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Autore: Carme93    25/04/2023    0 recensioni
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Scozia, Gran Bretagna.
Ancora una volta la scuola inglese ospiterà uno dei più prestigiosi tornei della storia magica.
Scorpius Malfoy, Lily Potter e Hugo Weasley riusciranno a conquistare la gloria eterna e la vittoria per la loro Scuola?
Non vi resta che scoprirlo.
[Questa storia partecipa all'iniziativa "Torneo Tremaghi - Harry Potter Edition" indetta sulla pagina Facebook L'angolo di Madama Rosmerta].
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hugo Weasley, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo III




 
L’avversario peggiore
 



Si destò di soprassalto e percepì una leggera inquietudine: odiava svegliarsi in piena notte, perché i pensieri si affollavano e faticava a riaddormentarsi; purtroppo ultimamente gli accadeva sempre più spesso, poiché i G.U.F.O. si avvicinavano inesorabilmente e sua madre accresceva la sua ansia con continui consigli, sollecitazioni e raccomandazioni. Inoltre, ella non aveva minimamente approvato la sua scelta di iscriversi al Torneo ˗ Proprio l’anno dei G.U.F.O. Per la prima volta in quindici anni e mezzo, una sua scelta aveva reso più orgoglioso suo padre, molto meno sua madre (oltre il suo smistamento a Grifondoro naturalmente).  
Impiegò qualche secondo a prendere coscienza dell’ambiente che lo circondava: sopra di lui vi era una grigia pietra, ben distante dal velluto scarlatto della tende del suo baldacchino; ed era adagiato su qualcosa di duro, ben distante dalla morbidezza del suo letto.  
Aprì gli occhi, che per un attimo aveva tenuto serrati in quella consueta illusione di poter ancora trattenere il sonno e la scia sempre più labile di un sogno interrotto.
Non era in camera sua.
La consapevolezza lo colpì come un bolide in pieno petto e il ragazzo si sedette di scatto. Quella non era nemmeno la Sala Comune di Grifondoro.
Dopo un iniziale momento di smarrimento, i ricordi fluirono gradualmente. Rabbrividì.
Lui, Scorpius e Lily erano stati convocati nell’ufficio della professoressa McGranitt, dove, alla presenza della giuria del Torneo, era stato loro chiesto ufficialmente chi avrebbe affrontato la seconda prova. Hugo si era fatto avanti con una finta sicurezza, ma sollevato dalla consapevolezza dei suoi compagni al suo fianco.
Ricordò vagamente le raccomandazioni della Preside e poi più nulla. Si passò una mano sul volto e si accorse che era umida. Un brivido di freddo lo scosse tutto. Non aveva nemmeno il mantello con sé e quel luogo sembrava più freddo dei corridoi del castello.
Probabilmente la McGranitt l’aveva addormentato e in un secondo frangente era stato portato lì. Ma dove precisamente?
Il Grifondoro si guardò intorno, ma non trovò alcun punto di riferimento o segno noto che potesse suggerirgli dove si trovasse.
Sembrava un corridoio di pietra fiocamente illuminato, nulla di più.
Si sollevò con circospezione, ma l’unico rumore era un inquietante gocciolio di cui non avrebbe saputo localizzare.
Mise la mano nella tasca della divisa, ma non trovò la sua bacchetta. A quel punto principiò ad agitarsi veramente: non poteva averla dimenticata! Che figura avrebbe fatto!? Un mago che si dimentica la propria bacchetta magica! Altro che Campione Tremaghi.
Eppure quando era andato dalla McGranitt ce l’aveva, ne era sicuro.
Dall’altra tasca, però, estrasse il cilindro di piombo che Scorpius aveva conquistato durante la prima prova.
Ci avevano provato e riprovato, ma non erano riusciti ad aprirlo: aveva trascorso ora in biblioteca insieme a Scorpius nel tentativo di carpirne il mistero, appellandosi a tutte le lore conoscenze. Tutto era stato vano: nessuna pozione, nessun incantesimo aveva avuto alcun esito. Il cilindro non si era neanche scalfito. Alla fine si erano arresi ad attendere l’inizio della prova, in fondo alcuni oggetti magici avevano dei meccanismi di attivazione particolari.  
Hugo deglutì: il cilindro era stato riposto nel baule di Scorpius e il Serpeverde non l’aveva preso con sé quella mattina. Erano rimasti che l’avrebbe fatto nel pomeriggio, considerando che la prova avrebbe avuto inizio soltanto alle quattro. E se adesso era nella sua tasca al posto della bacchetta, significava solo una cosa: la seconda prova era iniziata.
La semioscurità gli sembrò ancora più inquietante.
Chiuse gli occhi terrorizzato da quello che avrebbe potuto scorgere nel buio. Se nella prima prova c’era un drago, lì avrebbero potuto posizionare qualsiasi trappola. Automaticamente passò in rassegna le creature magiche che conosceva e rabbrividì. Naturalmente gli erano venute in mente quelle classificate come “note ammazzamaghi” da Newt Scamander.
Avrebbe voluto rannicchiarsi e nascondersi. Esattamente come faceva da piccolo quando si trovava da solo al buio. Sua mamma gli diceva che aver paura del buio è normale, perché significa temere ciò che non si conosce; ma ella le ripeteva sempre anche una frase del Preside Silente: “La felicità si può trovare anche nei momenti più bui se solo ci si ricorda di accendere la luce”.  
Peccato che lui non avesse né la bacchetta né fiammiferi per rischiarare quell’ambiente. Solo uno stupido cilindro di piombo.
Serrò ancora di più le palpebre e si chiese per la millesima volta perché si fosse lasciato coinvolgere? L’aveva fatto solo per non sembrare un fifone davanti ai suoi compagni. Erano forti muscolosi, si mettevano in mostra con le ragazze… e lui? Era mingherlino con un incendio sulla testa ed era considerato da tutti un secchione.
Sfiorò instintivamente la spilla da Prefetto, costatando che gliel’avessero lasciata; peccato che non si trasformasse in una torcia o in un’arma come i film di spie babbani.  
Aprì gli occhi, perfettamente consapevole che il suo orgoglio di Grifondoro non gli avrebbe mai permesso, per quanta paura potesse avere, di farsi beccare lì rannicchiato e piagnucolante.  
Gli avevano lasciato il cilindro? Allora ci sarà stato un motivo. Lo osservò e tentò di aprirlo, questa volta rivelò immediatamente il suo contenuto: una pergamena arrotolata e un frammento di vetro.
Spiegò la pergamena e lesse ˗ socchiudendo gli occhi a causa della mancanza di luce ˗ lasciando che la sua voce risuonasse roca nel tacito vuoto che lo circondava:


 
Ti saranno date tre ore di tempo,
vedi di trovare l’uscita nel frattempo.
Sarai solo, isolato e inzuppato,
senza alcun incantesimo come alleato.
Ascolta i tuoi compagni e usa l’intuito,
saranno il tuo unico aiuto.
 


Quindi era una prova a tempo, non troppo diversa da quella affrontata dallo zio Harry. L’essere solo era chiaro, ma isolato e inzuppato? E soprattutto come avrebbe potuto ascoltare i suoi compagni? Erano stati trasportati lì vicino? Avrebbero dovuto cercarsi?
Non aveva elementi per rispondere a quelle domande, perciò decise di esplorare l’ambiente: le pareti sembrano di pietra levigata e grigiastra. Ma dov’era? Ancora a Hogwarts?
Avanzò lentamente, tentando di non farsi sfuggire nulla.
I suoi piedi risuonavano come se fosse l’unico essere vivente lì dentro. Gli altri Campioni? Hugo arricciò il naso all’odore di chiuso e di muffa e sospirò rassegnato nella consapevolezza che torturarsi con tutte quelle domande non l’avrebbe indirizzato a una risoluzione definitiva.  
Proseguì disorientato per qualche minuto. O trascorse più tempo? In quel momento sarebbe stato comodo un orologio da polso.
All’improvviso la galleria si biforcò.
Hugo si fermò incerto, poi proseguì a caso. Camminò per un altro po’ e si accorse di aver scelto la strada sbagliata: terminava in un vicolo cieco. Tra l’altro la parete di fronte a lui era più terrosa, come se non avessero più completato quella parte e non avessero ritenuto necessario ricoprirla di pietra.
Hugo!
Sobbalzò e si girò. Non c’era nessuno dietro di lui. Eppure…
Hugo!
Di nuovo. Da dove veniva quella voce? La voce di Lily. Eppure era solo lì. Che l’avesse seguito indossando il mantello dell’invisibilità? Ma avrebbero squalificato tutti e tre!
Idiota, nella tua tasca!
Sgranò gli occhi e automaticamente mise le mani in tasca, rischiando di tagliarsi con il frammento di vetro che si era già dimenticato. Un occhio color cioccolata lo fissava inquietante.
«Non lo tenere così» sbottò una voce in lontananza. Scorpius.
«Questo è uno specchio gemello! Come quello di cui ci ha parlato mio padre, ricordi?».
Al posto dell’occhio era apparsa la bocca di sua cugina. Se non fosse stato tanto agitato le avrebbe chiesto di cambiare posizione non volendo indagare la sua cavità orale.
«Sì, ho capito» disse frettolosamente. «Ho aperto il cilindro, c’è una specie di indovinello».
«Lo sappiamo» tagliò corto la voce di Scorpius. «Il nostro compito è quello di guidarti».
«Fai parlare me» sbottò la voce di Lily.
«Dobbiamo andare al punto».
«Perché che stavo facendo?».
Hugo alzò gli occhi al cielo.
«Ragazzi» provò a chiamarli. «L’indovinello…».
«Lascia stare l’indovinello» riprese Scorpius. «Possiamo parlati solo per dieci minuti, due volte all’ora».
Hugo ebbe un tuffo al cuore: si era confortato sentendo i due compagni di squadra e aveva creduto che l’avrebbero accompagnato per tutto il percorso, invece a breve sarebbe rimasto solo di nuovo.
«Dove sei ora?» chiese Lily.
«Sono in una specie di galleria di pietra» rispose Hugo. «Come fate a guidarmi a distanza?».
«Abbiamo una mappa» rispose sua cugina.
«Ci hanno indicato in che punto ti avrebbero lasciato, sei ancora lì?» aggiunse Scorpius.
«No» si affrettò a rispondere il giovane Grifondoro. «Mi sono spostato».
«A destra o a sinistra».
«Per avanti» borbottò Hugo.
«In che senso? Destra o sinistra?» insisté Scorpius.
«Ma se ti ha detto avanti» sbuffò Lily.
«Ma che vuol dire avanti?».
«C’era solo una strada» insisté Hugo.
«No, ce n’erano due» ribatté Scorpius.
Hugo non ci aveva nemmeno fatto caso. Era perfettamente conscio che avrebbe dovuto porvi più attenzione! Era stato così sciocco. «Sinistra, credo a sinistra. Dopo poco ho incontrato una biforcazione» si affrettò a rispondere. Tre ore trascorrevano in fretta in quei frangenti.
«Sì, ci sono» sentì la voce del Serpeverde più distante.
«Beato te che sei lì sotto. Ci hanno chiusi dentro una vecchia aula. Puzza di rinchiuso e non ci hanno portato nulla da mangiare…» si lamentò Lily.
«Sono in un vicolo cieco» aggiunse il ragazzino ignorandola.
«Allora torna indietro».
«Prendo l’altra strada?».
«Non è una strada, è un condotto» borbottò la voce di Lily. «Non ti sei accorto di essere nell’impianto idraulico di Hogwarts…».
«Dove sono?» la bloccò Hugo.
«Vai…».
 
 
 
«Si è disattivato, accidenti».
Lily si mordicchiò il labbro e lo fissò.
«Ma perché mi hai interrotto?» quasi l’aggredì il Serpeverde. «Abbiamo poco tempo per parlare con lui!».
«Sono agitata» replicò la Grifondoro passandosi una mano sul volto.
«Non devi, andrà tutto bene».
«Ho fatto una stupidaggine».
«Non fa niente, dai» provò a tranquillizzarla Scorpius sedendosi pronto ad analizzare a fondo la mappa e stabilire il miglior percorso che Hugo avrebbe dovuto seguire per arrivare più rapidamente alla meta designata. «Tra un po’ lo ricontatteremo, è inutile sprecare tempo adesso se non abbiamo un piano».
«Sì, ma non avrei dovuto dire a Hugo dove si trova… soffre di claustrofobia… A volte parlo prima di riflettere» spiegò Lily accasciandosi sulla sedia accanto all’amico.
«Sbrighiamoci» sospirò Scorpius.
 
 

La comunicazione si era interrotta, prima che Hugo potesse ascoltare le indicazioni di Scorpius. Rimase immobile in attesa, aspettandosi che l’avrebbero richiamato; ma un grave peso si era depositato sul suo cuore dopo aver scoperto dove si trovava: sottoterra! Altro che sotterranei. Chiuse gli occhi preso quasi da vertigini: un intero castello sulle sue spalle. A tentoni cercò il muro e si appoggiò. Il suo respiro accelerò e il cuore cominciò a battere più forte, il suo corpo fu percosso da brividi di freddo, un senso di nausea gli salì alla gola.
Conosceva quella sensazione, ma era un pessimo momento per una crisi: doveva portare a termine la prova. Fece un paio di respiri, tentando di calmarsi: in fondo quelle gallerie erano ampie, si respirava bene e non era solo. Lily e Scorpius l’avrebbero richiamato a breve, cercò di immaginarli mentre sicuramente litigavano per capire come comportarsi. Sorrise leggermente e si raddrizzò.
Prese ancora qualche respirò, riaprì gli occhi e compì qualche passo.
La prossima conversazione avrebbe dovuto essere più efficace: avrebbe potuto uscire di lì velocemente, purché facessero gioco di squadra.
A passi svelti tornò fino alla biforcazione e questa volta scelse l’altra via. Questa galleria sembrava più lunga e più buia, ciò lo inquietò abbastanza, ma non poteva tornare indietro o avrebbe perso troppo tempo.
Addirittura la pietra gli sembrò più antica e a un certo punto sembrò andare quasi in discesa.
A un certo punto percepì uno strano rumore, una specie di forte brusio, ben diverso dal gocciolare che ora sembrava molto più lontano. Si fermò ad ascoltare e procedette, sperando che quello fosse un buon segno. La strada stavolta si suddivise in tre ampi canali e lui proseguì in quello mediano. Qui quello strano suono era più forte e sembrava riecheggiare nell’ambiente.  
Continuò ad avanzare affidandosi al suo udito, ma uno strano prurito cominciò a dargli noia. Allungò la mano per grattarsi la gamba, ma quando la ritirò su scorse un esserino lungo pochi millimetri, quasi invisibile. Lo lanciò e, osservando con attenzione, si accorse di essere circondato da quelle creature. Ne aveva addirittura la veste piena! Lo stavano assalendo!
Erano una specie di insetti minuscoli, simili a dei granchi ˗ che aveva visto sulla spiaggia nei dintorni di Villa Conchiglia – ma con delle grosse zanne.
Strillò ancora. E se fossero state delle piccole manticore? Cominciò a scrollarsi la divisa.  
«No, no, no…».
Corse verso l’imboccatura della galleria che aveva preso seguendo quello stupido e ingannevole verso. Qui si fermò, ma quegli esseri non se ne andavano, anzi alcuni erano ancora appiccicati alla sua divisa e altri si arrampicavano lungo i suoi calzini.
Fu con sollievo che colse il richiamo di Lily. Prese il frammento di specchio gridando perché qualcuno si era insinuato inseriti persino nella tasca.
«Hugo, che succede?» chiese la voce di Scorpius.
«Ci sono dei cosi… piccole manticore… Non lo so che sono…».
«Manticore?!» gridò Lily.
«Ma che dici?! Nelle tubature di Hogwarts?».
«É il Torneo Tremaghi» lo redarguì Lily.
Hugo non avrebbe sopportato, al limite di un attacco isterico, le loro discussioni – Lily avrebbe fatto perdere la pazienza a un santo - «Guarda!» gridò sapendo che Scorpius era bravo con le creature magiche.
Nel frattempo cercava di scuotersi da dosso tutti quelli esserini.
«Sono invisibili» sbuffò Lily.
«Non sono manticore» sbuffò sollevato Scorpius. «Sono chizpurfle».
«Hanno le zanne» si difese Hugo ora tentando di schiacciarli, indipendentemente da come si chiamassero.
«Ma non hanno un pungiglione acuminato con veleno mortale» replicò Scorpius. «Saresti già morto».
«Come me li tolgo da dosso?» sbottò il ragazzo che non voleva certo una lezione di magizoologia in quel momento.
«Di solito basta comprare una pozione adatta, ce ne sono molte in commercio… oppure nei casi più gravi si chiede l’intervento della Sottosezione Flagelli dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche…» rispose il Serpeverde.
«Scorp» sibilò Hugo, continuando a calpestare la pietra intorno a lui e, contemporaneamente, anche di allontanarsi. «Posso provare a cercare un negozio, a destra o a sinistra?!».
Percepì la risata nervosa di Lily.
«Se volete posso provare a inoltrare formale richiesta al Ministero, che dite? Quali sono i tempi di attesa?».
«Ok, ho capito» sbottò Scorpius. «Allora… beh, credo che quello che stai usando sia un buon metodo…».
«Ma davvero? Grazie tante!».
«Hugo, non perdere altro tempo» intervenne Lily. «La prima ora è quasi finita».
Il ragazzino imprecò chiamando in causa Merlino. «Non sto perdendo tempo»
«Ehi, Hugo, calmati» provò Scorpius.
«Non mi dire di calmarmi! Un milione di esserini zannuti non cammina su di te».
«Il solito esagerato» borbottò Lily.
«Ascolta, che strada hai preso?» chiese, invece, Scorpius.
Hugo, che con una mano teneva il frammento il più vicino possibile all’orecchio e con l’altra controllava ogni centimetro del suo corpo, rispose distrattamente alla domanda.
«Eh, ti pareva. Avevi il cinquanta per cento di possibilità di sbagliare e hai sbagliato» sbottò Lily.
«Come sbagliato?» chiese Hugo riprendendo fiato e imboccando la galleria di sinistra.
«Saresti dovuto tornare fino al punto dove ti sei svegliato e prendere la strada a destra» spiegò Scorpius. «Ma comunque non fa niente. Sei arrivato alle tre strade?».
«Sì, in quella di mezzo non ci torno, è strapiena di quei cosi. Ora sono a sinistra».
«Va bene vai dritto, poi alla prossima biforcazione prendi a destra» suggerì meditabondo Scorpius.
«Sei sicuro?» chiese Lily.
«Hai un’idea migliore?» ribatté il ragazzo.
Hugo sospirò: l’avrebbero recuperato alla fine delle tre ore o l’avrebbero lasciato a marcire lì per il resto dei suoi giorni?
«Ascolta» aggiunse velocemente Scorpius. «abbiamo ancora pochi secondi. Fai come ti ho detto, poi cerca di muoverti verso est, ok? Verso l’interno. Ora ti trovi più o meno ai margini dell’impianto idraulico. Noi possiamo chiamarti solo due volte ogni ora. D’ora in avanti impiegheremo meglio questo tempo. Ti chiameremo tra una ventina di minuti. Intanto studiamo meglio quest’altra zona».
«Ok».
La comunicazione s’interruppe, ma Hugo fece in tempo a sentire l’incoraggiamento della cugina.
Riprese fiato e si assicurò, un’ultima volta, di non avere più chizpurfle addosso, poi riprese a camminare seguendo le indicazioni di Scorpius.
Dopo un po’ però la strada virò verso ovest, ma fu costretto a seguirla lo stesso non essendoci altra possibilità.
Quel lato del condotto aveva un odore diverso e vi erano più pozzanghere. Di certo il giovane Campione non era vestito adeguatamente per affrontare quella prova: la divisa cominciava a non essere sufficiente a proteggerlo dal freddo e quel punto sembrava ancora più umido.
Tentò di concentrarsi e questa volta scelse la strada di destra, quando tre gallerie si aprirono davanti a lui. Sembrava salire verso l’alto. Sperò che fosse un buon segno.
Ricordò i racconti del padre sulla camera dei segreti e rabbrividì. Era da quelle parti! Non è che ci avevano messo un altro basilisco? No, eh… Lily aveva ragione erano capaci di tutto. Uno strano rumore lo mise in allarme. Sembrava acqua. Ma era un suono familiare. Avanzò lentamente e tendendo l’orecchio.
All’improvviso alla sua sinistra si aprì un’imboccatura più stretta, ma illuminata. C’era luce! Hugo sgranò gli occhi e corse verso la fonte, quasi strisciando nel condotto, che saliva sempre più in alto Nella foga sbattè con forza contro la grata che lo separava dal mondo esterno. Non poteva essere, non poteva! Si avvinghiò alla grata e provò a tirarla, più per sfogare la sua frustrazione che altro: quella non era la sua meta e, anche se fosse riuscito ad uscire da lì, avrebbe perso.  
Qualcosa, improvvisamente, lo artigliò alla gamba. Gridò e scivolò all’indietro. Piombò contro la parete del condotto da cui era salito. Si mise seduto e guardò la gamba: un avvincino lo aveva afferrato alla caviglia.
Si gettò su di lui e tentò di liberarsi. La sua prese era ferrea, ma Hugo lo strinse tentando di spezzargli le dita lunghe, ben sapendo che fosse uno dei punti deboli di quelle creature. Riuscitosi la scalciò via ignorandone i lamenti e si allontanò zoppicando. Dopo essersi assicurato che non lo stava seguendo, si fermò e si asciugò le lacrime con la manica della veste. Quel posto era un incubo. Un incubo!
Si fermò troppo agitato e confuso, in attesa di sentire Scorpius e Lily.
Si assicurò che non ci fosse nulla a terra e si lasciò scivolare appoggiando le spalle al muro. Non era trascorsa nemmeno un’ora e venti, eppure sembrava un’eternità. Sentiva un’angoscia premergli sul cuore e il desiderio di finire al più presto si stava oscurando: quella luce l’aveva attratto e, per la seconda volta, si era messo nei guai.
Accolse con sollievo le voci dei compagni e raccontò loro quello che era successo e quale percorso avesse seguito fino a quel momento. Per fortuna, si era calmato abbastanza per non scoppiare a piangere o avrebbe fatto davvero una brutta figura con Scorpius.
Gli altri due gli diedero indicazioni più precise e lo incoraggiarono ancora. L’uscita era all’interno. Gli avevano assicurato che non fosse la Camera dei Segreti. Ma quale prova di un Torneo prestigioso si sarebbe conclusa in un bagno?
 
 
«Sono preoccupata» sospirò Lily appoggiando la testa sul tavolo. «Hai visto com’è agitato? Ci sarei dovuta andare io!».
«Abbiamo sorteggiato proprio per questo» le ricordò Scorpius. «Dà fiducia a Hugo».
«Io ho fiducia in lui» scattò Lily fulminandolo. «Siamo cresciuti insieme! Gli rubavo pure il biberon!».
Scorpius sollevò gli occhi dalla mappa e quasi scoppiò a ridere.
«Non è divertente! Non posso aiutarlo da qui».
«Sì, che puoi, cerca di concentrarti».
 
 
Hugo non impiegò molto a trovare il condotto al quale aveva accennato Scorpius, adesso avrebbe dovuto percorrerlo per un lungo tratto. Sempre dritto fino alla terza biforcazione, dove avrebbe dovuto girare a destra.  
Sperava di essere già lì quando lo avrebbero richiamato.
All’improvviso però la galleria cominciò a riempirsi d’acqua, non se ne accorse subito e questa distrazione gli costò cara: proprio all’altezza della seconda biforcazione, da destra, provenne un getto d’acqua tanto impetuoso che lo trascinò con sé. Boccheggiò tentando di non farsi sommergere completamente, nel mentre batteva i piedi e le mani cercando di nuotare ˗ o almeno era quello che avrebbe voluto fare, ma in realtà la corrente era troppo forte per compiere alcun gesto misurato e ordinato.  Il livello dell’acqua lo avvicinò a soffitto di pietra sempre più velocemente. In preda al panico non riusciva nemmeno a riflettere in modo sensato. Prese fiato poco prima che l’acqua lo sommergesse totalmente. Ora era tutto ovattato, tranne il bruciore alla caviglia laddove l’aveva artigliato l’avvincino.
Sarebbe morto affogato, che triste epilogo.
Pensò a Scorpius e a Lily, ai quali non avrebbe risposto. Avrebbero dato subito l’allarme? Certo che sì, ma probabilmente sarebbe stato troppo tardi. Lily ne sarebbe stata devastata. Una lucina sembrò accendersi nella sua mente ormai ottenebrata.
Pensò intensamente alla cugina, aggrappandosi al suo viso incorniciato da folti capelli rossi non troppo diversi da suoi: non voleva mica lasciarle il peso di non averlo salvato. Qualcosa sembrò scattare dentro di lui e si trovò catapultato sul pavimento di pietra. Si girò su se stesso, tossendo e sputando acqua.
Non seppe quanto tempo trascorse prima di riprendere respirare in modo quasi regolare. Si guardò intorno e si rese conto di essere tornato alla biforcazione precedente; in lontananza si percepiva chiaramente lo scorrere impetuoso dell’acqua.
Era veramente stanco, ma si sollevò lentamente e riprese a camminare.
Sentì Lily e Scorpius altre due volte; ma ormai faticava a muoversi e tremava dal freddo, peggiorato a causa delle vesti completamente zuppe. I compagni gli ripetevano che era quasi arrivato, che doveva stringere i denti, che ce l’avrebbe fatta, ma lui cominciava a non crederci più.  
A un certo punto il piede gli girò e cadde a terra, ma lì il pavimento di pietra declinava e si trasformava in terriccio man mano che Hugo ruzzolava giù.
«Ahia» sbottò, sbattendo su quella che sembra roccia. Annusò l’aria e si rese conto di essere nuovamente vicino al Lago Nero.
Piano piano percepì un suono in lontananza, una specie di melodia, ben diversa dal versetto dei chizpurfle. Quasi accecato, a causa dell’oscurità più profonda, si mise a sedere e si guardò intorno cercando di abituare gli occhi: si trovava su una specie di roccia.
I Campioni di solito erano una specie di eroi, belli, simpatici, con la battuta pronta, imbattibili; invece lui era magrolino, con i capelli rossi sparati da ogni parte e, in un modo o nell’altro, finiva sempre a tappeto.
La melodia divenne sempre più chiara. Hugo si raddrizzò lentamente e si strascinò verso il bordo della roccia.  
Si chiese ancora una volta se l’avrebbero recuperato, ma la verità è che si vergognava: avrebbe gettato disonore su Hogwarts e sulla Casa di Grifondoro. Forse sarebbe dovuto rimanere lì, almeno non avrebbe dovuto subire il peso del fallimento.
Non capiva il significato il significato di quel canto, ma era sempre più struggente. Poteva smettere di trascinarsi tra migliaia di condotti tutti uguali e lasciarsi cullare da quella musica.
Raggiunse il bordo, a malapena si rese conto sotto di lui vi era soltanto il Lago Nero.
La melodia sembrò essere salita di volume. Si mise in piedi sul ciglio dello strapiombo.
«Hugo».
Ignorò la voce di Scorpius.
Il Serpeverde lo chiamò di nuovo, invano.
Allora si aggiunse anche quella, stranamente stridula ˗ o era solo una sua impressione ˗, di Lily.  
Lo chiamarono nuovamente, questa volta insieme e per un attimo il suo nome riecheggiò intorno a lui, quasi comprendo la terribile melodia che sembrò sfumare nella notte.
Hugo si riscosse e sembrò accorgersi per la prima volta di dove si trovasse. Rispose faticosamente agli altri due, come se la sua mente avesse difficoltà a riordinare le idee.
Si arrampicò stancamente lungo il cunicolo da cui era scivolato. Per fortuna, da lì in avanti fu tutto più semplice o, forse, Hugo non ne serbò il ricordo. Lily e Scorpius lo guidarono finché fu loro possibile; alla fine, nell’ultimo tratto, Hugo fu nuovamente solo.
 
 
«Ho avuto paura» sussurrò Lily stringendosi le braccia al petto.
Scorpius strinse le labbra e diede delle pacche imbarazzati sulla spalla della ragazzina.
La musica dei Maridi ˗ non poteva essere che quella ˗ aveva turbato profondamente Hugo, già prostrato per gli avvenimenti precedenti.
«Voi Weasley-Potter avete le vite di un gatto» disse sarcastico, celando così la propria paura.
 
 
Hugo individuò il condotto verticale di cui gli aveva parlato Lily, ma solo diversi tentativi riuscì ad appendersi a un mattone sporgente. La scalata gli sembrò infinita, ma finalmente raggiunse la parte terminale.
Vagamente ebbe contezza di trovarsi nel cortile della Scuola, in un vecchio pozzo nello specifico che solitamente era coperto e che gli studenti non consideravano nemmeno.
Due forti braccia ˗ quelle di Hagrid ˗ lo issarono su e lo appoggiarono sul selciato. Si coprì gli occhi di fronte ai flash delle macchine fotografiche, troppo intense dopo la semioscurità in cui era mosso fino a pochi minuti prima.  L’infermiera accorse a verificare le sue condizioni, ma Hugo riprese realmente fiato solo quando Lily e Scorpius emersero dalla folla e lo abbracciarono.
Ce l’aveva fatta, ma da solo lì al buio non aveva affrontato un drago, ma qualcosa di ben peggiore: se stesso e le sue debolezze.
 

 
   
 
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