Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: epices    16/04/2023    24 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La città era fradicia di pioggia.
Un cielo di piombo aveva rovesciato acqua fin dal primo mattino e, nella luce incerta del giorno che si avviava al tramonto, ancora spremeva le nubi, stillando lacrime solitarie ed esaltando l'odore umido di terra e foglie macere di cui era satura l'aria.
Quel giorno il Conte di Fersen fece ritorno a Parigi.
Non gli era riuscito di salutare come si sarebbe convenuto né André né Madamigella Oscar in quei giorni frenetici prima della partenza, alla fine di un inverno qualunque. Li aveva spesi tutti per rubare ricordi ad una vita che non gli apparteneva, con lei che era di un altro, almeno agli occhi di quel mondo. Ma che lo aveva implorato, nel buio, di farne la propria sposa se mai si fossero riconosciuti in un altro tempo e in un altro luogo. Non aveva più ricevuto loro notizie e non le aveva nemmeno cercate, gettandosi a capofitto negli impegni militari e diplomatici in cui eccelleva. Era così che riusciva a resistere altrove, provando a convincersi non fossero setosi capelli biondi quelli che sentiva tra le mani quando, ad occhi chiusi, affondava il viso e le dita in altri, pregni di un altro profumo, qualunque ne fosse il colore.

Era stato solo un paio di mesi prima, grazie ad una lettera ancora intrisa degli scampoli di un'essenza evocatrice di mussola fine e baci proibiti, che Maria Antonietta lo aveva messo a conoscenza delle vicende e, non appena gli era stato possibile, si era precipitato a Parigi. Non sapeva come lei fosse in grado di far uscire certe missive dalle sue stanze e dalla Francia così come non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva appreso da quelle righe.
Da allora non era riuscito a pensare ad altro.
loro con indosso abiti pressoché identici, in un passato ormai lontano che lo aveva legato indissolubilmente ad un Paese diverso dal suo, sempre sottilmente complici in quegli sguardi talvolta ironici, talvolta gravi, nei pomeriggi sereni a Palazzo Jarjayes.
loro in un passato più prossimo, ad un'esteriorità che pareva la stessa se non fosse stato per gli sguardi furtivi e sofferti di cui, almeno all'inizio, non aveva compreso il significato.
E forse, quello più profondo, non lo avrebbe compreso mai.

Mentre in carrozza attraversava l'Europa era stata l’eco di un altro ritorno a cancellare il mormorio dei boschi e il brusio delle città che sfilavano oltre il finestrino: quello insieme ad André che in silenzio fingeva, come lui, di aver dimenticato.
Le sue risate mai troppo scomposte e sempre velate di una malinconia che era stata anche sua, da scacciare con le modalità ritenute, da ciascuno, più opportune.
I discorsi a metà che tanto rivelavano e altrettanto tacevano, le verità di cui probabilmente non sarebbe mai venuto a conoscenza.
Il cielo rosso fuoco e ancora bagnato d'estate che li aveva accolti e la figura snella, incendiata dal sole morente, impegnata a rompere il silenzio con colpi cadenzati.
Un abbraccio che non era per lui.
Loro, da sempre così vicini eppure separati da una distanza incomprimibile. E quando quella distanza era divenuta incolmabile li aveva stretti insieme, sempre loro, in bilico sulle ginocchia, davanti a lui, spettatore estraneo, a segnare l'inizio di un altro tempo nella cornice del giorno che stava per finire. (*)

Non riusciva a credere fosse successo a loro. A loro!
Dio, cosa mai avrebbe fatto se la sorte avesse avuto in serbo una cosa del genere anche per lui!? Gli scoppiava il cuore al solo pensiero!

L'indirizzo di André gliel'aveva dato lui stesso, l'aveva vergato in fretta su un foglio dai margini rattrappiti quasi la carta fosse stata asciugata a forza dopo aver subito l’azione di chissà quali intemperie. Probabilmente proveniva da quel taccuino che conservava gelosamente tra il suo equipaggiamento di soldato, sul quale lo trovava chino quando il mondo intorno si faceva silenzioso e i suoi occhi, invece, erano colmi dell'eco di troppe voci.
Non sapeva nemmeno se l’avrebbe trovato in casa, era stata troppa la foga di raggiungerlo per fermarsi a pensare di avvertirlo.

Quando la carrozza si arrestò davanti al cancello, attraverso il finestrino annebbiato dall'acqua e dal fiato, scorse la facciata incupita dalla pioggia ma che, a giudicare dalle sfumature, nelle giornate di sereno doveva risplendere di un tenue color crema.
Non avrebbe potuto giurarci visto che l'unica altra volta in cui era stato lì aveva a malapena messo il naso fuori dall'abitacolo, ma era certo ci fosse qualcosa di diverso da allora, un particolare sfuggente, impossibile da mettere a fuoco in quel momento.
Superò rapidamente i tre gradini che lo separavano dal portone in legno massiccio, solo un uscio affacciato sulla città, uno scudo semplice cui era affidata la protezione allo scorrere della vita oltre quei confini, insieme ad una siepe verde e profumata di caprifoglio.
Avvertì una stretta al cuore al pensiero di quell'intimità che...maledizione! Era inutile dannarsi l'anima, la vita aveva deciso diversamente...
Vincendo la malinconia, diede un colpo di battente cui nessuno rispose. E nemmeno al secondo.

Soltanto al terzo si ritrovò, con grande sorpresa, a dover spostare lo sguardo molto più in basso per poter incrociare gli occhi vispi di un ragazzino accorso a spalancare le ante, due gemme scure incastonate tra una spruzzata di efelidi e un ciuffo scomposto di capelli del colore e della consistenza della stoppa. Non poteva avere più di quattordici anni, valutò mentre scorreva l'abbigliamento sobrio ma di buona fattura e un arnese che teneva tra le mani, probabilmente uno di quelli che usavano i fabbri. Era palese che il suo arrivo avesse interrotto la giornata operosa di qualcuno cui André aveva evidentemente affidato la cura della casa.
“Io...cerco André, André Grandier. Sono Hans Axel di Fersen”
Subito gli sembrò di aver commesso un errore ché forse con i domestici quel titolo di Marquis al quale in realtà nemmeno lui si era abituato, andava ribadito, ma il ragazzo non sembrò turbato e annuì con convinzione.
“Sì, mi ricordo di voi. André è rientrato da poco, sento se può già ricevervi...”- poi, scrutando il cielo che prometteva ancora pioggia, fece due passi indietro.
“Venite dentro, sembra proprio non abbia ancora deciso di smettere. Il mantello bagnato lo potete appendere lì”- con un cenno del capo indicò un appendiabiti accanto all'uscio, spiazzando il Conte con quella strana forma di cortesia fatta di toni premurosi ma privi di qualsiasi accenno di servilismo. Inoltre, era oltremodo evidente che, al ragazzo, l'idea di aiutarlo a svestirsi non avesse nemmeno attraversato la mente.

Fersen si guardò attorno, lievemente spaesato, nell’atrio spento di colori. La poca luce che filtrava sotto strati di nubi non era sufficiente nemmeno ad esaltare il candore di alcune rose sistemate con cura in un vaso proprio di fronte alla finestra, in grado di accentrare l’attenzione grazie al loro profumo delicato. Sorrise ricordando che a Madamigella Oscar, a dispetto del ruolo e dell'educazione ricevuta, le rose erano sempre piaciute; ne aveva viste di bellissime nella sua stanza in quelle rare occasioni in cui vi era stato ammesso. Evidentemente aveva una predilezione per quelle bianche; questo lui lo ignorava ma André non poteva non saperlo.

Da quel passato in cui erano tutti adolescenti non troppo scottati dalla vita riemerse grazie alla voce calda di André che gli andava incontro con ancora addosso l'uniforme della quale aveva soltanto fatto in tempo a sbottonare la giubba.
“Hans, che sorpresa! Dopo tanto tempo!”- la stretta vigorosa alla mano e il sorriso schietto esprimevano una gioia sincera per quella visita inattesa. Gli fece cenno di seguirlo e mentre lo conduceva attraverso il corridoio, verso una sistemazione più consona al dialogo, si rivolse al ragazzo rimasto in attesa sotto le scale, riprendendo un discorso evidentemente lasciato in sospeso.
“Pierre ci pensi tu allora a contattare il maniscalco? I turni di questi giorni non me lo permettono”
“Sì, ormai mi conosce. Finisco di là poi vado...”- nella voce squillante si percepivano la voglia di mostrare le proprie capacità e l'entusiasmo, tipico della sua età, di metterle in opera.
“E’ un ottimo tuttofare, mi è di grande aiuto”- André fece accomodare Fersen in salotto, lo stesso che era stato ingombro di appunti e libri di cui restavano solo i due tomi provenienti da Palazzo Jarjayes e che non aveva proprio pensato di restituire. Sulle rilegature preziose era tornata ad adagiarsi la polvere, anche sull’ultimo scaffale della sua libreria.
“E’ figlio di una delle domestiche di Palazzo, lo conosco da quando è nato. Voleva dimostrare di essere cresciuto, così ho pensato di offrirgli un lavoro. Meglio qui che presso sconosciuti”
Fersen sorrise e annuì lasciando scorrere lo sguardo intorno, fino al tavolo occupato soltanto da una scacchiera. Le pedine di legno, disposte secondo uno schema preciso, parlavano di una partita sospesa, di una sfida ancora in corso.
“Mi sembra che gli avversari siano ossi duri...”- buttò lì per spezzare l'imbarazzo di non saper da dove cominciare
“Sì, Pierre è bravissimo. Del resto ha avuto un'ottima insegnante. Non esiste una sola volta in cui io sia riuscito a battere Oscar...”- sorrise, André, di quel sorriso malinconico che il Conte aveva imparato a riconoscere come quello con cui si aggrappava a momenti soltanto suoi, preclusi al resto del mondo, a prescindere da chi fosse il resto del mondo.
Non poteva sapere che quel momento, in quell'istante, era fatto dei capelli di lei, raccolti da un lato in una notte tiepida e profumata; del suo collo scoperto e delle sue guance arrossate anche se il fuoco era spento, dei suoi occhi luminosi, fin troppo in quella sera lontana.
“André mi dispiace...volevo dirti che mi dispiace non esserci stato”
“Non importa. A lei non sono mai piaciute le cose fatte in grande. E neanche a me”
“Non sono nemmeno riuscito a salutarla, Madamigella Oscar, prima di partire. Quella sera pensavo di incontrarla a Corte e invece...Dio, André, non posso crederci!”- lo sguardo di Fersen cadde sulle dita dell'altro, intrecciate in grembo, e avvertì un'altra esplosione nel cuore.
“Nemmeno io ci credo ancora e...non importa, davvero...”- scosse il capo, André, per ribadire a sé stesso che quando si scende all'inferno, in ogni inferno possibile, tutto il resto non ha peso.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli.
Una notte d'amore
Una croce di pietra
Vite come pedine, gettate sul tavolo da gioco del destino. In ogni tempo. Sempre.

“Quella sera non avremmo mai potuto venire a Corte...”
“Era lei, dunque, qui fuori?”
“Sì...”- sorrise, André, ma non aggiunse altro, certo che il Conte si sarebbe accontentato di quella misera giustificazione, senza reclamare altre parole. Non avrebbe preteso di sapere come il ballo non fosse stato nemmeno contemplato dopo essersi ritrovati stretti uno addosso all'altra lasciando appena il posto per i battiti del cuore né avrebbe chiesto nulla di tutte le notti seguenti, quando non c'era stato più alcuno spazio tra loro, solo sussurri sommessi di anime e vibrazioni accostate per riconoscersi in ciò che erano ed erano stati, battito dopo battito, da quelli avidi, brucianti di passione a quelli lievi, appena udibili, una promessa di ritrovarsi l'indomani, prima di lasciarsi andare all'oblìo del sonno.
C'era la vita dentro quello spazio stretto, dentro le braccia serrate attorno all'altro, la loro. Tutta.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile. A distanza ravvicinata.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli. L'aria salmastra a riempire lo spazio fino al bersaglio.
Brandelli di carta tra le mani.
Lei tra le braccia.
In gioco vite d'amanti, in ogni luogo. Sempre.

Lo sguardo di André si velò oscurando il presente; non riusciva a non tornare laggiù se si parlava di lei.
Al terrore freddo che risaliva dalla sabbia umida e gli ghermiva le viscere arrivando ad assordare il cuore, impedendogli di sentire anche ciò che aveva sempre percepito.
Alla paura folle, a quella dannata paura che annichiliva la mente e spegneva i pensieri, tutti.
Al sangue sulla camicia, ai sussurri sempre più flebili, agli occhi che non si aprivano, alle vele colme di vento.
A quell'abbraccio stretto, incurante dei soldati intorno, che conteneva la loro vita. Tutta.

A riscuoterlo e a fargli distogliere lo sguardo fisso sulle proprie dita perse in un movimento dettato dall'abitudine, fu il tono cristallino di Pierre che giungeva attraverso la porta lasciata aperta. Non la chiudeva mai, d'altronde in quella casa non c'era niente da nascondere a nessuno.
“André, io vado allora! E' arrivata Madame le Général, è in cucina. Le ho detto che sei qui con un ospite”- accennò un assenso, André, in direzione del ragazzo. E gli sorrise.
Sorrise anche Fersen di quell'epiteto che calzava alla perfezione a Marie Grandier, evocando, potente, l'energia e il cipiglio militare con i quali intrideva ogni gesto e ogni sguardo se riteneva le si facesse perdere tempo prezioso, compresi quelli che aveva riservato a lui quando fingeva di ascoltarlo - oh, se n'era accorto che fingeva! - quelle volte in cui aveva provato a raccontarle della Svezia rispondendo alle sue domande, poste certo per cortesia ma del cui ritorno era chiaro le importasse poco.
Molto meno dell'arrosto che cuoceva nel forno o delle lenzuola di lino da distribuire nelle stanze, almeno. Si rese conto, però, che quel modo di fare spiccio e sincero lo aveva conquistato e, in un certo qual modo, di provare affetto per la governante di Palazzo Jarjayes.
“Sono felice di poter salutare tua nonna, spero stia bene...”
André rispose con un sospiro rassegnato, scuotendo il capo.
“Mia nonna non ha ancora smesso di rimproverarmi. Neanche lei c'era, non me lo perdonerà mai. Però non...”- le labbra di André si piegarono in una smorfia che al Conte risultò indefinibile ma, soppesò tra sé, di certo non poteva essere a conoscenza di anni di battibecchi tra i due congiunti.
“André, chi...?”
Fersen spostò lo sguardo alla porta, seguendo il suono della voce e, nell'attimo racchiuso in un istante, chiuse gli occhi, scosse il capo e rise della propria stupidità. Non ci aveva proprio pensato, la sua mente aveva seguito una strada battuta troppe volte. Ma a rifletterci, era così ovvio.

Si alzo, il Conte, porgendo la mano in un saluto che non sarebbe mai riuscito a rendere diverso, neanche in quel tempo dove tutto era cambiato. André non si era alzato ma sorrideva, grato di poter assistere a quell’incontro.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile. Conficcato nel cuore.
Un sogno spezzato. Il tempo che finisce.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli. Conficcato chissà dove ma non nel cuore.
Un tempo che finisce. Il sogno di sempre da riprendere.
Una vita vinta a sorte, grazie ad un abbraccio stretto che ne rivelava i battiti. Tutti.

“Che piacere vedervi!”
“Anche per me, non immaginate quanto!”
“Siete tornato da molto?”
“Oggi. Sono venuto direttamente qui. Io...non immaginavo...”
“Sì, è difficile da credere...”
Le mani si sciolsero ma la più piccola, la più affusolata, si infilò in quella di André quasi avesse bisogno di toccarla quella realtà che aveva scelto, per ribadirne la concretezza e sentirla propria, ancora una volta. E lui la strinse, guidando il movimento della figura flessuosa, esaltata dalla camicia candida infilata nei pantaloni blu, che prendeva posto sul bracciolo della sua poltrona carezzandogli una spalla con i capelli biondi.
Tra le dita, anche tra quelle dita, un bagliore nuovo.

“Sarebbe stato un onore essere presente, Oscar...”- accennò con un sorriso ai due cerchi di metallo, il Conte, ben sapendo come lei la pensasse sull'argomento se tornava a come lo aveva aggredito quando si era ventilata l'ipotesi del suo matrimonio con una donna che non conosceva nemmeno. Anche lei sorrise.
“Lo sarebbe stato anche per me ma...ho...abbiamo preferito così”
Si strinsero forte le mani mentre un ricordo greve di dolcezza e dolore montava dentro, portando immagini che nessun altro avrebbe potuto condividere.

Non poteva sapere, Fersen, di quell'abbraccio stretto, incurante dei soldati attorno e della vibrazione di un sussurro sotto la stoffa leggera. Un cuore che ne chiamava un altro, piano, lentamente, con la voce strozzata per il dolore che aveva piegato il corpo esile.
Non poteva sapere di parole lontane che sapevano di fiducia incondizionata, di un legame da poter vivere fino in fondo.
Te l'affido. Mi raccomando, André...
Delle dita sotto la camicia, infilate tra i bottoni, sulla pelle dove si avvertiva ancora il ritmo della vita e dell'effetto dirompente della speranza che scacciava la paura e rinvigoriva la ragione, impaziente di occuparne il posto, a qualsiasi condizione.
Della voglia di un altro tempo, bramato, preteso ad ogni costo; quello che stava nascendo in un abbraccio in riva al mare.
Di come da ricordi di morte erano sgorgati pensieri di vita. Uno su tutti, martellante, continuo.
Un ospedale da campo improvvisato...Tim che levava schegge di proiettili e gli ricuciva la carne, parlando, spiegando...le sue mani abili ancora lì, a poche miglia...

Non poteva sapere, Fersen, di un altro grido, colmo del coraggio ostinato di chi non vuole arrendersi e di Jules Duval ancora a pochi passi.
“Jules, dammi la tua cintura!"
“Cosa? Ma che..."
“Muoviti, dannazione! Hai capito, dammi la tua cintura!”
Del terrore cacciato indietro, dei denti aggrappati alla stoffa di quella camicia da due soldi per strapparne le fibre che - maledizione - erano fin troppo resistenti!
“Lo faccio io...”
Di Alain che, dagli scogli, aveva visto come la morte può abbattere un uomo senza nemmeno sfiorarlo ed era accorso in fretta, imprecando tra i denti, maledicendo quei due stupidi ché ad un amore così non si sopravvive da soli e asciugando con la manica gli occhi resi umidi dal vento del mattino e dalla certezza che se una cosa grande finisce, ha il potere di tagliare in due anche l'anima di chi ha creduto possa esistere ancora qualcosa per cui valga la pena vivere, vivere davvero.
Di come Alain avesse estratto il suo coltello e tagliato la stoffa della camicia di André.
“Piegala! Quante più volte riesci e mettila qui, sotto la mia mano! Muoviti!”- aveva cercato sulla pelle i margini del foro d'ingresso, in fretta sotto la camicia imbrattata di sangue e con due dita vi aveva premuto forte mentre recitava a mente una litania imparata in luoghi dove di sacro non c'era proprio nulla.
Un foro solo, da una certa distanza, il proiettile di un'arma corta, la velocità d'impatto relativamente bassa...
“Legale attorno al busto la cintura di Duval!”- sbraitava ordini André, come non aveva mai fatto e intanto sussurrava a lei parole che non poteva udire, sulle labbra. Quelle che non aveva potuto quando era crollata davanti a Luigi XV, sfiancata dalla macchia scura che si stava impadronendo dell'uniforme candida, quando il grido del suo cuore avrebbe ottenuto come risposta solo l'eco dello scandalo.
Quelle che non le diceva mai perché, in fondo, non c'era bisogno di stare a ripeterlo ciò che erano l'uno per l'altra.
Oscar, Oscar, amore...resta qui
Le stesse che non aveva potuto dirle quando era crollata a terra, di notte, trafitta alla schiena da uno degli sgherri ingaggiati da Madame de Polignac nel tentativo di mettere a tacere l'unica voce onesta che avesse un peso ai suoi occhi falsi. Anche allora il terrore l'aveva preso forte, come mai prima ma di nuovo aveva dovuto ingoiare parole mentre correvano veloci in carrozza, con Fersen di fronte e lei tra le braccia.
“Dobbiamo muoverci! Dobbiamo portarla a riva!”

Non poteva sapere, Fersen, di una mano sconosciuta, di ragazzo, che in quel momento, poggiata sulla spalla dell'altro, aveva saputo infondere il coraggio di un vecchio mentore.
“Prendiamo la mia barca, ha due vele, è veloce. Sono nato qui, conosco le correnti e i pertugi. Conosco le vie più rapide...”- aveva offerto il suo aiuto Robert, che la necessità aveva reso freddo e razionale, accennando all'imbarcazione a pochi metri.
“Quanto tempo?”- erano le sole parole che André gli aveva dedicato senza mai staccare lo sguardo dalle mani di Alain per accertarsi la fasciatura fosse abbastanza stretta.
Il ragazzo si era sollevato ed aveva osservato l'orizzonte mentre un vento nuovo gli scompigliava i capelli. Era il respiro delle nuvole grigie che non volevano abbandonare l'orizzonte e laggiù, su quello sfondo scuro, un altro lampo, lontano e silenzioso, aveva teso una corda di perle luminose che pareva unire cielo e mare.
“Si sta alzando il vento, spinge a est. Quelle nubi laggiù porteranno burrasca entro sera ma adesso ci gonfieranno le vele. In mezz'ora, al massimo, saremo sulla costa”
“Possiamo remare, andremo più in fretta...”- aveva tentato uno dei soldati, desideroso di impiegare le mani per volgere il tempo a loro favore.
“No, ci penserà Nostro Signore a remare...è più veloce di noi...”- era stato Duval mentre cercava di allacciare i calzoni alla meno peggio, a spiegare, con la calma che deriva dall’esperienza, come il vento fosse la spinta migliore in quel caso. Lo sapevano anche i barcaioli della Senna.

Non poteva sapere, Fersen, di come lui l'avesse tenuta stretta tutto il tempo per evitare sussulti al corpo violato e farle avvertire il suo calore e la promessa di un altro tempo, per loro.
Dei movimenti appena accennati delle palpebre chiuse e delle dita sul collo per accertarsi che la vita continuasse a scorrervi.
Di come fosse crollato ai piedi del letto, schiacciato dalla pena, dopo averla consegnata a Tim Simmons ma di come si fosse rialzato immediatamente per aiutarlo, conscio di quanto ogni istante potesse fare la differenza.
Delle parole dell'uomo, vere e senza fronzoli, con le quali aveva cercato di blandire il suo animo inquieto: “La sua fortuna sono stati la distanza da cui è stato sparato il colpo e il fatto che fosse in movimento; ciò ha attutito la forza del proiettile, si è arrestato contro una costa. Ha danneggiato il polmone sinistro ma l'effetto bruciante della sua cenere ha cauterizzato il tessuto ed ha impedito la fuoriuscita di aria...”
“Ha perso conoscenza...e sangue...”- si era passato le mani tra i capelli, André, deglutendo angoscia e non distogliendo mai lo sguardo dal volto esangue di lei, tra i cuscini.
Tim aveva scosso il capo e l'aveva obbligato a chinarsi, afferrandogli il capo e portandoselo alla spalla, stringendogli la stoffa della camicia e la carne al di sotto, scandendo piano le parole, per trasmettergli qualcuna delle sue certezze, per obbligarlo ad essere razionale. Perché quelle cose le sapeva anche lui, le aveva viste e doveva solo ricordarsi di conoscerle.
“Non posso credere questa sia la prima volta che te la ritrovi ferita tra le braccia. E' svenuta per il dolore, le ha spezzato il respiro. Adesso dorme sotto l'effetto del laudano, ho dovuto utilizzarlo per riuscire a togliere il proiettile. E sì, ha perso sangue; anche questo ha contribuito a farle perdere coscienza. Servirà tempo perché si ristabilisca. Io non partirò prima di una settimana e lei di certo non può viaggiare ora. Sarebbe meglio vi fermaste qui per un po' di tempo...”

Non poteva sapere, Fersen, di come l'altro avesse congedato i soldati e affidato ad Alain una lettera per il Generale e una per sua nonna in cui spiegava le sue intenzioni.
Di come fosse sopraggiunta davvero la burrasca quella notte, facendo tremare i vetri e rovesciando acqua sulla spiaggia, dal cielo e dal mare. E forse svegliando lei.
Di un tocco lieve alla mano con cui lo aveva richiamato da un incubo per trascinarlo nel suo sogno, appena abbandonato ma del quale conservava, vivido, l’intreccio. Quello di due linee bianche, in particolare.
“Ricordi quando giocavamo con le corde? Le legavamo attorno ad un albero e le facevamo ondeggiare a turno per poterle saltare...”- aveva iniziato con la voce impastata e gli occhi ancora chiusi, sorridendo della leggerezza impalpabile dell'infanzia.
“Quando tu mi facevi inciampare appositamente se facevo più salti di te?”- aveva risposto con un sorriso sporco di lacrime di sollievo, sporgendosi sul letto per scostare una ciocca adagiata sulle palpebre serrate. E il sorriso di lei si era fatto più largo ma non aveva aperto gli occhi ancora, crogiolandosi tra le carezze che avvertiva sulla fronte.
“Sì...le ho sognate. Le incrociavo in un modo impossibile da sciogliere, non riuscivo a sbrogliarle da sola. Ti chiamavo per aiutarmi ma non arrivavi...”
“Non ho risposto al tuo richiamo? Sei sicura?”- parlava piano, André, rovesciando parole sulle sue ciglia insieme a baci lievi, per indurla ad aprirle.
“Alla fine l'hai fatto...”
“E ci sono riuscito? A sbrogliarle...”
“No, nemmeno tu. Sono ancora lì, legate da un nodo indissolubile”- lei aveva aperto gli occhi e con un filo di forza ritrovata, con le dita gli aveva baciato le labbra, facendole scorrere più volte sui bordi appena screpolati da quei due giorni di vento e di sale.
“Allora vorrà dire che devono restare così...”- lui le aveva bloccate, le sue dita, e le aveva carezzato il palmo con le labbra e poi l'anulare, graffiandone piano la pelle con i denti, più volte.
“Qui invece...se vuoi...”- lei aveva annuito poi aveva richiuso gli occhi, ancora in balia del laudano - “Anche domani...”
Di come Alain fosse tornato indietro con una sacca piena di abiti puliti, travolgendolo di parole.

Tua nonna è terribile! In ogni senso possibile. Mi ha promesso guai se non le avessi obbedito! Mi ha trascinato a casa tua - non sapevo nemmeno avesse le chiavi! - e ha trasferito nella borsa tutti i tuoi abiti, in blocco, esattamente come erano riposti nei cassetti. Ha preteso ripartissi subito, dopo avermi rifocillato con tanto cibo quanto peso. E poi mi ha rifornito di viveri per arrivare fin qui, così non avrei avuto scuse per fermarmi in nessuna locanda...”

Di come tra gli abiti avesse trovato un astuccio e un biglietto: “L'ho conservato per anni in un baule, era di tua madre. Forse ti fa piacere averlo”

Non poteva sapere, Fersen, di un giorno, ai primi di giugno, quando le giornate sono lunghe, lunghissime e l'aria tiepida anche sull'oceano.
Di una finestra aperta su un mattino limpido per riempire i polmoni ad occhi chiusi e nutrirsi d'aria che sa d'estate, ricacciando indietro il ricordo del respiro che si spezza e delle forze che scivolano via inghiottite dal buio.
Di come si fossero vestiti, ai lati opposti del letto, non riuscendo a non guardarsi ma abbassando lo sguardo, divertiti o tremanti, ogniqualvolta un frammento della loro vita insieme prendeva il sopravvento e cancellava il presente.
Di come fossero usciti con l'emozione in gola, lui con le briglie di César in una mano e l'altra stretta a quella di lei e avessero camminato piano fino ad una chiesa scoperta per caso, con i gradini di pietra sporchi di sabbia.
Del volto concentrato di lei a cercare una soluzione per risolvere l'improvviso imbarazzo di doversi presentare davanti ad un altare in abiti maschili; non ci aveva pensato, aveva creduto non le importasse e invece era stata colta da un disagio sconosciuto, al quale non sapeva dare voce.
Di come lui, levando di tasca e dal passato un vecchio nastro di raso blu le avesse raccolto i capelli in cima alla nuca in una coda morbida che le scopriva il collo, della sua risata sommessa e di una certezza imperitura: “A me non importa, non mi è mai importato...ma se ti fa sentire meglio...”
Della galoppata sulla riva, dopo, fino all'altro capo della baia, con i volti accostati e le stesse briglie tra le mani in un groviglio di sfumature dove il simbolo di un tempo nuovo occhieggiava nell’azzurro.
Del racconto di un altro orizzonte solo sognato, tinto dell'indaco di montagne avvolte nella foschia invece che dal turchese del mare.
Della pelle arrossata dal sole sulla quale avevano iniziato a scorrere brividi mossi dall'afrore noto dei loro corpi accaldati, ancora sfumato nel sentore del sapone usato al mattino e accentuato da quella vicinanza continua.
Della prima notte da sposi, iniziata che il sole non aveva ancora concluso la sua discesa nell'oceano, in cui si erano amati con gli occhi bagnati da troppa vita e con le mani strette, più strette quanto più affondavano l'uno nell'altra, per morirsi addosso e riemergere insieme, una volta e un'altra ancora.
Delle parole di lui, che la passione rendeva più vere, urlate piano all'orecchio - “Non voglio più rischiare di perderti...”
E della pesante consapevolezza cui lei aveva dato un'unica voce, rovesciando fiato e parole nella sua bocca che sapeva di vento di mare - “Non ci lasceranno andar via entrambi, non subito almeno...”

Del loro ritorno a Parigi dove Bouillé le aveva conferito un avanzamento di grado ma anche la conferma di quelle certezze:“Spero tutto ciò possa far acquisire lustro ad un reggimento che non ha molta attrattiva, soprattutto di questi tempi. Inoltre mi auguro di poter contare sulla vostra presenza nonostante...tutto. Non sono in grado di sostituirvi in questo momento...”- aveva evitato qualsiasi titolo, il Generale, non sapendo bene quale utilizzare di fronte a quella novità inattesa. Lei aveva annuito senza protestare, lucida e consapevole dei loro ruoli, suo e di André, anche di quelli che ancora non ricoprivano. E aveva posto una condizione.

“Ho sentito che il Parlamento di Parigi ha iniziato a richiedere la convocazione degli Stati Generali” - Fersen accavallò le gambe predisponendosi ad ascoltare una verità che non avrebbe voluto sentire da nessun altro, sicuro che in quella casa, nulla gli sarebbe stato taciuto.
“Sì, ha criticato aspramente le proposte di Lomenie de Brienne, il Ministro delle Finanze sostenuto dai sovrani. D'altronde questo parlamento è sempre stato particolarmente ostile al Re e in contrasto con la Corte in generale. Non mi stupisce abbia respinto le proposte di un Ministro caldeggiato da Luigi XVI”- André si alzò per accendere il fuoco nel camino. Nonostante fosse la fine di agosto, la pioggia persistente aveva raffreddato l'aria e le pareti.
“Tra i membri più accaniti c'erano quelli del Parlamento di Grenoble che a maggio si sono rifiutati di applicare alcuni editti reali” - Oscar, scivolando sulla seduta ancora calda del corpo del marito, continuò a spiegare.
“Mi è giunta voce che però il re non abbia piegato la testa...”- Fersen provò a capire se l'insolita tenacia di quell'uomo mite che invidiava più di ogni altro al mondo, potesse portare benefici al Paese e quindi alla donna che entrambi amavano. Era la sua unica consolazione.
“No, infatti. Ha ordinato la soppressione del Parlamento e l'esilio dei suoi membri ma le cose non sono andate come credo immaginasse...”
“Vi riferite alla rivolta delle tegole, Oscar?”(**)
Lei annuì osservando la stoffa blu, tesa sulla schiena china innanzi al fuoco che iniziava a prendere vigore.
Non poteva sapere, Fersen, di come la notizia dei cittadini di Grenoble che avevano divelto i blocchi d'ardesia dei tetti lanciandoli poi contro i soldati del Royal-Marine, inviati laggiù per far eseguire gli ordini reali, li avesse raggiunti che erano già nella piazza d'armi con le briglie tra le mani, un pomeriggio all'inizio di giugno, due lune prima.
Di come fossero tornati a casa in silenzio, aprendo il cancello e ricoverando i cavalli senza dire una parola, entrambi consapevoli di quanto quella miccia accesa potesse essere il preludio per un'esplosione di dimensioni catastrofiche. E che a Parigi, i bersagli da raggiungere, magari in pieno petto, avrebbero potuto essere loro.
Di come, dentro casa, si fossero cercati che erano ancora contro la porta d'ingresso, sostituendo le parole con frasi fatte di carezze avide, e fossero scivolati a terra slacciando bottoni e cinture per ritrovarsi ancora pelle sulla pelle a ricordarsi che era di nuovo giugno, di nuovo estate, che erano sempre loro e i loro baci sapevano ancora di vento di mare.

“Sì, questa è un'estate difficile. Credo passerà alla Storia come uno degli anni peggiori per l'economia francese, il 1788. A partire dalla vicenda di Grenoble è stato un susseguirsi di eventi disastrosi. Non so se ne siete a conoscenza ma il mese scorso, con il grano già pronto da mietere, un violento uragano ha devastato i raccolti, facendone perdere oltre un quarto”
“Sì ne sono a conoscenza”- Fersen sospirò mestamente, consapevole della gravità degli eventi ma impensierito soprattutto per chi avrebbe dovuto trovare una soluzione che lui non intravedeva.
“E come puoi notare, non è che poi la situazione sia migliorata molto...”- André, seduto sul pavimento accanto al fuoco, accennò ai rivoli di pioggia che avevano ripreso a scorrere sui vetri - “...il cibo scarseggia, il fantasma della carestia incombe sempre più prepotentemente. Questo darà fuoco alle polveri nel ceto popolare rendendolo facile da strumentalizzare, ancora di più...”- il tono era grave, consapevole di una verità già provata sulla propria pelle.
“Sarebbe terribile, già ho saputo della rivolta dei nobili...parte del Parlamento, anche il cugino del Re...”
“E non si è ancora conclusa. Il Re, pochi giorni fa, è stato costretto a convocare gli Stati Generali per l'anno prossimo...”- il volto tirato e lo sguardo serio di Oscar rendevano l'idea di quanto fosse imminente un cambiamento epocale.
Fersen si passò una mano sul volto, incredulo; nella voce tutta l'angoscia per chi non avrebbe potuto sottrarsi a nulla.
“Domani andrò a Versailles, il mio posto è là...”
“Sarà felice di rivedervi...” - Oscar annuì, osservando il fuoco pensierosa e stranamente indifferente.
“Spero di incontrarvi a Corte...ogni tanto...”- tentò Fersen per appigliarsi ad un passato in grado di fargli credere che non tutto fosse perduto.
Oscar scosse il capo, senza guardarlo. Non cercò nemmeno gli occhi di André ma sorrise, serena.
“Ho lasciato la Guardia Reale già da tempo e...sono a debito di una cavalcata...”- a quel punto lo spostò lo sguardo dentro quello del marito che aggrottò la fronte in una muta domanda. Non capiva, non avrebbe potuto. Era sola, lei, davanti a Bouillé quando aveva posto l'unica condizione alla quale il Generale aveva alzato le mani.

Vite come pedine, gettate sul tavolo da gioco del destino. In ogni tempo.
In gioco vite d'amanti, in ogni luogo. Sempre.

Ora il caso aveva deciso di nuovo. E c'era la possibilità di un tempo, un altro ancora, per loro.

Quando Fersen si congedò aveva definitivamente smesso di piovere. Percorse i pochi gradini diviso tra la nostalgia per ciò che non avrebbe più potuto essere e la sottile ilarità che gli suscitava quel pensiero interrotto dentro casa sull'evidenza che ora, pur senza rimbrotti e occhiate truci, Madame Grandier fosse davvero un generale.
Li percorse in fretta per lasciarsi alle spalle tutto ciò che in quella casa era talmente giusto da far male al cuore. Soprattutto al suo.

Si voltò solo un istante per vederli in quel tempo nuovo, loro, sulla soglia, che già non lo stavano più guardando.
Lui che la scrutava attento e lei che gli si accostava all'orecchio per sussurrargli, impacciata, chissà quali parole capaci di irrigidirlo, poi di scioglierlo per farla scomparire nel suo abbraccio, tra la stoffa blu che indossavano entrambi.
Li vide in quel tempo nuovo, ancora loro, ancora con gli stessi abiti, sempre dalla stessa parte.
Con lo sguardo Fersen si arrampicò fino al tetto quasi potesse, lassù, respirare quella libertà che a lui non sarebbe toccata e mentre saliva la colse, finalmente, la differenza rispetto all'altra volta. Proprio sulle finestre del primo piano, appena sotto l'abbaino.
Non poteva sapere che proprio lì dietro, alle prime luci del giorno, di ogni nuovo giorno, André si svegliava e in silenzio, come aveva fatto una mattina inondata di luce, ammirava la schiena liscia abbandonata nella quiete del sonno, tra il lino e i capelli sparsi. Con le nocche delle dita ne accarezzava piano, pianissimo, la pelle al centro, lungo il solco che l'attraversava in tutta la lunghezza, certo che non avrebbe mai concesso a nessun'altra alba, in nessun luogo, la possibilità di separarli di nuovo.
Lei se ne accorgeva sempre, gli scivolava contro e gli si stringeva addosso, ad occhi chiusi, annegando nel suo odore e tra le sue braccia. Era allora, mentre la luce delineava dettagli da tastare con le labbra, che insieme rubavano al tempo qualche momento segreto e la certezza che anche per quel giorno sarebbe stata vita.
Quella importante, quella da racchiudere nello spazio stretto, dentro le braccia serrate attorno all'altro. La loro. Tutta.

Fersen scosse il capo, rivolse un ultimo sguardo all'uscio che si chiudeva nascondendo l'inizio di un bacio e, prima di salire in carrozza, sorrise di quell'idea bizzarra di tingere gli scuri d'azzurro, come fossero brandelli di cielo in cui alzarsi in volo in quell'ultimo scampolo di tramonto.


La fanart è un meraviglioso regalo di Galla88

 

(*) Capitolo 2
(**) Contestazione avvenuta a Grenoble il 7/6/1788 in cui i manifestanti affrontarono le truppe reali a colpi di tegole. Questa rivolta, preludio della Rivoluzione francese, provocò alcuni morti e feriti tra la popolazione e un numero elevato di feriti tra i membri del reggimento Royal-Marine. Fu la prima, seria insurrezione contro l'autorità reale ed ebbe un peso notevole sulla riunione degli Stati Generali del Delfinato (antica regione che corrisponde approssimativamente agli odierni dipartimenti dell'Isère e Alte Alpi), inoltre portò il Ministro delle Finanze Brienne a promettere la convocazione degli Stati Generali a Versailles per l'anno successivo.

 

Dopo quasi due anni questa avventura finisce.
Mi permetto di rubare solo qualche altra riga per un saluto e doverosi ringraziamenti:
- a R. Ikeda (ma anche a Nagahama e Dezaki) per averci donato personaggi meravigliosi e immortali. Noi li strapazziamo un po' ma li amiamo alla follia e siamo ben consapevoli che i loro sono quelli veri, quelli che nessuno potrà mai arrivare ad imitare
- a Galla88 e Alessandra DF per le emozioni che le loro splendide matite mi hanno saputo regalare
- a chi c'è sempre stato, a chi è arrivato strada facendo, a chi c'era e non ha più potuto esserci, a chi mi ha stretto la penna in mano quando l'avrei gettata altrove
- ai lettori silenziosi che hanno salvato la storia (mi piacerebbe fare tutti i nomi e ringraziarvi uno ad uno ma siamo nell'ordine delle centinaia, ne uscirebbe un altro capitolo :))
- ai lettori invisibili
Insomma...a tutti!
Altre idee ne avrei al contrario del tempo, sempre più risicato.
Al momento, quindi, mi congedo da queste pagine augurando buona scrittura, buona lettura e, soprattutto, buona vita.

   
 
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