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Autore: Emma Speranza    11/08/2023    19 recensioni
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.
Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.
Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.
Dal capitolo 39:
Perché il nome segnato accanto alla porta lo conosceva bene. Fin troppo bene. Senza sapere come, Lydia sollevò una mano e prima che potesse rendersi conto di ciò che stava realmente facendo, aprì la porta con un colpo secco.
Blake sobbalzò nel letto, ma il suo spavento si trasformò in vero e proprio stupore nel momento in cui si accorse chi era appena entrato nella sua camera d’ospedale.
Genere: Avventura, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Vari personaggi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Prima Parte



Capitolo 1
 
La casa sul mare

 
 
La casa era completamente in disordine, i cassetti vuoti, i mobili spostati. Alcuni scatoloni occupavano il centro di quella che fino a pochi giorni prima era la sala da pranzo che la famiglia Merlin usava solamente per le occasioni speciali, o i pranzi di Natale. Anche le foto che in passato decoravano il corridoio erano scomparse, ora non si poteva più vedere una neonata diventare bambina nell’immagine successiva, e ragazza dopo altre ancora. Il primo compleanno, i primi passi e il primo giorno di scuola erano scomparsi completamente da quella casa. Anche se quest’ultimo era stato rimosso da più tempo, visto che, come la signora Merlin continuava a sostenere, era stato proprio quello l’attimo in cui le loro vite tranquille erano state distrutte.

Lydia non avrebbe mai creduto di darle ragione fino a quel momento. 

Teneva la cornetta del telefono tra l’orecchio e la spalla, in precario equilibrio, mentre cercava di mettere le ultime cose nello zaino, muovendosi nello spazio limitato che le consentiva il filo. 
«Non puoi farlo!» si ritrovò ad urlare, poi si guardò attorno nonostante fosse consapevole di essere da sola in casa. Appoggiò nuovamente sul tavolo i libri che stava tentando di infilare nello zaino già fin troppo pieno e prese il telefono in mano. «Non penserai davvero di farlo!» esclamò a voce più bassa «Come fai a pensare anche solo per un istante che quelli ci lasceranno le bacchette? Hai visto anche tu gli articoli sulla Gazzetta, sai cosa fanno a quelli come noi. Ci odiano, siamo carne da macello per loro. Non dureremo neanche un giorno dopo l’interrogatorio!»
Ma la sua amica Alice James aveva ben altre idee. «Non ho intenzione di vivere nella paura, né di nascondermi per delle sciocche supposizioni. Sii realista, Lydia. Siamo in troppi. Non possono fare niente contro di noi, non possono imprigionarci e neppure ucciderci. Se lo facessero non esisterebbero più i maghi: ormai i Purosangue si contano sulle dita di una mano. Vogliono solo registrarci e poi potremo tornare alle nostre vite.» 
Lydia si sfregò gli occhi. Sapeva quanto Alice fosse testarda e avevano avuto la stessa discussione da settimane ormai, dal giorno dei funerali di Albus Silente. Per quanto Lydia l’avesse pregata, minacciata o cercato di costringerla, Alice non aveva cambiato idea, e in quell’istante, Lydia perse ogni speranza. Avevano affrontato gli ultimi anni della loro vita sempre insieme, sin dalla mattina in cui si erano incontrate sul treno, dirette verso la loro nuova scuola, fino all’ultimo giorno del settimo anno e dopo ancora, in quei due anni in cui sembrava che tutto il mondo fosse cambiato, reso cupo dalla presenza costante della paura. Era davvero arrivata la fine. Sarebbe dovuta partire senza lei al suo fianco. 
Non si era mai sentita così sola in tutta la sua vita.
Respirò profondamente, e con gli occhi lucidi e la voce spezzata riuscì a sussurrare: «Non mandarmi nessun gufo, potrebbero rintracciarmi. Buona fortuna, Alice. Spero che tu abbia ragione.»
Non attese la risposta dell’amica e riattaccò il telefono. 

Stava perdendo tutto. La sua migliore amica, ancora alcuni minuti e non avrebbe più avuto neppure un posto da chiamare casa. Tra pochi giorni lei stessa non sarebbe più esistita; perché per quanto volesse credere veramente che Alice avesse ragione, si era resa conto da troppo tempo che non era così. I Mangiamorte non avrebbero mai perdonato i Sanguemarcio per la loro esistenza. Li avrebbero sterminati fino all’ultimo bambino. 
Ed ora era arrivato il momento di scappare.

La porta sul retro si aprì, rivelando la signora Merlin carica di borse. Si bloccò trovandosi una bacchetta puntata contro.
«Abbassa quello stupido legnetto.» disse avvicinandosi al tavolo e cercando uno spazio libero dove appoggiare le borse. 
Lydia spostò qualche ingrediente di Pozioni per lasciarle il posto. «Questo stupido legnetto ė quello che ci salverà la vita.» sbuffò la ragazza. 
«Ci salveremo la vita solamente se ti sbrighi a finire i bagagli. Tra poco arriveranno quelli del trasloco.»
«Ho quasi finito.» sospirò Lydia, svuotando completamente lo zaino. Lo riempì con più ordine e questa volta riuscì a fare spazio anche per il kit di pozioni. Ora aveva finito. Le sembrava impossibile essere riuscita a comprimere la sua vita in poche valige e scatoloni. 
«E vedi di non dimenticare niente. Non ho intenzione di fare su e giù per mezzo Paese solo per prendere un calderone, dei guanti di drago o alcune delle vostre altre diavolerie.»
Lydia fece una smorfia. «Ho tutto quello che mi serve. E poi la casa della nonna non è poi così lontana.»
«E’ lontana abbastanza da dover abbandonare ogni cosa.» Lydia si voltò a guardare sua madre: un velo di tristezza le adombrava il volto. «Sei proprio sicura… che dobbiamo andare?»
«E’ l’unico modo.» 
«E’ solo che…» La voce di sua madre si spezzò «E’ la nostra casa. La nostra vita.»
Lydia avrebbe voluto darle una risposta diversa. Dirle che potevano restare, che non avrebbe dovuto abbandonare la sua casa, il suo lavoro e tutto ciò che conosceva solo per salvare la vita di sua figlia. Ma non poteva. Avevano pensato ad ogni soluzione possibile. Questa era l’unica praticabile. L’unica che le avrebbe garantito almeno una possibilità di sopravvivenza. 
Le sembrava di vivere un incubo. Doveva scappare da ciò che era solo perché un pazzo aveva deciso che quelli come lei non avevano diritto di vivere liberamente. E la riempiva di rabbia il fatto che anche i suoi genitori ne erano rimasti coinvolti.
«Scusa.» strinse la mano della madre ed appoggiò la fronte sulla sua spalla. «Scusami tanto.»
Le due donne rimasero immobili per diversi minuti, perse nei ricordi di una vita intera trascorsa in quelle mura.
Poi si sentì il rumore di un camion che faceva retromarcia sul vialetto, accompagnato dall’urlo del signor Merlin. «Sono arrivati!» E il tempo dei ricordi e dei rimpianti era finito.
Lydia sospirò e si allontanò dalla madre con una stretta al cuore. 

La macchina partì lenta a causa del peso eccessivo, seguita dal camion dei traslochi. I vicini che abitavano nella villetta a fianco alzarono la mano per salutarli, ma Lydia era troppo tesa per riuscire a ricambiare il saluto o anche solo a rivolgere loro un sorriso. Guardò un’ultima volta la sua casa, mentre si allontanavano sempre di più. Non sapeva se sarebbe mai potuta tornare in quel posto. Fino a quando Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato fosse stato in vita, nessun luogo sarebbe stato sicuro per quelli come lei. 
Si sforzò di distogliere lo sguardo dalla villetta e la nostalgia scomparì, rimpiazzata da quella perpetua sensazione di pericolo che la accompagnava da un anno intero. Sfilò la bacchetta dalla tasca e la strinse, ripassando mentalmente tutti gli incantesimi che sarebbero stati utili in caso di un attacco.
«Non possiamo andare più veloci?» Non riusciva a sopportare di stare ferma in quel piccolo abitacolo, con il terrore di vedere comparire nel cielo quelle maledette ombre nere.
«Tesoro, sai bene che ci vorrà qualche ora prima di arrivare dalla nonna. Noi poveri babbani non siamo veloci come voi.» rispose suo padre.
«Infatti potevamo Smaterializzarsi direttamente a casa della nonna.» sibilò Lydia tra i denti. Odiava quella situazione: aveva tentato per giorni interi di convincere i suoi genitori a rinunciare al vero e proprio trasloco e a fidarsi dei mezzi di trasporto dei maghi, ma ovviamente nessuno dei due aveva voluto darle retta, sostenendo che i vicini si sarebbero insospettiti se fossero semplicemente svaniti nel nulla. E l’ultima cosa che volevano, avevano continuato, era ritrovarsi anche la polizia babbana a dare loro la caccia. Lydia aveva preferito evitare di ricordare che i babbani avevano già troppe sparizioni o morti sospette tra le mani per interessarsi ad una famiglia allontanatasi da casa senza avvisare i vicini. 
Quindi era costretta a rimanere chiusa in una macchina per le ore successive. 
O almeno così pensava. 
Iniziò a capire che qualcosa non andava quando, dopo un’ora dalla partenza, suo padre fece scattare la freccia destra e svoltò in una via secondaria. La motivazione più logica era che stesse facendo una strada più lunga ma altrettanto sicura. Spiegazione che si infranse definitivamente quando si fermarono di fronte ad un condominio. 
«Cosa stiamo facendo?»
«Dobbiamo dare un passaggio.»
Doveva essere un incubo. Per forza. Perché suo padre non poteva essersi messo davvero in testa di dare un passaggio ad uno sconosciuto durante una fuga. I suoi genitori non avevano capito il concetto di scappare senza farsi notare: prima il camion dei traslochi, poi questo. Stavano cercando di farsi uccidere, non c’era altra spiegazione. 
«Papà... parti.» Sua madre non disse una parola, si limitò ad aprire la portiera ed andare verso il citofono. «Mamma! Torna qui!» Lydia pensò anche di bloccarla con un Petrificus Totalus ma si rese conto che una persona pietrificata all’ingresso di un condominio sarebbe parsa sospetta. «Che state facendo?! A questo punto mandate un gufo direttamente ai Mangiamorte!»
«Non dirlo neanche per scherzo. Dobbiamo solamente dare un passaggio ad una famiglia, amici di tua nonna, o almeno, il nonno del bambino era amica di tua nonna, così mi pare di aver capito. Penso che si stiano trasferendo per lavoro.»
«Pensi?!» il livello di esasperazione di Lydia rasentava l’isteria. «Perché non me l’avete detto?»
«Perché a volte sei troppo melodrammatica.» rispose il padre con un sorriso.
«Cosa vuol dire ‘melogrammatica’?» chiese una vocetta sconosciuta «Ciao, sono Henry. E tu chi sei? Hai i capelli rossi! Li vedo sempre nei cartoni. Cosa hai in faccia? Perché mi stai guardando male? E’ perché parlo troppo? I miei amici mi dicono sempre che parlo troppo...» e il bambino sbucato all’improvviso al suo finestrino continuò a parlare a raffica; parole che non arrivarono al cervello di Lydia, troppo intenta a guardarlo con timore e preoccupazione e rabbia. 
«PAPA’!» strillò spalancando la portiera e spostando di peso anche il bambino. «Non puoi avermi fatto questo!» cercò di mantenere lo sguardo più feroce del suo repertorio, ovviamente inefficace contro la persona che l’aveva cresciuta. «Guido io. Ce ne andiamo.» cercò di aprire la portiera del guidatore ma suo padre aveva avuto la prontezza di chiudersi dentro. 
«Posso guidare io?» si intromise il bambino, infilandosi sotto il braccio teso di Lydia. «Noi non abbiamo una macchina, ho solo le macchinine ma non sono macchine vere, lo sai?»
«Papà!» Lydia picchiò sul vetro del finestrino. Il bambino la imitò. «Smettila.» lo rimproverò.
«Come ti chiami?» 
«Lydia.» rispose con poco entusiasmo, al contrario dell’energia che sembrava emanare il bambino, il quale aveva anche iniziato a saltellare sul marciapiede, su e giù dallo scalino. «E tu?»
«Te l’ho detto: Henry! Assomiglia a Har...» 
«Henry!» lo richiamò la madre. Lydia si voltò a guardarla. Aveva lunghi capelli neri, non dimostrava più di trent’anni ma la preoccupazione sul suo viso le creava delle rughe sulla fronte e attorno agli occhi. Solo in quel momento Lydia guardò bene il bambino, che nel frattempo aveva smesso sia di saltare sul marciapiede, sia di parlare. Aveva i capelli della madre, neri e ricci, gli occhi blu troppo grandi per il suo viso rotondo. Doveva avere all’incirca quattro anni. «Siamo pronti.» disse la donna, rivolgendosi al padre di Lydia. 
Avevano solo due valigie. Non sembravano attrezzati per trasferirsi per lavoro, forse stavano andando in vacanza. In ogni caso non avrebbero dovuto accompagnarli loro. Per quanto Lydia volesse lamentarsi e rifiutarsi di partire con i due sconosciuti, un’occhiata di sua madre la costrinse a sedersi di nuovo al suo posto.
Stai calma.’  pensò. Per sicurezza, tornò a stringere l’impugnatura della bacchetta sotto la felpa. Dopo aver caricato le valigie nel baule, nel poco spazio rimanente, madre e figlio si sedettero nei sedili posteriori accanto a lei. Henry era in mezzo. «Si parte per l’avventura!» urlò. 
Gli adulti sorrisero, Lydia sospirò pensando che quella giornata non avrebbe potuto andare peggio. 
Avrebbe dovuto aspettare a pensarlo. 

Il viaggio fu lungo. Henry era troppo emozionato per riuscire a rimanere seduto e continuava a spostarsi nel poco spazio consentito dalla cintura di sicurezza. La maggior parte delle volte si buttava addosso a Lydia cercando di guardare qualcosa fuori dal finestrino. Un campo, una mucca, una nuvola, un lampione, qualsiasi cosa; e non stava mai zitto. I genitori di Lydia ridevano e lo facevano chiacchierare, solo Lydia e la madre del bambino non erano altrettanto loquaci. Un'altra nota negativa furono le tre fermate agli autogrill per andare in bagno, specialmente l’ultima, quando suo padre le passò il portafoglio, chiedendole di andare a comprare dei panini. «No.» sbottò lei, rifiutando di prendere i soldi «Vai tu. Vi aspetto qui.»
«Devo andare in bagno e siamo in ritardo.» rispose pazientemente lui. Henry era già tornato in macchina e aveva iniziato a raccontare in ogni minimo particolare il bagno dell’autogrill, fu questo a convincerla ad uscire dalla macchina. 
Come ogni volta che si trovava in pubblico, coprì il volto con i capelli e cercò di tenere la testa bassa, senza molti risultati. Poteva intravedere lo stesso la gente che si spostava, o i loro sguardi pieni di compassione, o qualche madre che prendeva la mano del figlio e lo invitava a guardare da tutt’altra parte, verso lo scaffale dei dolci. Ogni volta Lydia cercava di autoconvincersi che ormai era abituata. Comprò i panini il più velocemente possibile e tornò di corsa in macchina, dove Henry stata continuando la sua descrizione dei bagni. Solo un’ora, cercò di tranquillizzarsi Lydia. Doveva resistere solo un’ora e poi quel viaggio da incubo sarebbe finito.

La casa di sua nonna era isolata dal resto del paese, si affacciava direttamente sul mare ed era abbastanza grande da poter ospitare tutti i parenti, come accadeva ogni estate per una settimana, quando l’intera famiglia Merlin di riuniva per passare qualche giorno insieme, prima che i ragazzi iniziassero le scuole. Quell’anno nessuno aveva proposto di passare quella settimana in compagnia. Non dopo quello che era successo l’anno precedente. Neanche Lydia avrebbe voluto tornarci. 
Il furgone dei traslochi era già davanti al cancello di ingresso, gli addetti stavano scaricando gli scatoloni. La porta di ingresso era spalancata e sua nonna osservava la scena con la solita espressione corrucciata. «Cercate di non distruggermi le rose, fannulloni, con tutta la fatica che ho fatto per farle crescere in un modo decente. Tutta colpa di questa aria salmastra, l’ho sempre detto a mio marito, pace all’anima sua, che non dovevamo prendere una casa al mare. E lui, testardo come un mulo... Voi! Finalmente siete arrivati!»
Lydia sorrise. Le erano mancate le chiacchiere di sua nonna, capace di parlare e borbottare anche per ore intere prima di rendersi conto che nessuno la stava più ascoltando. Si mise in spalla il suo zaino e superò con un balzo la recinzione in legno.
«Quante volte ti devo dire che non sei uno stambecco? Cammina come una signorina dovrebbe fare.»
«Anche tu mi sei mancata, nonna.» Lydia raggiunse l’anziana signora e la abbracciò. Adorava sua nonna e l’affetto era reciproco sotto quel tono burbero. Lydia sospettava che fosse per il fatto che lei era l’unica della famiglia a mostrare la provenienza scozzese dei nonni, come dimostrato dai suoi capelli rossi e occhi blu, uguali a quelli di sua nonna in gioventù. ‘Sei uguale a mia sorella quando aveva la tua età.’ le aveva ripetuto praticamente da quando era nata. Almeno fino all’anno scorso. 
«Ehi, voi!» esclamò la nonna, si staccò dall’abbraccio per puntare un dito contro un operaio «Quel mobile lo dovete mettere di là! Cara…» aggiunse ritornando ad interessarsi alla nipote «Puoi controllare che non mi distruggano la veranda? Devo parlare con i tuoi genitori.»
Lydia accettò volentieri e sperò che Henry non la seguisse, senza sapere che, in realtà, il bambino tentò davvero di gettarsi al suo inseguimento ma sua madre lo prese in braccio, interrompendo immediatamente la sua fuga.

Lydia rimase in veranda fino al tramontare del sole, quando finalmente gli addetti terminarono di portare dentro casa le scatole e risalirono sul loro camioncino. Chiuse il libro che teneva sulle ginocchia e prese la bacchetta. 
I fari del camioncino si allontanarono fino a scomparire dietro la collinetta che separava la casa della nonna dalle altre. Lydia uscì dalla porta posteriore; la casa l’avrebbe protetta da sguardi indiscreti. Alzò la bacchetta e iniziò ad intonare gli incantesimi che per quasi due anni aveva perfezionato nel tentativo di rendere sicura la sua casa. Finiti quelli di base, passò ad altri più complessi, che stava studiando ormai da settimane. Sapeva perfettamente che l’unica protezione davvero efficace sarebbe stato un Incanto Fidelius, ma per quanto avesse studiato il procedimento non era ancora in grado di compierlo. Non era mai stato nei programmi di Hogwarts. Inoltre non sarebbe mai riuscita a convincere sua nonna a non uscire più di casa, era già stato difficile spiegarle il motivo per il quale si stavano nascondendo senza rivelarle che nel mondo magico era scoppiata una guerra. Aveva solamente compreso, come tutti i babbani, che quelli erano periodi molto pericolosi. Le persone venivano trovate morte nelle loro case, molte delle quali senza ferite evidenti. Nessuno credeva più alla scusa delle fuoriuscite di gas. 
Terminato anche l’ultimo incantesimo, Lydia lasciò il suo nascondiglio e si avviò verso casa. Quando entrò si trovò completamente circondata da scatoloni e valige.
«Non riusciremo mai a sistemare tutto.» sentenziò «A casa non mi sembrava ci fossero così tante cose.» si avvicinò ad una valigia rossa. Era sicura che non fosse né loro né di Henry «E questa da dove viene?» chiese incuriosita.
La madre rispose dalla cucina. «Abbiamo già portato la tua nella tua nuova camera.»
«Non è quello che ho chiesto.» borbottò Lydia, scavalcando tutti gli ostacoli che la separavano dalla cucina. «Volevo solo sapere di chi sono alcune valigie.» raggiunse la porta della cucina e si bloccò sulla soglia. 
Suo padre le si avvicinò. «Zia Maisie starà qui con noi per qualche tempo.» disse incerto.
Maisie Merlin era seduta a tavola e la guardava, il volto pietrificato in un’espressione indecifrabile. Lydia la fissava di rimando, senza riuscire a distogliere lo sguardo, il respiro incagliato nella gola. Un rantolo fu tutto quello che riuscì ad uscire.
«Lydia.» Il padre le aveva poggiato una mano sul braccio. Voleva essere di conforto, Lydia lo sapeva, ma tutto quello a cui riusciva a pensare, era quanto le mura si stessero stringendo attorno a lei. Doveva respirare, doveva muoversi, doveva scappare. Si voltò e, senza dire una parola, tornò verso la porta d’ingresso. 
«Lydia, fermati! Dove stai andando?» 
«Vado a controllare che non ci sia nulla di pericoloso nei dintorni, magari ci hanno inseguiti.» Era una scusa patetica, ma l’unica che si era fatta largo nella sua mente intorpidita.
Suo padre continuava a seguirla. «Non sapevamo come dirtelo. Quando ho detto alla zia che ci saremmo nascosti qui ha voluto trasferirsi con noi ad ogni costo. Ho provato ad impedirlo ma tua nonna ha accettato.»
Lydia si fermò sul vialetto. «Non è colpa tua, papà.» cercò di tranquillizzarlo. «Ho solo bisogno di stare un attimo da sola. Torno presto.» e prima che il padre potesse fermarla corse verso la strada che si affacciava sul mare.
Tutto questo non era nei suoi piani. Aveva progettato di andare a vivere nella casa della nonna proprio perché sua zia non voleva rimetterci piede. E invece avrebbe dovuto condividere la casa con lei, vederla ogni giorno per molti mesi, fino a quando quella stupida guerra non sarebbe finita. Oppure fino a quando i Mangiamorte non l’avessero trovata ed uccisa. 
Non c’era altra via di fuga. O forse sì? Se fosse andata all’interrogatorio con Alice… 
No, Lydia scosse la testa, per scacciare quei terribili pensieri che si affollavano nella sua testa, impedendole nuovamente di respirare. Come poteva pensare di presentarsi all’interrogatorio se era proprio quello il motivo che l’aveva spinta a cercare rifugio da sua nonna? 
Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dover affrontare zia Maisie. 
Le ultime parole che sua zia le aveva rivolto mesi prima si ripetevano nella sua mente, assordandola. Lydia raggiunse lo steccato che la separava dalla scogliera. Strinse il legno tra le mani fino a quando le sue nocche divennero bianche. 
«Ti prego, non farmi questo.» Non sapeva neanche a chi si stesse rivolgendo 
Si passò una mano sul volto. Era stanca e abbastanza sicura che stare fuori casa non avrebbe risolto la situazione. Doveva tornare indietro ed affrontare le conseguenze. Aveva i suoi genitori, aveva sua nonna, provò a convincersi. 
E sarebbe tornata indietro se qualcosa non l’avesse distratta.
Due figure si muovevano nell’oscurità sottostante, in riva al mare. La mano di Lydia corse automaticamente a stringere la bacchetta. Non sembravano minacciosi, anzi, uno dei due era molto basso, pareva quasi un bambino. Forse erano solo un padre ed un figlio che tornavano a casa. Eppure c’era qualcosa di strano nel loro modo di camminare; si muovevano alla svelta, e l’adulto sembrava quasi trascinare il bambino. Lydia si trovò a scendere silenziosamente le scalette che la separavano dalla spiaggia. I suoi piedi non fecero nessun rumore quando atterrarono sulla sabbia, e riuscì a mettersi sulle loro tracce senza farsi notare.
«Dove stiamo andando?» Lydia fece fatica a sentire la voce sottile del bambino a causa delle onde che si infrangevano, eppure la riconobbe subito. L’aveva sentita tutto il pomeriggio.
Strinse convulsamente la bacchetta e si avvicinò ai due. Dove era la madre di Henry? Era impossibile che fosse stato rapito, non con la nonna a controllarlo (nessuno poteva sfuggire al controllo di sua nonna). C’era qualcosa di strano, sapeva di dover intervenire, ma l’istinto la bloccava. Sentiva che le mancava un tassello del puzzle per comprendere quello che stava accadendo. Una sensazione di famigliarità si insinuò nella sua mente.
Accorciò silenziosamente le distanze. Cinque metri. Quattro, tre, due. E poi l’uomo si voltò e la vide. 
Fu questione di un istante. 
Lydia lo riconobbe, e anticipò la sua reazione. Si slanciò verso di lui e gli afferrò il braccio proprio mentre l’altro, allarmato, si Smaterializzava. 


Sentendo la famigliare stretta della Smaterializzazione, Lydia strinse con maggior forza la presa, mentre il ragazzo tentava in tutti i modi di sfuggirle. Dopo un piccolo salto nel vuoto, quando tornarono ad appoggiare i piedi su un terreno solido, non erano più in spiaggia. Dell’erba si stendeva sotto di loro. Lydia alzò immediatamente la bacchetta, puntandola contro il ragazzo che a sua volta la minacciava con la propria. Henry invece teneva le mani sulla pancia, molto probabilmente alle prese con gli effetti della sua prima Materializzazione.
 Il ragazzo fu il primo a parlare. «Lydia?! Cosa diavolo hai fatto?!» 
«Ti ho seguito.»
«Non dovresti essere qui!» disse ruotando per un attimo la testa verso destra. Sembrava che avesse controllato qualcosa ma Lydia non riusciva a capire cosa. Non c’era nulla nei dintorni. Si trovavano in un prato immenso, circondato in ogni suo lato da foreste. Forse stava aspettando qualcuno. Il ragazzo riprese la mano del bambino e lo nascose dietro di lui «Cosa ci fai qui?»
«Te l’ho detto: ti ho seguito. Piuttosto cosa ci fai tu qui?»
«Niente.» rispose velocemente l’altro, senza neanche cercare una scusa veritiera. «Cosa… ti è successo?»
Lydia sbuffò, non aveva dubbi riguardo a cosa si stesse riferendo. «Non hai mai visto una cicatrice in vita tua, Lance?»
«Avevo capito che era una cicatrice, ma...»
«Allora smettila di fare domande stupide!» lo interruppe lei. 
Rimasero in silenzio, puntandosi addosso le bacchette e sarebbero rimasti nella stessa posizione anche per tutta la notte se il bambino non avesse iniziato a vomitare proprio sulla scarpe di Lance. 
Una smorfia disgustata apparve sul volto del ragazzo, mentre Lydia non poté fare a meno di sogghignare. 
«Scusa.» borbottò Henry pulendosi la bocca con la manica della felpa. 
«Dovresti ripulirti.» disse Lydia.
Lance non si lasciò ingannare e continuò a tenerla sotto tiro, nonostante la puzza che si stava diffondendo ai suoi piedi, mentre il vomito gocciolava dall'orlo dei pantaloni e raggiungeva l’erba. «E comunque non faccio domande stupide, sei tu che non rispondi. Cosa hai fatto? Perchè mi hai seguito?»
«Perché sembravi un ladro di bambini.» rispose Lydia, togliendosi un ciuffo di capelli che gli era scivolato davanti agli occhi. «A proposito, perché stai rubando un bambino?” indicò il piccolo con un gesto veloce della bacchetta, tornando poi a puntarla contro il ragazzo. Il braccio iniziava a farle male a causa dei nervi tesi. «L’ultima volta che ti ho visto stavi dimostrando il tuo lato Tassorosso aiutando una signora a raggiungere il Ghirigoro.»
«Quella stessa signora che tu, con il tuo grande spirito da Grifondoro, avevi ignorato.» ribatté Lance, imperturbabile.
«Ero in ritardo, dovevo andare al lavoro.» Lydia aveva sperato che l’altro non si ricordasse di quel particolare. «E tu sei sempre stato pieno di pregiudizi contro noi Grifondoro.» Continuò ricordando i sette anni che avevano condiviso ad Hogwarts e le lunghe discussioni riguardo a quale Casa fosse la migliore.
«Lydia… tu lavoravi al Ghirigoro.»

Questo riuscì a zittire la ragazza, ma l’effetto non durò a lungo, per quanto Lance avesse sperato di chiudere quella discussione. «Sono passati due anni, vuoi criticarmi per quello che ho fatto due anni fa?!» esclamò Lydia, indignata.
«Non ti sto criticando. E io ti avrei rivista volentieri in questi due anni se solo avessi risposto ad almeno una mia lettera. Le hai ricevute le mie lettere, vero?» chiese, con la flebile speranza che Lydia confermasse la teoria che si era costruito in quegli anni. Che non avesse risposto semplicemente perché non le aveva ricevute. Ma il lampo di colpa che attraversò il volto di Lydia fu una risposta sufficiente. 
«Sono stata impegnata.»
«Impegnata?» ripeté Lance, incredulo «Talmente tanto impegnata da non avere il tempo di rispondere anche solo con una riga? O fare una telefonata?» Lance non riuscì a trattenere un accenno di rancore nel pronunciare quelle parole. Il bambino gli tirò la manica, ma Lance lo ignorò completamente. Perché Lydia Merlin non aveva nessun diritto di ricomparire all’improvviso nella sua vita dopo averlo ignorato per così tanto tempo. «Ti ho scritto per mesi, Lydia! Pensavo che fossimo amici, e invece sei stata solo un’egoista.»  Non le aveva mai parlato in quel modo in tutta la sua vita. E l’istante successivo lo aiutò a ricordare il motivo per cui non lo aveva mai fatto prima.  
Si pentì di aver pronunciato quell’ultima parola quando ormai era troppo tardi. Gli occhi di Lydia sembravano volerlo incenerire senza l’uso della magia, e Lance sapeva fin troppo bene che non si doveva mai offendere Lydia Merlin se si voleva andare via camminando sulle proprie gambe e non su una barella evocata dal nulla per essere portato nell’infermeria della scuola. Il bimbo tirò nuovamente la manica di Lance ma lui stava cercando di ricordare qualsiasi incantesimo protettivo per difendersi dall'inevitabile.
«Io un’egoista?» Il bambino si nascose di nuovo dietro Lance, terrorizzato dalla vista della strega dai capelli rossi e per sfuggire dal suo sguardo di fuoco.
 Qualche scintilla esplose dalla punta della bacchetta di Lydia. «Lurido tasso, tu non puoi dirmi che sono un’egoista, non hai nessun diritto di farlo.» fece un passo in avanti, mentre le scintille continuavano a sgorgare senza controllo. 
Lance balbettò delle parole senza senso. Avrebbe voluto ribattere, spiegarle che sì, lui poteva darle dell’egoista considerando che lei non aveva mai risposto ai suoi messaggi per quasi due anni, ma non era mai stato capace di ragionare lucidamente quando era sotto pressione e si ritrovò con la mente piena di frasi sconnesse che non trovavano la via per uscire da lì. Vedendo la strega avvicinarsi cercò di sfuggirle arretrando, ma in questo modo si trovò il bambino aggrappato alla sua gamba, che gli impediva ogni altro movimento. L’unica soluzione possibile per uscirne indenne era un incantesimo. 
«Protego
Una forza invisibile si pose tra di loro, facendo cadere entrambi a terra. Lance alzò immediatamente la gamba destra, per impedire che il bimbo venisse schiacciato e pensò compiaciuto che il suo incantesimo aveva avuto gli effetti sperati: era riuscito a sfuggire alla furia di Lydia. Certo, era caduto a terra anche lui, ma poteva vedere chiaramente che la bacchetta rotolata fino ai suoi piedi era proprio quella della ragazza. 
Fu in quel momento che si rese conto dell’orribile verità: non era stato lui a lanciare l’incantesimo. L’aveva pensato, ma non era stata la sua voce ad essere risuonata nel prato, e neppure quella di Lydia, e ovviamente non era stata neanche la voce di un bambino.
Una figura gli dava le spalle ma Lance poteva vedere perfettamente che puntava la bacchetta contro il viso sfregiato di Lydia, ormai disarmata.
«Ciao papà.» sussurrò Lance. 




Note 
Curiosità: ‘Piume di Cenere’ è nata tra dicembre 2015 e gennaio 2016 come esercizio di scrittura, per essere poi ripresa a marzo 2022, ed ha subito numerose revisioni e riscritture nel corso degli anni per giungere alla versione definitiva che leggerete. I primi capitoli sono tra i pochi rimasti della versione originale e di conseguenza sono anche quelli che hanno subito i maggiori cambiamenti. 

La storia è già stata interamente scritta e revisionata, verrà pubblicato un nuovo capitolo ogni settimana.

Per tenervi sempre aggiornati e scoprire altre curiosità o anticipazioni, visitate la pagina Instagram ufficiale:
@piumedicenere.

Grazie a voi che avete letto il primo capitolo, con la speranza che questi personaggi possano entrare nel vostro cuore come hanno fatto nel mio.
A settimana prossima, 
Emma Speranza



 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere

 
 
   
 
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