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Autore: Milly_Sunshine    18/01/2023    3 recensioni
Novembre 2002: al termine di una serata con gli amici, Mark ha un appuntamento con la fidanzata Ellen, ma lei rimane ad attenderlo invano, senza ricevere sue notizie. Il giorno dopo, l'amara realtà: è stato brutalmente assassinato, mentre si trovava in un luogo in cui già fu consumato un atroce delitto. Il mistero legato alla sua morte non viene svelato, ma provoca la morte di altre persone. Novembre 2022: a vent'anni di distanza, Ellen e gli amici di Mark si ritrovano di nuovo nel loro paese natale per commemorarne la scomparsa, senza sapere che chi ha già ucciso vent'anni prima è ancora in agguato. Li aspetta un mistero fatto di lettere anonime, identità scambiate e intrighi di varia natura. // Scritta nel 2022/23, ma ispirata a un lavoro adolescenziale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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[31 dicembre]
Steve era già pronto per uscire, quando sentì suonare il campanello. Non aspettava nessuno, quindi rimase spiazzato per qualche istante. Prima ancora di arrivare alla porta udì una voce familiare che, dall'esterno, lo chiamava.
«Steve, mi apri? Lo so che ci sei.»
Non aveva idea di cosa volesse sua cugina da lui, ma di solito Lydia era una persona di poche parole. Andò ad aprire.
«A cosa devo l'onore della tua presenza?»
«Vieni da noi?»
«Da voi... chi? Dove e quando?»
«Da me» chiarì Lydia.
Steve non si sentì abbastanza illuminato da quella risposta.
«Quando?»
«Adesso. Per festeggiare il capodanno insieme. Ci sono anche i tuoi genitori.»
Steve scosse la testa.
«Grazie per l'invito, ma preferisco declinare. Fai gli auguri di buon anno a tutti da parte mia.»
Lydia sospirò.
«Stai diventando uno di quelli che pensano che qualunque festività sia sorpassata e che bisognerebbe evitare di festeggiare? Insomma, uno di quegli intellettuali che ci scrivono un libro in proposito nella speranza di essere invitati in TV e di vivere di rendita?»
«No, sto diventando uno che ha un altro impegno» ribatté Steve. «Devo...» Valutò cosa dire, con esattezza, ma gli venne in mente una spiegazione molto semplice. «Devo incontrarmi con una persona, una che vorrei facesse parte della mia vita ogni giorno, non solo in occasione di festività e ricorrenze.»
Lydia azzardò: «Ellen?»
Steve confermò: «Ellen.»
«Fai attenzione» gli suggerì Lydia. «Janet dice che c'è ancora del tenero tra Ellen e Kevin.»
«Sono un uomo adulto e so badare a me stesso» replicò Steve. «Non ho quindici anni, ne ho trentotto. Per ora, domani saranno trentanove.»
«Appunto, hai quasi trentanove anni, alla tua età dovresti smettere di correre dietro a una donna che non fa che saltare da te a Kevin e poi tornare da te.»
«Non ti ho mai detto che io ed Ellen ci incontriamo in qualità di coppia o di amanti. Per quanto ne sai tu, potremmo vederci semplicemente per bere qualcosa insieme o per giocare a carte. Oppure per guardare uno di quei programmi televisivi di capodanno in cui invitano ogni anno gli stessi ospiti e te li presentano come una novità assoluta.»
«Va bene, fai come vuoi, ma sappi che non riesco a capirti.»
Steve le strizzò un occhio.
«Me ne farò una ragione.»
Anche se Lydia non lo comprendeva, lo lasciò andare. Meglio così: non aveva tempo da perdere, anche se non aveva idea di cosa potesse accadere. Avrebbe rivisto John Stewart, proprio come quando il padre di Roberta era andato a portargli un rullino di fotografie analogiche da sviluppare, niente che fosse degno di nota, banali scatti di una gita in una città d'arte, forse solo una scusa per passare a Goldtown. L'avrebbe rivisto e non aveva idea di quale potesse essere l'evoluzione di quella serata.

 

Kevin si diresse verso la propria auto, parcheggiata nel cortile del palazzo in cui abitava, quando vide Janet che lo attendeva accanto alla macchina. Non aveva programmato di incontrarla e, anzi, non riusciva a spiegarsi la ragione della sua presenza.
«Janet, perché sei qui?»
«Che accoglienza calorosa. Sembra quasi che ti dia fastidio vedermi.»
Kevin la rassicurò: «Non mi dà fastidio vederti, solo, stavo per andare via e non ti aspettavo. E poi, posso chiederti perché sei qui in cortile? Perché non sei venuta a suonare alla porta?»
«Stavo per farlo, ma ho incontrato tuo fratello che veniva fuori» gli spiegò Janet. «Mi ha detto che non aveva capito che dovessi vederti con me e che ci augurava una buona serata. Ne ho dedotto che dovevi vederti con un'altra donna e che, se fossi venuta su, mi avresti mandata via con una scusa. Quindi sono rimasta ad aspettarti per cercare di farti cambiare idea.»
«Hai fatto malissimo» replicò Kevin, «Perché ho da fare e mi tocca essere scortese. Non posso dedicarti del tempo, stasera, mi dispiace.»
«Dovresti accettare la realtà.»
«Quale realtà?»
«Ti vedo un po' teso, rilassati. Non voglio inventarmi che io e te siamo fatti per stare insieme o porcherie di questo tipo. Voglio solo ricordarti che quello che puoi avere da Ellen puoi averlo anche da me. È lei che devi vedere, vero?»
Kevin puntualizzò: «Non ho un appuntamento romantico stasera e, anzi, ti sarei molto grato se tu te ne tornassi a casa e mi lasciassi andare. Ho una cosa importante da fare.»
Janet ridacchiò.
«Qualcosa di più importante di me?»
Kevin sospirò.
«E va bene, non te lo volevo dire, ma è giusto che tu lo sappia. Potrebbe succedere qualcosa di molto spiacevole, stasera, e una persona pericolosa potrebbe essere non solo in giro per Goldtown, ma anche molto vicina a noi. Dobbiamo impedire che accada qualcosa di brutto.»
Janet spalancò gli occhi.
«Parli del killer?»
«Sì.»
«Ellen e l'altra impicciona che fa domande a mezza Goldtown sanno chi è?»
«Forse.»
«Wow! Qualunque cosa tu voglia fare, portami con te!»
«Non se ne parla.»
«Quell'uomo ha ucciso la mia migliore amica. Voglio sapere tutto.»
Kevin si arrese: «Come vuoi, ma glielo spieghi tu, agli altri, che mi hai praticamente costretto a portarti con me.»
«Spiego tutto quello che vuoi a chiunque, basta che mi porti con te» rispose Janet. «Dove dobbiamo andare?»
«Al bar.»
«Come al bar?»
«Sì, da Patricia» confermò Kevin. «Se non ti sembra abbastanza interessante, puoi sempre tornare a casa.»
Janet precisò: «Non ti ho chiesto di venire per fare un'esperienza interessante. Quel bastardo ha ucciso tanta gente e avrebbe potuto uccidere anche me. Voglio guardarlo negli occhi, cercare di capire che cosa gli passi per la testa.»
«Dubito che lo capirai» concluse Kevin, «Ma sali in macchina. Dobbiamo andare.»

 

Ellen entrò nel bar, seguita da Jack. Si guardarono intorno, per vedere se Roberta e John Stewart fossero già arrivati. Non c'erano e, a peggiorare la situazione, sembrava esserci il solo Ray, nonostante di solito non svolgesse turni serali, mentre non vi era traccia di Patricia.
«Merda» borbottò Ellen. «Siamo fottuti.»
Jack comprese immediatamente a cosa si riferisse e cercò di rassicurarla.
«Non è detto che siano da qualche altra parte. Magari la cosa è saltata all'ultimo.»
«Sei stato tu a dirmi che Roberta ti aveva confermato che l'incontro ci sarebbe stato» replicò Ellen. «A che cosa devo pensare? Che abbia cambiato idea all'ultimo secondo? Mi dispiace, ma mi è più facile pensare che abbiano deciso di vedersi, ma non qui.» Tornò ad aprire la porta. «Vieni un attimo fuori, aspettiamo che arrivino gli altri.»
Jack la seguì senza replicare.
Ellen si sforzò di riflettere sul da farsi, ma non le veniva in mente nulla che potesse avere senso. Sapeva di potere fare poco, ma vedere Stewart, Roberta e Patricia le avrebbe dato un senso di sicurezza che, in loro assenza, non poteva inventarsi. Quell'uomo era pericoloso, ne era certa, e poteva essere ovunque. Aveva già ucciso una delle sue figlie, probabilmente non avrebbe esitato nemmeno a sbarazzarsi dell'altra, se l'avesse ritenuto necessario.
«Forse faresti meglio a chiamare Roberta e a chiederle dove sia» suggerì Ellen. «Non possiamo permettere che succeda qualcosa a lei o a Patricia.»
«E con quale scusa dovrei chiamarla?» obiettò Jack. «Roberta mi ha detto cosa doveva fare stasera, non si aspetta certo una mia telefonata.»
«Hai ragione» convenne Ellen, «Ma non ti sto chiedendo di telefonarle e di dirle che suo padre è il killer di Goldtown e, di conseguenza, sia lei sia Patricia sono in pericolo.»
«La tua sicurezza mi sembra esagerata» obiettò Jack. «Non possiamo sapere per certo che...»
Ellen lo interruppe: «Quell'uomo ha stuprato almeno tre donne, ha ucciso la sua stessa figlia e altre nove persone. Che dubbi hai ancora? Ti sembra così difficile che la tua amica Roberta possa essere stata concepita da un simile depravato? O sei un sostenitore della presunzione di innocenza anche quando tutto porta a considerarlo colpevole?»
Jack insisté: «Sarei felice anch'io di avere un colpevole certo, qualcuno che possa essere definitivamente fermato. Però deve esserci la certezza. Non fraintendermi, ammiro la tua ricostruzione, ma si basa su ipotesi e anche belle grosse. Per esempio, sulla base del fatto che Melanie Miller è stata vittima di violenza sessuale, hai deciso di sana pianta che Jennifer e Roberta sono il frutto di uno stupro. Inoltre non ci sono prove, se non un racconto di fantasia, che la stessa Lisa Lynch sia stata violentata, né che sia stata uccisa. Non avrei problemi a credere alla tua storia, se ci fossero elementi certi o prove, ma ho l'impressione che tu stia commettendo il mio stesso errore.»
«Quale?»
«Una sera di vent'anni fa ho acceso il televideo, ho letto che una partita di calcio era stata decisa da un goal al novantanovesimo minuto, nel primo tempo supplementare. Ho dato per scontato che, se erano iniziati i tempi supplementari, dovevano anche essere finiti. L'ho fatto perché non mi era venuto minimamente in mente di accertarmi di quali fossero le regole che venivano applicate. Adesso ho l'impressione che tu stia facendo il mio stesso sbaglio. Ho immaginato una partita sulla base del goal di Harvey Lee. Tu stai immaginando Lisa Lynch vittima di un crimine sulla base della trama di un racconto di cui Ray ti ha parlato.»
«Mi stai dicendo che Ray può avere mentito su quel racconto?»
«No, ti sto ricordando che Ray ti ha riferito la trama di un racconto. Il fatto che tu, personalmente, in qualità di giornalista, scriva di eventi accaduti nella realtà, non significa che Lisa Lynch facesse lo stesso. Quel racconto potrebbe essere un'opera di fantasia, oppure ispirato a fatti accaduti ad altre persone. Hai verificato tante cose, dici. Hai mai verificato se Lisa conoscesse Melanie Miller?»
Ellen scosse la testa.
«Non c'erano ragioni per verificarlo. In più non capisco, perché vuoi difendere John Stewart a tutti i costi? Devo insinuare che tu stia dalla sua parte? Che per te stuprare e uccidere sia un comportamento da tollerare, se a farlo è il padre dell'amica che ti scopi?»
«Non conosco John Stewart e, se fosse colpevole di ciò di cui lo accusi, sarei il primo a dire che deve pagare per quello che ha fatto» replicò Jack, «Ma temo che la tua indagine ti stia sfuggendo di mano. Sei arrivata a dare per scontati dei crimini che potrebbero non essere mai accaduti, pur di avere un colpevole, e hai cucito le tue congetture a misura di John Stewart. Su che base, poi? Sulla convinzione che, siccome è stato un pessimo padre, ha abbandonato le figlie prima della loro nascita e non è mai stato in grado di amarle degnamente, allora deve per forza essere un criminale?»
«Non capisci» obiettò Ellen. «Non puoi capire. Tutto fila, tutti gli elementi si sono incastrati, è una soluzione perfetta...»
«Appunto» concluse Jack. «È una soluzione troppo perfetta. Se fosse tutto così semplice, come avrebbe fatto a nascondersi per così tanto tempo? C'è qualcosa che ti sta sfuggendo, forse.»

 

Steve era appena salito in macchina, quando il suo cellulare iniziò a squillare. Chiuse la portiera con la sicura e guardò chi fosse a cercarlo. Con una certa sorpresa, vide che si trattava del cellulare che utilizzava per lavoro, che occasionalmente aveva usato per contattarlo.
Fece appena in tempo a rispondere, ma non ebbe modo di parlare con lei: Ellen aveva già riattaccato. Fu tentato di ricontattarla, ma non ce ne fu bisogno. Gli arrivò un messaggio.
"Puoi venire a casa mia subito? Ti devo parlare, saremo soli. Non chiamarmi sul mio numero privato, ti aspetto qui."
Era una richiesta che Steve non si aspettava, ma non c'era ragione per non fare ciò che Ellen gli stava chiedendo. Non aveva idea di cosa potesse avere in mente, ma sapeva che sarebbero davvero stati: Janice si era presa una breve vacanza, in quei giorni.
"Va bene, cinque minuti e arrivo" le scrisse, preparandosi ad avviare il motore.
Non ne ebbe il tempo: qualcuno si mise a bussare al finestrino.
Steve spalancò la portiera, nel vedere lei, l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento.
«Phyllis, che cazzo ci fai qui?»
«Volevo sapere come stavi» rispose la sua ex fidanzata. «Tutto bene?»
«Tutto bene un cavolo!» sbottò Steve. «Sto andando a casa di Ellen, mi ha invitato da lei, lasciami in pace!»
«Complimenti, allora» ribatté Phyllis. «Non mi aspettavo che potesse finire così, che avrebbe scelto te.»
Steve la ignorò.
«Fammi andare via, non ho tempo da perdere.»
«Già, potrebbe cambiare idea.»
«Fottiti, Phyllis.»
Steve richiuse la portiera e controllò il cellulare. Ellen gli aveva scritto di nuovo e il contenuto del messaggio era spiazzante.
"Ti aspetto. Ti amo tanto."
Per un attimo si chiese se fosse ubriaca, poi smise di farsi domande. Partì, notando Phyllis che trafficava con il telefono, un attimo prima che sparisse dalla sua visuale.

 

Kevin sentì lo smartphone che gli vibrava in tasca proprio mentre scendeva dalla macchina. Era un messaggio o una notifica, ma non ritenne opportuno controllare davanti a Janet. Si stava già pentendo di averla portata con sé, specie nel momento in cui intravide Ellen e Jack davanti all'entrata del bar.
Li raggiunsero e, prima che Kevin potesse chiedere loro qualcosa, fu Janet a osservare: «C'è un gran freddo, come mai non siete andati dentro?»
Sia Jack sia Ellen lanciarono a Kevin strane occhiate.
Ellen gli chiese: «Come mai non sei venuto da solo?»
«Ho insistito io» mise in chiaro Janet. «Anzi, mi dispiace per essermi precipitata qui. So che state dando la caccia a un criminale, ma Kevin non ha voluto dirmi altro.»
«E non avrebbe dovuto dirti nemmeno quello» replicò Ellen. Si rivolse a Kevin: «Hai fatto un grave errore. Evidentemente tutti ci tenete a fare la cosa sbagliata, stasera. Tu che porti Janet, Jack che vuole stroncare le mie ricostruzioni a tutti i costi...»
Era palese la presenza di una polemica pregressa, da come Jack puntualizzò: «Non voglio stroncare nulla, ti sto solo facendo notare che sei ferma su delle convinzioni che potrebbero non avere un riscontro reale.»
Ellen obiettò: «Stai solo affermando che John Stewart non è colpevole perché non l'hai visto di persona uccidere.»
«John Stewart?» ripeté Janet. «Parente di Roberta?»
Kevin avrebbe voluto risponderle, ma non era il caso, preferiva seguire lo scambio tra Ellen e Jack.
«Non hai prove che sia colpevole!»
«E tu non hai prove che sia innocente!»
Jack le fece notare: «Di solito bisogna provare la colpevolezza di qualcuno, non la sua innocenza. Un racconto di fantasia scritto da Lisa Lynch non significa che Lisa Lynch sia stata stuprata da John Stewart - scelto come colpevole in quanto suo ex collega di lavoro - e di conseguenza uccisa. Ti stai comportando esattamente come la gente che accusava Danny di avere ucciso Maryanne Sherman, l'unica differenza è che ti sei andata a cercare un colpevole che abbia la reputazione di poco rispettabile.»
«Il nostro uomo ha aggredito Melanie Miller lasciandola in vita, mentre ha ucciso "Roberta" Robinson quando l'ha colto sul fatto» ribadì Ellen. «Per quale motivo, se non perché la bambina poteva riconoscerlo e la maestra no? Mi pare scontato che...»
Jack la interruppe: «No, non è scontato per niente. Il killer finora si è nascosto perché ha saputo rimescolare le carte. Che senso ha andare ad aggredire una persona senza ucciderla, quando poi si dimostra di potere uccidere a sangue freddo una creatura innocente? E se l'obiettivo fosse stata la bambina? Potrebbe avere assalito Melanie Miller per arrivare alla sua vera vittima.»
«Ti stai limitando a dire il contrario di quello che dico io» lo accusò Ellen, «Solo perché non accetti l'idea che Roberta sia figlia di un assassino.»
«Sto dicendo il contrario di quello che dici tu per farti capire che stai dando per scontato che le tue teorie siano esatte» replicò Jack, «Senza considerare minimamente il fatto che spesso siano solo teorie. Formuli ipotesi, le esponi e poi aspetti un pesce che abbocchi. Però, magari, ad abboccare sei tu, e solo perché vuoi una verità a tutti i costi. Ti guardi bene dal cercare le persone che potrebbero smentire le teorie che ti fanno comodo. Ti sei letteralmente inventata che Margaret Robinson sia rimasta incinta delle gemelle durante uno stupro, ma non sei andata a cercarla per chiederle conferma.»
«Non lo avrebbe mai ammesso, se ha permesso a John Stewart di continuare a fare parte della vita sua e di quella delle figlie.»
«Non lo avrebbe ammesso, quindi consideriamola un'ammissione. È così che lavori, di solito? Dando la caccia solo a ciò che ti fa comodo per ottenere consensi? Senza offesa, non sei tanto diversa dagli autoproclamati esperti che affollano i salotti televisivi.»
Janet li esortò: «Calmatevi. Piuttosto, aiutatemi a capire. E soprattutto, perché non entriamo?»
Kevin sentì il cellulare vibrare un'altra volta. Approfittò della confusione per prenderlo fuori. Phyllis gli aveva scritto diversi messaggi, il cui contenuto gli appariva piuttosto bizzarro.
Si rivolse a Ellen: «C'è qualcuno a casa tua, adesso?»
«No. Perché me lo chiedi?»
«Janice?»
«È fuori Goldtown. Perché lo vuoi sapere?»
«Niente, lascia stare.» Kevin indicò Janet. «Ha ragione lei, entriamo. Almeno staremo al caldo.»
«Aspettiamo Steve» propose Ellen.
«Steve deve venire qui?»
«Sì, certo. È un po' in ritardo, ma...»
Kevin la interruppe: «Entriamo comunque, ci raggiungerà dentro.» Mentre si infilavano dentro al bar, cercò una spiegazione logica a quanto gli aveva scritto Phyllis, ma non riuscì a trovarla. «Anzi, andate a sedervi. Vi raggiungo subito, mi sono ricordato che devo fare una telefonata.»
Ellen, Jack e Janet non misero in discussione le sue parole. Non avevano ragione per non credergli.
Chiamò Phyllis e mise in chiaro la situazione fin da subito: «Non ti sto telefonando per sentire stronzate, potrebbe essere una questione di vita e di morte. Ripetimi per filo e per segno quello che ti ha detto Steve.»
«Stai calmo» ribatté Phyllis. «Mi dispiace per te, se ora Steve è insieme a lei, ma...»
Kevin la interruppe: «Ellen in questo momento è seduta a un tavolo del bar di Patricia, davanti ai miei occhi, insieme a Jack e a Janet. Stando a quanto dice, Steve dovrebbe raggiungerci, ma non è qui. Ti ha detto in che modo Ellen l'ha contattato? Steve le ha parlato o ha ricevuto un messaggio?»
«Non lo so.»
«Temo possa essere una trappola. Dove sei, adesso?»
«Sto andando a casa.»
«Passo a prenderti» le propose Kevin. «Andiamo a casa di Ellen, vediamo se Steve è da quelle parti. Ci troviamo da te, cerco di fare presto. Prima, però, devo rubare le chiavi a Ellen, in caso ci servano.»
Phyllis obiettò: «Non sarebbe meglio chiamare Steve e chiedergli dov'è?»
«Non fare niente» la supplicò Kevin. «Mi sta venendo un'idea malsana.»
Entrò nel bar.
Ellen e Jack stavano ancora discutendo tra di loro, mentre Janet li esortava a stare calmi. Impossessarsi delle chiavi fu molto facile: subito dopo essersi seduto, a Kevin bastò ribaltare la borsa di Ellen, spargendone il contenuto sul tavolo. Si scusò per il misfatto e iniziò a mettere tutto a posto, tranne appunto le chiavi di casa. Nessuno se ne accorse, erano tutti impegnati nel loro dibattito.
C'era solo un'ultima domanda che doveva porre a Ellen: «Hai detto che Janice non c'è, ma qualcun altro ha le chiavi di casa vostra?»
«Certo che no» rispose Ellen. «Solo io, Janice e il padrone di casa, che però non entrerebbe mai senza suonare il campanello.»
«Il padre naturale di Linda, che non sapeva che Linda fosse figlia sua» osservò Kevin, «E che, quando gli hai chiesto se avesse pagato Will Mason per fare indagini sulla sua morte, alla fine si è arreso e ti ha detto di sì. Il signor Callahan non è riuscito a incastrare John Stewart, ma noi ce la faremo.» Sorrise. «Non importa cosa ne pensa Jack, sono sicuro che le tue teorie siano esatte.» Si rivolse all'amico. «Mi dispiace, so che non ti farà piacere sentirtelo dire, ma io le credo.» Si alzò in piedi. «Scusate, esco un attimo.»
Ellen lo guardò storto.
«Che intenzioni hai?»
«Vado a vedere se Steve arriva.»
Ellen azzardò: «Posso chiamarlo.»
Kevin cercò di dissuaderla: «Lascia perdere, magari sta guidando. Esco un attimo. Può essere che si sia fermato un momento a fumare una sigaretta prima di entrare. Vado a vedere.»
Sapeva di essersi contraddetto da solo, ma non importava, così come, a rigore di logica, non importava dove fossero in quel momento Patricia, Roberta e John Stewart.

   
 
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