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Autore: Milly_Sunshine    25/12/2022    3 recensioni
Novembre 2002: al termine di una serata con gli amici, Mark ha un appuntamento con la fidanzata Ellen, ma lei rimane ad attenderlo invano, senza ricevere sue notizie. Il giorno dopo, l'amara realtà: è stato brutalmente assassinato, mentre si trovava in un luogo in cui già fu consumato un atroce delitto. Il mistero legato alla sua morte non viene svelato, ma provoca la morte di altre persone. Novembre 2022: a vent'anni di distanza, Ellen e gli amici di Mark si ritrovano di nuovo nel loro paese natale per commemorarne la scomparsa, senza sapere che chi ha già ucciso vent'anni prima è ancora in agguato. Li aspetta un mistero fatto di lettere anonime, identità scambiate e intrighi di varia natura. // Scritta nel 2022/23, ma ispirata a un lavoro adolescenziale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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[24 novembre]
Erano le 22.30 e ormai nel bar non c'era più nessuno. Ellen e la sua amica Janice Petterson dovevano avere tenuto d'occhio molto bene la clientela, dato che i piani della Jefferson si stavano realizzando. Le aveva chiesto di potere organizzare un piccolo raduno nel bar, per discutere degli accadimenti di Goldtown, e Patricia non aveva saputo rifiutare. O meglio, se fosse stato per lei l'avrebbe fatto, ma Ray le aveva suggerito di accettare.
Ellen era presente, mentre Janice non c'era. Se non altro, almeno non c'erano sconosciuti. Ray si era presentato da una decina di minuti, perché apparentemente figurava tra le persone contattate da Ellen, mentre c'erano Roberta, Kevin, Janet e Lydia.
«Ci siamo già tutti?» chiese Patricia, rivolgendosi a Ellen.
«No, mancano ancora due persone, anzi tre.» Si rivolse a Roberta. «Hai detto a tua sorella dell'incontro? Verrà?»
«No, non ci sarà» rispose Roberta, con naturalezza. «È a casa da nostra madre e, siccome non guida, non può venire a Goldtown.»
Lydia azzardò: «Potevi andarla a prendere tu.»
Roberta alzò le spalle, con indifferenza.
«Perché avrei dovuto? Non sono la sua balia.»
«Non mi stupisce che non ci sia, anzi, non mi aspettavo niente di diverso» osservò Ellen. «Dopotutto ho notato questa strana dinamica: o ci sei tu, o ci sei lei. Se non fosse per il modo di vestire o per i capelli, si potrebbe quasi pensare che siate la stessa persona.»
Kevin si lasciò andare a una risatina.
«In effetti non vi ho mai viste nella stessa stanza.»
«Piantatela di dire cazzate» li riproverò Roberta. «Sbaglio o siamo qui per una faccenda seria? Anche nelle occasioni solenni bisogna sempre prendere in giro Jennifer? Sembrate dei bulli delle scuole elementari.»
Ellen le diede ragione.
«Ti chiedo scusa, Roberta, se siamo stati sgradevoli. Effettivamente non deve essere bello, per te, essere tirata in mezzo ogni volta in cui si parla di tua sorella. Non è certo colpa tua se Jennifer è così.»
C'era qualcosa di insolito nel tono di Ellen e Patricia non sapeva che interpretazione darvi.
Kevin, da parte sua, sembrava decisamente di più lo stesso di sempre, mentre conveniva con lei.
«Ellen ha ragione, non avremmo dovuto prendere in giro Jennifer alle sue spalle. Ti chiedo scusa anch'io.»
Roberta accennò un sorriso.
«Non fa niente, Kevin, è tutto a posto. Ci sono abituata. Jennifer è strana, lo ammetto. Quello che dite su di lei è tutto corretto, però fareste meglio a farlo notare a lei. Io faccio quello che posso, quindi non certo miracoli.»
Patricia decise di mettere fine a quella discussione chiedendo: «Chi manca?»
«Steve e Jack» rispose Ellen, «Ma immagino saranno qui a momenti.»
Janet le suggerì: «Potresti chiamarli per sollecitarli. Sono le dieci e mezza. La maggior parte di noi, domani mattina, deve andare a lavorare.»
Ellen la rassicurò: «Cercherò di rubarvi poco tempo. Voi intanto sedetevi. Se Steve e Jack dovessero tardare, non esiterò a cercarli. Adesso, però, mi sembra troppo presto. Cosa faccio? Li chiamo per far notare loro che avrebbero dovuto essere qui trenta secondi fa?»
«Hai ragione» ammise Janet, prendendo posto a un tavolo con Lydia e Kevin. Nel frattempo Patricia, Roberta e Ray si sedevano a un altro, lì vicino. «Magari, nel frattempo, potresti spiegarci perché ci hai convocati qui, insistendo come se fosse una faccenda di vita e di morte.»
«Preferirei aspettare un attimo» replicò Ellen, «E darvi certe spiegazioni una volta sola, ma comprendo il tuo punto di vista. Come puoi immaginare, siamo qui per discutere di quello che sta succedendo a Goldtown. Forse ti sembrerà un po' ridicolo, ma mi sono ispirata ai gialli classici. Hai presente come finiscono di solito? Con l'investigatore che riunisce i sospettati in una stanza e tiene una sorta di comizio in cui espone i fatti e la soluzione. Io, ovviamente, non so chi abbia commesso i delitti, né vi sospetto di coinvolgimento, però sono arrivata a delle conclusioni che vorrei condividere con le persone che stavano vicine a parecchie vittime.» Indicò Ray. «Magari ti chiederai cosa c'entri lui, e in effetti non c'entra molto, però è stato illuminante, in certi momenti, quindi ho pensato che la sua presenza fosse un bene.»
Lydia le domandò: «Posso chiederti con quale autorità ti elevi al ruolo di investigatore?»
Ellen sorrise.
«Per lavoro, mi sto occupando dei delitti. Non ho alcuna autorità su di voi, siete liberi di insultarmi o mandarmi a quel paese. Per ora, però, mi tocca ringraziarvi perché siete qui. Sarà una bella esperienza cercare di vederci chiaro insieme a voi.»



Steve non era affatto sicuro che entrare al bar fosse una buona idea. Si confidò con Jack, che si trovava accanto a lui.
«Non me la sento di vederli insieme. Già è difficile passare tutta la giornata a pochi metri di distanza da Kevin, al lavoro. Non riesco a credere che Ellen si sia messa insieme a lui.»
Ne aveva parlato con Jack a più riprese in quei giorni e l'amico era sempre stato piuttosto comprensivo, ma in quel momento doveva averne abbastanza.
«Posso farti notare che Ellen è una ragazza con la quale stavi insieme vent'anni fa? Ormai dovresti rassegnarti all'idea che possa stare insieme a un altro.»
«Ma perché quell'altro dovrebbe essere proprio Kevin?»
Jack sospirò.
«Posso immaginare che non sia piacevole sapere che la donna che pensi di amare stia insieme a uno dei tuoi migliori amici, ma devi accettarlo. La vita continua, specie a distanza di decenni. Ti sei dimenticato che stavi con Phyllis in questi anni? E che, quando stavi con lei, il pensiero di Ellen neanche ti sfiorava?»
Steve alzò gli occhi al cielo.
«Te l'ha detto Kevin di farmi questo discorso? Sembrano parole uscite direttamente dalla sua bocca.»
«No, non ho parlato con Kevin di Ellen. Entriamo?»
Steve si rassegnò.
«Entriamo.»
Vide un buon numero di persone sedute, Ellen in piedi e due posti disponibili, l'uno a un tavolo, l'uno all'altro. Senza degnare Kevin di uno sguardo, andò a sedersi nell'altro tavolo. Solo mentre si accomodava realizzò di avere fatto la cosa giusta anche per Jack, che difficilmente avrebbe desiderato doversi mettere accanto a Ray Moore.
Ellen, che stava tenendo un discorso piuttosto infervorato mentre loro entravano, fece una breve sintesi: erano tutti dalla stessa parte, il loro interesse era cercare di comprendere cosa stesse accadendo a Goldtown e cosa fosse accaduto nel lontano 2002, ma per arrivare a un obiettivo comune dovevano essere sinceri, raccontare tutto ciò che sapevano e smetterla di nascondersi dietro una maschera.
Non tutti furono contenti di udire quelle parole. Ci fu qualche protesta, in primis da parte di Lydia.
«Non puoi tacciarci di mentire, così come se niente fosse. Tu hai sempre detto la verità su tutto? E, in tal caso, come possiamo esserne certi?»
Ellen la rassicurò: «Penso che molti di noi abbiano i loro segreti, ma non tutti. Io vi racconterò i miei e cercherò di svelare i vostri.»
«Dunque» osservò Janet, «Tu stessa hai dei segreti.»
«Io stessa ho dei segreti» confermò Ellen. «Ho sempre avuto una spiccata propensione a interessarmi ai retroscena dei casi di cronaca nera. Non retroscena da tabloid, come fanno alla televisione. Non mi interessa, per intenderci, se la vittima aveva degli amanti o se aveva il vizio del gioco, a titolo d'esempio, a meno che non siano dettagli rilevanti all'interno del caso. Purtroppo, per arrivare a una soluzione, bisogna esaminare in lungo e in largo la vita delle vittime, ma anche di potenziali colpevoli o potenziali testimoni, finendo per invadere la loro privacy. So che è sgradevole, ma è una necessità. Lo pensavo anche vent'anni fa e venni a Goldtown per fare questo, cercare di capire cosa fosse successo alla povera Linda Miller. È stato un segreto, non lo sapeva nemmeno Mark. Lavoravo di nascosto alle mie indagini, evitandolo occasionalmente con la scusa che mia zia, con la quale abitavo, era una donna all'antica che non apprezzava frequentazioni maschili da parte mia. Come vedi, ho un segreto, ma non è nulla di grave. Forse anche alcuni di voi hanno segreti ben poco scabrosi da rivelare. Vi invito a farlo.»



Kevin spostò lo sguardo dall'uno all'altro dei presenti. Nessuno proferì parola e non avrebbe saputo dire se fosse un bene o un male. Ellen gli aveva rivelato di dovere fare numerose rivelazioni scottanti, ma non sapeva fino a che punto potesse spingersi. Non restava altro da fare che ascoltarla e sperare che non accadesse niente di irreparabile.
«Bene, vedo che nessuno ha niente da dire» proseguì Ellen. «Un po' me lo aspettavo, del resto anch'io non sono mai stata pronta a dire tutto. Per esempio non ho mai parlato volentieri delle lettere anonime che ricevevo nell'autunno del 2002. Una persona mi scriveva, quasi come se volesse rassicurarmi, come se mi ritenesse una vittima indiretta. Qualche tempo fa, prima della morte della povera Kimberly Richards, ho iniziato a ricevere messaggi via social, da una persona che sosteneva di essere l'autrice delle lettere. Non ne ho parlato con la polizia, quando sono stata interrogata: un altro segreto ben poco scabroso, ma che potrebbe avere le sue conseguenze. Il punto è che spesso decidiamo di mentire o tacere, non perché sia necessario, ma perché è di gran lunga il modo più semplice per uscirne senza problemi.» Fece qualche passo, proprio verso il tavolo a cui Kevin era seduto. «Sei d'accordo, Lydia?»
«Non saprei» borbottò Lydia. «Mi capita di mentire, a volte, sì. Dico al mio capo che la macchina non si avviava e non che sono stata io a fare tardi, a volte. Oppure, quando vado a fare la spesa, dico a mia figlia che al supermercato le schifezze che vorrebbe mangiare lei erano finite, e le dico che è un caso se invece, quando la spesa la fanno i miei genitori, riescono a comprargliele sempre. Penso che tutti, bene o male, mentiamo su queste cose.»
Ellen la ignorò.
«Tu, Janet, invece, cosa ne dici?»
«Non saprei cosa dire.»
«Anche questa è una strada facile.»
«Cosa vuoi da me, Ellen?»
«Non voglio niente, solo raccontarti una storia. Inizia con due amiche che vanno a fare un giro nella periferia di Goldtown, un tardo pomeriggio di novembre. Non è chiaro cosa debbano fare, forse parlare di quello che sta succedendo. Magari una delle due, o entrambe, sospettano qualcosa, perché conoscevano una delle vittime. Ti dice niente tutto questo?»
Janet scattò in piedi.
«Che cazzo vuoi? Cosa stai cercando di dirmi?»
Ellen ridacchiò.
«Non saprei. Cindy cosa stava cercando di dirti quel giorno? Perché avete litigato? Perché l'hai aggredita?»
Janet scosse la testa.
«Tu sei completamente fuori! Che cazzo ti viene in mente?»
Gli occhi di Lydia erano fissi su Janet.
«Quello che sta dicendo Ellen è vero?»
«Certo che no» replicò Janet. «Quella testimone disse di avere visto una donna con i capelli scuri e la testa coperta da un cappuccio.»
«Quella donna vedeva sfuocato, a quella distanza, e non avrebbe saputo distinguere una ciocca rosso fuoco da una ciocca nera, al buio» le ricordò Ellen. «Però vide il cappuccio. Ci sono due ragioni per cui una persona potrebbe indossare un cappuccio: nascondersi o proteggersi dal freddo o dell'umidità. La testimone pensò alla prima ipotesi, perché probabilmente non le sembrava freddo abbastanza per tenere sulla testa il cappuccio di una felpa. Immagino fosse la seconda. Tu stessa hai detto di avere sempre sofferto di dolori cervicali. Eri tu?»
Janet tornò a sedersi.
«Certo che no.»
«Rifletti, Janet, noi possiamo aiutarti» la incoraggiò Ellen. «È normale che tu avessi paura. Ciascuno di noi sarebbe stato terrorizzato al posto tuo. Però non sei la sola che ha mentito, qui. Per esempio una delle persone qui presenti la notte dell'omicidio di Mark era fuori casa, ma si è fabbricato un alibi perfetto. Tu non hai fatto niente di male, hai solo avuto un violento litigio con la tua migliore amica, che probabilmente vorrebbe che tu ti liberassi dal peso che ti porti dentro. Sono vent'anni che questo segreto di logora. Parla. Raccontaci la tua versione dei fatti.»
Kevin decise di intervenire: «Ellen, lasciala in pace. Non era lei.»
Quelle parole ebbero il potere di sbloccare la situazione. Janet, infatti, lo smentì.
«Sì, ero io.»

   
 
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