Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Milly_Sunshine    28/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAROLINA

Enrico guardò l'orologio. Secondo i suoi calcoli, mancavano dodici minuti all'orario in cui Carolina sarebbe andata a casa. Aveva tutto il tempo per raggiungerla e sperare che nessuno mandasse all'aria i suoi piani, almeno quella sera. Non aveva visto Vincenzo Gottardi in giro ormai da ore e gli sembrava di avere sentito qualcuno affermare che fosse andato a casa nel tardo pomeriggio. Meglio così, sarebbe stato sgradevole riaverlo come terzo incomodo. Si diresse quindi verso la reception con la consapevolezza che tutto sarebbe andato bene.
Carolina si accorse subito di lui e lo accolse con un sorriso. Fu sufficiente a riempire il cuore di Enrico, che si rendeva conto di accontentarsi con poco. Sapeva che Carolina l'aveva sempre visto come un amico e che quella realtà sarebbe stata difficile da cambiare, ma non era un pensiero sufficiente a mandarlo in crisi, non quando finalmente poteva trascorrere un po' di tempo con lei.
«Com'è andata la serata?» gli chiese Carolina.
«Diciamo bene» rispose Enrico. «Poi, quando ci sei tu, va sempre bene.»
Carolina ridacchiò.
«Pensa che invece questo è il turno che odio di più. Per fortuna a partire dalla prossima settimana torno a fare il mio solito orario.»
«Quindi alla sera scapperai via alle sette invece che alle dieci?»
«Così pare.»
«E dopo dovrai trovare per forza un modo per riempire il resto della serata...»
Carolina gli strizzò un occhio.
«Non preoccuparti che lo trovo.»
Enrico azzardò: «Quando esci presto dal lavoro, poi incontri quell'uomo già impegnato?»
Carolina abbassò lo sguardo.
«Questo è un argomento di cui preferirei non parlare.»
«Ah, già, immagino che abbia una moglie o una fidanzata ufficiale con cui trascorrere la serata.» Enrico avrebbe voluto smettere di fare allusioni, ma non riusciva a tenere a freno la lingua. «Ne vale la pena?»
«Sì.»
L'affermazione di Carolina era piuttosto tagliente ed era una chiara esortazione a non insistere. Ancora una volta, però, Enrico si lasciò trascinare e affermò: «Secondo me dovresti imporgli di prendere una decisione. Voglio dire, non è che perché ha un'altra lo devi scartare a prescindere, però dovresti mettere in chiaro che vuoi stare insieme a lui alla luce del sole. Se ha un'altra donna, può comunque lasciarla.»
Carolina alzò gli occhi.
«Parli come uno che ha sempre avuto una vita sentimentale facile e che pensa funzioni così per tutti. La verità è che non è sempre così semplice.»
Enrico sospirò.
«Hai ragione, non dovrei essere proprio io a esprimere giudizi, ma non ho potuto farne a meno. Io non sono mai stato con donne già impegnate, anche se non sempre tutto filava liscio. Mi sarei solo complicato la vita ancora di più... e ti assicuro che sono già piuttosto bravo  quando si tratta di complicarmela.»
Carolina parve interessata.
«Cos'hai combinato, in giro per l'Italia?»
«Tanti piccoli casini.»
«Raccontamene uno a tua scelta.»
Enrico avvampò.
«Ho avuto una breve storia con una donna che aveva quindici anni più di me. Era comunque molto giovanile, bellissima e ben tenuta.»
«E non era sposata?»
«Lo era stata, ma era divorziata da molti anni, o quantomeno legalmente separata. Tra noi non ha funzionato. Abbiamo smesso di frequentarci e, qualche tempo dopo, ho conosciuto una ragazza che aveva qualche anno meno di me. Non sapevo che...»
Carolina lo interruppe: «Fammi indovinare, era sua figlia?»
«Sono così prevedibile?»
«È prevedibile la tua storia, e secondo me non è neanche vera» ribatté Carolina. «Hai fatto sicuramente dei danni, ma non volevi raccontarmeli, quindi hai impacchettato in fretta e furia una storiella da propinarmi.»
Carolina non si sbagliava, accusandolo di volere tacere qualcosa di ben più grosso, ma errava nel tacciarlo di mentire sulle sue relazioni con due donne che si erano rivelate madre e figlia. Certo, la prima delle due non aveva solo quindici anni in più di lui, ma ventuno, e non era neanche così follemente bella come l'aveva descritta, ma per il resto tutto corrispondeva al vero.
«Mi dispiace tanto che tu non creda al fatto che due donne della stessa famiglia fossero entrambe affascinate da me, ma ti assicuro che posso piacere a donne di tutte le età» scherzò Enrico. «Per fortuna non ho mai conosciuto la nonna, perché non sono sicuro che avrei apprezzato una corteggiatrice ottantenne.» Si fece più serio, prima di aggiungere: «Madre e figlia non hanno mai saputo niente l'una dell'altra. Solo, quando la figlia mi ha parlato di sua madre, ho capito che si trattava di lei. Ho cercato di defilarmi senza dare nell'occhio. Con questo non intendo dire che l'ho piantata in asso da un giorno all'altro. Semplicemente la stagione estiva stava per finire, il lavoro sarebbe molto calato, quindi ho colto la palla al balzo e ho accettato un'offerta di un mio precedente datore di lavoro, pronto a trasferirmi a più di duecento chilometri di distanza. La figlia non l'ha presa molto male, evidentemente sapeva di potere trovare facilmente un rimpiazzo.»
Carolina osservò: «Ne parli come se non te ne importasse niente.»
«Non è davvero così» obiettò Enrico, «Ma ho sempre saputo che me ne sarei andato e non l'ho mai nascosto. La mia vita, per più di quindici anni, è stata spostarmi da un luogo all'altro, senza rimanere mai fermo abbastanza a lungo da potere pensare a un rapporto stabile. Che cosa c'è di male, in fondo? Non mi sono mai illuso, né ho illuso nessuna delle donne che ho frequentato. È sempre stato chiaro per entrambi che non poteva durare a lungo, in tutte le mie relazioni. Lo accettavamo.»
«Capisco. Non volevo sembrare scortese.»
«Non lo sei stata.»
«E scusa se non ti ho creduto.»
Enrico rise.
«Non fa niente. In fondo, lo ammetto, certe mie storie del passato possono sembrare ben poco credibili, se raccontate.»
Carolina propose: «Dovresti parlarmene. Quella della madre e della figlia non è stata malaccio, ma secondo me hai avuto storie ben più scabrose.»
«Quelle scabrose non le racconto.»
«Dovresti.»
Enrico le strizzò un occhio.
«Non voglio sconvolgere nessuna amica d'infanzia.»
Carolina ribatté: «Sono sicura che a Olimpia racconteresti tutto nel minimo dettaglio.»
Enrico sussultò.
«O-Olimpia?»
«Quella ragazza che era a scuola con te. Si chiamava Olimpia, vero? So che adesso ha un bar, penso insieme ai suoi genitori, o comunque insieme a una coppia di una certa età, non so se sono il padre e la madre, oppure parenti meno stretti.»
Enrico tirò un sospiro di sollievo. Sentirla menzionare l'aveva fatto viaggiare con la mente spingendosi a vaghe spiegazioni surreali di come Carolina fosse venuta a sapere che aveva rivisto Olimpia. In realtà si era semplicemente ricordata della sua esistenza.
«Non vedo Olimpia da molto tempo» mentì, «Comunque il rapporto che avevo con lei era un po' diverso. Tu eri ancora una bambina innocente che ritagliava angeli nelle pagine dei vecchi giornali. Olimpia era una ragazzina della mia età. Passavamo un sacco di tempo insieme, a scuola. Con lei, mi vergognerei di meno del mio passato.»
Carolina obiettò: «Il passato non deve essere necessariamente qualcosa di cui dobbiamo vergognarci. Abbiamo fatto cose che adesso non faremmo, forse, ma non dobbiamo essere troppo severi con noi stessi. Quando parlavo dei casini che avrai sicuramente fatto, non intendevo criticarti. È chiaro che ciascuno ha le proprie idee su come vivere la propria vita e non è detto che le idee degli altri siano sempre sbagliate. Non ho mai voluto giudicarti.»
Enrico la rassicurò: «Non mi sono mai sentito giudicato.»
Era vero, anche perché si guardava bene dal riferirle le vicende più cariche d'ombra del suo passato. Non intendeva certo raccontarle di avere scoperto, a distanza di molti anni, che in un'altra regione d'Italia esisteva un bambino nato da una sua fugace relazione del passato. La madre non gli aveva mai detto niente, almeno finché, quasi per caso, Enrico si era ritrovato di nuovo in quel posto e si erano rivisti. Si era limitata a comunicargli che aveva un figlio e a farglielo vedere da lontano. L'aveva informato di essersi sposata da anni e che il bambino aveva già un uomo che gli faceva da padre, quindi l'aveva invitato a tornarsene in quel nulla in cui era stato tanto a lungo.
Era una storia di cui Enrico non parlava con nessuno ed era convinto a non farlo, almeno finché qualcosa non si fosse sbloccato. In cuore suo, sperava che un giorno quella donna uscita dal suo passato avrebbe cambiato parere, permettendogli di conoscere suo figlio. Non gli aveva detto nemmeno il suo nome, né gli aveva permesso di avvicinarsi a lui.
Pensare a quella vicenda lo incupì e Carolina se ne accorse.
«Va tutto bene?»
«Sì, certo, è tutto a posto» la rassicurò Enrico. «Dopo vieni a cena con me in cucina?»
Carolina non si tirò indietro.
«Sì, volentieri.»
«Oggi saremo soli, Vincenzo è già andato via.»
«Bene.»
«A proposito, ti ho vista un po' a disagio, ieri sera» affermò Enrico. «C'era qualcosa che non andava? Ho fatto qualcosa di sbagliato o era la presenza di Vincenzo a farti quell'effetto?»
Carolina rispose, con schiettezza: «Io e il figlio del povero Roberto Gottardi ci conosciamo a malapena. Penso di non piacergli. Dopotutto sono stata assunta da suo padre dopo che mia madre ha smesso di lavorare. Ho l'impressione che non approvi.»
«Ti ha mai dato ragione di pensarlo o è una sensazione tua?»
«Forse è solo una sensazione mia... ma non farci caso, ogni tanto mi faccio dei film e vedo cose che vanno oltre la realtà. Probabilmente per il giovane Gottardi sono solo una tizia qualsiasi che lavora alla reception.»
«A me non ha dato questa impressione. Certo, vi ho visti insieme soltanto ieri sera a cena, quindi mi pare poco per valutare. Vi vedete spesso?»
«No.»
Enrico le riferì: «Una delle cameriere mi ha detto che, la settimana scorsa, si ricorda di avere sentito Vincenzo che ti convocava nel suo ufficio. Si è fatta l'idea che fosse successo qualcosa, che ci fosse stato qualche problema.»
«Oh...» Carolina strabuzzò gli occhi, prima di esclamare: «Vedo che non sono la sola a farsi dei film! Gottardi voleva solo...» Si interruppe. «Voleva solo...» Ancora un'esitazione, poi finalmente completò la frase: «...chiedermi se per me era un problema fare questo turno, questa settimana. Di solito il mio orario è fisso, a parte situazioni di necessità. Voleva assicurarsi che io riuscissi a organizzarmi, tutto qui. Sono sempre arrivata puntuale, quindi non ci sono stati problemi, puoi riferirlo a quella cameriera, se vuole conoscere l'intera storia.»
Enrico ebbe l'impressione che ci fosse di più, ma preferì non insistere. Se era accaduto qualcosa al lavoro, Carolina aveva il diritto di non parlargliele. Valutò che fosse arrivato il momento giusto per allontanarsi e invitò la receptionist a raggiungerlo in cucina alla fine del turno.
«Vale sempre quello che ho detto ieri: se qualcuno cerca di fermarti digli che sono stato io a chiamarti.»
«Cos'è rimasto stasera? Le tagliatelle di ieri erano fantastiche.»
«Sinceramente non lo so, ma vedrai che non moriremo di fame. Mi raccomando, fai presto.»
«Fino alle dieci devo rimanere qui.» Carolina guardò l'orologio. «Vedo comunque che mancano pochi minuti, quindi non dovrai aspettarmi molto a lungo.»
Lo raggiunse effettivamente poco dopo, ma la cena non andò come Enrico aveva sperato. Non avrebbe saputo ipotizzarne la ragione, ma Carolina era divenuta all'improvviso molto silenziosa. Avrebbe voluto insistere, cercare di capirne qualcosa di più, ma si rese conto che avrebbe potuto essere frainteso o addirittura messo a tacere. Valutò la possibilità che fosse stato il loro discorso su Vincenzo Gottardi a rovinare tutto, ma non vi era nulla né a sostegno né contro quell'ipotesi. Non si sarebbe comunque sorpreso se ci fosse stata effettivamente qualche grana dovuta al figlio del vecchio titolare. Non gli sembrava il tipo di persona propensa a intromettersi, fintanto che l'attività procedeva senza intoppi, ma doveva esservi una ragione se Carolina temeva di non essere nelle sue grazie.
Quando finirono il pasto, la sua amica d'infanzia espresse il desiderio di andarsene subito ed Enrico ebbe appena il tempo di salutarla, prima di vederla allontanarsi in gran fretta. Decise che la soluzione migliore fosse quella di non restare ulteriormente in cucina. Aveva notato qualche occhiata curiosa e voleva evitare che autori e autrici di tali sguardi gli ponessero domande indesiderate. In più, non era ancora tardissimo: se fosse andato subito a casa, avrebbe fatto in tempo a prepararsi per andare a fare due passi fuori, cosa che sarebbe stata sempre più difficile andando verso la fine della settimana.
Circa quaranta minuti più tardi stava riflettendo su un dubbio esistenziale: doveva uscire con il giubbotto oppure senza? Nella fretta, rincasando, non aveva prestato molta attenzione alla temperatura.
Decise di fare senza, tornò ad andare fuori, realizzò che non faceva affatto freddo, poi valutò il da farsi. Il suo accordo con Olimpia prevedeva di non andare a vedere se fosse al bar, quindi procedere in quella direzione non doveva essere un'idea molto saggia.
Le sue brevi riflessioni giunsero presto a una conclusione quando una persona attirò la sua attenzione e gli chiese: «Enrico Bianchi, vero?»
Enrico si girò. Vide una donna sulla trentina, che non aveva mai incontrato prima. Era vestita con una certa eleganza e aveva i capelli di colore castano ramato tagliati a caschetto.
«Ci conosciamo?»
«Temo di no.»
«Eppure sa il mio nome. Posso chiederle come mai?»
«Possiamo darci del tu» suggerì la donna. «Mi chiamo Paola Rossini e sono la futura moglie di Vincenzo Gottardi.»
«Oh.» Enrico si rendeva conto che quel monosillabo non significava nulla, ma non sapeva cos'altro dire. Si sforzò di mettere insieme una frase sensata e alla fine riuscì a formularne una. «Posso chiederle...chiederti come mai sei qui? Come fai a sapere dove abito?»
Paola sorrise.
«Diciamo che, quando mi interessa scoprire qualcosa, mi ci metto d'impegno. Non è stato tanto difficile.»
«Hai risposto soltanto a una delle domande che ti ho fatto» precisò Enrico. «Cosa posso fare per te?»
«Abiti qui, vero?» Paola gli indicò la palazzina dalla quale era appena uscito. «Possiamo entrare?»
«Di solito non faccio entrare in casa le fidanzate dei miei datori di lavoro» ribatté Enrico, che in realtà in passato l'aveva fatto, anche se non si era rivelata una grande idea. «Per te, comunque, posso fare un'eccezione. Non per altro, ma credo sia l'unica possibilità che ho di scoprire come mai tu ti sia presentata sotto casa mia in tarda serata.»
«La cosa ti preoccupa?»
«Per niente, ma non ne comprendo il motivo. È Vincenzo che ti manda da me?»
«No, sono io che ho scelto di venire a parlarti, penserà che sia già andata a letto, a quest'ora.» Paola tornò a indicare il palazzo. «Possiamo avviarci?»
Enrico prese fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni e iniziò a dirigersi verso casa, seguito dalla donna. Entrarono insieme e, nel frattempo, mise in chiaro: «Non ho avuto molto tempo di riordinare, quindi non aspettarti niente di che.» Paola non disse nulla. Si limitò a seguirlo. Enrico la portò in cucina. «Tutto sommato qua non c'è molto disordine.»
Paola scostò una sedia e si accomodò.
«Non è mia abitudine fare queste improvvisate» mise in chiaro, «Ma c'è un motivo per cui sono qui. Non ti riguarda nello specifico in prima persona, ma vorrei sentire il tuo parere. Si tratta di tuo padre.»
Enrico si irrigidì.
«Dove vuoi arrivare?»
«Siediti» lo esortò Paola. «Ho sentito tante dicerie su di lui, ma non credo molto alle chiacchiere. Vincenzo è sicuro che Giuseppe Bianchi abbia fatto qualcosa di male, dice che sentì lui e suo padre che ne discutevano. Roberto Gottardi propose un accordo a Bianchi per andarsene, anche se poi si rifiutò di commentare la vicenda con il figlio.»
«Quindi sei venuta da me per dirmi che sei convinta che mio padre si sia intascato dei soldi che non gli spettavano.» Enrico si sedette. «Sono in tanti, che ne sono convinti. Nessuno, però, si è mai scomodato di venire a casa mia per parlarmene. Nemmeno Vincenzo ha mai accennato a mio padre in mia presenza.»
«Io non conosco tuo padre, ma conosco Vincenzo. Non vedo perché dovrebbe inventarsi storie su tuo padre, se non fossero vere. Credo abbia davvero sentito quanto sostiene. Però tu conoscevi tuo padre. A te sembra possibile? Che atteggiamento aveva nei confronti della famiglia Gottardi e dell'albergo?»
«Mio padre e Roberto Gottardi erano amici. Il lavoro all'albergo era tutto per lui. Mi rendo conto che tu voglia fidarti ciecamente di quello che ti ha riferito Vincenzo, ma io non posso credere che mio padre abbia fatto qualcosa di male. Penso che sia stato incastrato, non so se da Gottardi o da qualcun altro.»
«Comunque sia andata, ho una brutta sensazione. Penso che Gottardi abbia lavorato con persone poco affidabili, in certi momenti. Non mi stupirebbe se tuo padre fosse stato solo una pedina. Se sono qui è per sentire un tuo parere sulla gente che lavora insieme a Vincenzo. Ho paura che qualcuno potrebbe tramare contro di lui.»
«Ti riferisci a Giorgio Carletti?»
«Oh, no.» Paola parve divertita da quell'ipotesi. «Carletti c'era già da anni, lo conosco. Di lui posso fidarmi.»
«Allora puoi fidarti di tutti» replicò Enrico. «A parte Vincenzo e Carletti, nessuno ha potere decisionale, là dentro. A meno che non ci sia un burattinaio che agisce nel silenzio, è tutto a posto.»
Paola si alzò all'improvviso.
«Hai ragione, scusami se mi sono precipitata qui. Mi accompagni alla porta? Non sono sicura di ricordare la strada.»
«Sì, certo.»
Uscirono insieme dalla cucina. Nell'ingresso, Enrico la condusse alla porta. Aveva già aperto, quando Paola gli chiese: «Conosci una receptionist che si chiama Carolina?»
Enrico annuì.
«Sì, perché?»
Paola fu piuttosto evasiva.
«Cosa ne pensi di lei?»
«È una mia amica d'infanzia» rispose Enrico. «Quando morì mia madre, mentre mio padre era al lavoro fino a sera, sua nonna si occupava di me. Passavamo un sacco di tempo insieme.»
«Come amici o come qualcosa di più?»
«Eravamo bambini. Io ero alle medie, mentre Carolina era alle elementari.» Enrico sorrise. «Avevo una fidanzatina, a quei tempi, ma era una della mia età. Carolina ha sei anni di meno. E tu non mi hai ancora spiegato perché vuoi sapere che cosa ne penso di lei. Accoglie i clienti e risponde al telefono. Anche sua madre faceva lo stesso lavoro, prima di lei. Se hai paura che nasconda qualcosa di losco, di sicuro non è niente che possa compromettere l'attività del tuo fidanzato. È una semplice dipendente.»
Paola osservò: «Devi tenerci molto a lei, se parti subito in quarta per difenderla. Non ho mai pensato nulla di male, contro di lei. Anzi, mi sembra una persona molto gentile e disponibile.»
«Sì, ci tengo a Carolina» confermò Enrico, «Anche se siamo solo amici. Non penso di doverti rendere conto del nostro rapporto.»
«No, assolutamente.» Paola varcò la soglia, fermandosi un momento sul pianerottolo. «Scusami se sono stata inopportuna.»
«Di niente.»
Finalmente Enrico la guardò andare via, realizzando che non gli aveva spiegato il perché Carolina le interessasse così tanto. Decise che non aveva importanza. Tutto ciò che desiderava era dimenticarsi della visita della futura signora Gottardi.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Milly_Sunshine