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Autore: Milly_Sunshine    05/01/2023    3 recensioni
Novembre 2002: al termine di una serata con gli amici, Mark ha un appuntamento con la fidanzata Ellen, ma lei rimane ad attenderlo invano, senza ricevere sue notizie. Il giorno dopo, l'amara realtà: è stato brutalmente assassinato, mentre si trovava in un luogo in cui già fu consumato un atroce delitto. Il mistero legato alla sua morte non viene svelato, ma provoca la morte di altre persone. Novembre 2022: a vent'anni di distanza, Ellen e gli amici di Mark si ritrovano di nuovo nel loro paese natale per commemorarne la scomparsa, senza sapere che chi ha già ucciso vent'anni prima è ancora in agguato. Li aspetta un mistero fatto di lettere anonime, identità scambiate e intrighi di varia natura. // Scritta nel 2022/23, ma ispirata a un lavoro adolescenziale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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[30 novembre]
Quando Patricia vide Janice Petterson entrare nel bar, era ormai troppo tardi. Cercò di defilarsi, chiedendo a Ray di occuparsi di lei, ma fu chiaro fin dal primo momento che la giornalista non si fosse recata sul posto in qualità di cliente. Si avvicinò a lei e le fece un cenno, al quale Patricia comprese di non potersi sottrarre.
«Bentornata» la accolse, sforzandosi di apparire cordiale. «Cosa posso fare per lei?»
«Potremmo darci del tu» propose Janice.
«A me va bene, ma immagino ci sia dell'altro.»
«Sì, certo, sono venuta qui per una faccenda che riguarda Ellen.»
Patricia azzardò: «Potrebbe venire lei, se vuole altre spiegazioni oltre a quelle che le ho già dato quella sera. Oppure ha qualcosa di cui lamentarsi perché ho preferito parlarle in privato, invece che davanti a tutti gli altri?»
«Non è stata Ellen a chiedermi di venire qui, è stata una mia spontanea iniziativa» chiarì Janice. «Ci sono alcuni punti che non mi tornano del tutto e non sono sicura che Ellen sia nelle migliori condizioni di lucidità, al momento.»
«Io qui sto lavorando.»
«Non c'è molta gente, adesso. Può pensarci il tuo collega.»
«Immagino che tu abbia cercato di proposito un orario in cui c'è poco traffico» azzardò Patricia. «Comunque quei pochi clienti che ci sono potrebbero sentirmi.»
Janice puntualizzò: «Non ti ho chiesto di parlare davanti a loro.»
«Però mi stai chiedendo di uscire di qua.»
«Mi va bene anche discuterne nel privé.»
Patricia avrebbe voluto rifiutare, ma stare a sentire cosa la Petterson avesse da dirle poteva essere l'unica via per poi, in un secondo momento, liberarsi di lei.
«Seguimi. E fallo subito, perché potrei cambiare idea.»
Janice non se lo fece ripetere due volte e, quando entrarono, si affrettò a chiudere la porta alle loro spalle.
Patricia la esortò: «Allora?»
«Allora sto cercando di schiarirmi le idee su tutto quello che è successo a Goldtown nel 2002 e su quello che sta accadendo tuttora, a vent'anni di distanza» le spiegò Janice. «Se non è possibile scoprire chi sia l'autore dei delitti, almeno si può ricostruire quello che gli accadeva intorno.»
«Quindi le mie azioni si sarebbero svolte intorno ai delitti. È questo che stai cercando di dire?»
«Non volevo essere offensiva. Sono fatti accaduti a Goldtown e Goldtown è il grande contorno di questa storia, questo volevo dire.»
Patricia sospirò.
«Va bene, ma fai presto. Non posso stare tutta la giornata dietro a te.»
«Lo immagino» la rassicurò Janice, «Quindi di chiedo solo di ascoltare la mia ricostruzione. Mi sono basata su quello che hai detto a Ellen quella sera. Nel 2002 avevi una ventina d'anni ed eri andata da poco a vivere da sola in un appartamento alla periferia di Goldtown, nel quale molti anni prima aveva abitato tua sorella Lisa. Non avevi mai parlato con Ellen fino alla tarda serata del 31 ottobre, ma quando si mise a raccontarti del suo fidanzato che le aveva dato buca, prendesti a cuore la sua storia. Ti ispirava simpatia, forse, ma per il momento tutto finiva lì. La accompagnasti a casa, dopo, e andasti da te. Avevi invitato Kimberly Richards, con cui avevi da poco iniziato una relazione. Le avevi dato un mazzo di chiavi, perché potesse andare ad aspettarti da te. Pensavi fosse rimasta là per tutta la sera, ma non era andata così. All'epoca, però, non lo sapevi. È tutto corretto?»
«Sì.»
«Poi, l'indomani sera, uscì la notizia dell'omicidio di Mark. Sentisti qualche pettegolezzo contro Ellen e, ancora una volta, prendesti a cuore le sue vicende. Quindi, mentre l'esistenza a Goldtown veniva totalmente sconvolta, iniziasti a scriverle lettere per rassicurarla, sperando che non ti scambiasse per una maniaca e non si rivolgesse alle autorità. Avevi intenzione di iniziare a firmarti con il tuo vero nome, prima o poi, o forse addirittura di parlargliene a voce, ma non venne il momento. Nel frattempo avevi messo Kimberly al corrente di quello che stavi facendo, le raccontavi gli sviluppi quando veniva a trovarti di nascosto da tutti. Le piaceva nascondersi, lo aveva già fatto in passato, ma se fosse stato per te avreste potuto vivere la vostra storia alla luce del sole.»
Patricia precisò, con amarezza: «C'era una ragione se a Kimberly piaceva nascondersi, ed è che si stancava in fretta delle persone con cui stava insieme. Era uno spirito libero, e questo ci può stare, il suo problema era che si ostinava a cercare persone che non lo erano. Ogni volta pensava di avere trovato il grande amore, ma la realtà è che era troppo immatura per legarsi davvero a qualcuno.»
Janice obiettò: «Non credo che la maturità delle persone dipenda da quanto siano in grado di avere una vita sentimentale stabile.»
«Mi sono spiegata male» replicò Patricia. «Le persone sono libere di non avere una relazione fissa. La maturità sta nel distinguere l'amore da un'attrazione momentanea. Kimberly non era capace di fare quella distinzione.»
«Finì per quella ragione?»
«Finì perché mi confessò un tradimento, che avvenne proprio la notte dell'omicidio. È inutile che ti racconti i dettagli, ormai Ellen ti avrà già riferito da tempo con chi mi avesse tradita. Il punto è che Kimberly continuava a ripetere che per lei era stata una cosa senza significato e che, di conseguenza, nemmeno io dovevo darvi peso. Non ammise mai di avere sbagliato, è per questo che la lasciai. Avrei potuto accettare che avesse fatto sesso con un'altra persona mentre era fidanzata con me, ma solo se fosse stata consapevole che, almeno per me, non era una cosa senza significato.»
«Eravate ancora in contatto?»
«No.»
«Non ti aveva chiamato, verso fine ottobre?»
«Io e Kimberly non eravamo in contatto» mise in chiaro Patricia. «Non ci sentivamo da anni. Il fatto che mi abbia telefonato al bar, questo sì, non ha significato. Il numero è facilmente rintracciabile e chiunque può telefonare liberamente. Di certo non avevo un recapito di Kimberly, così come lei non aveva il mio numero personale. Il numero del bar, però, è di dominio pubblico.»
«Quindi» dedusse Janice, «L'idea di iniziare a scrivere a Ellen con un profilo falso, spacciandosi per Mabel, è tutta farina del suo sacco.»
«Di sicuro non del mio, non sapevo di questa sua intenzione.»
«Perché avrebbe dovuto farlo?»
«Non ne ho la minima idea.»
«Ne sei certa?»
Patricia annuì.
«Che io sappia, Kimberly non ha mai incontrato Ellen. O almeno, non all'epoca in cui stavamo insieme.»
«Dai suoi messaggi, sembra che considerasse Ellen in qualche modo colpevole dell'omicidio di Mark» aggiunse Janice. «Ha scritto anche a Steve sul profilo del suo studio fotografico. Per quale motivo Kimberly avrebbe dovuto convincersi che Ellen avesse ucciso Mark oppure fosse complice dell'assassino?»
Patricia fece un sospiro.
«Perché dovrei saperlo? Non la sentivo da vent'anni e, per quanto abbia cercato di rintracciarmi sulla linea telefonica del bar, si è guardata bene dal venire qua a spiegarmi cosa le passasse per la testa. Tutto questo, però, l'ho già riferito a Ellen quella sera stessa. Te lo garantisco, Janice, non c'è altro che io possa dirti, perché non so altro.»
Janice azzardò: «Puoi dirmi cosa c'entra tua sorella.»
«Niente, è morta molti anni prima di Mark.»
«Il nome falso che usavi era l'acronimo dei vostri nomi.»
Patricia guardò Janice con fermezza.
«Volevo onorare la memoria di mia sorella, quando ho pensato al nome Mabel. L'avevo usato occasionalmente in chat, quando ero più giovane. Non c'è un motivo specifico per cui l'abbia scelto proprio per scrivere a Ellen. Se il mio vecchio nickname fosse stato un altro, allora mi sarei firmata in modo diverso.»
«Mi dispiace insistere su un argomento che per te potrebbe essere doloroso» proseguì Janice, «Ma sei davvero sicura che la storia di tua sorella non c'entri niente con i delitti di Goldtown?»
«Lisa si suicidò, non c'entra niente con le persone che sono state uccise.»
«Posso chiederti perché tua sorella commise quel gesto?»
«Puoi chiedermelo, ma io posso non risponderti. Non so perché l'abbia fatto.» Patricia non avrebbe voluto mentire su quella questione, ma tecnicamente non lo stava facendo. Non aveva prove di cosa fosse successo a Lisa, soltanto indizi. «Ero bambina, ai tempi, non veniva certo a raccontarmi i suoi problemi. Fu uno shock per tutti. Se fai qualche domanda in giro - e non dubito che tu o Ellen ne abbiate già fatte - scoprirai che chiunque potrebbe dirti le stesse cose.»
«Va bene, per ora ti ringrazio» concluse Janice. «È stato un piacere parlare con te.»
«Non so quanto sarei sincera se dicessi che il piacere è stato reciproco» ammise Patricia. «Il punto è che vorrei solo essere lasciata in pace. Non è facile essere circondata dal sangue, né scoprire da un giorno all'altro che la persona che pensavi di amare si è spacciata con te per la propria sorella morta da bambina. Vorrei che tutti mi dimenticassero, per potere finalmente tornare a una vita normale, o almeno a qualcosa che le somigli.»
«Allora, se ci tenevi tanto a restarne fuori, perché le chiamate allo studio fotografico Blackstone per riferire ai vari spasimanti di Ellen che la loro amata era in pericolo?» obiettò Janice. «Che senso avevano quelle chiamate?»
«Avevo paura per lei» rispose Patricia, «Tutto qui. Ero terrorizzata dall'idea che la sua ricerca della verità - perché ho capito cosa facesse qui a Goldtown fin dal primo momento in cui ho scoperto che vi conoscete - la portasse a fare una brutta fine. Non avevo tutti i torti, visto che la sua auto è stata manomessa. Kevin avrebbe fatto meglio a starmi a sentire, invece di ricordarmi che Ellen mi avrebbe scoperta o che, anzi, al momento in cui lo chiamavo, l'aveva già fatto ed era pronta a smascherarmi. Avevo ragione io: Ellen era in pericolo... e lo è ancora. Credimi, non volevo tornare a vestire i panni di Mabel, ma non avevo altri modi per sperare di essere presa sul serio. Purtroppo non è bastato.»

 

Ellen era seduta a fissare il giornale aperto, che già da vari minuti non si sforzava più di leggere, e non si accorse della presenza di Janice finché quest'ultima non le apparve davanti, facendola sussultare.
«Quando sei rientrata?» le chiese Ellen.
«Adesso» fu la risposta di Janice.
«Dov'eri?»
«Avevo dei giri da fare. Qualche ora fa, comunque, sono stata a scambiare qualche parola con Mabel.»
Ellen le scoccò un'occhiata di fuoco.
«Se ti riferisci a Patricia Lynch, fammi la cortesia di chiamarla con il suo vero nome.»
«Abbiamo parlato proprio delle lettere» le confidò Janice, «O meglio, del perché le ha scritte.»
«L'aveva già detto anche a me.»
«Volevo essere certa che non ci fosse qualcosa di più. Non ci sto vedendo molto chiaro. Hai detto tu stessa che temevi avesse qualcosa da nascondere.»
Ellen chiarì: «Il fatto che Patricia abbia qualcosa da nascondere non implica necessariamente qualcosa che abbia a che fare con i delitti. Lo sai, non riesco ancora a inquadrare bene la faccenda della sorella. Esiste la possibilità che ci sia stato, in qualche momento, un violentatore seriale, ma non so come incastrarlo in mezzo a tutto il resto.»
«Con un po' di fantasia, il violentatore seriale, se così vogliamo chiamarlo, potrebbe avere stuprato Melanie Miller e poi, a distanza forse di anni, Lisa Lynch. Per qualche ragione ha ucciso Lisa - forse l'aveva riconosciuto? - e tentato di fare lo stesso con Melanie, finendo per essere colto sul fatto da una delle gemelle Robinson, che poi ha ucciso.»
«Anche questo non torna. Perché uccidere una bambina? Se ha aggredito Melanie a volto coperto e non è stato riconosciuto da lei, a maggior ragione perché avrebbe dovuto avere paura di una bambina? Anche la Robinson non avrebbe potuto riconoscerlo, per forza di cose. E poi, perché uccidere Linda? Abbiamo ipotizzato che Linda si spacciasse per la madre, ma perché la madre avrebbe dovuto essere in contatto con quel tale?» Ellen si prese la testa tra le mani. «Ci sono momenti in cui tutto sembra filare liscio e poi altri in cui mi sembra che sia tutto un enorme castello di carte.»
«Linda poteva essere sua figlia» azzardò Janice. «Può essere che, a un certo punto, abbia contattato Melanie Miller convinto di potere conoscere sua figlia.»
«Quindi che non fosse Linda a volere conoscere il padre, ma viceversa?»
«Magari entrambi avevano in mente di conoscersi. Difficile stabilire come siano entrati in contatto, a questo punto, ma...»
Janice si interruppe all'improvviso.
Ellen la esortò: «Ma...?»
«Roger Callahan» disse Janice. «Tiene una foto di Linda nel portafoglio e, per l'età che ha, ha senso ipotizzare che possa essere il padre.»
«Stai accusando il nostro padrone di casa di avere violentato Melanie Miller e ucciso Linda sulla base di una foto?» obiettò Ellen. «Non sono contraria ai social network, ma è esattamente il tipo di accusa delirante che potresti leggere su Forevernet.»
«Quella storia è da approfondire, comunque» replicò Janice. «Non possiamo rimandare. Dobbiamo fare qualcosa.»
«Faresti meglio ad andarci piano.»
«Di solito sono io a dirlo a te.»
«Lo dici a me per molto meno. Ti impicci tanto sulle mie frequentazioni private, ma poi...»
Janice non la lasciò finire.
«A proposito di frequentazioni private, sbaglio o hai passato tutta la giornata nel negozio di Steve?»
Ellen avvampò.
«Non sbagli, ma perché ne stiamo parlando?»
«Non lo so» ammise Janice, «Ho un brutto presentimento. Sta succedendo qualcosa di sconveniente tra di voi?»
Ellen ribatté: «Il sesso è sconveniente, per i tuoi standard?»
Janice spalancò gli occhi.
«Hai fatto sesso con Steve? Dentro al suo negozio?»
«Hai detto tutto tu» precisò Ellen. «Ad ogni modo non avrei mai detto che ti scandalizzassi con così poco.»
«Prendiamo per ipotesi l'idea che tu abbia fatto sesso con Steve. È il tuo ex, è un amico del tuo attuale fidanzato e ci lavora insieme. In tutto ciò, il tuo fidanzato è in ospedale e si sta riprendendo lentamente da un grave incidente, con tutta probabilità innescato ad arte da una persona che voleva ucciderti. Sarebbe un casino immenso.»
«È un'ipotesi.»
Janice scosse la testa.
«No, non è affatto un'ipotesi. È successo davvero, giusto? È successo, ma non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo.»
Ellen abbassò lo sguardo.
«È successo.»
«Quando?»
«Quando Steve ha chiuso per la pausa pranzo.»
«Perché?»
«Non lo so perché. Non tutto ha una spiegazione. So che gli piaccio e un tempo anche lui era tutto per me.»
Janice obiettò: «Non mi sembra una grande spiegazione.»
Ellen replicò: «No, non è una grande spiegazione, ma è andata così. Non doveva capitare, ma non possiamo più tornare indietro. C'è solo un piccolo problema: ne abbiamo parlato, oggi pomeriggio, e forse una persona ci ha sentiti.»
«Che tipo di persona?»
«Una cliente, ma non una qualsiasi: Phyllis Moore, la sua ex fidanzata.»
«Un po' avventata la vostra scopata» osservò Janice. «Seriamente parlando, Ellen, non avevi già abbastanza problemi? Perché cacciarti pure in un guaio sentimentale degno di una telenovela?»
Ellen alzò gli occhi.
«Ti ricordo che sei tu quella che vuole chiedere al nostro padrone di casa se ha violentato una donna molti anni fa e se da quello stupro sia nata una bambina che poi ha ucciso. Io sono solo stata con il mio ex ragazzo, mi sembra una cosa molto più normale.»
«Sono due questioni completamente diverse e non vedo il senso di paragonarle» ribatté Janice. «E poi non ho ancora parlato con Callahan. Devo fare le mie valutazioni, prima. Non fraintendermi, sarà necessario discutere con lui della foto di Linda che porta sempre con sé, ma devo capire come fare. Anzi, dobbiamo capire come fare.»
«Lascia fare a me.»
«Nemmeno per sogno.»
«Penserò a qualcosa» la rassicurò Ellen. «So benissimo che corro dei rischi, ma a volte bisogna accettare il pericolo, se ne vale la pena.»
«Parli di Callahan o di Steve?»
«Che cosa c'entra Steve?»
«Kevin sta un po' meglio» puntualizzò Janice. «Prima o poi dovrai dirgli che l'hai tradito e con chi.»
Ellen scosse la testa.
«No, non sono fuori fino a questo punto. Ho fatto una cosa avventata, è vero, ma non farò di peggio.»
«Agire alle spalle di Kevin non è peggio? E, prima che tu mi dia della moralista, non mi scandalizza il fatto che tu possa frequentare due uomini contemporaneamente. Mi turba il fatto che...»
Ellen si affrettò a interrompere Janice.
«Ti turba il fatto che siamo tutti coinvolti più di quanto vorremmo con i delitti di Goldtown.»
Janice replicò: «In realtà non pensavo a questo. Intendevo dire che mi turba il fatto che, invece di limitarti a frequentare due uomini diversi nello stesso periodo, tu sia anche riuscita a farli innamorare di te. Come se non bastasse, sono anche amici di vecchia data e colleghi. Finirai per fare del male a entrambi e te ne farai anche tu.»
Ellen alzò le spalle, con indifferenza.
«Questo è un problema nostro, non tuo. Restane fuori.»

   
 
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