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Autore: 18Ginny18    29/09/2023    1 recensioni
[Sequel di 'Secrets']
La vita di Ginevra Andromeda Black era stata sconvolta da quella strana Creatura Oscura di cui ignorava il nome. Viveva dentro di lei, come un parassita, e pian piano cercava di prendere il controllo al suo posto.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~The Black Chronicles~'
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Capitolo 40 – È più veloce che addormentarsi

Un grido di terrore e disperazione che non riuscì a sopprimere, le sfuggì dalla gola.
Davanti a tutto quel sangue, Ginevra sentì le gambe cedere. Si lasciò cadere in ginocchio su quel pavimento freddo, con il corpo che tremava e con la mente incapace di mettere a fuoco nient’altro se non il sangue.
Sangue. Vedeva solo sangue.
Suo padre era a terra… e ne era circondato.
Esitante, cominciò a scuotere Sirius con le poche forze che le erano rimaste. Non le importava del dolore al braccio, voleva solo che lui aprisse gli occhi.
- PAPÀ! APRI GLI OCCHI! - urlava. Lui, però, non si muoveva. - Apri gli occhi… - tentò ancora, con la voce che si affievoliva pian piano e le lacrime che le rigavano il volto. - Ti prego...
Il dolore era troppo da sopportare. Si portò le mani alla testa e scoppiò in lacrime.
“È colpa mia. È tutta colpa mia”, si accusò. Non diede nemmeno ascolto a ciò che Entity le stava dicendo. Non riusciva a sentire niente di quello che stava accadendo intorno a lei.
Piangeva, si disperava e si colpevolizzava.
Urlava con tutto il fiato che aveva in corpo.
Non riusciva nemmeno a muovere più un muscolo verso suo padre. Temeva di scontrarsi con la realtà e avere la conferma che era morto.
Era tutta colpa sua.
All’inizio Regulus non si accorse nemmeno di ciò che era successo. Attorno a lui c’era il caos: un tumulto di lampi di incantesimi che schizzavano a destra e a sinistra e di grida dei pochi Mangiamorte rimasti, che avevano persino sovrastato le grida di dolore della ragazza.
Aveva appena disarmato un Mangiamorte con molta facilità.
Dopo che aveva ucciso Bellatrix, la luogotenente di Voldemort, tutti gli altri sembravano talmente spaventati che non si impegnavano nemmeno ad attaccare.
Fu in quel momento che udì la voce di Ginevra nella sua mente.
“È colpa mia. È tutta colpa mia”, diceva. “È colpa mia”.
Ma più che un sussurro, come gli capitava spesso di sentire i pensieri della ragazza, quello era più un urlo distrutto dal dolore.
Si voltò di scatto, cercandola con lo sguardo. Quando la trovò accanto al corpo del fratello, sentì il cuore in gola per lo spavento.
Morto.
Quella era stata la prima parola che gli venne in mente e che gli gelò il sangue nelle vene.
Senza pensarci un minuto di più, si precipitò verso di lui.
Si inginocchiò in fretta, provando ad ignorare tutto quel sangue che gli sporcava i pantaloni.
Ginevra continuava a piangere, disperata.
- Cos’è successo? - le domandò avvertendo il panico crescere sempre di più, mentre poggiava due dita sul collo tiepido di Sirius.
Regulus non era mai stato un tipo religioso, ma in quel momento pregò con tutto sé stesso di sentire ancora il battito del suo cuore.
Era debole, ma batteva.
C’era ancora una speranza.
Tra un singhiozzo e l’altro, Ginevra disse che Sirius aveva battuto la testa, poi cominciò a farfugliare e Regulus non riuscì a cogliere nient’altro. Per lui erano parole senza senso.
- Oh, buon dio… - mormorò qualcuno.
Regulus alzò la testa verso Ted Tonks, guardandolo mentre si toglieva la giacca per coprire il corpo di Sirius.
- Dobbiamo fare in fretta. Dobbiamo portarlo al San Mungo. Subito! - disse una voce che sembrava rotta dalle lacrime. Ci volle un bel po’ prima che Regulus si rendesse conto che quella era proprio la sua voce.
Mentre estraeva la bacchetta per frenare l’emorragia sulla testa del fratello, Regulus si sorprese a tremare solo quando Ted poggiò la mano sulla sua.
- Ci penso io – lo rassicurò, in tono fermo ma gentile.
Regulus lo lasciò fare.
Si guardò intorno solo per un breve istante, notando che finalmente i Mangiamorte rimasti erano stati abbattuti.
I membri dell’Ordine e gli amici di Harry si fecero avanti. Ginevra, invece, si allontanò. La vide camminare inquieta, avanti e indietro, lanciando continue occhiate verso Sirius. Tirava su con il naso, cercando a stento di trattenere le lacrime, mentre si passava la mano tra i lunghi capelli neri.
- Che succede? - ringhiò Alastor Moody, zoppicando in fretta verso di lui.
Regulus non ebbe la forza di rispondere, nemmeno quando Emily gli fu accanto. Gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lui l’aveva stretta con tutte le sue forze, come se lei fosse l’unico contatto che aveva con la realtà. L’unica speranza che aveva per non crollare e lasciarsi sopraffare dal panico e dal dolore.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da Sirius. Osservava ogni movimento di Ted Tonks, senza nemmeno muovere un solo muscolo.
Moody e Kingsley Shacklebolt parlavano in fretta, scambiando qualche parola sul da farsi. Poco prima di sparire, Kingsley promise di tornare con i Medimaghi.
Con la coda dell’occhio, Regulus vide Nymphadora abbracciare Ginevra. Provava a confortarla, ma senza successo; ogni tentativo faceva piangere la giovane Black ancora più di prima.
Nemmeno Entity, riusciva a consolarla.
Alla fine Nymphadora dovette allontanarsi da lei e, seguendo il comando di Malocchio Moody, si smaterializzò insieme a due ragazzi dell’ES. Doveva portarli al sicuro, al Quartier Generale.
Due per volta i ragazzi vennero portati via. Gli ultimi rimasti erano la piccola Ginny Weasley e Harry, che Remus aveva appena fatto rinvenire.
La Weasley lo cullava, accarezzandogli i capelli con le dita tremanti. Per quanto ci provasse, non smetteva di alternare lo sguardo da Harry a Sirius.
Al contrario di Regulus, che osservava la scena da lontano, Remus non vi badò; perché se lo avesse fatto non avrebbe pensato lucidamente e l’ansia che provava in quel momento lo avrebbe spinto a fiondarsi su Sirius come tutti gli altri, dimenticandosi di Harry.
Nonostante il pianto della sua figlioccia lo facesse morire dentro, sapeva che non poteva lasciarsi sopraffare dal panico.
Sirius era vivo e presto lo avrebbero portato al sicuro.
Tutto sarebbe tornato come prima.
Doveva solo trovare il modo di dire a Harry cos’era successo, e non era certo di esserne in grado.
- Hai bisogno di riposo – disse al ragazzo. - Lo Schiantesimo è stato molto forte.
Lo aiutò a mettersi a sedere e controllò attentamente se vi erano tracce di qualche ferita o se lo Schiantesimo di Bellatrix lo avesse stordito più del dovuto. Per fortuna andava tutto bene.
Harry annuì leggermente e si lasciò controllare senza obbiettare. Strizzò gli occhi più volte, la vista era annebbiata e gli occhiali che poggiavano storti sul naso, ma non gliene importava poi un granché.
Si guardò intorno, confuso, fino ad incontrare gli occhi azzurri della sua Ginny. Aveva qualcosa di strano.
- Cos’è successo? - biascicò.
Si massaggiò la mandibola. Faceva un po’ male.
Davanti al silenzio del lupo mannaro e della sua ragazza, Harry si guardò intorno ancora una volta. La vista stava tornando lentamente più nitida.
- Dov’è Sirius?
Non lo vedeva da nessuna parte.
Quello che vide, però, fu il corpo senza vita di Bellatrix Lestrange, a pochi passi da dove l’aveva vista lui poco prima di svenire sotto i suoi colpi. Era sorpreso di trovarla in quelle condizioni, ma non provò alcuna pietà. Anzi, ne era felice.
Era un pensiero in meno a cui badare.
Davanti a quella prospettiva il cuore si fece più leggero.
Si guardò ancora intorno, senza riuscire a vedere dove fosse il suo padrino. C’era solo una piccola folla poco più in là, formata da Regulus, Ted e Emily Tonks e Malocchio Moody. Sembrava che circondassero qualcuno che era disteso lì, sul pavimento. Forse Sirius era lì con loro e lui non riusciva a vederlo…
Allungò il collo per vedere chi fosse, ma non riusciva a vedere.
Udì qualcuno piangere e, senza poterne fare a meno, come se quel semplice suono lo avesse chiamato a sé, si voltò fino a incrociare la figura tremante della sorella poco più in là.
Perché sua sorella piangeva? Non riusciva a capirlo.
Guardò Remus, in cerca di spiegazioni, e lo trovò con lo sguardo basso.
- Harry… Sirius è…
Il cuore di Harry tornò a farsi pesante nell’istante esatto in cui Remus esitò a terminare la frase.
Scattò subito in piedi.
- Cos’è successo? - disse Harry, per poi urlare: - DOV’È SIRIUS?
Il signor Tonks si voltò a guardarlo, gli occhi pieni di sofferenza. Si scostò appena, permettendogli di vedere chi fosse l’uomo disteso… e con orrore, scoprì che era proprio Sirius.
Gli si mozzò il fiato, i polmoni sembravano in fiamme.
Fece per lanciarsi verso di lui, ma Remus lo bloccò, circondandolo con le braccia, e lo trattenne.
- Aspetta, Harry – disse con voce spezzata, mentre lottava per trattenerlo. - Ha... perso molto sangue.
- Voglio andare da lui - Harry si divincolò con violenza, ma Lupin non lo lasciò andare.
- Cos’è successo? - urlò ancora, cominciando a piangere.
Non ci credeva; non ci voleva credere; si divincolò con tutte le sue forze, ma la stretta di Remus era salda.
- Crediamo che abbia battuto la testa durante lo scontro con Bellatrix – spiegò Remus, con voce tremante.
Harry si sentì perso.
Poi si accorse del sangue che macchiava i vestiti di Regulus, Ginevra e Ted: il sangue di Sirius.
Tutto quel sangue…
Harry smise di combattere, ma Remus non lo lasciò. - È ancora…
Trattenne il respiro. Non riusciva nemmeno a chiederlo.
Remus annuì.
- Andrà tutto bene, Harry – disse Ginny, poggiandogli una mano sul braccio.
Harry voleva crederle. Voleva che quello che Ginny aveva appena detto fosse vero. Una certezza. E voleva che lo avesse detto con più sicurezza.
Certo che sarebbe andato tutto bene!
Sirius era forte. Aveva solo perso un po’ di sangue… andava tutto bene. Tutto bene.
Proprio come quando era arrivato in quella stanza, Silente passò accanto a Harry, ignorandolo. Si guardava intorno con attenzione, come alla ricerca di qualcosa. Le sue dita ossute e grinzose tenevano la bacchetta pronta, in attesa di uno scontro.
Sembrava che non importasse nulla di ciò che era successo; sembrava indifferente al pianto di Ginevra, che spezzava il cuore di Harry ad ogni singhiozzo; era indifferente a tutto.
Harry cominciò a provare un odio viscerale.
Come poteva quell’uomo essere tanto freddo e insensibile? Dov’era quando loro combattevano contro i Mangiamorte? Dov’era lui quando Sirius era stato colpito? Perché non li aveva aiutati quando era arrivato?!
Se Sirius era ferito era solo colpa sua.
Harry si liberò dalla stretta di Remus e scattò dritto verso il vecchio mago.
- Harry… cosa…? - gridò il lupo mannaro quando gli vide sfoderare la bacchetta e puntarla contro Silente.
- PERCHÉ NON HA FATTO NULLA? - urlò Harry. - PERCHÉ NON HA SALVATO SIRIUS?
Silente non si voltò a guardarlo. Continuava a girarsi intorno, con sguardo attento, in ascolto. Il suo atteggiamento riuscì a far infuriare Harry ancora di più.
- MI GUARDI! - urlò Harry.
Silente lo guardò.
Solo per un istante, gli occhi azzurri del vecchio incontrarono quelli color giada del ragazzo; sembravano cercare qualcosa, poi la sua attenzione tornò altrove. Spostandosi su qualcuno in particolare: Ginevra.
Anche Harry si voltò a guardarla.
Si era lasciata cadere a terra, con le braccia strette alle gambe, e sembrava come chiusa in un bozzolo. L’intero corpo era scosso dai tremori. Non aveva smesso di piangere un solo istante.
Guardandola, Harry aveva il cuore a pezzi. Voleva andare da lei e stringerla forte a sé.
- Lo vede? - indicò la sorella al vecchio mago. - Questa è tutta colpa sua… Se mia sorella è ridotta in questo stato è solo colpa sua!
Si avvicinò a lei, pronto ad abbracciarla.
Non gli importava più di Silente. Non gli importava più di niente e di nessuno. Voleva solo proteggere sua sorella.
Ma prima che potesse fare solo un altro passo verso di lei, Harry si fermò.
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa di strano.
La cicatrice sulla sua fronte cominciò a bruciare: era un dolore inimmaginabile, insopportabile... Il suo corpo cominciò ad irrigidirsi.

“È colpa mia. È tutta colpa mia”, continuava a ripetersi Ginevra e quando Entity provava a obbiettare, puntualmente, lei la ignorava e continuava a colpevolizzarsi.
Quel lamento continuava a invadere anche i pensieri di Regulus, come in un loop senza fine. Lo stava facendo diventare pazzo.
Ad un tratto, oltre al sussurro della ragazza, Regulus captò un’altra presenza in quel filo che lo collegava a lei. Non si trattava di Entity. Era un’altra voce, ne era certo; una voce acuta, gelida…
Quando la riconobbe, Regulus sbarrò gli occhi, impietrito.
Un brivido gli correva lungo la spina dorsale.
Non sentiva quella voce da più di quindici anni.
Sì… è tutta colpa tua...”, sussurrava la voce di Voldemort nei pensieri di Ginevra. “Ora il tuo caro padre morirà… e sarà tutta colpa tua....
Terrorizzato, Regulus si voltò di scatto verso la nipote. E fu allora che la vide: una strana ombra scura; una nebbia che le vorticava attorno come un piccolo tornado, tenendola prigioniera al suo interno senza che lei se ne rendesse conto.
- Non lo ascoltare… - urlò, facendo un passo verso di lei, ma qualcosa, una forza invisibile, gli impedì di muoversi.
- Regulus… Cosa c’è? Che succede? - Emily lo guardava, allarmata. Gli altri membri dell’Ordine lo fissavano senza capire.
Lui provò a dire qualcosa ma dalla sua bocca non uscì alcun suono; annaspava cercando aria, come se qualcuno gliela stesse strappando dai polmoni.
Nel frattempo la voce di Voldemort si era fatta bassa e suadente, come una calda e invitante coperta.
Non puoi fare niente per lui...”, diceva. “Ma io posso aiutarti… Insieme possiamo fare grandi cose… Possiamo impedire che lui muoia…”.
Regulus vide il corpo della ragazza smettere di tremare. Non piangeva più, non continuava a darsi la colpa… Ascoltava le parole del viscido tentatore, come soggiogata dalle sue promesse.
Ancora una volta Regulus tentò di farsi avanti, di fermare il Mago Oscuro, e liberare la nipote, ma quella forza invisibile era ancora lì e lo attanagliava senza dargli vie di scampo.
- Regulus mi stai spaventando – Emily si guardò, come alla ricerca di qualcosa che giustificasse il suo stato, poi vide l’ombra sulla ragazza. Sbarrò gli occhi e levò la bacchetta. - Ma che succede? - esclamò, allarmata.
“Dannazione!”, imprecò l’animagus dentro di sé, colmo di rabbia. “GINEVRA NON LO ASCOLTARE!”, urlò, con la speranza che lei potesse sentire.
Ogni suo tentativo, però, sembrava vano.
Si sentiva chiuso in una gabbia di vetro insonorizzata… dove nessuno poteva sentirlo gridare.
Attorno a lui i membri dell’Ordine avevano iniziato a scagliare incantesimi contro l’ombra, finché Silente non li fermò.
- Smettetela o colpirete lei – li avvertì, dopodiché allontanò Harry da quell’ombra.
La cicatrice continuava a bruciargli. Remus e la piccola Weasley gli facevano da scudo con i loro corpi, nell’eventualità che Voldemort decidesse di attaccarlo. Silente, invece, si avvicinò senza remore alla nebbia di pura oscurità e si piegò verso di essa, osservandola. La studiava con attenzione, senza però tentare di mandarla via.
Regulus lo conosceva abbastanza da riconoscere quella strana luce nei suoi occhi, da capire che era in attesa di qualcosa.
Posso liberarti dal tuo fardello…” continuava a sussurrare Voldemort all’orecchio della ragazza. “Potrai finalmente vivere come una ragazza normale… senza incubi… senza veder morire la tua famiglia… Posso darti tutto quello che vuoi…”.
Ginevra non vedeva l’oscurità attorno a sé; vedeva sé stessa: era felice, spensierata… con lei c’erano Harry, Sirius, George, Regulus, Remus, Fred, Emily, Nymphadora… andava tutto bene. Erano felici, stavano tutti bene.
- Allora è possibile – disse Ginevra, allungando una mano verso quella visione felice.
È così...”, continuò la voce suadente nella sua testa. “Devi solo fidarti di me…”.
Lentamente, però, la visione cominciò a cambiare. Ginevra vide suo padre voltarsi a guardarla, senza nemmeno la traccia di un sorriso sul volto. Man mano la sua carnagione divenne sempre più pallida e i suoi lunghi capelli corvini cominciarono a sporcarsi di sangue…
Ginevra provò un brivido di paura.
Le labbra di Sirius si mossero e la sua voce parlò all’unisono con quella di Entity. SVEGLIATI!”, urlarono, assordandola.
Ginevra tornò alla realtà e quando vide il vortice di oscurità che l’avvolgeva, gridò, spaventata.
- Cosa sta succedendo?
Fino a quel momento non si era minimamente accorta di ciò che stava accadendo; credeva di stare sognando, di aver perso i sensi… di certo non si aspettava di trovarsi in una trappola di fumo!
Si guardò intorno, in cerca di una via di fuga, ma senza trovarne nemmeno una. Non osò nemmeno toccare quella strana nube: una parte di lei sapeva che se lo avesse fatto, probabilmente ci sarebbero state delle conseguenze.
Nell’oscurità vide due occhi rossi che la scrutavano, bramosi.
Poi, la voce che aveva udito per tutto il tempo nella sua testa, si fece più tangibile. Più forte.
- Non temere – disse Voldemort. - Sono pronto ad accoglierti… Devi solo fidarti di me…
Proprio come in uno dei suoi incubi, Ginevra vide una mano bianca e scheletrica tendersi verso di lei.
- Vieni con me…
Un brivido le attraversò il corpo come una scossa elettrica.
Entity, nella sua mente, la parlava senza nascondere la propria paura. “Non ascoltarlo! Non vuole aiutarti… ti vuole usare!”, esclamò. “Pensa a papà! Pensa a Harry! A George! Non devi farti ingannare.
Ginevra guardò la mano, poi guardò gli occhi rossi di quella creatura di fumo. Entity aveva ragione. Non doveva lasciarsi incantare.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi su qualcosa che fosse in grado di aiutarla a uscire da quella trappola.
Sospirò.
Entity era felice che fosse tornata in sé e l’aiutò volentieri. Le cedette un po’ della sua forza, lasciando che evocasse il vento. All’inizio fu come se un fazzoletto di seta le accarezzasse le dita, dolcemente; il vento da che era leggero divenne sempre più forte, fino a trasformarsi in una potente folata di vento che esplose.
La nube di oscurità si dissipò.
Voldemort era solo stato sbalzato di qualche metro lontano da lei, ma vederlo in carne e ossa le fece uno strano effetto… E non era affatto piacevole.
Era esattamente come nel suo incubo: carnagione pallida, occhi rossi come il sangue e il naso piatto come quello di un serpente.
- Ammirevole – disse con sorriso crudele sulle labbra. - Sei proprio tu quella che cerco…
Inclinò la testa di lato, senza smettere di osservarla, rapito.
Avanzò nuovamente verso di lei, ma Silente gli si parò davanti con la bacchetta ben in alto.
- Non osare fare un altro passo, Tom – lo avvertì.
Una risata divertita affiorò dalle labbra serpentine del mago Oscuro. - Cosa credi di farmi, mio vecchio amico? - domandò. - Non ti è bastato lo scontro che abbiamo avuto prima?
Ginevra sentiva le gambe sul punto di cedere sotto il proprio peso. La vista cominciava ad annebbiarsi… Aveva perso troppe energie e stava per svenire.
Senza che se ne accorgesse Voldemort le fu a un palmo di naso, facendola trasalire. Quegli orribili occhi rossi non smettevano di osservarla.
“Ma com’è possibile?”, si chiese lei. “Come ha fatto ad essere così veloce? Come ha fatto a superare Silente?”.
Poi si accorse che Silente continuava a parlare con Voldemort, come se niente fosse. Allora si sforzò di guardare il punto esatto in cui aveva visto il mago Oscuro parlare e, sorprendentemente, lo trovò ancora lì.
Era in due posti contemporaneamente.
Era nella sua testa.
- Vieni con me, bambina mia… ti aiuterò… - le sussurrò con voce suadente.
Un altro brivido le attraversò il corpo.
La gola si seccò di colpo.
La mano di Voldemort si tese nuovamente verso di lei, invitandola a stringerla.
Ma Ginevra non aveva più dubbi su cosa fare.
Nonostante le forze le venissero meno, trovò la forza e il coraggio di guardare il mago Oscuro dritto negli occhi e dire ciò che pensava: - Preferirei farmi torturare… Preferirei morire, piuttosto che unirmi a te.
Voldemort ritrasse la mano di scatto, e gli occhi rossi come rubini si assottigliarono.
Improvvisamente la voce di Silente si interruppe e si udirono dei passi in avvicinamento.
Ginevra non riuscì più a trattenersi dal cadere in ginocchio, stremata. Ma prima di lasciarsi avvolgere dal buio, vide ancora una volta gli occhi rossi di Voldemort su di lei.
Un’eco minaccioso le risuonò nelle orecchie: - Al prossimo incontro scoprirai cos’è il vero dolore...
Dopodiché non vide altro che buio.

Al suo risvegliò avvertì un gran senso di nausea. Provò a mettere a fuoco la stanza in cui si trovava, e per un istante rimase accecata da una luce abbagliante. Si trovava in una stanza che non conosceva, completamente bianca. La schiena le faceva male: era sdraiata su un letto duro e irregolare. I cuscini erano piatti e bitorzoluti.
Fu il risveglio più scomodo che avesse mai provato in vita sua.
Si guardò intorno e, con suo grande orrore, capì di trovarsi nel luogo che più detestava: su un letto di ospedale.
Cercò di sedersi, ma davanti a quel tentativo la testa aveva iniziato a girare, e delle mani calde e delicate la riaccompagnarono sul cuscino.
- Fai attenzione. Non vorrai romperti anche l’altro braccio, vero?
Ginevra si voltò un poco, fino a incrociare il sorriso appena accennato di George a pochi centimetri di distanza dal suo volto.
- George – sospirò, sforzandosi di sorridere. Era felice di vederlo. Le sembrava fossero passati anni dall’ultima volta.
- Ben svegliata, principessa – prese la mano sinistra di lei e la strinse con dolcezza. - Come ti senti?
- Devo essere sincera? - sbuffò lei, con un pizzico di ironia. - Un vero schifo.
Il mezzo sorriso di George si accentuò, sembrava si stesse sforzando di ridere.
Ginevra lo trovò molto strano. Non era da lui.
Solitamente quando George rideva o sorrideva era vero, autentico… Era un gesto naturale, non uno sforzo.
- Cos’è successo? Che ci faccio qui? - domandò a mezza voce.
Ricordava ben poco, e la sua mente si rifiutava di collaborare. Capì che Entity non c’era solo perché dentro di sé trovò solo un silenzio cupo e inquietante. Probabilmente aveva attinto un po’ troppo dai suoi poteri durante la lotta contro i Mangiamorte.
Si sentì inevitabilmente in colpa.
- Dove sono Harry e mio padre? - fu allora, proprio mentre pronunciava quelle parole, che la consapevolezza si fece strada attraverso la nebbia. - George… dov’è mio padre?
George distolse lo sguardo. - Quel Medimago lo aveva detto che potevi soffrire di una leggere amnesia – lo mormorò appena, come se in realtà stesse parlando tra sé e sé.
Cominciò ad accarezzarle il dorso della mano con il pollice e in quell’istante Ginevra si rese conto che il suo braccio destro era completamente fasciato dalla spalla fino al polso. Non poteva muovere nemmeno un dito senza provare dolore, ma in quel momento la cosa non la turbava più di tanto.
Il silenzio di George la stava uccidendo.
Perché non le diceva cos’era successo? Perché non le diceva dov’era suo padre?
Il cuore cominciò a batterle all’impazzata.
La sua mente le mostrò immagini fugaci: mani sporche di sangue, urla di dolore, Sirius disteso per terra… e sangue… tanto sangue…
Era forse un incubo?
- Harry è tornato a Hogwarts con gli altri, sotto la custodia di Silente – disse George. - Stanno tutti bene.
Ginevra provò un leggero sollievo, ma che durò poco.
Un tremore all’altezza del petto le faceva mancare il respiro. - E mio padre?
George esitò. Non riusciva a guardarla negli occhi mentre sussurrava: - È qui. Al San Mungo – la sua voce era tormentata.
- Qui? - domandò lei esitante. - Qui… fuori? In sala d’attesa?
Deglutì a vuoto, pregando con tutta sé stessa che suo padre fosse davvero lì fuori, in attesa di entrare e abbracciarla.
Quando George alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi, lei perse un battito e le mancò il respiro. - Non so come dirtelo… - disse, affranto. - Tuo padre è… tuo padre è in coma.
Quella parola fu come una pugnalata al cuore.
Sperava di aver capito male. Quello che aveva appena detto George era terribile.
Coma. Suo padre era in coma.
- I Medimaghi hanno fatto tutto il possibile, ma dicono che non hanno ancora certezze su ciò che accadrà.
Ginevra non riusciva a crederci.
Come poteva essere in coma? Non aveva senso.
Si sforzò di mantenere la calma, di non farsi sopraffare dal dolore, di non esplodere… ma non ci riuscì. Il respiro si fece affannoso, i battiti del cuore erano accelerati. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Abbassò lo sguardo sul lenzuolo bianco sul quale era seduta, stringendolo forte tra le dita.
- Mi dispiace – le sussurrò George.
La avvicinò a sé, stringendola tra le braccia. La lasciò piangere, baciandole la fronte. La cullò in quel tenero abbraccio per un tempo che pareva interminabile; o almeno finché lei non lo allontanò, sbottando: - L’ho spinto io. È tutta colpa mia – piangeva, disperata.
- Di che parli? Non è colpa tua!
- Bellatrix stava per ucciderlo… come nella mia visione… e io… io... ho agito d’istinto. L’ho spinto! Non capisci?
- Ehi – mormorò George portandole la mano sotto il mento per alzarle il viso verso il suo. - Non è colpa tua. E non osare pensarlo nemmeno per un’istante. So perché l’hai fatto – cercò di confortarla. - Al tuo posto avrei fatto la stessa cosa.
- Ma è colpa mia se adesso mio padre è in coma!
- È stato un’incidente.
- Io… - Ginevra cercò le parole. - Mi sento… Non voglio perderlo.
L’attirò nuovamente tra le sue braccia e lei vi si aggrappò con tutte le sue forze. Si sentiva come sul punto di affogare e George era la sua unica fonte di ossigeno.
- Non lo perderai. Vedrai che andrà bene – le sussurrò. Ma per quanto George continuasse a ripeterlo, lei sapeva come stavano realmente le cose. Era tutta colpa sua e nessuno poteva convincerla del contrario.
“Silente aveva ragione”, si trovò a pensare. “Sono pericolosa”.
Non pensarlo nemmeno”, la ammonì la voce flebile di Entity. “Lui si salverà… Non è morto... È a questo… che devi pensare”.
“Vivo?”, ribatté Ginevra con voce tremante. Il suo cuore era a pezzi. “La sua vita è appesa a un filo! Per quegli stupidi Medimaghi questo è un modo come un altro per dire: ehi, è praticamente morto, ma forse c’è l’1% di probabilità che non sia così! Incrociamo le dita!”, sputò acida. “Non puoi dire che non è colpa mia. Sai bene anche tu cos’è successo”.
Non essere pessimista, piccola”, borbottò Entity, per nulla toccata da quello sfogo rabbioso. Sapeva che Ginevra stava soffrendo, sentiva la sua sofferenza. Non poteva lasciare che il dolore la consumasse. “Lui è forte. Si sveglierà prima di quanto pensi. Abbi fiducia”.
Fiducia.
Non sapeva se era ancora in grado di provarne.
Quand’era stata l’ultima volta? Ormai non lo sapeva più.
Che senso aveva continuare ad illudersi che tutto poteva finire bene? Il lieto fine era solo per le favole!
Sembrava che tutto attorno a lei fosse destinato a sparire, a perdersi. Aveva già perso suo padre una volta e lo stava per perdere ancora. Aveva fatto tutto il possibile per evitarlo, e invece eccola lì, a piangere tutte le sue lacrime mentre suo padre era chissà dove in quell’ospedale. Lontano da lei.
Non sto dicendo che è facile, ma devi essere forte anche tu…”.
“E perché? Tanto non ha alcun senso”.
Perché è quello che vorrebbe tuo padre. Ha bisogno di te”, la interruppe Entity.
Anche con il cuore straziato, Ginevra dovette darle ragione.
Sirius era forte.
Non era morto.
Poteva farcela.
E aveva bisogno di lei. Doveva essere forte come lui.
Dopo un po’, cercando di tenere a freno le lacrime, Ginevra sciolse l’abbraccio e si sforzò di concentrare l’attenzione completamente su George. Aveva l’aria stanca. Un accenno di barba gli oscurava il viso e i suoi fiammeggianti capelli ribelli puntavano in ogni direzione. I vestiti erano stropicciati.
- Da quanto sono qui?
George si passò una mano sul viso e abbozzò un piccolo sorriso. - Quasi tre giorni.
- Tre giorni? - Era sbalordita. Aveva dormito un bel po’. Solitamente era Entity quella che si perdeva nel silenzio per giorni interi.
- Mi hai fatto preoccupare – le confessò George ad un certo punto. - Sembrava che non ti volevi svegliare.
Anche se George non era presente all’Ufficio Misteri, Ted Tonks era andato fino ai Tiri Vispi Weasley per raccontargli tutto quello che era successo. Poi George non aveva esitato un solo istante a lasciare il negozio nelle mani del gemello e partire in direzione del San Mungo.
Il suo unico pensiero era Ginevra.
Era rimasto al suo fianco tutto il tempo, vegliando su di lei giorno e notte in attesa del suo risveglio. Non aveva permesso a nessuno di sostituirlo, né a Ted, né a Regulus né a nessun altro che sostenesse che lui aveva bisogno di una pausa.
Non aveva bisogno di una pausa. Aveva bisogno di lei.
Voleva starle accanto. Confortarla e darle tutto l’amore di cui aveva bisogno in quel momento.
- Scusa.
- Non devi scusarti – ribatté lui. - Non hai niente di cui scusarti. Non è colpa tua.
Ginevra non ne era tanto sicura.
Prima di svegliarsi, quando era priva di sensi non provava alcun dolore; non aveva nessuna paura e sembrava che una parte di lei non volesse nemmeno aprire gli occhi… o forse era talmente stanca da non riuscire a riprendere le forze.
Cercò comunque di non pensarci.
- Cos’è successo? - domandò, sforzandosi di pensare ad altro.
La aggiornò su tutto ciò che era successo dal momento in cui era svenuta, senza tralasciare il minimo dettaglio: poco prima di volatilizzarsi, Voldemort aveva chiamato a sé la Profezia, sottraendola in fretta dalla tasca di Harry; gli Auror e il Ministro Cornelius Caramell in persona erano appena arrivati e ognuno di loro aveva visto Voldemort con i propri occhi, quindi né Caramell né nessun altro poteva più negare che era tornato; gli Auror avevano arrestato tutti i Mangiamorte storditi e pietrificati dai membri dell’Ordine che erano rimasti lì, acciuffando persino Peter Minus, nascosto sotto una di quelle maschere. La sua cattura era un’ottima notizia, dato che finalmente scagionava Sirius da tutte le accuse.
Era un uomo libero.
Davanti a quella notizia la ragazza non poté fare a meno di pensare che purtroppo suo padre non poteva godersi quel momento come doveva.
Dopo quattordici anni, finalmente, aveva avuto giustizia.
Le venivano le lacrime agli occhi ogni volta che ripensava a suo padre.
C’era qualcuno al suo fianco? Qualcuno che gli tenesse la mano e gli facesse sentire che non era solo?
Voleva andare da lui. Doveva andare da lui, al più presto.
- Ho lasciato il negozio nelle mani di Fred e mi sono precipitato qui con tuo zio Ted immediatamente – spiegò George. Poi abbassò lo sguardo in tono di scuse. - Quando siamo arrivati ci hanno detto di tuo padre…
- Devo andare da lui – sentenziò Ginevra, mettendosi a sedere e scendendo dal letto un istante dopo.
George non provò nemmeno a fermarla. Sapeva che lo avrebbe fatto, la conosceva bene.
L’accompagnò fino al reparto in cui era ricoverato suo padre.
Non le stava addosso, non la soffocava di premure ansiose, non la inondava con frasi di circostanza cariche di compassione e non le rimproverava nulla, ma durante il tragitto non riuscì a trattenersi dal farle l’unica domanda che di tanto in tanto gli pungolava la mente da quando era arrivato all’ospedale: - Perché non mi hai detto niente? Perché non mi hai detto che stavi andando al Ministero, l’altra sera? Avresti dovuto dirmelo.
Continuando a camminare, Ginevra incrociò i suoi occhi per poi abbassare lo sguardo subito dopo, colpevole.
George aveva l’aria ferita. Era arrabbiato, ma non con lei.
Provava un gran senso di colpa. Ogni volta che le guardava il braccio rotto, la voglia di picchiare il Mangiamorte che le aveva fatto del male saliva a dismisura.
Se fosse stato al suo fianco, non avrebbe permesso a nessuno di toccarla. Nemmeno con un dito.
Ginevra si rabbuiò. - Non mi avresti lasciata andare.
- In effetti no – disse. - Non ti avrei lasciata andare da sola. Sarei venuto con te.
Intrecciò le dita nella mano sinistra di lei e la strinse, dolcemente.
Ginevra era certa che l’avrebbe fatto ed era proprio quello che la spaventava. Non voleva che qualcuno gli facesse male proprio come nei suoi incubi peggiori. Ma non gliel’avrebbe mai detto.
- Scusa. Ho agito d’istinto.
- Lo so – George si portò la mano di lei alle labbra e ne baciò il dorso. Anche se quello era solo un piccolo gesto che faceva parte della loro quotidianità, lei non poté fare a meno di sentire le farfalle nello stomaco, come ogni singola volta.
Quando raggiunsero il reparto in cui si trovava Sirius, trovarono due Auror ai lati della porta. Era impossibile non riconoscerli: la loro divisa era un tratto distintivo.
Trovarli lì provocò a Ginevra una spiacevole sensazione. Li vedeva come un divieto, qualcosa che le impediva di raggiungere suo padre. Non le piacevano affatto; il modo in cui stavano lì, in piedi, a guardarla le dava una sensazione spiacevole.
Era assurdo ma, ad un tratto, trovò fastidiosa persino l’aria che condividevano in quel corridoio.
“Che cosa hanno da guardare? Perché si sono piazzati lì? Cosa vogliono?”. Quelle domande trovarono presto una risposta grazie a Emily.
La donna era proprio lì, a pochi passi da loro, e quando vide Ginevra l’accolse con un sorriso. La strinse in un abbraccio un po’ goffo, per evitare di farle troppo male al braccio fasciato.
- Stai bene? - le domandò.
Ginevra annuì in modo frettoloso. Il suo unico pensiero era per il padre. - Che ci fanno quegli uomini davanti alla porta?
Emily alzò gli occhi al cielo e sbuffò, come se non potesse farne a meno. - Sono qui perché questo è il modo contorto e privo di senso che il Ministero ha per chiedere perdono – spiegò Emily, sibilando a denti stretti in modo che i suoi colleghi potessero sentirla. - Ora che il Ministero ha aperto gli occhi e che Minus è finalmente ad Azkaban… hanno capito che tuo padre è innocente e… e questo è il loro modo per risarcirlo per i dodici anni che ha scontato: una guardia attiva ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Lanciò un’occhiata ai due Auror e Ginevra la imitò.
A giudicare dalla loro posa rigida nelle divise scure, sembravano voler imitare le guardie di Buckingham Palace. Erano ridicoli e trovarli lì le dava parecchio sui nervi.
- Perché mai montare una guardia? - domandò Ginevra, confusa.
- Perché sono state uccise molte persone qui, al San Mungo nell’ultimo anno – confessò Emily, esitante.
- Cosa? - esclamò Ginevra in preda al panico.
Emily annuì, l’aria abbattuta. Molte di quelle persone le conosceva bene. Oltre che essere colleghi erano anche amici.
- I Mangiamorte hanno fatto di tutto per infiltrarsi nel Ministero, soggiogando e tramortendo molti impiegati, soprattutto dell’Ufficio Misteri - Sospirò, mentre Ginevra si tratteneva dallo scoppiare in lacrime.
Suo padre era in pericolo? Perché? Che motivo c’era?
- Probabilmente temono per la sua vita – continuò Emily, come a rispondere a quelle domande silenziose. - Dato che l’intero mondo Magico adesso ha cambiato opinione su di lui. O forse lo fanno solo perché Caramell teme di perdere ulteriormente la faccia.
Nel dirlo le passò una copia de La Gazzetta del Profeta dove il titolo svettava in prima pagina insieme alla foto di Peter Minus, che sbraitava aggrappato alle sbarre di in una cella di Azkaban.

BLACK È INNOCENTE!
PETER MINUS È VIVO E HA SERVITO
COLUI CHE NON DEV’ESSERE NOMINATO
PER TUTTI QUESTI ANNI.

Ginevra fece un sorriso più simile a una smorfia.
“Era ora che aprissero gli occhi”, pensò trattenendosi dal scoppiare a piangere.
Giustizia”, mormorò Entity con voce fievole.
Nonostante si sentisse rincuorata dalle sue parole, Ginevra la incoraggiò a riposare e a non sforzarsi. Dopodiché vi fu silenzio e lei continuò a leggere, controllandosi dal non incendiare la foto di Minus con lo sguardo; non sapeva se ne era capace, ma non era molto propensa a provarlo in quel momento.

MINUS AD AZKABAN – BLACK AL SAN MUNGO.
FINALMENTE BLACK OTTIENE GIUSTIZIA!

DOPO AVER ASSOLTO SIRIUS BLACK DA TUTTE LE ACCUSE,
I
L MINISTRO DELLA MAGIA HA RILASCIATO UNA DICHIARAZIONE:
“BLACK NON È MAI STATO UN UOMO MALVAGIO.

A NOME DELL’INTERO WIZENGAMOT E DEL MONDO MAGICO
CHIEDO SCUSA A SIRIUS BLACK PER LA SUA INGIUSTA CONDANNA
”.

Ginevra restituì il giornale a Emily, nauseata da ciò che aveva appena letto.
- Come se le sue scuse risolvessero qualcosa – sbottò, contrariata. - E poi che motivo c’è di montare una guardia? Chiunque potrebbe entrare e fare del male a mio padre! Esistono la Pozione Polisucco, la Maledizione Imperius… e questi idioti non fanno paura proprio a nessuno! Figuriamoci ai Mangiamorte!
Una sfumatura di odio puro era sopraggiunta a incupire la sua voce.
Furiosa, marciò verso i due Auror e li fulminò con lo sguardo.
- Andatevene.
I due Auror non si mossero. La ignorarono e basta, proprio come avevano fatto con la sua sfuriata. La trattavano come un insetto fastidioso.
- Ho detto andatevene – ripeté a denti stretti, invocando una piccola fiammella con la mano sinistra.
Era furiosa e non aveva alcuna intenzione di nasconderlo.
Calmati, piccola”, mormorò Entity con voce stanca. “Non sono nelle condizioni di godermi un barbecue al momento”.
La sentì ridere, piano, ma la ignorò.
I suoi occhi erano ancora fissi sui due Auror che, davanti al fuoco vivo che usciva dalla mano della ragazza, sbarrarono gli occhi spaventati.
- Via – sibilò, pronta a colpire se necessario, e loro obbedirono senza voltarsi mai indietro.
Né Emily né George osavano fiatare.
Nessuno di loro, così come i membri dell’Ordine, approvava la presenza di quei due omini da strapazzo, e se c’era qualcuno che poteva opporsi a quell’idiozia del Ministro, quella era proprio Ginevra.
La mano di George sfiorò con delicatezza il braccio di Ginevra e a quel punto le fiamme si assopirono.
Ginevra sospirò, tremante. Dentro di sé provava una rabbia immane e non sapeva come farla uscire. La sua unica alternativa, in quel momento, era sopprimerla.
I suoi occhi incontrarono quelli di George. Non era affatto spaventato, anzi, sembrava divertito.
- Peccato che non gli hai affumicato le chiappe – disse, con un sorriso sghembo che gli disegnava le labbra. - Sarebbe stato uno spettacolo molto divertente – commentò infine.
Lei cercò di ricambiare il sorriso almeno un po’, ma tutto quello che le riuscì fu una smorfia. Poi guardò la porta e ad un tratto la terra sembrò mancarle sotto i piedi.
Aveva paura di ciò che avrebbe visto una volta oltrepassata la soglia.
Emily la incoraggiò ad entrare, promettendole che sarebbe rimasta lì ad aspettarla.
Un sussurro leggero le solleticò leggermente l’orecchio. - Io sono qui con te. - George le depose un leggero bacio sul collo, facendole provare un leggero fremito che si unì all’ansia e alla paura di quel momento, ma in qualche modo il suo gesto riuscì a rincuorarla.
La mano di Ginevra si allungò verso il pomello della porta e lo girò, facendo scattare la serratura. La porta si aprì e, con il cuore in gola, entrò nella stanza. George l’affiancò, ma senza soffocarla.
Si limitava ad assicurarle la sua presenza, e ogni volta che i loro occhi s’incrociavano lui le sorrideva, come a ribadire le parole che le aveva sussurrato all’orecchio poco prima: “Sono qui con te”.
La sua presenza le era molto d’aiuto, soprattutto dopo aver visto Sirius disteso su quel letto.
C’era una cosa, però, che Ginevra odiava maggiormente di quell’ospedale ovvero l’eccessivo utilizzo del colore bianco: i muri e il soffitto erano bianchi, le tende erano bianche, il pavimento era lastricato di mattonelle bianche, le lenzuola erano anch’esse bianche… Anche il pigiama che indossava Sirius lo era!
Ovunque guardasse non vi era altro che puro bianco, e le faceva male agli occhi oltre che darle la nausea.
Era agghiacciante.
Sospirò, ricacciando indietro le lacrime che stavano lottando per uscire.
Suo padre aveva un’aria insolitamente serena e pacifica. Disteso su quell’odioso letto, immobile, con la parte superiore della testa fasciata da bende rigorosamente bianche. Sembrava dormire.
Si avvicinò lentamente a lui, mentre la sua mente le riproponeva con prepotenza ciò che era successo nell’Ufficio Misteri: la sorpresa sul volto di Sirius… il sangue… le urla… le lacrime… il dolore… Tutto sembrava ripetersi senza una fine.
- Papà - sussurrò, con voce rotta, e il calore delle lacrime le sfiorò le guance.
Sperava che lui aprisse gli occhi e urlasse: “Scherzetto! Ci sei cascata”, ma non fu così.
Perché non apriva gli occhi?
- Papà – lo chiamò con voce tremante. - Papà… sono io. Mi senti?
Gli teneva la mano, aspettando invano una risposta, un gesto, che una parte di lei sapeva non sarebbe mai arrivato.
- Apri gli occhi… ti pregò…
Alla fine non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere come una bambina, in preda alla disperazione.
George rimase al suo fianco tutto il tempo. Non la lasciò sola nemmeno un secondo.
La consolò, accogliendo ogni sua lacrima senza protestare. Neanche quando lei si fiondò tra le sue braccia, bagnandogli la camicia di lacrime.
- Non posso vivere senza di lui – si disperò lei. – Non posso.
La prese tra le braccia e la strinse forte a sé. Le accarezzò i lunghi capelli neri con tenerezza. Il corpo di lei premuto contro il suo tremava.
- Andrà tutto bene. Te lo prometto – le sussurrò.
Regulus osservava tutto dalla porta, provando un gran vuoto all’altezza del petto. Emily era con lui. Gli teneva una mano sulla spalla e gli parlava con voce bassa e tranquillizzante, ma Regulus non dava segno di ascoltare una sola parola.
Non smetteva di guardare il fratello maggiore, disteso su quel letto, e di immaginarlo ancora circondato da quella pozza di sangue.





ANGOLO DI QUEL BRADIPO AUTRICE:
Ebbene... siamo giunti alla fine di questa “storia”.
Ho cominciato a scrivere “Light and Darkness” subito dopo “Secrets”: il 25/09/2016 ho pubblicato il primo capitolo e oggi, finalmente, mi sono decisa a concludere questo capitolo della storia. Vi chiedo scusa per averci messo tanto e vi ringrazio per essere rimasti e non aver abbandonato la lettura nonostante le lunghe attese tra un capitolo e l'altro.
Vi ringrazio tutti, nessuno escluso: chi ha continuato a leggere, che mi hanno sostenuto, chi ha lasciato un suo parere, chi si è affezionato ai personaggi, chi li ha odiati, chi ha letto in silenzio... TUTTI! Siete davvero fantastici. Grazie.
Spero di non aver creato un obbrobrio e che, nonostante il finale, vi sia piaciuto.
Per adesso vi dico arrivederci, ma vi lascio con la promessa che presto tornerò con l'ultimo e terzo “libro” della serie: “In the end”.
Un bacio,
18Ginny18
  
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