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Autore: Shadow writer    08/03/2023    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ultimo saluto
 

Mila inviò le ultime email e si stiracchiò, grata di poterlo fare nella solitudine dell’appartamento da cui stava lavorando. In ufficio sarebbe dovuta rimanere composta, mantenendo un atteggiamento professionale, ma con il lavoro da casa poteva fare quello che voleva. Sapeva che James non glielo avrebbe concesso ancora a lungo, così doveva godersi gli ultimi momenti di libertà.

Si alzò in piedi, accarezzò la gatta che riposava sul divano e si spostò in cucina per prepararsi il caffè. Come tutte le mattine, Mike e Jay erano al lavoro, mentre Nate era uscito per comprare da mangiare alla gatta e per cercare annunci di lavoro. Aveva deciso di portarsi avanti, nel caso la domanda di borsa di studio non fosse andata a buon fine e quella mattina era uscito di buon’ora per fare le sue ricerche. Faceva quasi tenerezza il modo agitato con cui aveva raccolto tutte le sue carte e si era vestito meno casual del solito, con il disagio di chi indossa vestiti non suoi.

Lo aveva salutato sulla porta con un sorriso di incoraggiamento e lo aveva guardato uscire di casa senza troppa convinzione.

Quando suonarono al campanello, Mila pensò che si trattasse di un corriere o del postino. Tutti ormai sapevano che il portone d’ingresso era guasto, così a volte salivano fino agli appartamenti del primo piano.

Lasciò il caffè appena preparato sul tavolo della cucina e si diresse ad aprire la porta, ma, quando vide chi stava sul pianerottolo di fronte a lei, si sentì paralizzare. Il suo primo impulso fu quello di sbattere la porta, chiuderla a chiave e correre a chiamare Nate. Ma cacciò la paura e cercò di fronteggiare la persona che le stava davanti. 

Alison non aveva un’aria particolarmente minacciosa, aveva anzi un aspetto stanco, teneva le spalle basse e le braccia strette al petto, come se volesse nascondersi in se stessa e sparire.

«Aspetta» mormorò, vendendo l’indecisione di Mila. «Sono solo venuta per scusarmi, non voglio farti del male».

Mila rimase guardinga, con il corpo mezzo nascosto dalla porta e pronta a chiuderla in caso di necessità.

«Ti ascolto» le disse.

Alison prese un respiro profondo e ondeggiò, spostando il peso da una gamba all’altra come per recuperare fermezza. «Sono profondamente dispiaciuta per quello che ho fatto. So che è stato imperdonabile, voglio solo che tu sappia quanto sono pentita per le mie azioni».

Mila la fissò, senza sapere cosa rispondere. Quello che aveva vissuto ancora le provocava una leggera adrenalina ogni volta che pensava di uscire da sola dall’appartamento e sapeva che aveva davanti a sé la causa di quelle brutte sensazioni. Ma vedeva anche quanto sincero fosse il rammarico dell’altra ragazza.

«Va bene» le disse.

Alison sgranò gli occhi e si sistemò nervosamente i lunghi capelli chiari dietro alle orecchie. «C’è Nate? Io… speravo di poter chiarire con lui, in realtà. Non sapevo ci saresti stata anche tu».

Mila scosse il capo. «No, non so quando tornerà».

La bionda non si sforzò di nascondere la delusione che le attraversò il volto. «Immagino non voglia neanche vedermi. Tu… potresti dirgli che sono passata?»

«Certo, nessun problema».

Alison parve sul punto di andare, ma poi cambiò idea e tornò con gli occhi sulla ragazza. «Voi due state insieme ora?»

Mila fu colta alla sprovvista da quella domanda e si sentì avvampare. «Cosa?»

«Lui è sempre stato innamorato di te e ora ti ritrovo qui, insomma… state insieme?»

L’altra ricacciò l’ormai familiare nodo alla gola che le si stava formando e si sforzò di rispondere. «No, sono qui solo provvisoriamente. Ma non stiamo insieme».

«Oh». Chiaramente, Alison si era ritrovata senza nulla da dire. Rimasero in silenzio per qualche secondo, in imbarazzo.

«Lui mi piaceva davvero, sai» riprese la bionda, rivolgendole uno sguardo velato di tristezza. «Le altre ragazze che lavoravano con me mi dicevano che era strano, io invece ho sempre pensato che fosse diverso. Speciale. Credevo che con lui sarei stata davvero felice, nonostante tutti i problemi».

Mila deglutì, senza parlare. Per lei era stato tutto il contrario. Quando trascorrevano tempo insieme, anni prima, tutto intorno spariva e rimanevano solo loro due. Ma, al contrario di Alison, nel momento in cui si separavano Mila aveva sempre temuto che le cose non sarebbero durate e che non sarebbero mai potuti essere felici insieme. Due anni più tardi, aveva capito che neanche senza di lui aveva trovato la felicità e che gli unici momenti in cui si era sentita veramente viva erano quelli trascorsi insieme a lui.

Qualcosa di soffice le sfiorò le caviglie, facendola sobbalzare. Abbassò gli occhi e vide che si trattava della gatta. La afferrò prima che potesse uscire dall’appartamento e se la strinse al petto, poi tornò a guardare Alison.

«Vedo che hai conosciuto Mila» commentò l’altra, con un tono amaro nella voce.

«Sì, la sua presenza mi ha stupita» ammise, mentre con la mano libera accarezzava la micia, docile e abbandonata nella sua stretta. «Una gatta in una casa con tre ragazzi».

«E il suo nome non ti ha sorpresa?»

Sollevò le sopracciglia, con aria interrogativa. «Credevo non ne avesse uno».

«Si chiama Mila» Alison scosse il capo, sbuffando. «Avrei dovuto cogliere il campanello d’allarme, non credi?»

L’altra si sentì paralizzare dietro alla porta, ma la gatta si divincolò tra le sue braccia, così dovette lasciarla scendere. Quella corse via e sparì nel salotto.

«Credo sia il momento di togliere il disturbo» Alison riattirò la sua attenzione. Le fece un rapido gesto di saluto con la mano, poi scese rapidamente le scale.

Mila chiuse la porta, ma rimase immobile accanto ad essa, ancora sconvolta da quanto avvenuto. L’improvvisa ricomparsa di Alison, la gatta che aveva il suo nome… Prese un respiro profondo. Ancora una volta, l’ennesima, si chiese cosa sarebbe successo se due anni prima avesse ignorato tutte le sue ansie e avesse deciso di partire insieme a Nate. Quante cose sarebbero state diverse? Quante sarebbero state migliori? Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri. Recuperò il caffè che aveva lasciato in cucina – ormai freddo – e tornò al suo computer. James le aveva mandato nuovi documenti da leggere, così si rimise al lavoro.

 

Arrivò l’ora di pranzo senza che se ne rendesse conto. A risvegliarla dallo stato di profonda concentrazione fu il rumore della porta d’ingresso che si apriva e di qualcuno che entrava nell’appartamento. 

«Ehilà» salutò la voce di Mike mentre si avvicinava alla sua postazione. «Non lavorare troppo, se no diventi stanca e poco attraente».

Lei rise e si alzò in piedi. «Essere bella non è esattamente la priorità ora».

«Dovrebbe sempre esserlo» ribatté il ragazzo, poi le mostrò la borsa di carta che teneva in una mano. «Ho comprato dei tranci di pizza per pranzo. Nate è già tornato?».

«No, è ancora fuori. Possiamo scaldarla intanto».

Si spostarono in cucina e accesero il forno per scaldare la pizza, poi rimasero entrambi nella stanza, in attesa.

Mike sciolse i capelli chiari dal codino e cercò di ricomporlo in modo più ordinato. «Mattinata emozionante?» le domandò.

«È passata Alison».

Il ragazzo si bloccò e i capelli gli ricaddero scompigliati sulle spalle. «Non ho visto segni di lotta nel salotto».

Mila rise ancora. «Abbiamo avuto una conversazione pacifica».

«Buon per voi».

Il ragazzo concluse il codino e si abbassò per controllare le pizze. Nel farlo, una busta gli scivolò fuori dalla tasca posteriore dei jeans e cadde a terra. Quando la vide, il volto di lui si animò come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa. «Oh, ho trovato questa nella posta. È indirizzata a Nate».

La raccolse e la porse alla ragazza, che si era avvicinata per esaminarla. Mila la prese tra le proprie mani e il suo cuore accelerò improvvisamente quando riconobbe il nome dell’università.

«È per la borsa di studio» disse emozionata. «È la risposta definitiva».

Mike sgranò gli occhi. «Cazzo, apriamola».

«Nate si arrabbierà».

Il ragazzo gliela strappò di mano. «Me ne sbatto. Almeno sappiamo a cosa prepararci».

Fece per aprirla brutalmente, ma Mila gli porse un coltello e gli indicò come tagliare al busta per  non distruggerla del tutto. Mike eseguì con precisione chirurgica, poi estrasse il foglio e con un salto si allontanò dalla ragazza per poter leggere per primo.

«Eh dai!» protestò lei. «Cosa dice?»

Gli occhi del ragazzo percorsero il foglio avanti e indietro per qualche secondo, come se stesse cercando di interpretare le parole.

«Fammi leggere» si lamentò lei, cercando di avvicinarsi mentre lui la respingeva con un braccio.

Mila si arrese e rimase ferma a guardarlo a pochi passi di distanza.

«Non ci credo» fu il commento di lui, prima di passarle la lettera.

Lei gliela strappò dalle mani e si mise a leggerla con avidità. Mentre le parole cominciavano a prendere un senso nella sua testa, sentì i suoi occhi appannarsi e riempirsi di lacrime.

   
 
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