli occhi. «Non mandarmi via, per favore. Ho… ho bisogno di non sentirmi inutile.»

Dio del cielo. Kingsley non saprebbe dire se sia il tono di supplica o l’aperta vulnerabilità nell’espressione del suo amico, fatto sta che per lui la battaglia è già persa ancor prima di iniziare. Sa che dovrebbe consolare Percy, dirgli che non è inutile né lo è mai stato, ricordargli che intere famiglie sono vive a causa sua e che nove segretari su dieci sono tornati a lavorare in quel posto infernale per lui… ma a che servirebbe? La verità è che Kingsley stesso capisce troppo bene quel bisogno di fare, di dare tutto se stesso, di farsi perdonare con le proprie azioni il fatto di essere vivo quando altri più meritevoli sono sotto terra. 

La differenza è che quel che lui fa per senso del dovere, Percy Weasley lo fa per altre ragioni.

Sospira e, in un impeto di quello che altri chiamerebbero istinto paterno, gli poggia una mano sulla spalla e stringe forte. «Come preferisci.»

Percy annuisce, poi tira su col naso e raddrizza la schiena. «Uhm… allora, come dicevo, dobbiamo rivedere il fascicolo da presentare alla commissione per…» 

«Che ne dici di un tè, prima? È letteralmente appena sorto il sole.»

«…tè, sì, giusto. Vado a prenderlo subito.»

«Ti aspetto.»

Annuisce di nuovo e si allontana, ma prima che gli dia le spalle Kingsley fa in tempo a vedergli sbucare sulle labbra un microscopico, quasi impercettibile principio di sorriso.

E finalmente l’aria non sembra più fatta di cenere.

   
 
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